Più poveri e disperati

Ci siamo svegliati più poveri e più spaventati, con la netta sensazione di essere più a rischio della Spagna, incapaci di bloccare il fiume di denaro che scivola via con la politica e attraverso un sociale malinteso. Al Sud è incontenibile la spesa farmaceutica con l’Osservatorio sull’impiego dei medicinali (OsMed) dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) […]

Ci siamo svegliati più poveri e più spaventati, con la netta sensazione di essere più a rischio della Spagna, incapaci di bloccare il fiume di denaro che scivola via con la politica e attraverso un sociale malinteso.
Al Sud è incontenibile la spesa farmaceutica con l’Osservatorio sull’impiego dei medicinali (OsMed) dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) che dipinge un Meridione fatto di spreconi farmacodipendenti e con medicina dalla mano a larga, che prescrivono scatole in abbondanza a pazienti che godono della totale o parziale esenzione.
E questa cattiva usanza accomuna la Sicilia alla Puglia, al Lazio, alla Sardegna: tutte regioni in cui lo spreco dei soldi pubblici è palpabile e salta all’occhio dai numeri.
Ogni area geografica ha poi le sue patologie preferite, con gli antidiabetici e gli antiulcera che vanno a ruba in Sicilia, Campania e Calabria, gli antiipertensivi che la fanno da padrone in Umbria e Lazio, gli antibiotici che sono amatissimi in Campania ed in Puglia ed gli antidepressivi che dilagano in Toscana ed Umbria.
Il fatto poi che questi ultimi siano ad alto tasso anche in regioni del Nord (Liguria ed anche area di Bolzano) e registrano un aumento del 4,5% dal 2004, ci dice che siamo davvero un popolo di depressi, incapaci di reazione e tali che, in pochi anni, avremo nell’umor nero la patologia responsabile della perdita del più elevato numero di anni di vita attiva e in buona salute.
Niente male davvero per l’immagine che di noi hanno all’estero: un popolo di ottimisti spensierati, sempre in grado di cavarsela in ogni occasione.
Se la cavano invece con il solito rinvio i partiti circa la riduzione di finanziamenti, con il disegno di legge che rischia di arrivare in aula alla Camera oggi col solo testo base, quello uscito dal Consiglio dei ministri e senza un accordo fra destra e sinistra.
Il motivo di scontro tra Pd e Pdl risiede in una serie di possibili correzioni al testo del governo, in particolare nel tetto alle donazioni dei privati che, nella nuova normativa, dovrebbe andare a compensare parzialmente la progressiva cancellazione dei contributi pubblici. Il Pdl vorrebbe innalzare fino ad almeno un milione, mentre Pd e Sel lo hanno voluto fissare a 100mila euro per ogni donazione. Altri punti caldi, la depenalizzazione sulle violazioni alle regole sul finanziamento pubblico richiesta con un emendamento ad hoc del Pdl, ma anche la cosiddetta norma “salva Forza Italia”, un emendamento che permetta alla futura sigla di “ereditare” per il periodo transitorio il finanziamento spettante al Pdl garantendolo “ai partiti a cui dichiari di far riferimento almeno la metà più uno dei candidati eletti sotto il medesimo simbolo alle più recenti elezioni per il rinnovo di Camera e Senato”.
Come sempre c’entra lui: Silvio Berlusconi, ma, al solito, favorito da insipienze ed oscurità degli avversari che pongono a grave rischio il testo del governo e con la conseguente entrata in vigore dell’abrogazione dei finanziamenti non dal 2014, ma soltanto dal 2015.
E con la possibilità ch,e fra le pieghe di questa manovra salva-soldi per i partiti, ci si infili anche qualcosa per salvare Denis Verdini, che dopo essere stato indagato sulle irregolarità degli appalti alla Maddalena (dove avrebbe dovuto svolgersi il G8 poi spostato a L’Aquila), è finito nel mirino della guardia di Finanza nell’ambito di un’inchiesta sui finanziamenti pubblici erogati al “Giornale della Toscana”.
I lavoratori del giornale si sono detti inquieti per quanto è accaduto, esprimendo forte preoccupazione per le ricadute occupazionali e professionali, anche se Bondi alza il primo scudo e dice che: “Ciò che accade all’On. Denis Verdini conferma che nei confronti di certe persone e di determinati partiti si dispiegano mezzi, si profondono energie e si perseguono accuse che sono chiaramente abnormi”.
Preccupati sono anche i lavoratori Telecom con la stessa che diventa spagnola, anche se restano da capire diversi punti che al momento sono ancora poco chiari.
Secondo quanto si ricostruisce sui giornali, Telecom Italia, l’ex-monopolista italiano e maggiore società telefonica nazionale, passerà probabilmente nel giro di un anno nel pieno controllo del gruppo spagnolo Telefonica, con una intesa che avverrà in diversi passaggi: il gruppo presieduto da Cesar Alierta sottoscriverà infatti inizialmente un aumento di capitale di Telco da 324 milioni (a 1,09 euro per azione). In questo modo giungerà a detenere il 66% del capitale. In una seconda fase Telefonica arriverà al 70% del capitale di Telco. Infine avrà un’opzione, esercitabile a gennaio, per salire al 100%: con la conseguenza che i soci italiani di Telco (Intesa Sanpaolo, Generali e Mediobanca) avranno due finestre per uscire dal patto: a giugno del 2014 oppure a febbraio del 2015.
La Borsa è prudente sull’accordo: Telecom Italia è in rialzo dell’1,53%, Mediobanca sale del 2,76%, Intesa Sanpaolo sale dello 0,26%, Generali cresce dell’1%, mentre Telefonica a Madrid perde lo 0,8%.
Si agitano invece i dipendenti della Telecom anche se il problema dell’indebitamento della cassaforte visto che a novembre sarebbe scaduto un debito importante per 1,065 miliardi, viene così risolto ed stata decisa la tempistica con la quale i soci italiani (Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Generali) usciranno dalla catena di controllo, ma restano diversi nodi: a cominciare dal ruolo che avrà Telecom Italia nel panorama futuro delle telecomunicazioni e, pertanto, del personale assunto che varierà di certo a seconda che resti una società centrale per le Tlc europee oppure sarà una delle tante controllate del colosso spagnolo.
Sono i molti a pensare che Tim Brasile controllata di Telecom Italia, cioè una delle società più promettenti del mercato carioca, finirà in breve tempo sul mercato con ricavi che in serviranno a ridurre il debito di Telecom Italia e ad evitare declassamenti delle società di rating sull’ex-monopolista italiano e con una operazione che servirà a venire incontro alle richieste dell’Antitrust brasiliano. Sulla rete, invece, la situazione è ancora in evoluzione. Telefonica non ha fatto mistero di essere fredda sullo scorporo. Mentre le autorità italiane sembrano avere una linea ben precisa: il commissario dell’Agcom Antonio Preto ha infatti affermato che “se lo scorporo non sarà volontario, forse ci sono le condizioni per imporlo”. Resta quindi l’impressione che la presa di controllo di Telco sarà soltanto il primo paletto di una vicenda che darà in futuro altre grandi sorprese. Il timore è che possa essere decisa una maxi-cura dimagrante per il gruppo nei confini italiani, una volta cedute le attività in Brasile. Secondo i sindacati sarebbero a rischio tanti posti di lavoro, circa 12mila. Insomma, l’operazione finanziaria che è stata archiviata in queste ore – secondo alcuni addetti ai lavori – potrebbe essere il preludio per avere una Telecom Italia a controllo spagnolo ormai lontano ricordo del gruppo che negli anni passati aveva mire di espansione internazionale con il monopolio assicurato in casa propria. Fondamentale sarà dunque capire il piano industriale di Telefonica per la “nuova” controllata italiana.
Dalla sua elezione a Pontefice, Papa Francesco, non ha fatto altro che ribadire un concetto fondamentale: “una società può essere veramente dinamica, inclusiva e competitiva soltanto se sa prendersi cura di tutti i suoi membri, compresi gli ultimi. Una società che dimentichi i poveri, cioè una società che li escluda programmaticamente, è una società che nel suo insieme dopo poco tempo consuma le proprie risorse, e quindi non è più neppure in grado di stare sul mercato in maniera dinamica”.
Mi viene anche in mente un aforisma di Max Frisch, scrittore svizzero tedesco : “Colui che è affamato non ha scelta. Il suo spirito non proviene da dove lui vorrebbe, ma viene dalla fame”.
E mi incupisco e rischio di dover ricorrere, anche io, a farmaci che agiscono sulla serotonina.
Allora, per tirarmi su, me ne andrò alla Biblioteca “tomassiana”, dove, nella sala grande, oggi alle 17,30, il mai domo Raffaele Colapietra, presenterà il suo ultimo libro su Croce ed Anna, il grande amore della sua vita, per ricordarmi, fra i fatti e le lettere raccolte dal grande studioso, di Croce, che ha sempre pensato che industrialismo e civiltà di massa fossero accidenti transitori della “storia dello spirito”, infrazioni momentanee “all’intelligenza del sentimento” e mi chiederò, ancora una volta, come aveva fatto Marco D’Eramo, non tanto perché Croce sia finito nel dimenticatoio, quanto perchè non vi sia stato relegato fin dall’inizio, dal momento che il suo modo colto ed intelligente andava davvero contro l’idea massificata della moltitudine.
E mi dorrò, come sempre, del fatto che, a partire dagli anni ’60 in Italia si è imposta una nuova generazione di studiosi passata attraverso la linguistica e la semiotica e che la cesura rispetto al crocianesimo sia stata netta a causa dello “specialismo” e della eccessiva settorializzazione, che invaso ogni campo, letterario, scientifico, economico, sociale e, naturalmente, imprenditoriale e politico.
Pensando a Croce (che naturalmente adoro), mi verranno però in mente la parole di Saba (che invece non lo amava), riportate in ‘Scorciatoie e raccontini’, che poco si adattano a lui ma molto alla nostra situazione di ora., con l’autore di “Ernesto”che descrivendo Croce anziano, scrive che vive : “in una casa dove uno s’impicca, altri si ammazzano fra di loro, altri si danno alla prostituzione o muoiono faticosamente di fame, altri ancora vengono avviati al carcere o al manicomio, mentre una vecchia signora suona molto bene la spinetta.”

Carlo Di Stanislao

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