Terremoti e Tsunami: il Mare Mediterraneo è sensibile a grandi terremoti lontani capaci di generare tsunami giganti

“Niuno però presagì prima dell’avvenimento quello, che dopo l’avvenimento di poter naturalmente presagire dicevano quasi tutti”(Anton Ludovico Antinori). I terremoti estivi nella Penisola italiana impongono non soltanto dibattiti, conferenze, mostre, speciali, forum e tavole rotonde scientifiche, ma soprattutto l’attiva e seria riflessione, con annessa presa di coscienza da parte della società civile e degli “opinion […]

“Niuno però presagì prima dell’avvenimento quello, che dopo l’avvenimento di poter naturalmente presagire dicevano quasi tutti”(Anton Ludovico Antinori). I terremoti estivi nella Penisola italiana impongono non soltanto dibattiti, conferenze, mostre, speciali, forum e tavole rotonde scientifiche, ma soprattutto l’attiva e seria riflessione, con annessa presa di coscienza da parte della società civile e degli “opinion makers”, sulla gravità dell’assai critico problema antropologico, economico, etico e politico sotteso alla mancata messa in sicurezza del nostro “povero” Belpaese e sulle inevitabili conseguenze del “non-fare”. Checché proclamino a gran voce i “sacerdoti” dei magnanimi decreti del “fare”! Perché le case in cui abitiamo, le coste, i paesi e le città che frequentiamo, potrebbero finire un bel giorno in fondo al mare o sepolti da una montagna, magari rasi al suolo ed erosi in pochi istanti da un evento epocale che la Storia e la memoria umana non avevano mai fatto in tempo a registrare nei minimi dettagli prima che la tragedia fosse consegnata alla leggenda, al mito. A nulla servono i condoni edilizi e le mille proroghe di fronte alle energie della Natura! Le lacrime di coccodrillo dimostrano, oltre ogni ragionevole dubbio, che tragedie simili a quella aquilana potrebbero essere evitate se tutti gli attori responsabili politici, giornalistici e istituzionali possono adempiere ai loro sommi obblighi di Legge. In una comunicazione congiunta della Protezione Civile e dell’Ingv, a seguito degli eventi sismici che, in varie zone d’Italia, sono stati avvertiti dalla popolazione, si evidenzia come siano “stati pubblicati numerosi articoli e mandati in onda diversi servizi televisivi. In alcuni casi, gli interventi di esperti scientifici sull’andamento e le possibili evoluzioni delle sequenze sismiche sono stati interpretati in modo da poter indurre i cittadini ad abbassare il livello di attenzione in un territorio – nel caso specifico la zona di Gubbio – esposto a rischio sismico. Quasi tutto il territorio italiano è caratterizzato da faglie attive e in grado di produrre terremoti. Le sequenze sismiche iniziano e dopo un tempo, più o meno lungo, finiscono; a volte, però, hanno delle riprese e, nel complesso, si possono protrarre per mesi o anni. In alcuni casi, poi, possono essere associate a terremoti forti. Anche ora, in diverse zone d’Italia, sono in corso sequenze che hanno picchi e periodi di relativa quiete: come questi varino, aumentando o diminuendo d’intensità e frequenza, è, al momento, argomento di studio e ricerca che l’Ingv affronta quotidianamente nel suo lavoro. È fondamentale quindi che l’intero sistema di Protezione Civile – di cui anche gli organi di informazione fanno parte – affronti con equilibrio i temi legati al rischio sismico, senza cadere negli eccessi di rassicurazione, da una parte, o allarmismo, dall’altra”. L’aggettivo “naturale” o “normale” utilizzato talvolta per descrivere l’evoluzione di una sequenza sismica, non va inteso come un’indicazione di un fenomeno che si è concluso: sarebbe “normale” anche una ripresa dell’attività con scosse altrettanto o più forti di quelle già avvenute. Per queste ragioni, il Dipartimento della Protezione Civile e l’Ingv chiedono “la collaborazione di tutte le Redazioni affinché, quando si parla di terremoto, sia fornito un messaggio corretto e chiaro al pubblico, prestando la dovuta attenzione anche al significato dei termini utilizzati. Come si sa, il primo passo verso la riduzione del Rischio passa attraverso una popolazione consapevole: occorre premunirsi, far controllare le abitazioni, gli edifici pubblici, i luoghi di lavoro, verificare e pretendere che il proprio Comune abbia piani di emergenza aggiornati e testati, poiché i terremoti, anche forti, possono avvenire in gran parte del territorio italiano in ogni momento e senza preavviso”. Le 311 vite che a L’Aquila furono spezzate da quella tragica notte del 6 Aprile 2009, alle ore 3:32 antimeridiane, per un sisma di magnitudo momento 6.3 che in Giappone è del tutto “normale”, dal momento che neppure oggi riescono a immaginarlo moderatamente distruttivo, sono vittime della politica abruzzese e non della Natura. La cultura-memoria nipponica è preparata a contrastare ben altre energie che in Italia, se liberate, semplicemente decreterebbero la definitiva estinzione di intere classi politiche e burocratiche. In Italia eventi di magnitudo 4.9, come il sisma avvenuto alle ore 3:32:24 antimeridiane italiane di Domenica 21 Luglio 2013, localizzato in Adriatico centro-settentrionale a pochi chilometri dalla costa marchigiana, tra le Province di Ancona e di Macerata (registrato ad una profondità di 8.4 Km) segnano ben altre tragedie antropologiche. Oltre a infrangere il sonno di milioni di persone, possono ancora oggi scatenare il panico di massa e risultare fatali non tanto per l’energia rilasciata ma per le loro conseguenze psichiatriche. Perché nell’Italia delle mille “sagre” manca una Cultura scientifica di massa così capillarmente diffusa (un’intera generazione di ricercatori è stata bruciata negli ultimi 20 anni!) da pretendere, anche in campo politico e giuridico, la Prevenzione del rischio sismico, idrogeologico, spaziale e vulcanico. La Scienza (i “matusalemme” della telenovela politica si vergognino per sempre!) semplicemente non è qualificata in Italia come Cultura di massa degna di una misera spesa pubblica per un cartello di avviso anti-sismico ed anti-tsunami! A 54 mesi dalla catastrofe aquilana i nostri politici ed amministratori ancora sognano di vivere su un altro mondo. Il loro “universo” personale della spesa pubblica improduttiva alimentata dalle tasse dei poveri artigiani. Perché i nostri politicanti non hanno ancora imparato nulla, dimostrando di amare assai poco il Popolo che dicono di voler rappresentare in eterno. Con alcune lodevoli eccezioni, alla luce delle simulazioni di Protezione civile svolte nei mesi scorsi, eseguite a regola d’arte in Toscana, ben prima del terremoto di magnitudo 5.2 avvenuto in Lunigiana alle ore 12:33:47 italiane del 21 Giugno 2013 ad una profondità di 5.1 km, localizzato dalla Rete Sismica Nazionale tra le Province di Lucca e Massa. Il panico non aiuta la conoscenza del fenomeno naturale e la messa in sicurezza delle nostre città. Nessun sisma, tuttavia, in questi ultimi anni ha avuto magnitudo momento Richter superiore a 6.3. Questo rappresenta uno dei momenti più lunghi della storia sismica del Belpaese senza un forte terremoto altamente distruttivo. Ma anche un potente campanello d’allarme. La sequenza sismica in Mar Adriatico preoccupa. Ma per un mondo più sicuro, in mancanza di Superman, solo la conoscenza, la scienza e la tecnologia dei nostri cervelli possono fare il miracolo (economico) di salvare preziose vite umane. Il terremoto del 21 Luglio 2013 ha interessato una zona conosciuta per la sua pericolosità sismica, che non è elevata come all’interno della catena appenninica ma non è comunque trascurabile. La pericolosità sismica varia in funzione di diversi parametri, il più importante dei quali è la frequenza dei terremoti avvenuti in una regione e la loro magnitudo. Molti piccoli terremoti possono radere al suolo qualunque città medievale italiana. La regione dell’off-shore Adriatico, all’altezza delle Marche, presenta le caratteristiche di una zona sismica: terremoti storici e faglie attive sono in azione da secoli. Il numero e la magnitudo degli eventi sismici del passato non sono confrontabili con i grandi eventi dell’Appennino, ma ugualmente hanno avuto un impatto rilevante. La storia sismica di Ancona (DBMI) rivela numerosi eventi con Intensità Mercalli (MCS) pari o superiore al VII grado: furono registrati negli Anni del Signore 1269, 1474, 1690, 1741 e 1870. I terremoti più recenti avvenuti nel Novecento lungo la fascia costiera sono: A.D. 1917 (Numana), magnitudo stimata intorno a 5; A.D. 1930 (Senigallia), magnitudo stimata 5.8-6.0; A.D. 1972 (Ancona, gennaio), magnitudo stimata 4.6; poi nel giugno 1972 (Ancona), magnitudo stimata 4.6. Il terremoto di Senigallia del 1930 è l’evento più forte e può essere considerato di riferimento per questa regione. I danni furono numerosi in un’ampia fascia da Senigallia (VIII-IX grado) fino a sud di Ancona (VIII grado ad Ancona, Sirolo, Numana e altre località). Il terremoto del 1917 è relativamente piccolo, confrontabile con quello del 21 Luglio 2013 in termini di magnitudo, ma localizzato probabilmente un po’ più a nord. I due eventi del 1972 appartengono a una lunga sequenza sismica ed anche questi si localizzarono leggermente più a nord di quello del 21 Luglio 2013. La conoscenza delle faglie attive nel settore dell’off-shore Adriatico si basa soprattutto sull’esplorazione sismica effettuata negli ultimi decenni per ricerche di idrocarburi. L’interpretazione delle linee sismiche ha mostrato l’esistenza di diversi fronti compressivi sepolti, analoghi in qualche modo a quelli della pianura padana. Si tratta di strutture a carattere compressivo o trascorrente, come anche testimoniato dai pochi meccanismi focali dei terremoti recenti. Per quelli antichi non esistono dati per determinarli. Secondo i modelli prevalenti questi fronti geologici sepolti sono attivi e orientati parallelamente alla costa, e sarebbero frammentati da faglie trascorrenti, ossia con spostamento laterale di un settore rispetto a quello adiacente, perpendicolari ai fronti stessi. L’interessante Database delle Sorgenti Sismogenetiche Italiane (DISS) offre dettagli sulle faglie attive nella regione: una sezione verticale attraversa da ovest a est la costa adriatica all’altezza dell’area epicentrale, con una strutturazione sepolta sotto i sedimenti del Mare Adriatico, con i fronti abissali caratterizzati da diverse faglie inverse (o thrust) che sprofondano da est a ovest. Gli scienziati analizzano i dati sismologici registrati per identificare il piano di faglia responsabile del terremoto. Una squadra di ricercatori della sede di Ancona dell’Ingv si è attivata immediatamente per installare una stazione sismica aggiuntiva a sud dell’epicentro, tra Recanati e Potenza Picena. L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) tempo fa ha costituito un Gruppo di Lavoro sul Processo de L’Aquila ai sette componenti scientifici della Commissione Grandi Rischi, i soli condannati in primo grado. “In questi giorni il Gruppo è stato allargato – rivela il Professor Stefanio Gresta, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – e si avvale ora anche delle competenze di Alessandro Bonaccorso, Paola Bordoni, Thomas Braun, Paolo Marco De Martini, Martina Demartin, Raffaele Di Stefano, Ingrid Hunstad, Lucia Luzi, Carlo Meletti, Silvia Pondrelli Francesca Quareni, Francesca Pacor e Stefan Nielsen”. Il monitoraggio e lo studio dei fenomeni sismici che avvengono in Italia rientrano tra i compiti istituzionali dell’Ingv, dati e risultati vengono consegnati regolarmente agli organi competenti, alla Protezione Civile e sono poi resi pubblici. “Il Prof. Enzo Boschi, allora Presidente dell’INGV – ricorda il Prof. Gresta – ha partecipato alla riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 Marzo del 2009 come membro della commissione, mentre il Dott. Giulio Selvaggi, allora Direttore del Centro Nazionale Terremoti dell’INGV, ha partecipato per presentare i dati sulla sequenza in atto, raccolti ed elaborati dall’INGV. Pertanto l’INGV ha fornito una sintesi di tutte le informazioni e i dati allora disponibili sulla pericolosità, sulla sismicità storica e sulla sequenza sismica in atto. Le considerazioni fatte in quella sede furono ben ponderate, confermando che L’Aquila era ed è una delle aree a maggiore pericolosità sismica in Italia. Nulla di più si sarebbe potuto aggiungere in merito all’evoluzione della sismicità nei giorni a seguire. Entrambi i nostri colleghi hanno rappresentato la posizione ufficiale dell’INGV al meglio delle competenze e delle conoscenze disponibili in quel momento. Malgrado ciò, è stato istruito un processo in cui essi sono stati imputati e condannati in primo grado. L’INGV auspica che la correttezza del loro operato possa emergere nei prossimi gradi di giudizio”. Subito dopo gli eventi del 21 Giugno, il Dipartimento della Protezione Civile ha attivato i centri di competenza Asi, Ingv e IREA-CNR per la misura, tramite i satelliti italiani COSMO-SkyMed, delle deformazioni del suolo causate dai terremoti toscani per descrivere le sorgenti sismiche. All’Ingv è stata chiesta l’attivazione dell’infrastruttura SIGRIS sviluppata in un progetto Asi e Ingv, attualmente gestita da ricercatori del Centro Nazionale Terremoti Ingv. SIGRIS comprende procedure, algoritmi ed operatori in grado di generare e validare prodotti geofisici ad alto contenuto scientifico, basati su dati da satellite, secondo standard già concordati con il DPC per la gestione delle emergenze sismiche. L’Ingv ha preliminarmente verificato l’esistenza, per l’area epicentrale, di immagini radar COSMO-SkyMed di archivio precedenti il sisma, indispensabili per eseguire le misure dei movimenti del suolo generati dal terremoto (spostamento del suolo cosismico). È stata quindi richiesta ad Asi l’acquisizione di immagini post-evento, pianificate, acquisite e consegnate in tempi rapidissimi. L’Ingv ha quindi generato le mappe di deformazione del suolo con la tecnica denominata Interferometria Differenziale (DInSAR). L’Interferometria SAR utilizza due immagini “Synthetic Aperture Radar” acquisite prima e dopo il terremoto, e confronta i segnali ricevuti dal satellite (o da un aereo) da ogni elemento di superficie. Il segnale radar contiene l’informazione sulla distanza tra l’antenna ricevente e la superficie terrestre, e la differenza tra i segnali pre- e post-evento consente di misurare con estrema accuratezza le variazioni di distanza avvenute durante il terremoto (ovvero lo spostamento del suolo cosismico). Attualmente il sistema di satelliti italiani COSMO-SkyMed è, a livello mondiale, quello che garantisce la maggiore rapidità di intervento per la misura delle deformazioni crostali dovute ad un terremoto. L’interferogramma SAR è ricavato dalla differenza tra due immagini SAR della stessa zona, e dà una misura delle deformazioni del suolo avvenute tra le due date di acquisizione. Rappresenta i movimenti del suolo (misurati nella direzione di vista del satellite) come frange colorate (blu-rosso-giallo). Ogni frangia indica uno spostamento del suolo di circa 1.5 cm, nel caso di COSMO-SkyMed, per l’evento del 21 Giugno 2013 in Lunigiana. Per ottenere lo spostamento del suolo totale avvenuto tra le due date nell’area analizzata, le frange con lo stesso verso del ciclo di colore vanno sommate. La zona di massima deformazione corrisponde ad un allontanamento del suolo dal satellite di circa 2.5 cm, localizzato poco ad Ovest di Casola. Lo spostamento del suolo misurato dal satellite è la normale risposta della superficie terrestre allo scorrimento avvenuto sulla faglia sismica, e viene indicato come spostamento (o deformazione) del suolo cosismico. Lo spostamento del suolo che si è verificato in superficie è piccolo e quasi impossibile da misurare se non tramite strumenti geodetici di precisione. Esso rappresenta la risposta della superficie terrestre allo scorrimento profondo che si è verificato lungo la faglia che ha generato il terremoto; la sua forma e intensità dipendono dalle proprietà elastiche della crosta terrestre e dalle caratteristiche della faglia: utilizzando sofisticati algoritmi, è possibile ricavare le caratteristiche della faglia a partire dallo spostamento misurato in superficie grazie ai satelliti. Questa procedura è chiamata tecnicamente “inversione”, perché parte dall’effetto (lo spostamento superficiale) per ricavarne la causa (lo scorrimento che si è verificato in profondità lungo la faglia). Nella procedura gli scienziati hanno anche integrato dati non da satellite, come la posizione di tutti i piccoli terremoti che hanno accompagnato la scossa principale ed altri dati (meccanismi focali, momento sismico). Il risultato finale di quest’analisi è il “modello” della sorgente sismica, ovvero una faglia “virtuale” che riproduce lo spostamento del suolo cosismico, e pertanto molto simile a quella reale che lo ha generato. Tramite queste tecniche è stata individuata la faglia toscana che ha causato il terremoto del 21 Giugno. Per avere una conferma dell’attendibilità di questo risultato, si possono confrontare gli spostamenti misurati dal satellite (dati osservati) con quelli che vengono calcolati dal modello. Il confronto fra dato osservato e dato modellato mostra che il lobo di spostamento superficiale del dato modellato riproduce bene quello osservato. È indicata la linea di intersezione tra il piano di faglia modellato e la superficie; il piano si immerge verticalmente per parecchi chilometri ed ha una direzione circa Nord-Est/Sud-Ovest. La posizione dell’epicentro del terremoto principale è compatibile, con ottima approssimazione, alla posizione della faglia. Si nota come tutta la sismicità delle repliche (“aftershocks”) e lo spostamento stesso si sviluppano verso Nord-Est rispetto all’epicentro del terremoto (stella verde), suggerendo che la rottura, iniziata all’epicentro, si sia propagata preferenzialmente in questa direzione. Gli scienziati hanno realizzato un confronto fra la posizione del modello di faglia ricavato dai dati da satellite e la distribuzione 3D degli ipocentri dei terremoti successivi alla scossa principale (aftershocks). La faglia attraversa la “nuvola” degli aftershocks, come avviene normalmente dopo una dislocazione sismica, e questa osservazione conferma la bontà del modello. Nonostante l’ottimo accordo tra le varie osservazioni, si tratta di risultati preliminari che potranno subire modifiche con la disponibilità di nuovi dati da satellite e/o sismologici. Anche il passato è utile per capire il nostro futuro: come sopravvivere oggi alle catastrofi di tanti anni fa? Era il 28 Luglio. A 130 anni dal terremoto che colpì l’isola d’Ischia, appare il volume “Casamicciola milleottocentottantatre. Il sisma tra interpretazione scientifica e scelte politiche” di Giuseppe Luongo, Stefano Carlino, Elena Cubellis, Ilia Delizia e Francesco Obrizzo (Bibliopolis 2012, Edizioni di filosofia e scienze, Via Arangio Ruiz 83-80122 Napoli, e-mail:info@bibliopolis.it; www.bibliopolis.it, pp. 282 con XXX tavole a colori fuori testo). Il mistero di Casamicciola 1883 è inquadrato da esperti di vulcanologia, geofisica, ambiente e urbanistica, dell’Università di Napoli “Federico II” e dell’Osservatorio Vesuviano della Sezione Ingv di Napoli dell’INGV. Il libro partecipa al Primo Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica, bandito dall’Associazione Italiana del libro. Il saggio è stato presentato alla comunità scientifica e ad un pubblico sensibile ai problemi dei rischi naturali all’Osservatorio Vesuviano, alla Feltrinelli di Napoli, a Casamicciola nella terra del terremoto, a Torre del Greco, città vesuviana tra le più esposte al rischio vulcanico ed alla Biblioteca Antoniana di Ischia, con un lusinghiero successo, per la folta ed attenta partecipazione. Non è mancata la presentazione del volume a Roma, nel luogo dove vennero prese le decisioni politiche e promulgate le norme sui soccorsi nella fase dell’emergenza e sulla ricostruzione. Nel volume la parte introduttiva è dedicata al clima culturale e al dibattito in Parlamento per la promulgazione dei provvedimenti in favore della comunità colpita dal sisma, che permette di cogliere l’intesa tra scienziati e decisori politici nei primi decenni dell’Italia unita. Nei capitoli successivi segue l’analisi critica dei contributi degli scienziati alla comprensione del fenomeno ed alle tecniche per la mitigazione del rischio sismico in un’area vulcanica e delle azioni del Ministro dei Lavori Pubblici finalizzate al soccorso e alla ricostruzione. Protagonisti di questa “vicenda” politico-scientifica, archetipo di altre che seguiranno nel nostro Belpaese, sono illustri personaggi del mondo scientifico, quali: Henry James Johnston-Lavis, impegnato professionalmente come medico e studioso dei fenomeni sismici e vulcanici; Luigi Palmieri, direttore dell’ Osservatorio Vesuviano, che realizzò un originale e primo sismografo elettromagnetico; Michele Stefano de Rossi, il primo a introdurre una moderna scala di intensità per i terremoti e a promuovere una rete sismica in Italia; Giuseppe Mercalli, direttore dell’Osservatorio Vesuviano, che propose una nuova scala delle intensità dei terremoti e la classificazione delle tipologie eruttive universalmente riconosciute; Giulio Grablovitz, fondatore e direttore dell’Osservatorio Geodinamico di Casamicciola, e il Ministro dei Lavori Pubblici, Francesco Genala. Perché il nostro passato è legato al nostro futuro in continua evoluzione. Si è da poco conclusa la Campagna di ricerca RICAMAR nel Golfo di Pozzuoli con l’Unità Idro-oceanografica d’altura della Marina Militare, Nave Ammiraglio Magnaghi, e subito parte una nuova missione scientifica che vede ancora una volta la Marina Militare e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia insieme nel monitoraggio dei mari italiani. Questa volta l’area operativa è quella del promontorio del Gargano. La prestigiosa nave scuola Palinuro ospita 7 giovani ricercatori dell’Ingv appartenenti all’unità “Geofisica e Tecnologie Marine” di Porto Venere. Sono giovani destinatari di Assegno di Ricerca, laureati in varie discipline (fra loro ingegneri, fisici, astrofisici, geologi, tecnici), finanziato dal Fondo Sociale Europeo a seguito di un Bando della Regione Liguria. Questi giovani ricercatori partecipano a diversi progetti di ricerca e innovazione tecnologica con aziende del Distretto Ligure delle Tecnologie Marine che hanno sede nella città di La Spezia. Il programma di ricerca, svolto a bordo dello storico veliero, si concentra principalmente sul campionamento e sulla misura di alcuni parametri fisici della colonna d’acqua al fine di censire possibili risalite di sorgenti di acqua dolce presenti nell’areale marino e costiero là dove sono presenti effetti carsici. Contestualmente, vengono saranno effettuate a bordo di nave Palinuro alcune misure con sistemi gravito-inerziali sperimentali, inizialmente ideati per applicazioni spaziali, che vengono utilizzati per la misura delle sollecitazioni alle quali è soggetta la nave durante la navigazione. I giovani si avvalgono dell’esperienza del personale di bordo per l’esecuzione dei campionamenti e per l’esercizio dell’arte marinaresca. Anche quest’attività scientifica si inserisce nel quadro delle collaborazioni in atto tra la Marina Militare e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, attivate da circa una decina di anni nell’ambito di un accordo denominato CONAGEM (Coordinamento Nazionale di Geofisica Marina) e che, dal suo avvio, ha portato a oltre quindici missioni scientifiche condotte in maniera congiunta. Non solo. Tre ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dell’Università degli studi di Catania e del Consiglio Nazionale delle Ricerche hanno pubblicato, sulla prestigiosa rivista internazionale “Earth and Planetary Science Letters”, uno studio dal titolo “Current stress and strain-rate fields across the Dead Sea Fault System: Constraints from seismological data and GPS observations”, sull’analisi e il confronto dei campi di sforzo e deformazione agenti sul sistema di faglie del Mar Morto. Lo studio, a cura dei ricercatori Mimmo Palano (Ingv), Paola Imprescia (UniCT – CNR) e del Prof. Stefano Gresta (Ingv – UniCT), ha analizzato il campo di deformazione geodetica e lo stato di stress della Faglia del Mar Morto, che rappresenta il limite tettonico tra la placca Araba e quella del Sinai e che è considerata una delle strutture tettoniche a cinematica trascorrente più importanti dell’area mediterranea. L’attività sismica di questa struttura è ben documentata sin dalla nascita dei primi nuclei urbanizzati che negli ultimi 1000 anni hanno subito più di 15 terremoti con magnitudo stimata superiore a 7, con ingenti danni e migliaia di morti. Lo studio ha investigato in dettaglio la dinamica di questa importante struttura tettonica, utilizzando dati sismologici e dati GPS (Global Position System). Gli studiosi hanno dimostrato che in questa struttura agiscono contemporaneamente due tipi di forze: una trascorrente (un bordo scorre lungo l’altro) e un’altra distensiva, cioè che tende a divaricare la faglia; la loro azione congiunta permette di accomodare i movimenti relativi tra le due placche tettoniche. I dati GPS hanno permesso di stimare l’entità della deformazione nel tempo lungo l’intera struttura e sono state anche individuate delle aree in cui la deformazione è più rapida e altre in cui è più lenta. Nel mese di Ottobre del 2011 nell’arcipelago delle Canarie (Spagna), in prossimità dell’isola di “El Hierro”, si è verificata un’eruzione sottomarina che ha attirato l’attenzione dei vulcanologi, in particolare di quelli italiani, in quanto ha esibito delle caratteristiche eruttive simili a quelle di un’eruzione avvenuta nel 1831 a largo dell’isola di Pantelleria. Ora attraverso uno studio nato dalla fruttuosa collaborazione che si è instaurata tra i ricercatori dell’Instituto Geológico y Minero de España (Laura Becerril e Inés Galindo) e i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Annalisa Cappello, Marco Neri e Ciro Del Negro) è stato messo a punto un metodo probabilistico per calcolare la distribuzione spaziale di future eruzioni ai margini di apparati caratterizzati da bassa attività come l’isola di El Hierro. Questo metodo è stato presentato nell’articolo scientifico intitolato “Spatial probability distribution of future volcanic eruptions at El Hierro Island (Canary Islands, Spain)” pubblicato sulla rivista internazionale “Journal of Volcanology and Geothermal Research”. Notevoli sono i risultati più interessanti dello studio ai fini sia della ricerca scientifica sia della prevenzione. “Dal punto di vista della ricerca scientifica – rivela uno degli autori, il dirigente di ricerca Ciro Del Negro dell’Ingv – il nostro lavoro ha rappresentato una grande sfida perché siamo riusciti ad identificare le zone a più alta probabilità di apertura di nuove bocche eruttive a El Hierro, un’isola vulcanica storicamente meno studiata rispetto alle altre dell’arcipelago delle Canarie (come La Palma, Tenerife e Lanzarote) e poco monitorata, almeno fino all’eruzione sottomarina di “Las Calmas” nel 2011. A differenza dei vulcani con una storia eruttiva ben ricostruita come l’Etna, i dati vulcano-tettonici disponibili per El Hierro sono veramente limitati e incerti. Inoltre non si conoscono bene l’età, la localizzazione e l’entità delle eruzioni avvenute in epoca storica nell’isola. Per tutte queste ragioni, identificare le zone più suscettibili all’apertura di nuove bocche è stato un lavoro molto impegnativo. Dal punto di vista della prevenzione, la mappa che abbiamo sviluppato è molto importante perché è uno strumento utile e facilmente consultabile per la pianificazione territoriale a lungo termine sull’isola. Pertanto, può essere usata dalle autorità locali per decidere le azioni utili a mitigare il rischio vulcanico e gestire le emergenze durante le crisi eruttive”. Megafrane in mare producono megatsunami in grado di raggiungere località distanti migliaia di chilometri. Le Canarie ne portano le cicatrici. Gli scienziati seguono in tempo reale l’evoluzione dell’eruzione di El Hierro. “L’eruzione di Las Calmas è stata la prima eruzione sottomarina registrata nelle isole Canarie negli ultimi 600 anni. L’eruzione, iniziata il 10 Ottobre 2011 – spiega lo scienziato – è stata preceduta da un intenso sciame sismico iniziato il luglio precedente, ed è durata 5 mesi, con notevoli ripercussioni negative sul turismo e l’economia locale. Fra Giugno–Luglio 2012 e Marzo 2013 si sono verificate altre forti crisi sismiche che hanno fatto pensare all’inizio di un’imminente, nuova eruzione, che però non è avvenuta. Al momento la situazione sembra essere più tranquilla”. C’è sempre la possibilità che si verifichino altre eruzioni sottomarine che facciano emergere dal mare una nuova isola. Allo stesso tempo tutto potrebbe essere destinato a un’attività subacquea. “La mappa di suscettività di El Hierro – fa notare Del Negro – identifica le aree più probabili di future aperture di bocche eruttive senza specificare l’evoluzione delle eruzioni. Pertanto la mappa che abbiamo sviluppato mostra chiaramente che le aree più suscettibili all’apertura di nuove bocche eruttive coincidono con le zone di “rift”, estendendosi oltre la linea di costa dell’isola e quindi sotto il livello del mare. L’area a più alta probabilità si osserva nel versante sud-ovest del Rift di Ovest. Alte probabilità riguardano i Rift di Nord-Est e Sud, incluse le porzioni sottomarine di queste strutture vulcano-tettoniche. Ciò significa che esiste la possibilità che avvengano eruzioni sia sottomarine sia sull’isola. Se quest’ultima circostanza si verificasse, le conseguenze economiche potrebbero essere disastrose per i 10.000 abitanti dell’isola più piccola e giovane delle Canarie, che è meta turistica privilegiata per i suoi posti incantevoli e panorami mozzafiato”. Con “GeoHazard Supersites” si definisce l’iniziativa della comunità scientifica internazionale che si occupa di Pericolosità Geofisica e che ha come obiettivo assicurare l’accesso a dati satellitari e dati geofisici “in situ” su una serie di siti di interesse, principalmente in campo sismologico e vulcanologico. Magari da interfacciare in tempo reale su Google Earth. L’iniziativa dei Supersites trae origine dalla “Frascati declaration del 3rd International Geohazards workshop del Group of Earth Observation (GEO)”. Negli anni seguenti l’Esa per l’Europa e la UNAVCO (non-profit University governed Consortium) per gli Usa, hanno dato un impulso all’iniziativa Supersites che si è sviluppata inizialmente con una struttura in cui sono presenti due tipologie: Supersites e Event Supersites. I Supersites sono Los Angeles, Vancouver/Seattle, Hawaii, Istanbul, Tokyo-Mt. Fuji, Mt. Etna, Vesuvio. Gli Event Supersites: Haiti, Cile, Tohoku-oki, Wenchuan (Cina). È recente lo sforzo compiuto dai data providers in occasione del terremoto e del susseguente tsunami che l’11 Marzo 2011 ha colpito l’isola di Honshu in Giappone (Magnitudo 9) uccidendo 15.883 persone, ferendone 6.145 con 2.667 dispersi. Dopo tale catastrofe naturale, le principali Agenzie Spaziali hanno reso disponibili i dati acquisiti (http://supersites.earthobservations.org/sendai.php). L’iniziativa dei Supersites è un fattore aggregante per la comunità internazionale delle Scienze della Terra. Infatti il concetto di GeoHazard Supersites è stato al centro della “Call for Proposal” indetta dalla Commissione Europea nell’ambito del “7° Framework Program”. Tre sono stati i progetti vincitori: FUTUREVOLC – A European volcanological supersite in Iceland, MARsite – MARmara SuperSITE e MedSUV – MEDiterranean SUpersite Volcanoes. Quest’ultimo coordinato dall’Ingv.
Nel Maggio 2012 a Santorini (l’antica vera Atlantide di Platone) si è tenuto l’International Forum on EO for Geohazard Risk Management (www.int-eo-geo-hazard-forumesa.org/) che ha riunito esperti nel campo del Geohazard, operatori nel campo dell’Earth Observation e delle Agenzie Spaziali, autorità preposte alla Gestione del Rischio giunti da tutto il mondo. Dopo il Forum è stata prodotta una pubblicazione che costituisce una “pietra miliare tra le iniziative internazionali concernenti l’uso del telerilevamento satellitare per il Geohazard, consentendo di definire chiari obiettivi per ciascuna delle comunità coinvolte, e definendo la implementazione di una strategia per il raggiungimento di tali obiettivi”. Il documento ha tra gli autori ricercatori ed esperti internazionali nel campo del “Seismic, Volcanic e Landslide Hazards”. Il documento di 170 pagine è disponibile sul sito: http://esamultimedia.esa.int/docs/EarthObservation/Geohazards/esa-geo-hzrd-2012.pdf. Oggi le attività sui Geohazard Supersites hanno portato a definire i “Permanent Supersites, Candidate Supersites e Natural Laboratories”, fino a creare sinergie con iniziative internazionali nel campo delle infrastrutture di ricerca, quali EPOS (http://www.epos-eu.org/). Quanta di tutta questa conoscenza venga effettivamente capita, recepita ed acquisita dai politici e dagli amministratori italiani, è materia di studio in tutto il mondo. E in Italia? In occasione del convegno internazionale di vulcanologia IAVCEI a Kagoshima in (Giappone), un gruppo di studiosi dell’Ingv di Roma, in collaborazione con i colleghi dell’Osservatorio vulcanologico locale, dell’Università di Monaco di Baviera e dell’Università di Berlino, svolge una campagna di misure, volte allo studio dell’attività esplosiva del vulcano Sakurajima, attualmente in eruzione. I dati raccolti sul vulcano giapponese vengono confrontati con quelli raccolti in precedenti campagne a Stromboli (Italia), sui vulcani Fuego e Santiaguito (Guatemala) e Yasur (Vanuatu). “La campagna – spiega Piergiorgio Scarlato – avviene all’interno del Progetto europeo Nemoh, e prevede l’utilizzo di telecamere termiche e ad alta velocità sincronizzate con una serie di sismografi
e microfoni. Ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Geofisica presso l’Università di Bologna “Alma Mater Studiorum” discutendo la tesi “Continuous geochemical monitoring by mass-spectometer in the Campi Flegrei geothermal area. An application at Pisciarelli-Solfatara (diffuse and fumarolic gases) and at the mud gases during drilling of the CFDDP pilot hole” in collaborazione con l’Ingv di Napoli “Osservatorio Vesuviano”. Nel corso della tesi, supervisionata dal Prof. Giuseppe De Natale e dal Dott. Renato Somma (Ingv di Napoli), ha studiato un nuovo metodo di campionamento di gas fumarolici nell’area idrotermale di Pisciarelli-Agnano, consistente nella realizzazione di una linea di estrazione diretta tra le fumarole e uno spettrometro di massa (QMS) per la successiva analisi dei campioni, installato appositamente in una stazione di monitoraggio allestita nei pressi delle fumarole. Il lavoro di tesi ha permesso di ricostruire in continuo gli andamenti nel tempo delle principali concentrazioni fumaroliche e dei principali rapporti indicatori di sorgente idrotermale/magmatica, come CO2/CH4 e CO2/H2S. Tale metodologia è stata applicata anche durante la realizzazione del pozzo pilota nell’ambito del Progetto internazionale CFDDP (Campi Flegrei Deep Drilling Project) durante il quale sono stati prelevati ed analizzati in continuo i gas contenuti nei fanghi bentonici di perforazione permettendo la ricostruzione di un log geochimico dei parametri monitorati. Durante il periodo di dottorato ha partecipato a diversi corsi di formazione presso il GFZ di Potsdam riguardanti tecniche di misure in perforazioni profonde e ad uno stage di collaborazione della durata di 3 mesi all’Observatoire du Piton de la Fournaise nell’isola di Reunion occupandosi delle attività di monitoraggio geochimico del vulcano Piton de la Fournaise ed effettuando un’analisi preliminare delle correlazioni tra parametri caratteristici delle eruzioni (precursori, durate, volumi, localizzazioni; database Roult) e chimica dei prodotti eruttivi. Vincitore del corso di Alta Formazione nell’ambito del Progetto PON VULCAMED “La ricerca Geofisica e Vulcanologica per il monitoraggio dei rischi naturali e ambientali e per la tutela e la fruizione delle risorse del territorio” per l’individuazione di 14 formandi nella sede di Napoli, attualmente partecipa a diverse campagne di misure geofisiche nell’area flegrea. Gli scienziati Ingv sono conosciuti in tutto il mondo. Nell’ambito del Programma Operativo Nazionale (PON) 2007-2013 è stato di recente approvato e finanziato il Progetto EMSO-Medit che rappresenta il contributo italiano al consolidamento dell’infrastruttura di ricerca europea EMSO–European Multidisciplinary Seafloor Observatory, la rete a scala continentale di osservatori sottomarini. Il progetto, finanziato con 20 milioni di Euro, è coordinato dall’Ingv e vede la partecipazione di CNR, INFN, SZN ed ISPRA. EMSO-MedIT ha come obiettivo il potenziamento e la messa in rete di infrastrutture esistenti presso gli istituti partecipanti in Sicilia, Campania e Puglia per costituire un sistema integrato di monitoraggio necessario alla ricerca geofisica, geochimica, oceanografica, biologica ed ecologica in ambiente marino costiero e profondo. L’Ingv, nell’ambito del Progetto, si occupa dell’installazione a largo di Capo Passero, a 3.500 metri di profondità ed a circa 80 km dalla costa, di stazioni sottomarine di monitoraggio multi-parametrico e della loro connessione a cavo sottomarino analogamente a quanto già realizzato nel 2005 a largo di Catania con l’istallazione e il cablaggio dell’Osservatorio NEMO-SN1. L’Ingv ha il compito di espandere il monitoraggio nel Golfo di Pozzuoli potenziando l’attuale stazione CUMAS, di acquisire stazioni di monitoraggio “rilocabili”, cioè da posizionare di volta in volta in aree di interesse, di allestire laboratori di analisi di campioni e di sviluppo di sistemi e sensori, e di dotarsi della logistica di supporto alla gestione dell’infrastruttura. Sul nodo di Portopalo è attualmente in fase di installazione il primo blocco del futuro telescopio sottomarino per la rilevazione di neutrini astrofisici di alta energia (Progetto PON KM3Net-Italia) sotto il coordinamento dell’Infn. Non solo. Le Alpi Occidentali sono state oggetto di molti esperimenti per capirne la struttura e l’evoluzione. I risultati hanno permesso di ricostruire l’evoluzione della catena, tuttavia hanno lasciato aperti problemi inerenti la sua struttura profonda. Infatti la tecnologia impiegata nel passato, la qualità e la quantità dei dati registrati, le contenute capacità dei calcolatori non sono state in grado di definire in dettaglio i rapporti tra le Alpi e la Pianura Padana e la loro l’estensione in profondità. Il Progetto, frutto di una collaborazione tra la Chinese Academy of Science di Pechino, l’Ingv e l’Institut des Sciences de la Terre di Grenoble, si pone l’obiettivo di studiare almeno in parte questi problemi. L’esperimento, cominciato nel Giugno 2012 con l’installazione di 46 stazioni “broad band” lungo un profilo che dal Massiccio Centrale, in Francia, raggiunge il Monferrato con strumenti spaziati di 5 km a cavallo delle Alpi e di 10 km ai due bordi estremi Est e Ovest, è di tutto rispetto. Sono state inoltre poste in funzione 9 stazioni fuori profilo a Sud e a Nord del transetto centrale. La registrazione avviene in continuo. Particolare cura è stata posta nella scelta dei siti e nell’installazione delle stazioni, resa possibile dalla collaborazione di Comuni e cittadini. L’attività di campagna si conclude a Settembre 2013. I dati raccolti verranno utilizzati per applicazioni tra cui studi di “receiver function”, tomografia sismica, anisotropia. I ricercatori utilizzeranno il database anche per studi di dettaglio sulla sismicità locale: è un valore aggiunto, visto l’interesse che hanno assunto queste zone a seguito di una serie di terremoti che hanno aumentato anche l’attenzione dei media verso un’eventuale revisione della Pericolosità Sismica, almeno in termini di sismo-tettonica. Non solo. Alcuni ricercatori dell’Ingv sono in Turchia, su un’importante area sismica, zona di congiunzione di considerevoli strutture tettoniche quali la “Dead Sea Fault Zone” e la “East Anatolian Fualt Zone”. I ricercatori sono impegnati in una ricerca finanziata dal TUBITAK che prevede lo studio delle relazioni fra strutture tettoniche e la circolazione ed emissione di fluidi naturali. Tale studio viene effettuato in collaborazione con: Eskisehir Osmangazi University, Istanbul Technical University e Middle East Technical University di Ankara, National Taiwan University. I risultati preliminari di questa ricerca, presentati all’EGU General Assembly di Vienna nell’Aprile 2013 (EGU Spring Meeting) sono visibili sul sito: http://meetingorganizer.copernicus.org/EGU2013/EGU2013-12441-1.pdf. Le ricerche di una dottoranda dell’Ingv si concentrano sulla faglia trascorrente di Liquine – Ofqui (Cile) che controlla il vulcanismo del margine andino, ed è associata ad una spettacolare sequenza di vulcani attivi. I più noti sono i vulcani Villarica ed Osorno. Ha condotto due missioni di campionamento paleomagnetico prelevando, assieme ad altri colleghi dell’Ingv, più di 900 campioni orientati da rocce vulcaniche, plutoniche e sedimentarie, di età compresa tra il Miocene e l’Olocene, da entrambi i lati della faglia. “I campioni sono stati analizzati – spiega Hernandez Moreno – e sono tuttora in analisi al laboratorio di paleomagnetismo dell’Ingv a Roma. Ci attendiamo che i risultati permettano di comprendere la tettonica di questa importante struttura crostale, nonché le caratteristiche della crosta e le modalità di interazione tra tettonica e vulcanismo”. Nell’aprile del 2013, in occasione della visita all’Osservatorio Etneo-Sezione di Catania dell’Ingv, di Eisuke Fujita del NIED, specialista in ricerche nel campo della fisica del vulcanismo, visita mirata a svolgere alcune ricerche in collaborazione nei settori della vulcanologia e della sismologia vulcanica, Mauro Coltelli e Domenico Patanè, Direttore dell’Ingv-OE, hanno pensato di promuovere un più stretto accordo di collaborazione tra due delle più importanti strutture di ricerca al mondo nell’ambito della sismologia e della vulcanologia. Tale proposta, prontamente e fortemente supportata sia dal Prof. Stefano Gresta e dal Prof. Yoshimitsu Okada, Presidente del National Research Institute for Earth Science and Disaster Prevention (NIED), ha portato alla ratifica a Tsukuba, sede del Nied, dell’accordo di collaborazione (Memorandum of Understanding, MoU) tra i due Enti. Come l’Ingv, il Nied, sin dalla sua istituzione, ha condotto diversi progetti nell’ambito dei terremoti, dei vulcani e dell’ambiente. In particolare, il Nied dopo il terremoto di Kobe in Giappone del 1995 ha fruito della possibilità di condurre diversi grandi progetti di ricerca, favoriti dagli ingenti finanziamenti del governo nipponico nell’ambito della politica di prevenzione e riduzione del rischio sismico sull’intero territorio nazionale. Tra i tanti progetti, quello che ha permesso al Nied di costruire la più grande tavola vibrante tridimensionale (3-D) al mondo denominata “E-defence”, nella città di Miki vicino Kobe. Questa permette di analizzare, simulando le condizioni reali dei più forti terremoti, la risposta tridimensionale dinamica di strutture ed edifici in scala reale e i processi di rottura e distruzione, permettendo quindi di calibrare e validare le capacità di progettazione di strutture terremoto-resistenti. Nel 2007, il Cnr IVALSA insieme ad altre istituzioni fecero un eccezionale test su un edificio di 7 piani costruito in legno con sistema X-Lam, evidenziando come questo, dopo 10 terremoti consecutivi, aveva mantenuta inalterata la struttura. Anche nel campo della vulcanologia, il Nied, come l’Ingv, oltre a promuovere la ricerca, si occupa del monitoraggio di alcuni vulcani attivi giapponesi che ricadono sotto la giurisdizione del Governo Metropolitano di Tokyo, quali il Monte Fuji che sovrasta la città di Tokio, il Miyakejima e l’Izu Oshima, situati su due isole di fronte alla baia di Tokio. Alla cerimonia del 27 Luglio 2013 a Tsukuba per la ratifica del MoU, tenutasi presso la sede del NIED, hanno partecipato oltre al Presidente Prof. Yoshimitsu Okada, il Dr. Eisuke Fujita, il Dr. Shoji Sekiguchi (Direttore del Earthquake and Volcano Research unit), il Dott. Mauro Coltelli e il Dott. Domenico Patanè in rappresentanza dell’Ingv. Dopo la cerimonia sono state visitate la sede del Nied ed alcune delle sue infrastrutture di ricerca. In una di queste è situata una tavola vibrante 1-D che permette di eseguire test su modelli di strutture in scala 1/3, che sono preparatori per pianificare i test sulla tavola 3-D “E-defence”. È stata anche visitata un’altra infrastruttura che rappresenta il più grande impianto sperimentale al mondo per simulare le precipitazioni piovose e i loro effetti sul terreno. Tale apparato può produrre precipitazioni d’intensità compresa tra 15 e 200 mm/h ed è utilizzato per condurre ricerca sulle frane, sulle colate detritiche torrentizie, sull’erosione del suolo, sulle inondazioni in area urbana ed altro. “La firma del memorandum d’intesa – ha dichiarato il Prof. Stefano Gresta – rappresenta un importante primo passo per la collaborazione tra i ricercatori dei due istituti”. Sulla stessa linea il Presidente del Nied, il Prof. Yoshimitsu Okada, secondo il quale “l’accordo è una grande opportunità per poter promuovere ricerche in cooperazione e scambiare conoscenze”, sostenendo come possa essere considerato di buon auspicio il fatto che la firma sia avvenuta nell’anno in cui i due vulcani Etna e Fuji sono stati contemporaneamente nominati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. L’11 Marzo 2011 alle 05:46:23 UTC la costa nord settentrionale dell’isola di Honshu (Giappone) veniva colpita da uno dei più grandi terremoti mai accaduti nel mondo. L’evento di magnitudo momento 9.0, causato dal rilascio dello stress accumulato nel corso degli ultimi 700 anni dalle placche tettoniche, innescò uno tsunami gigante di 30-35 metri che causò una perdita economica superiore ai 120 miliardi di dollari, per superare l’emergenza, uccidendo più di 19mila persone. Trecentomila rifugiati affollano oggi le coste del Giappone e altre parti della regione del Pacifico. Lo studio Ingv pubblicato da Antonio Vecchio, Marco Anzidei, Vincenzo Carbone e Ignazio Guerra, ha analizzato le registrazioni di marea di circa 200 stazioni mareografiche, distribuite a scala globale e nel Mediterraneo con una sofisticata tecnica numerica per lo studio di serie temporali di dati non stazionarie. Lo studio è stato considerato tra i migliori articoli pubblicati su EPL ed inserito negli “highlights” del 2012. Si evince è che “il Mare Mediterraneo, è sensibile a grandi terremoti lontani capaci di generare tsunami giganti” come rivela lo scienziato Antonio Vecchio, primo autore della ricerca.“É stato sorprendente scoprire come il maremoto del Giappone sia stato capace di propagarsi attraverso lo Stretto di Gibilterra, disturbando l’andamento delle maree diurne e semidiurne, registrate alle stazioni mareografiche situate nel Mediterraneo, sia in ampiezza sia in frequenza – spiega Antonio Vecchio – il segnale individuato è stato di circa 10-15 cm di ampiezza, ha raggiunto Gibilterra circa 45 ore dopo l’evento sismico e si è propagato fino ad Hadera, in Israele, in circa 13 ore. Eppure, sulle nostre coste, i cartelli anti-Tsunami e le vie di fuga ancora non esistono!

© Nicola Facciolini

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