Capitalismo famelico e peggiore

Scrive l’Unità, ma anche Marcello Verderami sul Corriere, che l’arresto di Ligresti e dei suoi figli (tranne Paolo che è cittadino svizzero dal ’96 e risulta “ricercato”)  rappresenta la caduta di una modalità fatta di scalate, di interessi, di commistioni tra politica ed economia,  ingentilite dalle generose partecipazioni in ospedali, università private e varie opere […]

Scrive l’Unità, ma anche Marcello Verderami sul Corriere, che l’arresto di Ligresti e dei suoi figli (tranne Paolo che è cittadino svizzero dal ’96 e risulta “ricercato”)  rappresenta la caduta di una modalità fatta di scalate, di interessi, di commistioni tra politica ed economia,  ingentilite dalle generose partecipazioni in ospedali, università private e varie opere di carità, in una Milano ricca, opulenta, ingiusta, dove la politica ha lasciato progressivamente il campo alla voracità di una razza predona che pare non cambiare mai e che, di padre in figlio, alimenta dinastie abituate al privilegio, all’arroganza del denaro e del censo.

Ricorda oggi “Europa”, che l’arresto della famiglia Ligresti e la condanna di Tronchetti Provera, ad un anno e otto mesi per una raccolta illegale di dati da parte della Kroll,  sanciscono la caduta anche simbolica di un gruppo di imprenditori che aveva stretto un patto non scritto con la politica e rammenta che nel maggio 2008, Silvio Berlusconi invitò a cena a Villa Madama, per ringraziarli uno a uno Salvatore Ligresti, Marco Tronchetti Provera, Emilio Riva, Francesco Bellavista Caltagirone, Antonio Angelucci, salutandoli col dirwe: “siete dei patrioti ma avete fatto un affare”, a proposito del “salvataggio” Alitalia  che servì al Cavaliere per lanciare la campagna elettorale per palazzo Chigi, e che,  pochi mesi dopo, con la regia della Banca Intesa di Corrado Passera, portò alla scissione e vendita della parte sana ai “patrioti” amici, mentre la bad company veniva caricata sulle spalle dei cittadini, con il regalo di sette anni di cassa integrazione che gridano ancora vendetta e con la compagnia di bandiera che ancora adesso è sull’orlo del fallimento, con i soci in fuga e la stessa AirFrance, colpita dalla crisi, con tanta voglio di volar via.

Sarà anche un caso, ma la più parte dei “patriotti” salutatio da Berlusconi sono incappati in seri guai legali,  basti pensare al brutto affare dell’Ilva della famiglia Riva o a Francesco Bellavista Caltagirone, il patron dell’Acqua Marcia, arrestato per frode fiscale, al quale sono stati sequestrati beni per 145 milioni.

Mentre il signore dei pedaggi autostradali Marcellino Gavio non c’è più mentre e la holding della famiglia Angelucci nella sanità, la San Raffaele spa, è sotto processo per truffa ai danni della regione Lazio.

Ne va meglio per il gruppo Marcegaglia, coinvolto nell’operazione Alitalia solo con una piccola quota dello 0,88 per cento, incorso nel tempo in diversi guai giudiziari.

Si parla adesso di una distorsione tutta italiana, di un capitalismo da salotto contro cui si è cercato di intervinire dal giugno scorso, con i cambiamenti ai vertici di Mediobanca, con un  nuovo piano industrale che ridisegna il suo ruolo storico ed intende essere sempre meno holding di partecipazioni azionarie (di minoranza) nelle grandi imprese e sempre più banca; espandendosi anche, con Compass e Chebanca!, nel settore cosiddetto retail, cioè quello degli istituti di credito che operano principalmente con una clientela fatta di semplici correntisti.

Inosomma internazionalizzare, con l’obbiettivo ambizioso, dal  2014 al 2016, di triplicare i conti correnti, passando da 120.000 a 300.000 e rafforzare le attività di banca  internazionale, allargando la propria copertura geografica a Europa dell’Est (Russia compresa), Medio Oriente, America Latina e, in prospettiva, Cina.

Questo perrché non se può più di un capitalismo che,  sviluppatosi in ritardo dopo l’Unità d’Italia, sotto l’amorevole protezione dello Stato, è cresciuto mantenendo tratti di gracilità, con grandi imprese sottocapilizzate e la Borsa che è sempre stata un polmone atelettasico e molto asfittico.

Campione, almweno in apparenza, di un captalismo più probo è Della Valle, che anche di recente ha tuonato contro la Fiat, contro Marchionne e Nagel e contro gli stretti legami fra Elkann e la News Corp di Murdoch.

Ma quando giovedì 11 luglio tutte le quote dell’aumento di capitale Rcs ancora inoptate hanno finito per trovare un compratore, si è visto che lo stesso Della Valle non era salito rispetto al suo iniziale 8 per cento e rotti, sicché, citando Shakespeare, Fernando Luizzi  ha concluso: “Molto rumore per nulla”.

Questo modo di vedere l’imprenditoria è stato definito capitalismo di relazione, ma è ormai chiaro, c

He in moltio casi, sarebbe il caso di parlare  di capitalismo di corruzione”, fatto di piccole partecipazioni azionarie “strategiche” che consentono, mediante meccanismi di ingegneria finanziaria, di controllare intere imprese, investendo poco e rischiando ancora menoun capitalismo protetto da una politica rapace e ottusa e in cui i non vince chi ha più soldi o idee migliori, ma chi sa muoversi meglio nel sottobosco del “do ut des”, dello scambio di favori, che, spessissimo, riducono sul lastrico piccole imprese oneste ed anche opifici di importanza strategica e nazionale.

Il 10 luglio, il Foglio, in un articolo intitoolato “Batrochionomchia borghese”, a firma di Alberto Brambilla e Marco Valerio Lo Prete, affermava che il “salotto non troppo buono2 del nostro capitalismo si era annunciato con l’aumento di capitale di Rcs, quando Diego Della Valle,  si era detto pronto a cogliere l’occasione per diventare il “padrone” del Corriere in barba agli immobilismi dei pattisti, fossero essi banchieri o imprenditori, dopo vari mesi passati a criticare gli “arzilli vecchietti”, tra cui il banchiere di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, a cui da poco, aveva chiesto consiglio per fronteggiare gli Agnelli, per poi giocarsi il suo appoggio con l’irrituale richiesta d’intervento indirizzata al Quirinale.

Ora si attendono gli sviluppi del riassetto proprietario per capire se e in che modo Fiat sarà il dominus di Rcs, assumendo, con Stampa, Corriere e Gazzetta dello Sport, una posizione dominante nell’editoria e nella pubblicità.

La questione riguarda il potere realed degli Agnelli, già minacciato proprio da Ligresti, quanto, grazie a Cuccia, entrò in rapporti con un altro pezzo da novanta del giro milanese: Bettino Craxi e con questa amicizia potè  dirigere la privatizzazione di Mediobanca, che era cara a Cuccia e permise a lui, poveraccio venutà da Paternò, di iniziare (e vincere) la scalata a Sai, proprio contro la potente e blasonata famiglia torinese.

Molti anni e fiumi di denaro sono passati da allora, con uno scivolone negli anni di Tangentoli, quando il capostipite finisce a S. Vittore, ma che torna sulla cresta dell’onda quando la Fiat (ancora lei) vuole comprare Montedison, ma Mediobanca vuole impedire che con questa operazione gli Agnelli mettano le mani su Fondiaria e, dal 2002 e dal tramonto di Mediobanca (Cuccia era morto da due anni), alleandosi conn Cesare Geronzi,  in un sodalizio  che gli permette anche di entrare finalmente nel “salotto buono” per definizione: il patto di sindacato di Rcs; la costruzione della metro M4; gli affari d’oro per Garibaldi-Porta Nuova e ovviamente nell’Expo 2015, che per lui (come spiegava già nel 2010), significava “fare i grattacieli”, fare i tunnel e costruire nuovi quartieri nelle aree limitrofe, quelle in fondo a Ripamonti, e a parco Sud, che aveva già provveduto ad acquistare.

Vedremo se Ligresti risulterà colpevole e se è vero che ha sottratto a tutti noi milioni di euro. Intanto ci resta l’amarezza di vedere che anche se il patto del salotto dei salotti di via Filodrammatici scade a dicembre e la distetta sembra già avviata, di salotyti diversi e migliori non se ne trovano.

La Telecom Italia provoca perdite pesanti e anche nel gruppo guidato da Franco Bernabè gli equilibri azionari sono a rischio.

Nelle Assicurazioni Generali Mario Greco prepara la ritirata da Telco (la holding finanziaria a capo della Telecom), Rcs, Pirelli, e dalla stessa Mediobanca, inaugurando l’addio del gioco di sponda inaugurato da Enrico Cuccia e l’inizio di un capitalismo forme più famelico e peggiore.

Non è stato apprezzato un anno fa “Il Gioiellino” di Andrea Malaioli, incentrato sullo scandalo Parmalat, ma di questo parla, raccontando, con i corpi ed i volti di Tony Servillo e Remo Girone, il tracollo di un colosso dell’industria agroalimentare, presente nei 5 continenti, in continua espansione, quotato in borsa , ma con persone ai posti di comando che non sono adeguati per gestire un impero così grande.

Carlo Di Stanislao

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