Campania: ecco perché non vogliono fare un registro tumori

Adelphi (1993), Greenland (2002), Re Mida, Eldorado e Cassiopea (2003), Mosca (2004) Terra Madre (2006), Dirty Pack (2007), Carosello (2008). Sono innumerevoli le inchieste giudiziarie maturate negli anni che attestano il rischio veleni in Campania e i nessi tra fonti ambientali inquinate e morti per cancro.registrotumorifotoEppure, per gli irresponsabili del “tutto va bene” sembra che […]

Adelphi (1993), Greenland (2002), Re Mida, Eldorado e Cassiopea (2003), Mosca (2004) Terra Madre (2006), Dirty Pack (2007), Carosello (2008). Sono innumerevoli le inchieste giudiziarie maturate negli anni che attestano il rischio veleni in Campania e i nessi tra fonti ambientali inquinate e morti per cancro.registrotumorifotoEppure, per gli irresponsabili del “tutto va bene” sembra che non basti mai. Prima le greggi di pecorelle che stramazzavano al suolo nelle campagne dell’Acerrano rigonfie di diossina. Ora i bambini, cui è riservata una più lenta e atroce agonia. Sullo sfondo, il registro regionale dei tumori che in Campania resta nei cassetti della giunta di Stefano Caldoro. Il registro è lo strumento che, come accade altrove, può offrire un’immagine nitida e aggiornata in tempo reale su quel che sta accadendo in Terra dei fuochi, ottimizzando gli interventi di bonifica e l’opera di prevenzione. Ma in Regione Campania il registro dei tumori non esiste. Perché? E per colpa di chi?
Maurizio Montella, epidemiologo dell’istituto oncologico Pascale di Napoli, fa parte del comitato scientifico insediato dal governatore Caldoro per attivare il registro: «In otto mesi – ha denunciato Montella – ci siamo riuniti solo due o tre volte senza combinare nulla. Nel comitato si è perso solo un sacco di tempo». Affermazioni gravi. Ma cadute nel vuoto. Eppure, il danno è enorme. L’assenza di un registro tumori, in una terra che ne avrebbe bisogno più di altre che ne sono fornite, vuol dire sottrarre ai cittadini e ai magistrati l’unico strumento scientifico di monitoraggio utile nelle aule di tribunale per sancire giuridicamente i nessi tra l’incremento dei tumori e la persistenza in loco di fonti di inquinamento. Senza i dati certificati, ci si ferma ai bla bla. E mai nessuno paga pegno.
Illuminante è rivisitare l’iter amministrativo del mancato registro. Il 10 luglio 2012, all’unanimità, i 62 consiglieri approvano in Regione Campania la legge numero 19 che istituisce il registro per i tumori. Evviva, finalmente. Ma pochi mesi dopo, il 14 settembre 2012, l’Autorizzazione unica ambientale, organo di controllo dello Stato italiano, impugna dinanzi alla Corte costituzionale la legge perché «contiene alcune disposizioni in contrasto con il piano di rientro dal disavanzo sanitario della Campania». La Consulta, alla fine, accoglie l’istanza di stop e boccia il registro, perché «troppo oneroso e fuori budget». I giudici, con la sentenza numero 79, ritengono che «la legge approvata in Campania viola gli articoli 117 comma 3 e 120 comma 2 della Costituzione». Che vuol dire? Vuol dire che «non è il registro a essere stato censurato, ma l’istituzione di nuovi uffici e di nuovi incarichi professionali che imporrebbero oneri aggiuntivi incompatibili con il piano di rientro previsto per la Campania».
Insomma, i consiglieri regionali (51 dei quali saranno di lì a poco convocati dalla procura di Napoli per l’inchiesta sullo scandalo dei regalini fatti a spese della comunità e dei rimborsi spese gonfiati) hanno approvato all’unanimità la legge sul registro, però ne hanno clamorosamente sbagliato l’elaborazione. C’è da chiedersi: davvero i consiglieri di Regione Campania hanno commesso una così imbarazzante gaffe in (unanime) buona fede o hanno sbagliato consapevoli che l’incremento dei costi “per nuovi uffici e consulenze” avrebbe indotto la Consulta a respingere il provvedimento? Ma c’è di peggio. Di fronte al no della Consulta, il 24 settembre 2012 il governatore Caldoro ha varato un decreto-legge che, in attesa di una nuova proposta legislativa, si propone di attivare comunque il registro tumori. Una correzione di rotta? In apparenza, sì. Ma nel decreto, il coordinamento e la lettura dei dati raccolti dalle Asl non vengono affidati, come in Lombardia, all’istituto di ricerca oncologica Pascale (la struttura, cioè, più accreditata sul territorio) ma all’Osservatorio epidemiologico regionale, che opera sotto il controllo di Regione Campania. Il direttore dell’Osservatorio è dal 1987 Renato Pizzuti, che dirige anche il dipartimento per la Sanità regionale, il comparto più importante, di cui il governatore Caldoro ha assunto le deleghe. Insomma, ancora una volta il controllore e il controllato finiscono per sovrapporsi. E ancora: ad assumere le decisioni sui dati e sugli interventi sarà un comitato scientifico composto da 12 membri nominati da Caldoro.
L’unico esponente dell’istituto Pascale ammesso è l’epidemiologo Maurizio Montella che, dopo otto mesi, ha commentato così l’esperienza: «Per me commissioni e comitati come questo non servono a niente: sono solo un modo per allungare il brodo. Eliminare l’istituto Pascale dal coordinamento dei lavori è stato un errore imperdonabile: in Svezia, in Europa, in altre città d’Italia una simile assurdità non sarebbe stata consentita. Nel comitato ho visto solo beghe, invidie, lotte per acquisire visibilità e finanziamenti».

Enzo Ciaccio

 

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