Nova Delphini 2013 è la “nuova” stella che brilla di luce termonucleare negli abissi dello spaziotempo

“O crassa ingenia. O caecos coeli spectatores”(Tycho Brahe). Pare ragionevole pensare che l’Universo non sia immutabile. La Nova Delphini 2013 è la “nuova” stella che brilla di luce termonucleare negli abissi dello spaziotempo. Designata formalmente come PNV J20233073+2046041, la Nova Delphini 2013 è confermata. Molto brillante, rapida e di colore giallo-bianca. Nel cielo boreale della […]

“O crassa ingenia. O caecos coeli spectatores”(Tycho Brahe). Pare ragionevole pensare che l’Universo non sia immutabile. La Nova Delphini 2013 è la “nuova” stella che brilla di luce termonucleare negli abissi dello spaziotempo. Designata formalmente come PNV J20233073+2046041, la Nova Delphini 2013 è confermata. Molto brillante, rapida e di colore giallo-bianca. Nel cielo boreale della costellazione del Delfino, ad appena 0.7 gradi a nord-nordest della ben nota nebulosa planetaria NGC 6905, meglio conosciuta come la Blue Flash Nebula, la stella Nova Delphini 2013 è apparsa improvvisamente dal nulla sulla camera CCD accoppiata al telescopio riflettore da 7 pollici dell’astronomo giapponese Koichi Itagaki, il 14 Agosto 2013, sui cieli della città di Yamagata. L’astro brillava di magnitudine positiva 6.3 progressivamente aumentando in luminosità come riferiscono vari astronomi ed osservatori di tutto il mondo. La Nova Delphini 2013 ha raggiunto velocemente nel visuale la quinta magnitudine il 15 Agosto, poi la 4.4 il 16 Agosto, poi salendo di nuovo oltre la quinta (5.5). Forse tornerà a salire ancora dopo il massimo! Le curve di luce e i primi spettri preliminari acquisiti in tutte le lunghezze d’onda esplorate, confermano la natura fisica dell’oggetto, anche nel confronto con le supernovae tipiche finora scoperte. Le stelle Novae sono difficili da osservare (se ne scoprono 6-10 ogni anno) perché generalmente poche luminose anche nella fase di massimo del loro splendore causato da un’intensa esplosione termonucleare innescata sulla superficie della nana bianca superdensa dai gas (idrogeno, riga H-Alpha e l’energetica riga H-Beta spettrali) in caduta dall’orbita equatoriale, provenienti da un vicino astro gigante gassoso gravitazionalmente legato alla prima. Vengono liberate istantaneamente enormi quantità di energia termonucleare, magnetica e gravitazionale, anche dell’ordine di 10 elevato alla 43esima potenza in erg. Più di quanta una stella come il nostro Sole possa produrne nel corso della sua vita. Dopo la Nova V603 Aquilae del 1918, la Nova 1942, la Nova 1975 (la più brillante degli ultimi 50 anni, magnitudine positiva 1.8, splendente come la Polare) e la Supernova 1987A, la Nova Delphini 2013 è sicuramente il quinto evento più significativo degli ultimi decenni, il primo del XXI Secolo in termini di luminosità, di “rapidità” e comunque tra i 35 eventi più rilevanti in assoluto. La nana bianca ha prodotto un flash termonucleare in espansione, da 50mila a 100mila volte più brillante della luce emessa dal nostro Sole. La Nova Cygni 1975 irradiò, in poche ore, qualcosa come 10 alla 39ma potenza di joules, equivalenti a 10 alla 32ma potenza di chilowattora! Stavolta è possibile osservare la Nova Delphini 2013 anche con un binocolo astronomico USM 15×70 e con telescopi domestici di generosa apertura. In città, al mare, in montagna e in campagna. Cercatela nella costellazione del Delfino, sopra L’Aquila, ed ammirate la potenza dell’Universo. La Nova non è una stella singola. Non è una stella appena nata ma antica, anche se il nome può far pensare alla nascita di un nuovo astro, sebbene appaia in cielo improvvisamente là dove poche ore prima non si vedeva nulla. Nel 1573 fu Tycho Brahe a coniare il termine Nova in Occidente nella sua opera “De nova stella”, riferendosi all’evento dell’11 Novembre 1572 osservato nella costellazione di Cassiopea che oggi sappiamo essere una Supernova, la SN1572, distante 7500 anni luce dalla Terra. La Nova, invece, è un’esplosione termonucleare di immensa potenza su una stella grande come la Terra e di massa inferiore a 1.4 volte quella del nostro luminare. Oltre questo famoso limite di Chandrasekhar la nana bianca esploderebbe come Supernova, emettendo quasi tutta la sua energia magnetica e gravitazionale sotto forma di neutrini e fotoni! La fisica delle esplosioni termonucleari “controllate” (Novae) nelle stelle nane bianche di supermateria come questa, il perché si tratta di sistemi binari e quali sono le conseguenze del cataclisma stellare nei più vicini sistemi solari alieni, rappresentano una sfida scientifica di incommensurabile importanza e valore, non soltanto per l’Astrofisica. Sulla base delle carte stellari note, come l’American Association of Variable Star Observers (AAVSO), la Nova Delphini 2013 è letteralmente apparsa dal nulla. Scoperto da Koichi Itagaki alle ore 18 UTC del 14 Agosto 2013, confermato subito dopo, il nuovo astro pare non compaia in alcuna mappa stellare della comunità astronomica mondiale nel “range” di magnitudini inferiori alla 23. L’annuncio ufficiale al Central Bureau for Astronomical Telegrams, recita: “Discovered by Koichi Itagaki, Yamagata, Japan, using 0.18-m reflector + unfiltered CCD. This Nova was confirmed on the frames taken on August 14.750 UT using 0.60-m f/5.7 reflector + unfiltered CCD after discovery. Then CCD magnitude is 6.3. Also nothing is visible at this location on his past frames (limiting mag.= 13.0) taken on 2013 August 13.565 UT”. Questi sistemi binari sono relativamente stabili, formano coppie molto speciali che, in teoria, potrebbero ospitare esopianeti alieni. Non abbiamo precedenti osservazioni della Nova Delphini 2013 che riteniamo sia molto lontana dalla Terra. Per cui non possiamo al momento né confermarlo né negarlo. Dovremo attendere l’esplorazione diretta dei più potenti telescopi spaziali e terrestri oggi disponibili, per via spettrale, anche per calcolare la distanza dalla Terra e gli ambienti chimico-fisici attraversati dall’onda di energia prima di irradiare il nostro pianeta azzurro. Oggi la spettroscopia di questi oggetti, anche in diretta web, può fare letteralmente miracoli astrofisici! Non sono da escludere esperimenti neutrinici con la Nova Delphini 2013 perché, come sappiamo, ogni esplosione termonucleare (naturale o artificiale) produce anti-neutrini e neutrini. Anche il Sardinia Radio Telescope è attivo insieme a tutti gli Osservatori ottici terrestri e spaziali disponibili. Naturalmente se sistemi binari simili ospitassero la vita, non potrebbero sopravvivere al verificarsi di eventi così distruttivi: gli esopianeti alieni verrebbero inondati dalle potenti radiazioni emesse dalla Nova che finirebbe per friggerli. Possiamo soltanto immaginarne gli effetti. Come quelli prodotti dall’energia di tutte le bombe nucleari oggi presenti sulla Terra (19mila testate, 20 volte il potenziale necessario per spazzare via l’Umanità) elevata a una potenza da capogiro. L’onda d’urto energetica della stella Nova Delphini 2013, spessa almeno quanto la Terra, pur risparmiando la nana bianca progenitrice, attraversa alla velocità di migliaia di chilometri al secondo tutto il sistema solare alieno, irradiando quello che incontra e illuminando la Galassia. Subito dopo lo spettacolare fuoco pirotecnico termonucleare interstellare, una volta “scarica” di gas, la nana bianca e la gigante gassosa rossa ripetono l’intero processo di rilascio, cattura gravitazionale ed accumulo dei gas (idrogeno) che può durare diverse centinaia di migliaia di anni, prima della prossima esplosione come Nova. Che non va confusa con l’evento di Supernova, significativamente più distruttivo soprattutto per l’astro. Piccola curiosità: poche ore prima della scoperta, una meteora Perseide molto brillante ha solcato i cieli d’Italia da nord a sud, in direzione della costellazione del Delfino, quasi a preconizzare lo spettacolo cosmico in arrivo dagli abissi dello spaziotempo. Alcuni osservatori riferiscono di aver notato dei flash in quella fetta di cielo meridionale, 11 ore prima della scoperta. Però non sono stati confermati né messi in relazione alla Nova Delphini 2013. Avrebbero poco senso, d’altra parte, sulla base dei modelli teorici noti che descrivono perfettamente la fisica di questi oggetti. Si tratta più prosaicamente dei flash luminosi di satelliti in orbita che riflettono la luce del Sole ovvero di altre meteore di passaggio. Le stelle Novae sono sempre associate a sistemi solari binari dalla chimica e dalla fisica più o meno note. Ben altra coppia di diversa natura ha catturato le attenzioni del Very Large Telescope dell’Eso. È stata immortalata l’immagine di una regione di formazione stellare molto interessante nella Grande Nube di Magellano, una delle galassie satellite della Via Lattea. La foto più nitida di sempre rivela due particolari nubi incandescenti di gas: NGC 2014, in rosso, e NGC 2020, la sua vicina blu. Sono molto diverse tra di loro, ma entrambe sono state scolpite dai potenti venti stellari di stelle caldissime appena nate che risplendono all’interno del gas facendolo brillare. L’immagine è stata ottenuta dal VLT all’Osservatorio di Paranal dell’Eso in Cile, il miglior sito australe del nostro mondo per le osservazioni astronomiche. Ma anche senza l’aiuto di un telescopio come il VLT, uno sguardo verso la costellazione australe del Dorado (identificata con un pesce spada o una lampuga, dorado in spagnolo) in una notte buia e limpida, svela una macchia sfuocata che a prima vista sembra proprio una nube nell’atmosfera terrestre. Questa è stata probabilmente la prima impressione dell’esploratore Ferdinando Magellano durante il suo famoso viaggio nell’emisfero australe nel 1519. Anche se Magellano fu ucciso nelle Filippine prima del suo ritorno, i superstiti del suo equipaggio annunciarono l’esistenza di questa nube e della sua sorella minore, al ritorno in Europa. Queste due piccole galassie furono poi chiamate in onore di Magellano. La Grande Nube di Magellano (LMC, Large Magellanic Cloud) produce attivamente nuove stelle. Alcune della regione di formazione stellare sono visibili ad occhio nudo, come la famosa Nebulosa Tarantola. Ci sono anche altre regioni più piccole, ma non meno interessanti, che i telescopi rivelano nei loro dettagli più intricati. La nuova immagine del VLT esplora la strana coppia assortita di nubi formata da NGC 2014 e NGC 2020. L’incandescente nube rosata, NGC 2014, formata soprattutto da idrogeno gassoso, contiene un ammasso di stelle giovani e calde. La radiazione energetica prodotta da queste nuove stelle strappa gli elettroni dagli atomi dell’idrogeno circostante, li ionizza e produce il caratteristico bagliore rosso. Oltre a questa forte radiazione, le giovani stelle massicce producono importanti venti stellari che alla fine fanno disperdere e fluire via il loro gas. A sinistra dell’ammasso principale, una singola stella brillante e molto calda sembra aver dato inizio a questo processo, creando una cavità “attorniata” da una struttura a bolla, la NGC 2020. Questa stella è un esempio della rara classe di astri noti come Stelle di Wolf-Rayet, oggetti dalla vita molto breve ma caldissimi: la loro superficie brucia alla temperatura di dieci volte il nostro Sole. Sono molto brillanti e dominano le regioni circostanti. Il distintivo colore bluastro di quest’oggetto misterioso è prodotto dalla radiazione della stella calda, questa volta ionizzando atomi di ossigeno invece che di idrogeno. I colori così sorprendentemente diversi di NGC 2014 e NGC 2020, sono il risultato della diversa composizione chimica del gas circostante e della temperatura delle stelle che lo fanno risplendere. Svolge un ruolo importante anche la distanza tra le stelle e le nubi di gas. LMC è ad appena 163mila anni luce dalla nostra Galassia, la Via Lattea. Perciò è molto vicina su scala cosmica. Questa relativa vicinanza la rende un obiettivo importante per gli astronomi e i futuri esploratori interstellari, poiché può essere studiata in maggior dettaglio rispetto ai sistemi astrali più lontani. È stata anche una delle motivazioni che portarono a costruire telescopi nell’emisfero australe e che alla fine condussero alla fondazione dell’Eso più di 50 anni fa, ossia degli Stati Uniti d’Europa in ambito astronomico, scientifico e tecnologico. Anche se enorme per la nostra scala umana, la Grande Nube di Magellano contiene meno di un decimo della massa della Via Lattea e si estende per appena 14mila anni luce. La Via Lattea, al confronto, copre circa 100mila anni luce. Dettagli molto importanti vista l’ignoranza dominante tra alcuni tele-giornalisti italiani che confondono massa, peso, distanze e velocità di esopianeti e stelle. Gli astronomi definiscono la Grande Nube una galassia nana irregolare: la sua irregolarità, combinata con la prominente barra centrale di stelle, suggerisce che le interazioni con la Via Lattea e con l’altra galassia vicina, la Piccola Nube di Magellano, abbiano prodotto questa forma caotica. L’immagine è stata ottenuta con lo strumento FORS2 (FOcal Reducer and low dispersion Spectrograph) montato sul VLT dell’Eso, che lavora nella banda del visibile e del vicino ultravioletto, nell’ambito del Programma Gemme Cosmiche dell’Eso, una iniziativa di divulgazione per produrre immagini di oggetti interessanti o anche semplicemente belli, usando i telescopi dell’Osservatorio europeo australe per scopi educativi. Il Programma sfrutta il tempo utile disponibile del Very Large Telescope che non potrebbe altrimenti essere usato per osservazioni scientifiche. Tutti i dati raccolti possono comunque essere utili anche per motivi scientifici e perciò vengono resi disponibili agli astronomi attraverso l’archivio scientifico dell’Eso. Chissà quante altre scoperte ci attendono! La Nova Delphini 2013 richiama alla memoria la Nova Cygni 1975 scoperta e studiata in Italia dal grande astronomo Piero Tempesti, recentemente scomparso, insignito di autorevoli riconoscimenti. Il Professore Piero Tempesti negli Anni ’60 e ’70 del XX Secolo, con dedizione ed entusiasmo, diresse le sorti (salvandolo) dell’Osservatorio “Vincenzo Cerulli” di Teramo (Collurania) reintroducendo il metodo della fotometria fotoelettrica e lo studio degli asteroidi. Tempesti, decano dell’Astronomia italiana, in un’intervista firmata dal sottoscritto 10 anni fa, ricorda molto bene la sua più importante scoperta scientifica effettuata all’Osservatorio di Collurania. La prima osservazione al mondo della duplicità di un sistema stellare durante la fase di massimo dell’esplosione della Nova Cygni 1975, avvenuta 5800 anni fa: l’astro raggiunse la magnitudine positiva 1.8 nel suo massimo, più brillante della stella Polare, sebbene non più luminoso di Deneb, l’oggetto di prima grandezza del Cigno. “A Napoli – ricorda Emilio Sassone Corsi – ebbi con mio fratello la fortuna di osservare, forse tra i primi, la Nova Cygni 1975. Chiamammo l’allora direttore dell’Osservatorio di Padova, Leonida Rosino, il quale si mise subito in contatto con Tempesti che, da Collurania, ottenne ottimi spettri della Nova quando era ancora nella fase ascendente della curva di luce. Un lungo articolo sulla rivista Coelum scritto da Tempesti glorificò la scoperta dei due giovani astrofili napoletani”. Tempesti, nato a Firenze nel 1917, apprese i rudimenti dell’Astronomia frequentando dal 1936 l’Osservatorio di Arcetri, quando ancora era studente liceale, a due passi dal Gioiello, la modesta villa dove Galileo Galilei visse da confinato del Sant’Uffizio l’ultima e più buia parte della sua vita. Dopo la laurea in Fisica a Bologna nel 1947, è stato assistente del Prof. Horn D’Arturo, poi astronomo presso gli Osservatori di Catania e di Teramo, quindi professore associato di Spettroscopia all’Università di Roma “La Sapienza”. Si è interessato di ricerche fotometriche di stelle doppie ad eclisse, di Novae e Supernovae, e ha altresì svolto un’intensa attività divulgativa con libri ed articoli su riviste scientifiche internazionali, amatoriali e su quotidiani, spaziando dalle comete alla fotometria extragalattica. Direttore dell’Enciclopedia in sei volumi “Astronomia, Alla scoperta del cielo”, (Curcio, 1985) che meriterebbe una ristampa, è autore del bel volume “Pulsar” (Biroma, 1997), del libro “Stelle doppie”(Fabbri, 2002), un volumetto tecnico sulle aberrazioni ottiche dei telescopi, edito dal Dipartimento di Astrofisica dell’Università di Padova e dell’opera “Il calendario e l’orologio”(Gremese Editore, 2007), duecento pagine dedicate alla misura del tempo. Piero Tempesti arriva a Collurania alla fine del 1958 (vi rimarrà fino al 1982) subito dopo la soppressione della figura del Direttore residente e il trasferimento della direzione a Napoli nella persona del cattedratico di Astronomia (1956). Fatto gravissimo perché privò l’Osservatorio Astronomico di Teramo della guida di un responsabile che, direttamente coinvolto nelle sorti dell’Istituto (fondato dal Professor Vincenzo Cerulli e donato allo Stato per amore della libera scienza) ne difendesse il nome e lo sviluppo in anni in cui l’astronomia italiana si trasformava in Centri di scienza e di eccellenza sempre più competitivi tra loro nella ricerca di quei finanziamenti e di quel personale indispensabili per un moderno sviluppo della scienza di Urania. Grazie alla dedizione e all’entusiasmo del Prof. Piero Tempesti, l’Osservatorio di Teramo (Collurania) evitò il tracollo totale e conobbe una nuova florida stagione scientifica. “Nel 1958 il vecchio telescopio rifrattore Cooke del Cerulli – rivela Piero Tempesti – era inutilizzabile. Per iniziare a Teramo la nuova fotometria fotoelettrica, una tecnica di ricerca astronomica moderna all’inizio degli Anni ’60, occorrevano nuovi strumenti: così potenziato, il Cooke era pronto per osservazioni di tipo moderno. Ma la fotometria non era nuova a Collurania: già nel 1930, il direttore, Prof. Mentore Maggini, aveva inaugurato, primo in Italia, questa nuova tecnica sull’esempio delle esperienze fatte da P. Guthnik in Germania”. Come? “Con una cellula fotoelettrica semplice e un fotocatodo di rubidio che, al passaggio della luce stellare, generava una debole corrente misurata direttamente mediante la carica indotta in un sensibilissimo elettrometro. Ma la corrente era così debole che si riusciva a fotometrare, con attenti accorgimenti, soltanto stelle splendenti ben visibili ad occhio nudo. Il fotometro di Maggini era una scatola cilindrica attaccata all’estremità dell’oculare del telescopio Cooke, con all’interno le ottiche per il puntamento stellare e l’elettrometro. Questo delicatissimo strumento era in sospensione cardanica affinché, qualunque fosse la posizione del telescopio, potesse mantenere un assetto verticale”. Con la fotometria si misura l’intensità luminosa delle stelle e le loro variazioni periodiche e/o irregolari di luce nel tempo. Lo studio delle stelle variabili, una tradizione a Collurania, porta alla conoscenza di molti problemi astrofisici. Piero Tempesti inaugura a Teramo questa nuova tecnica grazie al fotomoltiplicatore con registratore su carta che consente di fotometrare stelle molto deboli, sempre sfruttando l’effetto fotoelettrico la cui interpretazione in fotoni quantici di luce, valse ad Albert Einstein il Premio Nobel per la Fisica nel 1921. Tempesti dispone a Collurania della potenza del telescopio rifrattore Cooke. “Rispetto ai miei colleghi di Catania e Trieste – rivela Tempesti – mi trovavo in condizioni vantaggiose: ho studiato diverse stelle variabili e Novae, in particolare stelle doppie ad eclisse, cioè sistemi stellari dove coppie di astri orbitano l’uno attorno all’altro e il cui piano orbitale giace sulla nostra linea visuale, in modo che ad ogni giro si eclissano l’un l’altro! Ad occhio nudo vediamo solo una stella, all’oculare del telescopio vediamo solo una diminuzione di luce e in questo caso le misure sono poco precise. Ma con il fotometro moderno otteniamo dati più affidabili. Ho così studiato la stella AZ Cassiopeiae, una doppia con un periodo di 9 anni e ne ho osservato il minimo del ’66 e del ’75, seguendola pazientemente notte dopo notte, grazie al valido aiuto del mio collaboratore, il tecnico Agostino Di Paolantonio, le cui misurazioni sono risultate molto più precise di quelle fornite da altri Osservatori: Agostino con le coordinate celesti della stella era in grado di puntare il telescopio, trovare l’oggetto ed iniziare la fotometria”. Negli anni ‘60 Piero Tempesti stringe uno stretto rapporto tra Collurania, l’Università di Roma e il Centro di calcolo di Frascati, dove opera con instancabile dedizione il matematico Rodolfo Patriarca, grande amico e collaboratore del Nostro Professore insieme all’astronomo teramano Renato De Santis. Molti laureandi giungono a Teramo per preparare le loro tesi sulle osservazioni fotometriche di stelle variabili. Tempesti riuscirà a far laureare più di 15 giovani promesse, poi tutti astronomi di successo. Cordiale e attivo è il rapporto con i numerosi astrofili che frequentano l’Osservatorio di Teramo. Tempesti inizia le osservazioni fotometriche degli asteroidi, tra cui Interamnia, scoperto dal Cerulli, e il pianetino Vittoria, sviluppando nuovamente a Collurania questo tradizionale filone d’oro della ricerca che nel 1968 condurrà alla prima pubblicazione scientifica sull’argomento. Il telescopio rifrattore Cooke, protagonista di un’Astronomia d’altri tempi, torna così alla ribalta in campo astrometrico: quanto a precisione ancora oggi non ha rivali! “Gioverà menzionare un esempio tratto da un’esperienza personale – ricorda Tempesti – nel 1960, mentre a Collurania era in fase di realizzazione il fotometro fotoelettrico da applicare al rifrattore Cooke (39.4 cm. di diametro e 591 cm. di focale), arrivò il telegramma dell’Unione Astronomica Internazionale annunciante la scoperta di una Supernova nella galassia NGC 4496 dell’ammasso della Vergine. L’unico strumento disponibile per l’osservazione fotometrica di questa esplosione stellare era un vecchio rifrattore fotografico di 16 centimetri di apertura: uno strumento che oggi sarebbe snobbato da molti astrofili e che anche allora poteva essere valutato quasi ridicolo per un professionista. D’altra parte l’alternativa, a me non congeniale, era di rinunciare all’osservazione: perciò fotografai questa stellina con pose convenientemente lunghe di un’ora, seguendola per vari mesi finché, superata la 15ma magnitudine, divenne invisibile per uno strumento che con quell’apertura osava sfidare le distanze intergalattiche”. La Supernova che ricevette poi il nome di SN1960F, fu seguita fotometricamente da altri tre Osservatori in varie parti del mondo all’insaputa l’uno dell’altro. “A distanza di 42 anni tutte queste osservazioni sono diventate la base indispensabile per sfruttare subito un risultato ottenuto dal Telescopio Spaziale Hubble, in orbita dal 1990 attorno alla Terra a 600 Km di quota: ossia, la determinazione di un parametro cosmologico qual è la Costante di Hubble. Il Cooke sinceramente non lo metterei ancora in museo: disponibilità del personale permettendo, potrebbe essere ancora utile, certamente non più come ai miei tempi. Come non metterei ancora in museo lo strumento fotografico con obiettivo Zeiss acquistato nel 1963. Per quanto riguarda il vecchio sismografo Agamennone della collezione privata del Cerulli, io l’ho lasciato in Osservatorio nel 1982 ed era perfettamente funzionante!”. Ma c’era una storia curiosa che Piero Tempesti era desideroso di rivelare. “Nei primi anni ’70 ci arrivò da L’Aquila un nuovo sismografo che volevo subito mettere in funzione e così furono preparate le basi. Curiosamente occorreva una particolare carta sismografica che veniva fornita solo dagli USA. Allora chiesi all’Istituto americano incaricato della distribuzione, di spedirci al più presto il materiale che però veniva inviato gratuitamente. Ma la nostra dogana pretendeva la fattura: bene, non riuscimmo a sdoganare la carta! Scrissi all’Istituto USA nella speranza di ottenere una fattura pro forma, ma nulla di nulla: dopo la loro risposta un po’ bruttina, rinunciammo alla carta ed al sismografo, ringraziando la burocrazia dell’epoca!”. Molto importanti sono per Collurania gli studi pionieristici di Piero Tempesti sulla stella Nova Cygni 1975. Il giovane astrofilo giapponese Kentaro Osada, nella calda serata del 29 Agosto 1975 era tutto preso dall’esame della volta celeste quando si rese conto con stupore che nella costellazione del Cigno una nuova stella si era accesa fra le altre, brillando con splendore pari alla terza magnitudine, 5 gradi a nord di Deneb, la stella supergigante bianco-azzurra di prima grandezza del Cigno. Osada iniziò a sorvegliare l’intrusa durante le successive sei ore, al termine delle quali la luce dell’astro risultava intensificata di circa il doppio! Giunta l’alba, telegrafò la notizia della scoperta all’Ufficio Internazionale dei Telegrammi Astronomici: era una stella Nova. In quelle medesime ore, calata la notte sull’Europa, gli astronomi informati della comunicazione cominciarono le osservazioni. In Italia c’era Piero Tempesti. “Quando arrivò il telegramma della scoperta dagli USA – ricorda Tempesti – puntai subito il Cooke per osservare la Nova che raggiunse la massima luminosità (1.7 magnitudine) la sera del 30 Agosto (tempo di Greenwich). Poi la stella prese a declinare con rapidità e nei 5 giorni successivi lo splendore finì per scendere oltre il limite di visibilità per l’occhio nudo. La seguii con il Cooke per ore e ore, misurando ogni notte l’intensità luminosa per vedere sul diagramma come diminuiva, al fine di stabilire l’andamento del fenomeno che si produce in un sistema binario le cui componenti sono una stella nana bianca e una stella gigante rossa. La gigante si trova in una fase della vita in cui la sua atmosfera straordinariamente espansa deborda nel dominio d’azione gravitazionale della nana bianca e perciò cede in continuazione materia gassosa alla stellina compatta, la quale l’accumula su un disco equatoriale in rapida rotazione. Dal disco, poi, il gas si trasferisce sulla superficie della nana bianca ove si addensa, riscaldandosi sempre più, fino a che non si determinano le condizioni per l’accensione di una reazione di fusione termonucleare che in breve tempo brucia quasi tutto quanto la stella ha risucchiato nel corso di decine o centinaia di migliaia di anni. Dalla Terra, allora, noi vediamo una nuova stella, Nova per l’appunto, accendersi in cielo! Ma non tutto il gas brucia perché una buona parte viene violentemente sospinto verso l’esterno a formare una nebulosità tondeggiante che con il tempo si diluisce e si disperde nello spazio interstellare”. La nana bianca è così densa che il suo nucleo non risente minimamente del cataclisma: la stella si limita a liberarsi del suo soprappeso per poi tornare normale. Le energie in gioco sono notevoli: la Nova Cygni 1975 ha irradiato, in poche ore, qualcosa come 10 alla 39ma potenza di joules, equivalenti a 10 alla 32ma potenza di chilowattora! Tutte le forme di vita in un raggio di qualche centinaio di anni-luce si sono sicuramente estinte al passaggio dell’onda di energia della Nova, migliaia di anni fa. “Al telescopio Cooke – spiega Tempesti – ho eseguito alcune misure per poi elaborare la media: dopo un quarto d’ora, ho ripetuto le misure per migliorarle ulteriormente e mi sono accorto che la stella era discesa molto in luminosità. Fatto un po’ strano, visto che in così poco tempo in una Nova non si vede alcun cambiamento: una normale discesa dura mesi, variazioni si notano solo da una notte all’altra e la stella torna allo splendore primitivo in capo ad anni. Dopo le misure di controllo su stelle vicine per accertarmi che non vi fossero fenomeni di assorbimento atmosferico, ho pensato: forse si è frapposta una nubecola tra la Nova e la Terra! Dopo ogni misura notavo una continua caduta di luce che a quel ritmo avrebbe segnato la fine del fenomeno con la scomparsa della Nova. Sicuramente, ho pensato, deve essere una variazione periodica: dopo il minimo, la luce tornerà a salire. Infatti, osservando il tracciato fotometrico su carta, ecco che la luce ricominciò a salire e dopo 3 ore e 23 minuti a ridiscendere! Non era una discesa uniforme, ma una variazione periodica sovrapposta alla lenta diminuzione che dura mesi. All’alba del 10 Settembre avevo registrato più di 10 metri di carta fotometrica: dopo le ultime misure col decimetro, mi precipitai all’Ufficio Postale di Teramo, alle 7.30 del mattino, per fare il telegramma internazionale che annunciava alla comunità scientifica la scoperta di una variazione periodica nella Nova Cygni 1975. Un fenomeno mai osservato prima, legato al fatto che le stelle Novae – rivela Piero Tempesti – sono sempre doppie: la periodicità osservata rifletteva quella del moto orbitale del lontano sistema stellare, distante dalla Terra 5800 anni-luce. Pensai: qui mi possono aver superato nel tempo solo i russi, con i loro potenti telescopi asiatici che scrutano il cielo stellato prima di noi. Nulla di nulla: i russi dormivano! E gli americani dal canto loro si sono limitati a confermare la mia scoperta solo alcune ore più tardi”. Per una questione di longitudine e dedizione scientifica galileiana, il Prof. Tempesti scoprì per la prima volta delle fluttuazioni periodiche di luminosità nella stella Nova Cygni 1975, un fenomeno fisico, poi studiato su altre Novae, che nessun altro astronomo all’epoca avrebbe mai sospettato, cercato e trovato. La notorietà dell’Osservatorio di Teramo salì alle stelle! “Quasi tutte le Novae hanno questo comportamento, in alcune si osserva meglio in altre meno. Nessun astronomo sospettava, prima della mia scoperta, che già nella fase di massimo dell’esplosione termonucleare della Nova, quando la materia gassosa in espansione circonda entrambe le stelle e le nasconde, si potesse rilevare la duplicità della variazione luminosa. Se non mi fosse venuta in mente l’idea di eseguire una seconda serie di misure di controllo, non avrei scoperto nulla! Prima di allora, tali variazioni erano state osservate soltanto in Novae nella fase di stasi al minimo, quando l’involucro gassoso opaco in espansione si era ormai rarefatto da divenire trasparente”. “Nell’esplosione la luminosità della Nova Cygni 1975 – ricorda Tempesti – si era accresciuta di 40 milioni di volte rispetto allo splendore d’origine, divenendo luminosa quanto un milione di volte quello che in ogni istante viene irradiato dal nostro vecchio tranquillo luminare, il Sole! L’ampiezza di questa Nova è stata veramente eccezionale: prima dell’esplosione era una stella invisibile più debole della 21ma magnitudine, un mese dopo il parossismo si era ridotta ad una sorgente di ottava magnitudine e continuava a indebolirsi, tanto che nel Dicembre 1976 era alla 13ma magnitudine. Dopo la Nova 1942, questo è stato sicuramente il secondo evento più considerevole del XX Secolo: la nube mortale in espansione fu percepita con la raffinatissima tecnica a speckles, già 45 giorni dopo il massimo, ma non fu possibile determinarne le dimensioni apparenti. Quattro anni dopo l’esplosione, gli astronomi tedeschi Becker e Durbeck riuscirono a fotografare la nube con il telescopio riflettore di 123 cm dell’Osservatorio di Calar Alto in Spagna ed a misurarne le dimensioni. Mediante l’effetto Doppler riuscirono a stabilire la velocità di espansione (1.600 Km/sec.) del residuo gassoso che si sta (dal nostro punto di vista, 5800 anni dopo) allontanando concentricamente intorno all’ex Nova”. Nulla di comparabile all’inteso campo magnetico mai osservato prima dagli astrofisici italiani grazie al telescopio spaziale XMM Newton dell’Esa, milioni di miliardi di volte più intenso di quello della Terra. È generato da una stella di neutroni molto speciale, una Magnetar, oggetto celeste che si forma dopo la “morte” di un astro di grande massa i cui protoni vengono “compressi” dal collasso gravitazionale, generando una supermateria degenere di neutroni. La scoperta, appena pubblicata sulla rivista Nature, è stata condotta da astrofisici della Scuola Superiore Universitaria IUSS di Pavia e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Grazie al lavoro degli scienziati italiani è stato possibile per la prima volta misurare direttamente il campo magnetico della Magnetar SGR 0418+5729 distante 6500 anni luce dal nostro Sistema Solare. La cui intensità è risultata milioni di miliardi di volte superiore a quella terrestre. Un vero record assoluto, al punto da essere annoverata negli annali dell’Astronomia mondiale come la più potente Magnetar del nostro Universo. I ricercatori sono riusciti a stabilirne la forza, misurando l’energia dei raggi X emessi dalla stella di neutroni e rilevati dal telescopio spaziale XMM-Newton dell’Agenzia Spaziale Europea. La ricerca apre importanti prospettive nello studio delle magnetar e delle potenti emissioni di raggi X e gamma che si verificano sulla superficie di queste stelle, così intense da interferire, in alcuni casi, con le telecomunicazioni terrestri. Si ipotizza che alla base di queste esplosioni cosmiche ci siano proprio i forti campi magnetici come quello misurato per la prima volta dagli scienziati italiani. La ricerca, di cui è primo autore Andrea Tiengo, astrofisico alla Scuola Superiore Universitaria IUSS di Pavia ed associato Inaf, annovera tra gli autori anche Giovanni Bignami, professore ordinario di astronomia allo IUSS e presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, insigne ospite di Superquark e grande amico di Piero Angela. Lo studio è frutto di un lavoro che ha coinvolto scienziati dell’Università di Padova, della University College di Londra, del Laboratorio di astrofisica interdisciplinare (AIM) del Centro di ricerca francese CEA (Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives) e dell’Istituto di Scienze dello Spazio (ICE) di Barcellona. La scoperta della più potente Magnetar dell’Universo da parte di scienziati italiani, rappresenta la prima dimostrazione diretta e lampante della Teoria delle superstelle di neutroni elaborata oltre vent’anni fa dagli astrofisici Robert Duncan e Christopher Thompson. “Negli ultimi decenni – rivela Andrea Tiengo – la teoria delle magnetar è stata confermata da diverse osservazioni e sono state scoperte nella nostra Galassia circa venti stelle di neutroni di questa specie, ma nessuno, prima d’ora, era mai riuscito a misurare direttamente l’intensità del campo magnetico di questi oggetti celesti. La scoperta rappresenta pertanto un passo in avanti importante verso la comprensione più approfondita di questi eventi cosmici”. Tutte le stelle seguono un percorso evolutivo che, dopo la loro nascita, le porta a spegnersi e implodere. Questo processo assume caratteristiche diverse a seconda della massa (da non confondere necessariamente con le dimensioni) delle stelle. Gli astri simili al Sole si trasformano in nane bianche, stelle di dimensioni paragonabili a quelle della Terra, ma con una concentrazione di materia (densità) più elevata di qualunque oggetto si possa trovare sul nostro pianeta. Le stelle di massa superiore, compresa tra le 10 e le 25 volte quella del Sole, si trasformano in stelle di neutroni, caratterizzate da un raggio di appena una decina di chilometri, una densità di gran lunga superiore a quella delle nane bianche e un campo magnetico elevatissimo. Duncan e Thompson avevano immaginato l’esistenza di stelle di neutroni con campi magnetici ancora più intensi, le Magnetar. Secondo i due scienziati italiani, infatti, solo la presenza di stelle con campi magnetici potentissimi può essere all’origine di alcune violente esplosioni cosmiche che si verificano nell’Universo, così forti e letali per qualsiasi forma di vita irradiata direttamente a distanza di poche centinaia di anni luce. E, in alcuni casi fortunati come il nostro per ora, così fastidiose da disturbare perfino le telecomunicazioni terrestri pur originandosi a migliaia di anni luce dal nostro mondo. Gli scienziati italiani sono riusciti a misurare il campo magnetico di questi oggetti celesti analizzando le emissioni di raggi X della magnetar SGR 0418+5729, grazie a osservazioni effettuate nell’Estate del 2009 con il telescopio spaziale XMM Newton. Dall’analisi della frequenza dei raggi X i ricercatori hanno ricavato la frequenza delle particelle che si muovono all’interno del campo magnetico. Un dato particolarmente importante perché è direttamente proporzionale proprio all’intensità del campo magnetico. Gli astrofisici italiani hanno identificato una piccola zona sulla superficie della Magnetar con un campo magnetico di straordinaria intensità, pari a un milione di miliardi di Gauss. Per avere un’idea della sua potenza basti pensare che la Terra ha un campo magnetico inferiore a 1 Gauss. Sono le Magnetar il “motore” delle esplosioni cosmiche più violente? Ve ne sono sicuramente di più potenti nell’Universo. La scoperta ha fatto emergere un aspetto ancora più importante sul comportamento delle Magnetar. La misurazione ha dimostrato l’esistenza, sulla superficie della stella di neutroni distante 6500 anni luce dalla Terra, di una regione con un campo magnetico più intenso rispetto a quello complessivo della Magnetar. Questo spread energetico è fondamentale perché proprio la presenza di campi magnetici di diversa intensità sulla stessa stella, è ritenuto uno delle principali cause delle esplosioni cosmiche, in analogia a quanto è stato già osservato con le esplosioni (brillamenti, flares) solari. Astronomi dell’Eso, grazie all’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, hanno ottenuto una vivida immagine del materiale che fluisce da una stella appena nata: osservando la luminescenza prodotta dalle molecole di monossido di carbonio in un bozzolo stellare noto come Herbig-Haro 46/47 hanno scoperto che i getti da questo prodotti sono ancora più energetici di quanto si pensasse finora. Le nuove immagini, molto dettagliate, hanno svelato anche un flusso sconosciuto che punta in una direzione completamente diversa. Le giovani stelle sono oggetti violenti che espellono materiale a velocità elevate, fino a un milione di chilometri all’ora. Quando questa materia si scontra con il gas circostante, s’illumina formando così un tipico oggetto Herbig-Haro che preannuncia l’imminente “parto” stellare. Gli astronomi George Herbig e Guillermo Haro non sono stati i primi a vedere uno di quegli strani oggetti che ora portano il loro nome. Ma sono stati i primi a studiarne gli spettri in dettaglio, scoprendo che non erano solo grumi di gas e polvere che riflettono la luce o risplendono sotto l’influenza della luce ultravioletta delle giovani stelle, ma una nuova classe di oggetti associati con le onde d’urto create dal materiale espulso ad alta velocità dalle regioni di formazione stellare. Un esempio spettacolare di questa classe è Herbig-Haro 46/47, distante appena 1400 anni luce dalla Terra nella costellazione della Vela, oggetto di studio con il radiotelescopio Alma in Cile durante la fase di “Early Science”. All’epoca il Telescopio era ancora in costruzione e la schiera delle 66 antenne ben lontana dall’essere completata. Oggi lo è. Le nuove immagini rivelano fini dettagli nei due getti, uno che punta verso la Terra e l’altro che si allontana. Il getto in allontanamento era quasi invisibile nelle precedenti fotografie ottenute nella banda ottica, a causa dell’oscuramento dovuto alle nubi di polvere che circondano la stella nascente. Alma ha fornito immagini molto più nitide rispetto ai telescopi precedenti permettendo agli astronomi di misurare la velocità con cui il materiale incandescente si muove nello spazio. Le nuove osservazioni di Herbig-Haro 46/47 hanno mostrato che parte del materia espulsa ha una velocità molto maggiore rispetto alle misure precedenti. Ciò significa che il gas nei getti trasporta molta più energia e quantità di moto di quanto si pensasse. “La squisita sensibilità di Alma – rivela Héctor Arce della Yale University (Usa), a capo del team e primo autore della nuova ricerca presentata nell’articolo intitolato “ALMA Observations of the HH 46/47 Molecular Outflow”, per la rivista Astrophysical Journal – permette di rivelare particolari prima invisibili in questa sorgente, come questo deflusso così veloce. Sembra anche un esempio da manuale di un modello semplice dove il flusso molecolare è generato da un vento prodotto dalla giovane stella a grandi angoli”. Le osservazioni sono state ottenute in appena cinque ore di tempo di osservazioni di qualità con il radiotelescopio Alma già dieci volte più potente di altri telescopi. “I dettagli dell’immagine di Herbig-Haro 46/47 sono stupefacenti – spiega Stuartt Corder del Joint Alma Observatory (Cile), uno dei coautori dell’articolo – forse ancor più sorprendente è il fatto che, per questo tipo di osservazioni, siamo realmente solo all’inizio. In futuro Alma fornirà immagini ancora migliori in tempi ancora più brevi”. Secondo Diego Mardones della Universidad de Chile, co-autore della ricerca, “questo sistema è simile alla maggior parte delle stelle isolate di piccola massa durante la formazione e la nascita. Ma è anche insolito perchè il flusso in uscita colpisce la nube direttamente da un lato della giovane stella e sfugge dalla nube dall’altro. Questo lo rende un sistema eccellente per studiare l’impatto dei venti stellari sulla nube madre da cui si sta formando la giovane stella”. L’equipe di ricerca è composta da Héctor G. Arce (Yale University, New Haven, Usa), Diego Mardones (Universidad de Chile, Santiago, Cile), Stuartt A. Corder (Joint ALMA Observatory, Santiago, Cile), Guido Garay (Universidad de Chile), Alberto Noriega-Crespo (Infrared Processing and Analysis Center, California Institute of Technology, Pasadena, USA) e Alejandro C. Raga (Instituto de Ciencias Nucleares, Messico). La nitidezza e la sensibilita raggiunte da queste osservazioni con Alma, hanno permesso al team di scoprire anche una componente di deflusso non prevista, che sembra provenire da una compagna di massa minore della giovane stella. Il flusso secondario si trova quasi ad angolo retto rispetto all’oggetto principale e pare stia scavando un proprio foro nella nube circostante. “Alma ha permesso di individuare particolari del flusso in uscita dalla stella molto più chiaramente degli studi precedenti – fa notare Héctor G. Arce – questo dimostra che la schiera completa produrrà di sicuro molte sorprese e scoperte affascinanti. Alma certamente rivoluzionerà il campo di studi sulla formazione stellare!”. L’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, è un Osservatorio astronomico internazionale frutto della collaborazione fra gli Stati Uniti d’Europa, il Nord America e l’Asia Orientale, in cooperazione con la Repubblica del Cile. In Europa, Alma è finanziato dall’Eso, in Nord America dalla U.S. National Science Foundation (NSF) in cooperazione con il National Research Council del Canada (NRC), il National Science Council di Taiwan (NSC) e in Asia Orientale dagli Istituti Nazionali di Scienze Naturali del Giappone (NINS) in cooperazione con l’Accademia Sinica di Taiwan (AS). La costruzione e la gestione di Alma sono condotte dall’Eso per conto dell’Europa, dall’Osservatorio Nazionale di Radio Astronomia (NRAO) gestito dalle Associated Universities, Inc. (AUI) per conto del Nord America e dall’Osservatorio Astronomico Nazionale del Giappone (NAOJ) per conto dell’Asia Orientale. L’Osservatorio congiunto di Alma (Joint Alma Observatory) fornisce la guida unitaria e la gestione della costruzione, del commissioning e delle operazioni del Telescopio Alma. La costellazione del Delfino non è nuova ad eventi di stelle Novae: nel Luglio 1967 ne apparve una che brillò inizialmente tra le magnitudini 4.5 e 5.5 per poi raggiungere la 3.5 nella sua fase di massimo di metà Dicembre, non molto lontana dall’attuale Nova Delphini 2013 in grado di aumentare la propria luminosità di 10mila volte in meno di 24 ore. La Nova Delphini 2013, presumibilmente lontana 6500 anni luce, è una sfera termonucleare giallo-bianca in rapida espansione alla velocità di circa 2mila chilometri al secondo come suggeriscono le misure spettroscopiche preliminari. Ciò significa che è esplosa 6500 anni fa dal nostro punto di vista terrestre, nel 4500 avanti Cristo. Nelle prossime settimane potrebbe cambiare colore a causa dei vari elementi chimici minori presenti (anche “investiti” durante il suo cammino nel Cosmo!) nel flash termonucleare della stella Nova. Ad essere in forte “ritardo” sono le Supernovae galattiche che possono raggiungere luminosità di 100 miliardi di astri, più brillanti della galassia madre. L’ultima Supernova della Via Lattea apparve nel 1604, brillante come il pianeta Giove, nella costellazione dell’Ofiuco. Le più grandi scoperte giungono dal totalmente inatteso.

© Nicola Facciolini

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