L’Italia perde pezzi, Berlusconi sonno e Napolitano pazienza

Dice di non dormire da 55 giorni Berlusconi ed io mi immagino una nuova versione, con titolo appena variato, del film “55 giorni a Pechino”, diretto nel ’63 da Nicholas Ray, cambiato in “55 notti ad Arcore”, con smanie del protagonista ed ancelle numerose che cercano di consolarlo, mentre, a turno, tutti i suoi sfilano […]

Dice di non dormire da 55 giorni Berlusconi ed io mi immagino una nuova versione, con titolo appena variato, del film “55 giorni a Pechino”, diretto nel ’63 da Nicholas Ray, cambiato in “55 notti ad Arcore”, con smanie del protagonista ed ancelle numerose che cercano di consolarlo, mentre, a turno, tutti i suoi sfilano sommesamente e giurano che sono disposti a lasciare tutto se lui non ne esce illeso.
Il film di Nocholas Ray è una drammatizzazione della Battaglia di Pechino, durante la Ribellione dei Boxer, che venne combattuta nel 1900, in cui allo scopo di liberarsi dall’invasione straniera, l’imperatrice Tzu-Hsi utilizzò la società segreta Boxer per attaccare gli stranieri in Cina.
Nel caso di Berlusconi il coprotagonista è Giorgio Napolitano, che dopo l’assemblea dei parlamentari diserta un convegno perché vuole dedicare “tutta l’attenzione” alla situazione politica, mentre ieri sera si era limitato a un gelido comunicato: “Verificheremo con maggiore esattezza”, facendo trapelare l’irritazione per il danno di immagine al Paese, mentre il solito Bondi si pronunciava contro il Colle che, secondo lui: “dà giudizi politici”.
Scrive il Fatto Quotidiano che il Presidente della Repubblica punta chiaramente a spezzare ogni nesso tra le sorti personali di Silvio Berlusconi e quelle della legislatura faticosamente avviata con le larghe intese. “C’è ancora tempo, e mi auguro se ne faccia buon uso per trovare il modo di esprimere – se è questa la volontà dei parlamentari del PdL – la loro vicinanza politica e umana al Presidente del PdL, senza mettere in causa il pieno svolgimento delle funzioni dei due rami del Parlamento”.
E se pochi giorni fa aveva invitato alla pacificazione tra politica e giustizia non risparmiando pesanti critiche alle toghe, ora riequilibra il tiro: “Non occorre poi neppure rilevare la gravità e assurdità dell’evocare un ‘colpo di Stato’ o una ‘operazione eversiva’ in atto contro il leader del PdL’”. Affari personali, insomma. La conclusione è ovvia ma dirompente per le speranze che forse Berlusconi ancora riponeva in una qualche “soluzione politica” ai suoi guai giudiziari. “L’applicazione di una sentenza di condanna definitiva, inflitta secondo le norme del nostro ordinamento giuridico per fatti specifici di violazione della legge, è dato costitutivo di qualsiasi Stato di diritto in Europa, così come lo è la non interferenza del Capo dello Stato o del Primo Ministro in decisioni indipendenti dell’autorità giudiziaria”.
Al Quirinale non va giù che la minaccia di Aventino da parte del Pdl sia arrivata proprio mentre il presidente del Consiglio Enrico Letta si trova a New York per decantare alla comunità finanziaria le opportunità di investimento in Italia e garantire la “stabilità” del Paese. Che un pregiudicato possa semisvuotare il parlamento pur di scampare alla sua condanna non deve apparire affatto rassicurante. Certo, come tutti Napolitano mette in conto che possa trattarsi di un bluff, di un colpo di coda prima dell’inevitabile uscita di scena (almeno come parlamentare) di Berlusconi, e prima che il duo Letta-Napolitano blindi gli alleati riottosi in un documento vincolante salva-larghe intese. Ma l’impatto negativo sull’immagine del paese resta devastante.
Così come devastante è la cessione di Telecom alla Telefonica spagnola e la notizia, diffusa con sempre maggiore forza, che presto tocherà all’Alitalia di passare in mano straniera, anche se, secondo il Corriere, i soci ancora frenano, con governo e management che rallentano il cammino dell’integrazione con Air France-Klm.
Ma, di fatto, dopo Telecom, un altro pezzo strategico della nostra economia sta per finire in mani straniere e si sa già che la compagnia franco-olandese attende gli esiti del prossimo consiglio di amministrazione di Alitalia, in calendario oggi, prima di avanzare una proposta, mentre venerdì è previsto tra l’altro un incontro tra i ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti di Italia e Francia e da Parigi sono arrivate comunque confermesull’intenzione di prendere parte all’aumento di capitale da 300 milioni di euro del gruppo italiano.
Sicché, Air France-Klm, entrata in Alitalia nel 2009 e oggi azionista al 25%, potrebbe portarsi sin sulla soglia del 50%, accompagnando l’acquisizione della maggioranza del capitale a una ristrutturazione del debito della compagnia italiana.
Certo il denaro non ha passaporti ed anche industrie della solida Germania come Grohe, società specializzata nella produzione di rubinetti e accessori per il  bagno e leader europeo del settore, passerà nelle mani del concorrente giapponese.
Ma il fatto è che da noi i pezzi sono gli ultimi che funzianono in uno stato disfunzionale e con una politica che manca del tutto di credibilità.
Già nel fine settimana le urla di Berlusconi, che, terrorrizzato dalla possibilità della decadenza e dal rischio che da Napoli o da Milano le procure possano chiederne l’immediata custodia cautela, aveva gridato ai quattro venti:” viviamo in una democrazia dimezzata, il potere appartiene ormai a un manipolo di magistrati, e qui si discute di un punto di Iva?”; facendo trasecolare (ancora una volta) tutta la stampa straniera.
Allo stato attuale, mentre Letta cerca di convincere il Nord America che siamo seri ed affidabili (ha detto anche giovani e questo rende la cosa ancora più incredibile considerando i tassi di natalità), per quanto le diplomazie si adoperino, il tempo passa e tutto è ancora fermo al punto di partenza: Berlusconi non vuol saperne di chiedere la grazia, vissuta come un atto di sottomissione, e al tempo stesso dice di non voler fare cadere il governo, che però è minacciato – a suo avviso – dall’atteggiamento del Pd: prima con il voto sulla sua decadenza, e ora con altre scaramucce di confine, come lo scontro sulla legge per l’abolizione del finanziamento ai partiti e quello sulle presidenze delle commissioni bicamerali.
Si comprende allora l’irritazione crescente del Colle, e si capisce meglio la mossa di Letta, la proposta del patto di semi-legislatura, che è un modo non solo per costringere il Pdl al chiarimento ma anche per depotenziare le manovre nel Pd, circoscrivendo gli effetti delle assise democratiche sul governo, fino quasi a parlamentarizzarle sulla legge di Stabilità, dove il premier si gioca il tutto per tutto. Insomma, i casi di un eventuale crac delle larghe intese potrebbero essere tanti, ma si riducono ad uno: il voto dell’Aula del Senato che estrometterà il Cavaliere dal Parlamento.
Tornando invece all’Italia in (s)vendita, apprendiamo dal Corriere Nazionale, che all’asta finisce anche inisce un pezzo degli Scavi di Pompei, esterno all’area archeologica, dal 1997 patrimonio mondiale dell’Unesco. Si tratta dei resti di una Necropoli, di recente scoperti in un agrumeto privato adiacente alle mura dell’antica città romana. L’anziana proprietaria, Antonietta Nunziata ha provato a cedere i beni alla Soprintendenza; la trattativa però non è andata a buon fine e lei non può farsi carico delle spese di restauro e mantenimento, da qui la decisione della vendita. Livio Provitera, legale della signora Nunziata. “Da cittadino – dice – diciamo che la cosa fa da una parte sorridere e dall’altra ci fa vergognare perché l’Italia, come accaduto in altre circostanze, perde man mano i pezzi. E i questo caso è un vero e proprio pezzo del sito archeologico di Pompei”.
Se l’Italia perde pezzi e credibilità, Berlusconi il sonno e Napolitano la pazienza sostituita da irritazione, noi comuni cittadini perdiamo del tutto la speranza, leggendo che un grande esperto come Domenico Moro, giornalista e autore del volume “Club Bilderberg”, raggiunto da ‘Lindro.it’ , non vede un gran futuro con l’affermazione di Angela Merkel, la quale, con la “Grosse Koalition”, introddurrà, in Germanie e negli altri Paesi, una riduzione degli investimenti statali e l’aumento delle tasse, il che provocherà una riduzione del Pil, quindi un aumento del deficit e del debito pubblico che sono calcolati in percentuale sul Pil.
Come altri prima di lui Moro dice che si tratta di misure assurde sul piano della gestione economica, specialmente in una situazione di crisi: quando c’è una crisi economica, lo Stato dovrebbe incentivare la ripresa investendo di più e supplendo, quindi, alla diminuzione degli investimenti privati. Invece, oggi si attuano politiche che sono procicliche e che, quindi, aumentano gli effetti negativi della crisi economica e, ripeto, peggiorano anche i conti dello Stato: le entrate dipendono dalle tasse, le tasse dall’andamento del Pil. Quindi, se io ho Pil e redditi che diminuiscono, di conseguenza avrò una riduzione del gettito delle imposte sui redditi e sui consumi.
Inoltre, diminuendo il Pil è chiaro che un debito pubblico, anche se diminuisce in termini assoluti, essendo calcolato sul Pil, in percentuale tende a crescere.
In sostanza: con il fiscal compact e coi Trattati di stabilità ci si è immessi in una situazione  di grossa difficoltà, in una specie di cul-de-sac dal quale possiamo uscire in un solo modo.
Mentre bisognerebbe revisionare, in modo complessivo, l’intero panorama del Fiscal Compact e del Trattato di Stabilità, specialmente se si considera che – dal prossimo anno in poi, l’Italia sarà costretta a tagliare una cifra pari ad un ventesimo del debito pubblico (55-58 mld all’anno).
E questo fa perdere il sonno e non solo a tutti noi.
Voluto da Samuel Bronston, girato in Spagna con 2 obiettivi principali: lo sfarzo della messinscena e il richiamo divistico dei suoi interpreti “”55 giorni a Pachino” è il film meno personale di N. Ray che, colpito da un infarto, lo lasciò dopo 2 mesi di riprese ai suoi assistenti ed è un classico coosso nel quale il massimo sforzo produce il minimo risultato.
Mi auguro ora, che gli sforzi di ricattop del Pdl e la resistenza del Pd per tramite di Napolitano, non durino troppo ed invece a qualche risultato conducano, di qualsiasi tipo, purchè si torni ad accuparsi di cose serie.

Carlo Di Stanislao

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