Polveriere fuori e dentro

E’ l’Asia la polveriera più pericolosa del mondo e come ci ricorda Ahmed Rashid (nel bel “Caos Asia. Il fallimento occidentale nella polveriera del mondo”), l’assassinio della leader pakistana Benazir Bhutto è stato solo l’inizio della discesa nel caos. E sull’orlo del precipizio è ormai un’intera regione, che dal confine indiano si estende fino all’Afghanistan, […]

E’ l’Asia la polveriera più pericolosa del mondo e come ci ricorda Ahmed Rashid (nel bel “Caos Asia. Il fallimento occidentale nella polveriera del mondo”), l’assassinio della leader pakistana Benazir Bhutto è stato solo l’inizio della discesa nel caos. E sull’orlo del precipizio è ormai un’intera regione, che dal confine indiano si estende fino all’Afghanistan, all’Iraq e alle piccole repubbliche centroasiatiche nate dalla dissoluzione dell’impero sovietico: un’area decisiva dal punto di vista strategico ed economico, eppure ancora sostanzialmente celata allo sguardo occidentale. L’intervento americano successivo all’11 settembre avrebbe dovuto riportare ordine nella regione. Invece gli Stati Uniti si sono limitati a rovesciare il regime talebano in Afghanistan senza preoccuparsi di mettere in opera una vera azione di ricostruzione nazionale, capace di far emergere una società civile in grado di offrire corpo e anima a un reale progetto democratico. Oggi questo errore gravissimo si riverbera sull’intera area centroasiatica, con particolare evidenza in Iraq e nella polveriera pakistana. E l’errore rischia di replicarsi in Medio-Oriente, dove Israele mostra i muscoli con l’aiuto degli USA, allarmando la difesa russa che aveva pensato ad un attacco nel Mediterraneo Orientale, mentre la Siria si fa incandescente e rischia di bruciare il già traballante equilibrio dell’area ed il Papa chiede a gran voce che “scoppi la pace”, mentre sussulta anche il Libano, pieno di sussulti interni, paese su cui si è riflettuta sin dall’inizio la guerra civile siriana, con le armi che oggi costituiscono l’arsenale dei “ribelli” e parte delle milizie legate ad Al Qaida passate da Tripoli prima di fare il proprio ingresso in Siria. Del resto proprio Tripoli aveva conosciuto nel 2007 la potenza di fuoco di queste milizie mercenarie nel campo palestinese di Nahar al Bared.
Allo stesso tempo, come ha scritto su Il Mattino il 9 febbraio 2011 Stefano Allievi, il mondo arabo sta dicendo a noi democratici che anche loro vogliono la democrazia, che sono pronti a sacrificarsi per ottenerla. E noi stiamo loro mostrando che non ci crediamo, che per noi la democrazia è buona solo per noi, o al massimo, per gli altri, quando la esportiamo noi direttamente, insieme ai nostri eserciti, con quali disastrose conseguenze si è visto in Iraq e in Afghanistan. Un esempio – un altro, dopo il sostegno pronto e assoluto a Israele, a dispetto di tutto – del nostro predicare bene e razzolare malissimo, e del sostenere politiche di ‘due pesi due misure’ che inevitabilmente, e molto presto, ci verranno giustamente rinfacciate e ci si ritorceranno contro. Ieri, su le Figaro, il presidente iraniano Bashar al Assad ha detto che il medio oriente è una polveriera la cui miccia si accorcia ogni giorno.
Secondo Andrea Indini, su il giornale del 2 luglio, esiste un fil rouge fra gli scandali, le rivolte, le guerre e gli attentati che stanno sconvolgendo il mondo e cambiandone irrimediabilmente la geopolitica. È difficile riuscire a mettere insieme i pezzi di un puzzle internazionale che a prima vista appare caotico e difficilmente spiegabile. Eppure c’è un motivo se lo scandalo “Datagate” sollevato dalla talpa della National Security Agency (Nsa), Edward Snowden, l’irreale silenzio in Turchia dopo le rivolte contro il premier Recep Tayyip Erdoğan, i rinnovati tumulti in Egitto contro il presidente Mohamed Morsi, lo scontro tra gli Stati Uniti e la Russia sull’opportunità di armare i ribelli siriani e l’immobilismo (politico ed economico) dell’Unione europea divisa dagli egoismi nazionali e dalla recessione che brucia ricchezza e posti di lavoro sono detonati l’uno in fila all’altro senza un’apparente consequenzialità storica.
Dobbiamo renderci conto che ormai il concetto di Stato sovrano territoriale, su cui si è basata la politica da oltre cinquecento anni, non solo scricchiola, ma non più valido perché sono venuti a mancare la sovranità, l’economia nazionale e i valori morali condivisi.
Proprio per questo, le crisi a cui assistiamo sono conati per la nascita di un nuovo tipo di Stato che ancora non è nato. La dimostrazione più chiara di questo smottamento è l’impotenza delle Nazioni Unite che, fondandosi sul concetto dello Stato sovrano, non sono più in grado di intervenire.”
I lanci registrati ieri dal sistema russo di allarme missilistico del Mediterraneo, sono stati effettuati nell’ambito di un test del sistema di difesa antiaereo delle forze armate d’Israele e Benyamin Netanyahu ha annunciato che il suo Paese sta erigendo un “muro di ferro” a cui si unisce “la volontà di ferro” dei suoi compatrioti , decisi a resistere, fino in fondo, dalla’accerchiamento dell’integralismo arabo.
Su un altro versante, muscoli esposti e mutria dura anche in casa nostra, nel traballante Pd in cui ormai i vecchi PC hanno perso il controllo, con Letta e D’Alema e i pasdaran bersaniani guidati da Davide Zoggia che si infuriano contro la candidatura di Renzi, sostenuta invece da Franceschini. “Sogno un Pd che smette di chiedere la linea a Roma sulle cose da fare, ma che parte dalle persone che lavorano sul territorio, che stanno vicine alla gente’’.  ‘’Il federalismo – ha spiegato durante il comizio bolognese del 1° settembre, davanti e quattro-cinquemila persone- non è una parolaccia, ma l’idea che si parte da chi ci sta più vicino’’. Invece, con la riforma del titolo quinto della Costituzione, ‘’abbiamo trasformato il federalismo da un centralismo nazionale a un centralismo regionale, e non è colpa della Lega ma colpa nostra’’.
Le acqua sono molto agitate nel partito soprattutto da domenica, quando il sindaco di Firenze ha di fatto annunciato dal palco della festa di Genova la sua candidatura a segretario, dicendosi pronto alla giuda.
Dopo i dibattiti estivi e i movimenti sottotraccia, le manovre per la leadership del Pd escono allo scoperto, con areadem e veltroniani che ormai appoggiano dichiaratamente l’ex rottamatore.
Dal canto suo il premier Enrico Letta ribadisce che non entrerà nel dibattito congressuale “perché – ha affermato – il mio impegno è di governare, guidare il governo di larga coalizione». Fonti a lui vicine aggiungono dettagli: il presidente del Consiglio non ha intenzione di fare la guerra a Renzi se, a sua volta, il sindaco di Firenze, dopo esser diventato leader del Pd, non si metterà a bombardare il governo”.
Ma il fatto è, scrivono i giornali di destra, che Renzi ha proprio lo scopo di affondare il governo Letta che, di fatto, è ormai senza vero sostegno, ricattato dal Pdl e non sostenuto da un partito con dalemiani e bersaniani che si odiano e che in comune hanno solo la volontà di impedire al sindaco di Firenze di fare qualsiasi cosa, anche aprire un bar, mentre gli atterriti ex Ppi stanno a guardare.
Dal canto suo Renzi, rientrato dalla vacanza californiana, ha le idee molto chiare e dichiara guerra sia a D’Alema che a Bersani, per portare il partito fuori dalle secche e alla vittoria, con conseguente nuovo governo non certo a giuda Letta.
Per ora, come scrive “In Venti Righe”, l’armata del Pd ha ritrovato compattezza ed unita’ solo nel fronte anti-Cavaliere e solo su questo punto Epifani e’ riuscito nel non facile compito di serrare le fila. Ma dopo il 9 settembre che cosa accadrà?
I blocchi non sono omogenei e non corrispondono alla schema classico: ex dc contro ex comunisti. Le varianti interne sono molto più complesse. Renzi vorrebbe come prima scelta andare alle elezioni subito, in subordine essere lui a guidare un governo con i transfughi grillini. Letta invece non demorde e vorrebbe magari fare un Letta bis, con quel che rimane del Pdl.
Sicché , paradossalmente, i più convinti sostenitori dell’alleanza con il Pdl sono coloro che più l’hanno combattuta.
Ed anche nel caso della polveriera medio-orientale, finirà che proprio in un “isolazionista” e Nobel per la Pace come Obama, si troverà quello che accende la miccia.

Carlo Di Stanislao

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