L’esplorazione spaziale dell’Uomo, tra fede, scienza, tecnologia e ragione

“La Terra è la culla dell’umanità. Ma chi vuole rimanere per sempre nella culla?”(Costantin E. Tsiolkovski). Fiat lux! Esiste un Progetto di un Propulsore nucleare made in Italy destinato a ridurre al minimo la durata del viaggio di una nave interplanetaria nella tratta Terra–Marte–Terra, chiamato Progetto 242, nato da un’idea del Premio Nobel Carlo Rubbia, […]

“La Terra è la culla dell’umanità. Ma chi vuole rimanere per sempre nella culla?”(Costantin E. Tsiolkovski). Fiat lux! Esiste un Progetto di un Propulsore nucleare made in Italy destinato a ridurre al minimo la durata del viaggio di una nave interplanetaria nella tratta Terra–Marte–Terra, chiamato Progetto 242, nato da un’idea del Premio Nobel Carlo Rubbia, scienziato di fama mondiale, nominato Senatore a vita dal Presidente della Repubblica Italiana, Giorno Napolitano, Venerdì 30 Agosto 2013, definito da Fernando Ferroni, Presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, “un vulcano di idee, una personalità dall’intelligenza straordinaria, di un’energia sovrumana e con una passione per la fisica incredibile”. Anche se la deviazione gravitazionale orbitale della cometa C/2012 Ison ipoteticamente prodotta dall’incontro ravvicinato con la massa del Sole il prossimo 28 Novembre 2013, per l’impatto sulla Terra poche settimane dopo, è l’eventualità più remota di sempre, più improbabile dell’estinzione dei dinosauri, 65 milioni di anni fa, causata da un frammento di 10 Km di diametro dell’asteroide Baptistina, oggi non esistono ancora, dopo 63 anni di voli pubblici nello spazio, astronavi di salvataggio private per mettersi in salvo! Per cui un solo trilione di megatoni di energia da impatto cosmico, potrebbe tranquillamente cancellare la nostra civiltà umana in pochi minuti e in qualsiasi istante. Banalmente come sa fare Madre Natura nell’Universo e sulla Terra: oltre sette miliardi di persone perirebbero a causa dell’Hiroshima culturale nella quale siamo fatalmente immersi. Per questi motivi il Professor Rubbia offre una Lezione magistrale ai parlamentari ed alla società civile italiana. È sua l’invenzione del primo Motore nucleare spaziale ispirato alle pionieristiche ricerche americane negli Anni 50’ e 60’ sui propulsori nucleari Nerva studiati dal fisico Stanton T. Friedman. La navicella a propulsione nucleare del Senatore Rubbia può raggiungere il Pianeta Rosso in appena due mesi, tra andata e ritorno, anziché due anni. Nome in codice: Progetto 242. L’astronave del Professor Rubbia è alimentata dalla fissione nucleare dell’elemento Americio-242, un isotopo in grado di offrire una generosa spinta fotonica capace di eliminare cinque dei 15 principali problemi del viaggo interplanetario e interstellare, tra cui: il rifornimento di carburante nello spazio, le fionde gravitazionali dei pianeti (i cosiddetti ‘flyby’ di assistenza gravitazionale) necessarie a far muovere le sonde automatiche in missioni burocratiche elefantiache e la durata del viaggio per gli astronauti esposti alle radiazioni cosmiche letali. L’Agenzia Spaziale Italiana avviò alcuni anni fa uno studio di fattibilità del motore nucleare di Carlo Rubbia, che si concluse positivamente. Ma poi, tra i difetti dei politicanti italiani, le titubanze legate al nucleare da parte degli Usa, della Nasa e delle lobby ambientaliste, e gli avvicendamenti politici nel Belpaese senza soluzione di continuità ideologica anti-nucleare tout court, come al solito tutto si arenò. Con buona pace di quanti oggi ululano alla Luna per la soluzione della gravissima crisi economica italiana dei mille suicidi imprenditoriali. Il Senatore Carlo Rubbia crede ancora nel Progetto 242 da lui ideato? “Senza qualche forma di nucleare su Marte non ci si arriverà mai – fa notare il fisico Carlo Rubbia – occorre un buon nucleare, con l’Americio-242 il viaggio si può fare, è abbastanza potente e sicuro, si può andare su Marte e tornare quando si vuole”. Prima di spiccare il volo su Giove, Saturno, Urano e Nettuno, a caccia di pioggia di diamanti e idrocarburi. Il Progetto 242 fu varato da Rubbia nel 1998. La fissione dell’Americio-242 genera gas iperveloci per la spinta dell’astronave. In teoria il razzo nucleare di Rubbia potrebbe essere accoppiato alla Stazione Spaziale Internazionale oggi in orbita a 400 Km di quota. Il sistema di propulsione nucleare del professor Rubbia è detto “a impulso”, in quanto sfrutta la spinta prodotta da particelle di Plasma molto calde e veloci. Il sistema di propulsione ionico nucleare a impulso di Rubbia è un efficiente sostituto della combustione chimica che alimenta i normali obsoleti razzi del XX Secolo. Il quarto vantaggio rispetto ai vettori tradizionali più obsoleti risiede nella possibilità di dedicare un minor volume e una minor massa al sistema di propulsione dell’astronave, generando indubbi vantaggi economici nella realizzazione del viaggio interplanetario e interstellare. Il quinto vantaggio di questo sistema risiede nella capacità di generare una spinta continua che svincoli la nave spaziale dagli allineamenti gravitazionali dei pianeti per percorrere centinaia di milioni di chilometri nel Sistema Solare in pochi giorni, a un (1) solo “G” di accellerazione. Naturalmente l’habitat vitale dell’astronave di Rubbia deve essere dotato di un efficiente campo elettromagnetico in grado di schermare gli astronauti dalle radiazioni cosmiche e dalle particelle prodotte dal propulsore nucleare. In tre laboratori del Cnr, dell’Enea e dell’Università di Pavia iniziarono le prime sperimentazioni sui diversi aspetti fisici che riguardano il Progetto 242. Così fu battezzato dall’Agenzia Spaziale Italiana. Come funziona il Motore Nucleare di Carlo Rubbia? Il nuovo Propulsore P-242 è di tipo nucleare. Non atomico! Grazie a una camera di combustione dentro la quale il rimbalzo continuo di neutroni riscalda un gas (Idrogeno) che uscendo dall’ugello di scarico fornisce la spinta necessaria per muoversi nello spazio alla velocità di almeno 40 chilometri al secondo, ossia 144mila chilometri orari. In appena 2,7 ore possiamo raggiungere la Luna; Marte in appena 694 ore, assumendo la distanza massima dalla Terra al lancio, di 100 milioni di Km, ossia in 29 giorni. La materia prima per far funzionare il propulsore di Rubbia è l’Americio-242, un materiale rarissimo. Nel 1998 ne esisteva appena un milligrammo in Russia. La prima sfida da risolvere è quella di trovare il modo di produrlo in Italia, grazie alle libere imprese Start-up dei giovani scienziati. Nelle ricerche finora svolte è stata verificato un metodo per fabbricare l’Americio in discrete quantità, alcuni chilogrammi, irraggiando con un acceleratore di particelle un isotopo, l’Americio-241, che è invece più abbondante. Pensate, è sotto gli occhi di tutti perchè l’Americio-241 si trova in commercio anche nei rilevatori di fumo e si ricava dal decadimento del Plutonio, le cui scorie abbondano in Italia tra le decine di testate nucleari della Nato e i rifiuti dei nostri vecchi reattori. Il primo passo più importante è stato compiuto. Si tratta ora di metterlo in pratica con un coraggioso atto politico di sovranità nazionale (Art. 1 Costituzione della Repubblica Italiana). Parallelamente si stanno affrontando altre questioni di base: il metodo per “fissare” l’Americio alle pareti interne del motore nucleare di Rubbia. La strada è politicamente lunga ma l’ASI è determinata a percorrerla velocemente con tutte le carte in regola! Perché l’idea del Professor Rubbia è decisamente innovativa. Si tratta di trovare le risorse necessarie, anche private, di corporation e multinazionali decise ad investire in questo grande Progetto strategico mondiale per il rilancio del Belpaese. “I sogni di oggi sono la realtà del domani” – diceva Robert Goddard che 87 anni fa sperimentò negli Stati Uniti il primo razzo a propellenti liquidi. L’importante è crederci culturalmente, impegnandosi nel realizzarli senza fare brutte figure internazionali. Come nel caso del Ponte sullo Stretto di Messina e delle nuove centrali nucleari intrinsecamente sicure in Italia. I nostri scienziati e tecnici sono pronti a realizzare il razzo nucleare del Senatore Carlo Rubbia che non presenta alcuna parte in movimento, il che ne aumenta di molto l’affidabilità nelle navette spaziali ad uso pubblico e privato. Si tratta infatti di un grande tubo internamente ricoperto da una pellicola di combustibile nucleare, spessa un millesimo di millimetro, in grado di raggiungere immediatamente le condizioni per la fissione nucleare indotta con il metodo classico del bombardamento di neutroni. I quali, colpendo il combustibile nucleare all’interno del tubo, spaccano i nuclei del propellente emettendo i frammenti di fissione da cui il motore di Rubbia prende il nome. Due sono le alternative (finora) per impiegare con la massima efficienza i frammenti di fissione: la prima è quella di utilizzare direttamente i frammenti nella propulsione nucleare; la seconda più promettente è quella di condurre, tramite gli oltre 500mila gradi Celsius raggiunti nella reazione nucleare, il gas di Idrogeno al quarto stato di aggregazione della materia, ionizzandolo fortemente in modo da farlo diventare Plasma che viene poi sospinto fuori dal razzo creando la notevole spinta propulsiva. Normalmente nessun recipiente fisico resisterebbe a così alte temperature. La soluzione è di guidare il Plasma nucleare tramite forti campi magnetici: la tecnologia per fare questo è già disponibile ed è su questa che attualmente si basano i reattori sperimentali per lo studio della fusione nucleare a confinamento magnetico. L’Italia può giocare un ruolo di assoluto prestigio mondiale nel Progetto 242 del Senatore Carlo Rubbia. L’equipaggio umano sarebbe protetto dalle radiazioni prodotte dalla fissione, comunque inferiori a quelle prodotte dalle particelle del vento solare, da schermi di un composto di boro e carbonio, e la reazione di fissione si potrebbe interrompere, come in un qualunque reattore nucleare, tramite le barre di controllo che assorbono i neutroni. Inoltre l’acqua è un potente scudo anti-radiazioni e può essere utilizzata per schermare il reattore e le intercapedini dell’habitat vitale dell’astronave governata da computer perfettamente integrati con l’hardware, alla maniera dell’Apple. Il propulsore nucleare di Carlo Rubbia è adatto solo a viaggi all’esterno della nostra atmosfera terrestre: produce inizialmente una spinta modesta rispetto ai tradizionali razzi chimici utili per conquistare l’orbita e/o velocità di fuga dalla Terra. Ma il motore nucleare di Rubbia offre una propulsione prolungata nel tempo e con velocità di uscita dall’ugello molto maggiori. L’astronave di Rubbia, progettata innanzitutto per raggiungere Marte e Giove, avrebbe le dimensioni della Prometheus di Ridley Scott. Può essere assemblata in orbita, sulla Stazione Spaziale Internazionale, poiché il progetto del motore nucleare consente la suddivisione della nave spaziale interplanetaria in più moduli, lanciabili nello spazio da vettori e in tempi differenti. Nulla vieta che possa essere perfettamente integrata sulla ISS che diventerebbe così una gran bella astronave riutilizzabile spinta da appena 110 tonnellate di motore e propellente contro il rapporto combustibile/carico utile di 280/1 rispetto agli attuali propulsori chimici tradizionali per la medesima missione su Marte. Con gli obsoleti propulsori praticamente tutto il combustibile chimico, Idrogeno e Ossigeno, viene utilizzato per lasciare la superficie dei pianeti mentre la spinta verso Marte e ritorno, è garantita dalla traiettoria di Hohman, una specie di orbita ellittica che ha la Terra come semiasse inferiore e Marte come semiasse superiore. Questo rende il viaggio di andata e poi quello di ritorno lunghi rispettivamente 259 giorni, più i 453 giorni di permanenza obbligata sul Pianeta Rosso per aspettare la successiva congiunzione con la Terra, condizione indispensabile per il ritorno. Mentre gli astronauti in orbita attorno alla Terra sono protetti dal campo magnetico terrestre e dalle famose Fasce di Van Allen, gli astronauti in viaggio su Marte sarebbero alla mercé del vento solare, dei raggi cosmici ed assorbirebbero una quantità di radiazioni simile a quella dei primi soccorritori a Chernobyl nell’Aprile 1986. Con il propulsore a frammenti di fissione di Rubbia i tre inconvenienti, durata del viaggio, esposizione e permanenza, sarebbero superati. La missione per Marte durerebbe al posto che due anni e mezzo solamente un mese circa e si aprirebbero affascinanti possibilità di esplorazione del Sistema Solare. Gli obiettivi potrebbero anche essere sempre più remoti. Per raggiungere Alfa Centauri B (la nostra stella più vicina dopo il Sole e Proxima Centauri) dov’è stato scoperto il primo pianeta alieno di taglia terrestre nell’Ottobre 2012 grazie al Very Large Telescope dell’ESO, occorrebbero ad una nave spaziale equipaggiata con il Propulsore Rubbia appena 200 anni contro gli attuali 82mila delle sonde classiche stile Voyager o Pioneer prive di motori. Duecento anni che scenderebbero forse a 20 con la propulsione aneutronica termonucleare. Le ricerche di Carlo Rubbia coprono molti aspetti della fisica delle particelle elementari al Cern di Ginevra ed ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn. L’attività di ricerca del Professor Rubbia, autorevole docente al Gran Sasso Science Institute, spazia dallo studio della Forza fondamentale elettrodebole, ai neutrini cosmici, dall’analisi della stabilità del protone al Progetto di una fusione nucleare controllata, alla fattibilità di un reattore nucleare basato sull’utilizzo dell’elemento Torio come materiale radioattivo, alla produzione di energia elettrica infinita grazie al Sole. Negli anni successivi al Nobel del 1984, Rubbia comincia a interessarsi ai problemi energetici e studia un reattore a fissione sicuro in cui i neutroni della reazione a catena vengono prodotti tramite un acceleratore di particelle. Il reattore resta allo stadio di progetto. Il suo motore nucleare interplanetario usa solo 2,5 Kg di Americio-242. Rubbia si interessa anche di Materia ed Energia oscure. L’esperimento da lui proposto, WARP, cerca di rivelare la presenza di Materia Oscura sotto forma di WIMPs. Rubbia poi si trasferisce in Spagna (ne conosciamo i motivi) per costruire le prime centrali solari termiche che mirano a sostituire le attuali centrali elettriche a combustibili fossili. Accetta l’invito a ritornare a lavorare in Italia nello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. L’attività più recente di Carlo Rubbia è rivolta al problema della produzione di energia mediante nuove tecnologie, quale Presidente dell’Enea, l’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente dal 1999. Il Progetto Archimede di Carlo Rubbia punta sulla captazione e sull’accumulo dei raggi solari con speciali specchi parabolici per arrivare, con una tecnologia innovativa Enea, alla disponibilità infinita di energia elettrica. Si utilizzano i raggi del Sole che vengono raccolti in modo continuativo per poi essere concentrati su un tubo assorbente di nuova generazione tecnologica ecologica, posto sul fuoco delle parabole, al cui interno scorre un fluido termovettore. Questo si scalda raggiungendo temperature molto elevate e si convoglia in un serbatoio a caldo. Da qui passa in uno scambiatore, in cui cede parte del calore che produrrà vapore da immettere nel gruppo turbine, già operanti, di una centrale. A questo scopo è stata scelta la centrale Enel di Priolo. Il fluido del termovettore è di fatto un comune fertilizzante né infiammabile né inquinante che può raggiungere temperature elevatissime. A 550 gradi Celsius si può svolgere tutta l’operazione per produrre energia elettrica. Ad oltre 850 gradi Celsius si può operare per ottenere l’Idrogeno. Un aspetto primario del Progetto Archimede è che si ha la possibilità di accumulo, pertanto anche nelle giornate piovose il processo può andare avanti. Idem di notte. La prima applicazione pratica è la centrale Enel di Priolo (Siracusa) da 720 MegaWatt di potenza, di cui 30 forniti dal Progetto di Rubbia. Attualmente per ogni MegaWatt prodotto occorre un’area operativa di 2 ettari. Ecco perché se il Progetto Archimede fosse attuabile in grandi aree assolate e libere, come ne esistono in Africa, la produzione elettrica, per questa via, avrebbe ben altre proporzioni mondiali, annullando i mercati delle armi, delle carestie, delle malattie, delle guerre e delle Ong. La produzione poi potrebbe essere trasportata dove si vuole con elettrodotti. Questa è l’Italia vera, autentica, che sogna, progetta e lavora, con l’aiuto di Dio per la Pace vera. Con un “pieno” di Americio-242 e con questi motori innovativi, dove si potrà arrivare per la costruzione della futura generazione di navicelle spaziali pubbliche e private? Il Progetto 242 ha anche una valenza ecologica. L’Americio-242 appartiene alla categoria delle scorie radioattive da eliminare. Portarlo nello spazio per accendere il futuro dell’umanità in Pace, è un modo eccellente per liberarsene. Il Progetto 242 ha superato la fase più difficile, quella relativa alla sua fattibilità. “L’ASI ha detto che è possibile realizzarlo – rivela Carlo Rubbia – ma, attualmente, il P-242 è sospeso, ufficialmente per mancanza di fondi. Per andare oltre la Luna il vettore nucleare è un passaggio obbligato. Ho scritto un bel lavoro e l’ho proposto alle autorità. Di più non potevo fare”. Un altro progetto importante di Carlo Rubbia riguarda la cosiddetta Materia Oscura, studiata dal Satellite Planck spento poche ore fa. “Oggi sappiamo che il 95 per cento della materia esistente nel Cosmo non è adronica, non è fatta cioè degli elementi che compongono noi e il resto della Natura conosciuta, quelli della tavola di Mendeleev. Non è scaturita dalla sintesi nucleare del Big Bang ed è insieme oscura e trasparente. È come se su 100 persone, 95 fossero come l’uomo invisibile e solo 5 normali. La realtà dell’Universo ci sfugge e se riuscissimo a svelare il suo vero volto – fa notare Rubbia – sarebbe una scoperta straordinaria, non solo dal punto di vista scientifico ma soprattutto da quello culturale e filosofico. Una specie di rivoluzione, paragonabile a quella Copernicana ed a quella di Darwin. Una cosa che resterà per secoli”. Il Progetto Archimede in Italia costa una cinquantina di milioni di euro. “Una volta prodotti su scala sufficientemente grande i sistemi di captazione ed accumulo dell’energia solare, la produzione di calore ad alta temperatura sarebbe realizzata ad un costo di circa 2 euro per gigajoule, non superiore a quello previsto per il gas naturale e il petrolio” consentendo “di risparmiare 13mila tonnellate di petrolio all’anno ed evitato l’emissione in atmosfera di 40 milioni di chilogrammi di anidride carbonica. Dal punto di vista dei principi la tecnologia oggi è largamente internazionalizzata”. I fatti sono noti. Rubbia preferì lasciare l’Italia alcuni anni fa per realizzare il suo Progetto in Spagna. “Tante cose che si potevano fare in Italia si fanno altrove. È il caso di quest’energia solare, rinnovabile, che risolve un problema vasto come l’umanità stessa. Purtroppo in Italia certi interessi di partito hanno avuto il sopravvento su quelli della collettività e sulla possibilità di realizzare qualcosa di originale. Questa tecnologia sta prendendo piede negli Usa, in Israele, in Spagna e in Germania. In Italia, invece, la montagna ha partorito il topolino”. Il Progetto Archimede si distingue dal normale fotovoltaico. “Il sistema ha due caratteristiche importanti. Anzitutto, permette di accumulare ingenti quantità di energia. Per esempio, una superficie di 200 km per 200, con questo metodo potrebbe produrre” a costi bassissimi “l’energia primaria del Pianeta Terra, cioè tutto il petrolio, tutto il gas naturale e tutto il carbone che consumiamo su scala mondiale” a costi elevatissimi. “L’uno per mille delle zone desertiche, quelle sopra l’Equatore, potrebbe essere utilizzato per generare la stessa quantità di energia. Un millesimo della superficie dell’Arabia Saudita, messa a specchi solari, basterebbe a coprire, in termini energetici, la sua produzione in petrolio”. E cos’è l’uno per mille? “È niente!”. Allora, perché non vogliamo farla, questa cosa straordinaria? “Non lo so, ma penso che il processo di cambiamento sia difficile e lungo, e che in Italia l’ignoranza crassa di certa politica abbia imposto il silenzio stampa sulla questione”. Adesso i tecnici si stanno formando in Spagna. “Assolutamente sì, è un guaio. È ovvio che tutti un giorno sfrutteranno questa tecnologia in un modo o nell’altro: ci saranno quelli che avranno sviluppato il sistema e che offriranno posti di lavoro ai giovani tecnici, e quelli che dovranno pagare un prodotto. È spiacevole pensare che un Progetto nato in Italia si realizzi altrove, ma non è colpa mia. Aver perso questa occasione è un grave errore”. I problemi italiani riguardano l’intera filiera della conoscenza scientifica, dell’applicazione tecnologica, dalla divulgazione alla ricerca, dalle accademie alle istituzioni, dalle imprese all’Intelligence governativa per proteggere i nostri brevetti e scienziati. “Il fatto è che il numero di persone che acquistano gli equivalenti nostrani di Nature o Science è irrisorio. Non è colpa degli scrittori, ma di chi non legge. Comunque sia, in Italia la divulgazione consiste molto spesso nel tradurre articoli dall’inglese e pubblicarli. Manca una filiera di sostegno, non è bello vivere di luce riflessa. Bisogna incoraggiare i nostri autori a scrivere dei libri originali che siano fondamentalmente italiani. D’altra parte, l’intelligenza umana è una qualità universale. In linea di principio non c’è ragione per non fare una buona informazione, anche in Italia. Si deve fare in modo di assicurare agli scrittori una possibilità, e di fare in modo che si possa tradurre in realtà. Certo, il fattore commerciale è importante, ma pesa molto il fatto che la Scienza non sia considerata Cultura, come nei paesi anglosassoni”. L’informazione scientifica vale moltissimo nei Paesi democratici avanzati. Come la ricerca. “Bisognerebbe anzitutto capire se l’Italia sia ancora un Paese di punta. Siamo o no in grado di stare al passo coi tempi, di fare quello che si fa in America o in Danimarca? Ci troviamo di fronte a delle trasformazioni straordinarie nella ricerca ed a fenomeni che riguardano anche i Paesi emergenti, come l’India e la Cina. Personalmente – rivela Rubbia – ho parecchio a che fare con la Spagna e devo ammettere che lì la ricerca è percepita come qualcosa di più importante di quanto non sia in Italia. Ma da noi la classe politica è cieca rispetto a queste cose. Spiace dirlo, ma questa è la situazione”. Il Professor Rubbia consiglia ad un giovane dotato per le materie scientifiche “di affermarsi all’estero: in certi Paesi i nostri ricercatori sono molto apprezzati” per poi fare ritorno in Italia. “C’è una scienza fondamentale che ci racconta da dove veniamo, che cosa ci fosse 13,7 miliardi di anni fa. Ci parla del Big Bang e del Cosmo che ci circonda. Non ha applicazioni pratiche e non è utile, ma rappresenta una funzione fondamentale dell’Uomo, quella di rispondere alla curiosità innata negli umani. L’Uomo ha sempre avuto il desiderio di conoscere. Non è una questione della nostra civiltà. Sempre gli Uomini si sono posti delle domande fondamentali: come sono fatte le stelle, come si può curare la gente? Sono cose che non hanno un ritorno economico, ma che fanno parte dell’Umanesimo nella sua forma più profonda. C’è poi una fisica applicata che viene utilizzata per costruire, per realizzare le idée”. Questa è la tecnologia, l’ingegneria. “Serve, ad esempio, per sviluppare i calcolatori e i personal computer. Voglio solo ricordare che il Cern (Consiglio europeo per la ricerca nucleare) che ho diretto per diversi anni, ha lanciato il Web, e non credo che ci sia niente di più pratico e di più utile”. Oggi il Professor Carlo Rubbia è in Italia da Senatore della Repubblica per rilanciare il Miracolo Italiano degli Anni Sessanta. Non per turismo intellettuale. Ma per creare ricchezza e salvezza. Per tutti. C’è poi il Boro per volare sulle altre stelle. John J. Chapman è un fisico ed ingegnere elettronico della Nasa al Langley Research Center della Virginia (Usa). Ha presentato a Chicago, allo IEEE Symposium on Fusion Engineering, uno studio per la realizzazione di un nuovo motore spaziale alimentato a fusione nucleare. Nel suo studio Chapman ipotizza di utilizzare il Boro come propellente, al posto dei più comunemente utilizzati Deuterio e Trizio. Rispetto a questi il Boro ha la caratteristica di essere un propellente aneutronico, con molti vantaggi rispetto alla fissione nucleare convenzionale. La fusione aneutronica genera molti meno neutroni radioattivi durante la reazione: meno dell’un per cento (1%) rispetto alle particelle cariche di energia che sono il risultato della fissione. Per questa caratteristica essa è molto meglio gestibile. “I neutroni sono problematici – spiega Chapman – perché per prima cosa sono difficili da contenere. Per aver a che fare con i neutroni hai bisogno di un muro di assorbimento che converta l’energia cinetica delle particelle in energia termica. In effetti tutto quello che hai è un’idea di motore termico con tutte le sue perdite e limitazioni”. Nello studio di Chapman, invece, il reattore a fusione aneutronico fa uso di un laser per avviare la reazione e di Boro-11. Non è però una novità. Già qualche anno fa, infatti, alcuni scienziati russi erano riusciti a produrre una reazione di fusione mediante laser e Boro. In laboratorio avevano creato una sfera di plasma ad una temperatura di un miliardo di gradi centigradi. La reazione di fusione risultante era molto pulita, virtualmente senza l’emissione di neutroni. Però l’energia consumata dal laser era superiore a quella ottenuta dalla reazione stessa. Molto presto questa tecnologia consentirà di creare energia pulita. Attualmente le maggiori speranze per la generazione di energia da fusione si affidano all’uso di forti campi magnetici per confinare un toro di plasma caldissimo di nuclei: l’International Thermonuclear Experimental Reactor (ITER) acceso a Cadarache (Francia) userà questo metodo per fondere insieme nuclei di Deuterio e Trizio, una reazione che però produce anche grandi quantità di neutroni. I quali, quando colpiscono le pareti del reattore, generano isotopi radioattivi di Berillio di cui bisogna in seguito sbarazzarsi, nonostante si tratti di scorie più pulite rispetto ai sottoprodotti della fissione nucleare. Alcuni fisici hanno suggerito di usare un processo di fusione differente, nel quale si fondono insieme protoni e nuclei di Boro in una reazione che non genera virtualmente alcun neutrone. Il problema è che per dare inizio alla fusione sono necessarie temperature di un miliardo di gradi, oltre dieci volte quelle necessarie per la reazione Deuterio-Trizio. I fisici russi sono riusciti a raggiungere questo obiettivo in un sistema che non richiede grandi magneti per confinare la reazione. “Usando i laser – spiega Vadim Belyaev del Central Research Institute for Machine Building di Koralev (Russia) – abbiamo ottenuto per la prima volta una reazione Protone-Boro aneutronica”. Gli scienziati hanno inviato impulsi laser di 10-12 secondi contro sferette di Politene contenenti atomi di Boro. Hanno così creato un intenso plasma caldo nel quale i protoni del Politene si sono fusi con i nuclei di Boro, frantumandoli e liberando nuclei di Elio, le particelle Alfa che tendono a restare nel mezzo della reazione anziché scappare. Cosa più interessante, gli scienziati non hanno rivelato l’emissione di neutroni. Lo studio apre la porta a una tecnologia ecologicamente pura per la produzione di energia nucleare. Il nuovo lavoro di Chapman è uno studio teorico. Tuttavia egli sostiene che la reazione di fusione ipotizzata generi molta più energia di quanta ne sia necessaria al suo funzionamento, con un’efficienza molto alta. Un’astronave alimentata con un reattore a fusione aneutronico, farebbe letteralmente miracoli! Un laser di quelli già disponibili in commercio dà il via alla reazione. Un raggio di energia nell’ordine di 2 per dieci elevato alla 18ma potenza di Watt per centimetro quadrato con una frequenza d’impulso fino a 75 MHz e una lunghezza d’onda tra 1 e 10 µm, viene direzionato verso un target del diametro di 20 cm composto da 2 strati. Il primo strato è una lamina di metallo conduttivo il cui spessore varia tra 5 e 10 µm. Essa risponde al campo elettrico di un TeraVolt per metro, creato dall’impulso laser, “comportandosi – sostiene Chapman – come un acceleratore di protoni”. Il campo elettrico rilascia uno sciame di elettroni ad alta energia dalla lamina di metallo, lasciando dietro di sé una grandissima carica positiva. Ne risulta una massiccia forza repulsiva tra i protoni della lamina e tale forza causa di fatto l’esplosione del materiale metallico rimanente. Questa esplosione accelera i protoni nella direzione del secondo strato, un film di Boro-11. Tali protoni portano con sé un’energia di circa 163 KeV (chilo-elettron-Volt, migliaia di elettronvolt) e colpendo i nuclei degli atomi di Boro formano nuclei eccitati di Carbonio, i quali decadono immediatamente ciascuno in un nucleo di Elio-4 (una particella Alpha) ed in un nucleo di Berillio. Quasi istantaneamente quest’ultimo decade, dividendosi in due particelle Alpha. Quindi, per ogni coppia Protone-Boro che reagisce, si ottengono tre particelle Alpha, ognuna con un’energia cinetica di 2,9 MeV (mega-elettron-volt, milioni di elettronvolt). Le forze elettromagnetiche spingono il target e le particelle Alpha in direzioni opposte. Queste ultime uscendo dal veicolo spaziale attraverso l’ugello di uscita forniscono una spinta velocissima. Degna dei motori a impulso dell’Enterprise, del Millennium Falcon, della Venture Star e della Prometheus. Secondo Chapman ogni impulso laser dovrebbe generare circa 100mila particelle Alpha rendendo il tutto significativamente efficiente: con ulteriori migliorie nei sistemi laser a impulso breve, i suoi calcoli potrebbero rendere questa spinta sempre più efficiente, fino a più di 40 volte rispetto all’attuale propulsione a ioni. Anche al 50 per cento di efficienza, 40 grammi di Boro come propellente porterebbero ad un’energia di 1 Giga-Joule, un miliardo di Joule. La potenza specifica del Boro in questo processo di reazione dovrebbe essere così grande che una sola mole (11 grammi) potrebbe produrre circa 300 MegaWatt. Se al posto del Boro si utilizzasse questa tecnica di fusione aneutronica con l’isotopo Elio-3 (disponibile in quantità massicce sulla Luna) la potenza producibile per singola mole potrebbe arrivare fino a 493 MegaWatt. Il Boro ha l’indubbio vantaggio di essere più abbondante sulla Terra rispetto all’Elio-3. Sempre secondo Chapman un altro grande vantaggio della propulsione spaziale a fusione nucleare aneutronica è che parte dell’energia generata potrebbe essere convertita in elettricità per alimentare i sistemi di bordo del veicolo spaziale, anche qui con un alto rapporto di efficienza. Per arrivare ad un motore operativo, secondo Chapman, ci potranno volere meno di dieci anni. Chiunque, con una nave spaziale super-accessoriata alimentata con questa particolare reazione di fusione nucleare aneutronica, potrebbe dominare il mondo e il Sistema Solare. “Ci vuole un lavoro di gruppo per arrivare ad avere qualcosa da mandare nello spazio” – rivela lo scienziato. È una strada molto affascinante e promettente in tempo di Pace e di Libertà fondamentali in una cornice giuridica certa. Data la sua importanza la prima cosa che consigliamo caldamente è di evitare la Terza Guerra Mondiale, realizzare un Accordo di collaborazione internazionale per la Liberalizzazione dell’Impresa Spaziale Commerciale Privata, approfondire la fusione nucleare aneutronica con laser e Boro, applicarla alla propulsione spaziale e così, con un effetto domino, risolvere le 101 emergenze planetarie. Insomma i Mercati e le Corporation si destino dal sonno della ragione e dall’incubo speculativo del debito! Non manca chi crede ancora e fortemente alla colonizzazione umana dello spazio che non necessariamente vedrà come prima tappa Marte. Forse sulle altre stelle incontreremo civiltà aliene extraterrestri fiorenti o estinte. E tutto questo non merita l’investimento della modica cifra (rispetto alle spese per gli armamenti) di qualche miliardo di Euro, grazie alla Liberalizzazione dell’Impresa Spaziale Privata, per inventare e costruire la prima vera nave interstellare a propulsione fotonica aneutronica, magari soltanto per qualche ricerca eso-archeologica in situ come suggerisce il kolossal Prometheus di Ridley Scott? Ci sono civiltà aliene fiorenti o estinte lassù? Siamo soli nell’Universo? Chi può offrire una risposta a queste domande universali se non un’esplorazione diretta? Non resta che navigare liberamente su questi esomondi alieni. Le corporazioni e le multinazionali minerarie, a questo dovrebbero pensare, invece di dormire e di continuare a perforare la Terra! Esercitazioni di navigazione interstellare ed eso-planetaria possono svolgersi su Titano, la luna di Saturno, senza lasciarsi scoraggiare dalla sconcertante visione dei frammenti impazziti fluttuanti del film Gravity che distruggono tutto (anche la ragione) tranne i due protagonisti! Le missioni spaziali automatiche, pubbliche e burocratiche delle agenzie governative, con alcune lodevoli eccezioni, stanno condannando l’Uomo all’estinzione di massa, confinandolo nella realtà virtuale della cinematografia e dei videogiochi 3D, prima dell’inetivabile catastrofe naturale. Una nave come la Prometheus potrebbe incontrare anche pianeti solitari vagabondi durante la navigazione interstellare. Insomma, la Prometheus è soltanto frutto della fervida fantasia fantascientifica di Ridley Scott? Nell’Agosto 2013 si è svolto a Dallas il primo Starship Congress: quattro giorni di conferenze e tavole rotonde sul Progetto di portare la specie umana oltre i confini del Sistema Solare, a colonizzare altri esomondi, il più velocemente possibile. Una sfida che richiedere il lavoro di più generazioni, ma che secondo molti esperti consente all’umanità di realizzare il suo vero potenziale: l’esplorazione di altri mondi per diffondere la vita, la pace e salvare la Terra. Se gli esseri umani (siamo oltre sette miliardi) smettono di sognare, di rincorrere idee, programmi e progetti ambiziosi, anche quelli che possono apparentemente sembrare folli, noi oggi non saremmo qui. Ma nelle caverne. Di sicuro, l’esplorazione dello spazio e la conquista della Luna, non sarebbero mai nemmeno cominciate. Quindi è perfettamente logico cominciare a ragionare seriamente sul Progetto del primo viaggio interstellare dell’Uomo, pubblico o privato, che un giorno porterà la nostra specie ben oltre i confini del Sistema Solare. É quello che ha fatto la conferenza Starship Congress che tra il 15 e il 18 Agosto 2013 ha riunito a Dallas (Texas, Usa) astronomi, ingegneri spaziali, economisti, antropologi, futurologi accomunati dal Progetto del primo viaggio interstellare. Quattro giorni di tavole rotonde e conferenze organizzate da Icarus Interstellar, un’Organizzazione di ricerca ‘no profit’ la cui Missione è rendere possibile il viaggio interstellare entro l’Anno del Signore 2100. C’è una data limite, finalmente. Quattro giorni di “full immersion” interstellare per giungere alla conclusione pressoché unanime che: per quanto grandi siano gli ostacoli tecnici, la specie umana deve sviluppare sul lungo periodo la capacità di effettuare viaggi interstellari se vuole realizzare pienamente il suo potenziale; e se vuole mettersi al sicuro dal rischio di una sua improvvisa estinzione che fatalmente diverrà sempre più grande di generazione in generazione. La Terra è infatti esposta costantemente al rischio di un impatto catastrofico con un asteroide o una cometa e con un flusso di radiazioni cosmiche mortali provenienti dal nostro Sole (flare) ma anche da stelle novae, supernovae, astri di neutroni e buchi neri. Senza contare l’impatto catastrofico con oscuri pianeti vagabondi. Gli astronomi che li studiano sono oggi in grado di affermare oltre ogni ragionevole dubbio e con sufficiente sicurezza che nessun asteroide tipo Baptistina, cioè di dimensioni preoccupanti intorno ai dieci chilometri di diametro, ci colpirà nel prossimo secolo. Il Telescopio Spaziale Wise è stato scongelato per confermarlo definitivamente. Ma questo non può bastare a tranquillizzarci. Ci sono poi le 19mila testate termonucleari che un giorno potrebbero brillare tutte insieme per cause naturali, magari un superflusso di antineutrini e neutrini cosmici. È illogico affidare ai nostri discendenti la risposta più appropriate a queste serie minacce. I nostri eredi dovranno incrociare le dita, sudare le proverbiali sette camice o sperare che nel frattempo qualcuno si sia sbarazzato di quelle 19mila bombe nucleari, abbia creato per tempo un sistema anti-meteoriti e uno scudo anti-radiazioni. Senza contare che il nostro pianeta ha comunque una data di scadenza, per quanto lontana, legata alla fine della nostra stella, il Sole, tra qualche miliardo di anni, dopo la collisione della Via Lattea con la grande galassia di Andromedra. Vi basta? È sufficiente per mobilitare corporazioni, imprese, lobby e compagnie profit, al fine di varare non capsule a perdere ma vere e proprie navi interstellari come la Prometheus con software e hardware perfettamente integrati, non per pochi astronauti fortunati della spesa pubblica ma per tutti? Ben prima di farlo, come hanno evidenziato due speaker alla conferenza, i futurologi Heath Rezabek e Nick Nielsen, l’umanità corre il rischio di sfruttare fino all’esaurimento le risorse del pianeta Terra e di andare incontro nella migliore delle ipotesi a una stagnazione che porterà a un costante peggioramento delle condizioni di vita delle future generazioni di esseri umani nel corso dei secoli e dei millenni. Uno scenario pazzesco: la crisi politico-economica ed antropologica italiana elevata a una potenza da capogiro! Che fare allora? Liberalizzare e privatizzare subito l’industria spaziale commerciale, mineraria e scientifica. È un atto politico. Che nasce dalla società civile democratica ed investe direttamente i parlamenti e i governi liberamente eletti. Non è fantascienza. È un Diritto fondamentale come la legge di gravità. Realizzare un viaggio interstellare privato, necessariamente “profit”, che sia con un piccolo veicolo come la Prometheus o con una vera e propria nave stile Uss Enterprise che trasporti un’intera comunità umana verso altri esomondi da esplorare e colonizzare, non necessariamente richiede il lavoro di più generazioni come accade per la costruzione delle grandi cattedrali. Nel passato e nel presente chi le progetta e chi posa le prime pietre non ha alcuna speranza di vederle finite, ma trasmette alle generazioni successive le competenze necessarie e la visione da cui nasce il progetto. La Grande Piramide egiziana però fu innalzata in circa 20 anni. Senza schiavi. Con buoni maestri, architetti e operai che lavorarono all’unisono, coordinati e coesi. Fu uno sforzo pubblico collettivo frutto di un atto politico del Faraone. Come giustificare oggi un’impresa interstellare del genere, di fronte alla crisi economico-finanziaria del mondo occidentale e agli enormi problemi che ancora pesano su gran parte dell’umanità, a cominciare da povertà, denutrizione, guerre, corsa agli armamenti, malattie? Non sarebbe meglio affrontare prima queste emergenze planetarie? I partecipanti alla conferenza se lo sono chiesto, ma come spesso avviene quando si parla dell’impresa spaziale del secolo, hanno risposto che la domanda è mal posta. Esattamente. Iniziare a lavorare su un Progetto del genere, la costruzione della prima nave interstellare, costringe tutta l’umanità a sperimentare e sviluppare nuove tecnologie (energia, medicina rigenerativa, conservazione dei cibi, archiviazione della memoria storica universale nei cristalli) che hanno comunque un impatto immediato sull’economia terrestre e sul miglioramento complessivo delle condizioni di vita. Una Rivoluzione Copernicana che nessun’altra iniziativa o tecnologia concentrata su obiettivi a breve termine, come la III Guerra Mondiale per la “ricostruzione” post bellica, potrebbe mai ottenere. I Mercati si destino dal sonno della ragione! La smettano di credere nella distruzione di altri esseri umani. Siamo nell’era nucleare. Certamente, i problemi scientifici e tecnologici del volo interstellare sono enormi: sistemi di propulsione, gravità artificiale, terraforming, produzione di energia, di alimenti, supporto vitale. Tutti temi ampiamente trattati a Dallas. Ma prima ancora, serve un nuovo sistema economico mondiale molto diverso, basato sul Credito alla Persona, non più sul debito pubblico e sull’alta finanza delle speculazioni distruttive! Una nuova economia mondiale (cosa propongono di fare gli economisti Bocconiani e i premi Nobel?) in grado di procurare le enormi risorse necessarie a sostenere un Programma di ricerca e sviluppo della durata di diversi decenni. Mille volte più complesso dell’edificazione della Stazione Spaziale Internazionale. Secondo l’economista Armen Papazian, “l’infrastruttura economico-finanziaria del mondo crea un collo di bottiglia evolutivo” per la nostra specie. Il “classico” sistema dell’acquisto del debito pubblico degli Stati da parte di investitori e risparmiatori non potrebbe mai finanziare una nave interstellare di questo tipo. Qualche speranza può venire dai progetti di sfruttamento minerario degli asteroidi che rappresentano sicuramente una fonte extra di ricchezza per la nostra specie. E per le imprese spaziali che corrono i rischi della missione mineraria e interstellare, godendo giustamente dei profitti. Altro che storie! Non si vola sulle altre stelle per beneficenza e no profit! In ogni caso, molti speaker alla conferenza si sono detti d’accordo che la chiave per arrivare ai viaggi interstellari sia quella di trasformare prima il Sistema Solare in una risorsa da “sfruttare” al servizio dell’umanità e dell’impresa. Per estrarre materiali e fonti di energia da altri pianeti, per costruire avamposti verso obiettivi più lontani, per testare sistemi di propulsione, di supporto vitale ed atterraggio che potranno un giorno portare i nostri discendenti su altri esomondi abitabili, o per capire come renderli abitabili, occorre cambiare la nostra attuale mentalità auto-distruttiva di piccolo cabotaggio orbitale. Il Cristianesimo offre delle solida fondamenta etiche a queste imprese interstellari nascenti. I governi offrano il loro placet invece di bombardare esseri umani. Mai più la guerra! Ma anche le altre fedi e spiritualità possono essere d’aiuto. Purché pongano la Persona al centro di tutto. Sembra folle. A molti probabilmente sì, ma non sembrava altrettanto folle andare sulla Luna solo qualche decennio prima dello sbarco di Neil Armstrong e Buzz Aldrin? La conferenza di Dallas dimostra che c’è una comunità scientifica e tecnica che prende molto sul serio il Progetto del viaggio interstellare e che non vede l’ora di iniziare a lavorarci. Il Presidente Obama, Nobel per la Pace, dica la sua invece di scatenare la III Guerra Mondiale per “coerenza”! Anche se i frutti del lavoro, nella migliore delle ipotesi, li vedrebbero solo i nostri pronipoti, è giusto cominciare a varare la prima nave interstellare. Chi ben comincia è a metà dell’opera. Prima di tornare sulla Terra per capire come realizzare la propulsione nucleare spaziale, è d’obbligo fare visita al Pianeta Rosso, Marte, che in questa prima avventura umana interstellare avrebbe sicuramente un ruolo marginale. Le missioni automatiche hanno svelato ormai quasi tutto all’inizio del XXI Secolo. L’Uomo non pensa più alla sua futura conquista o colonizzazione: sono altre le priorità. Esiste una fondazione no profit chiamata Mars Society (www.marssociety.org/home) che lavora alacremente per identificare e pianificare quelle che saranno le necessità da espletare perché l’umanità colonizzi il quarto pianeta del Sistema Solare con un lancio diretto, grazie alla prima missione umana Mars Direct (18 mesi nello spazio, sei per l’andata e il ritorno, sei per l’esplorazione del Pianeta Rosso) ideata nel 1990 dagli ingegneri Robert Zubrin e David Baker. Anche l’astronauta miliardario Dennis Tito vuole andare su Marte privatamente. La presenza di acqua, accertata sulla Luna, anche se non ancora con chiarezza in quali quantità e profondità, non basta. Il Sole che all’equatore marziano è paragonabile a quello che illumina la Norvegia, e la presenza di Azoto ed altri elementi nella sua atmosfera in quantità tali da permettere la coltivazione di piante, potrebbero offrire l’impulso decisivo. Insomma un viaggio attraverso le molte possibilità che il Pianeta Rosso delle Cronache Marziane di Ray Bradbury potrebbe riservare al futuro dell’umanità, compresi elementi utili a dotare navi spaziali del necessario carburante per volare sulle altre stelle. Minerali rari che possiamo trovare più facilmente negli asteroidi e nelle comete, a buon mercato! La conquista di Marte da parte dell’Uomo, fin dai tempi dell’astronomo Vincenzo Cerulli che smascherò ufficialmente la “truffa” dei canali alieni sul Pianeta Rosso grazie alla sua Teoria Ottica delle Macchie di Marte, è comunque ancora oggi un Progetto pubblico e privato troppo romantico, complesso e costoso. Perché tutti ne parlano! Talmente più futuribile del “terraforming” di Venere e dell’impresa interstellare umana che si frappongono in mezzo obiettivi apparentemente più raggiungibili, almeno in tempi più brevi. Dalla Luna di G.W. Bush si è passati all’asteroide di Bolden e Obama con capsule degne del Programma Apollo. Bella innovazione! L’America ha perso le sue ali nello spazio con la fine del Programma Space Shuttle della Nasa nel 2005. L’Europa non le ha mai avute! Oggi quattro compagnie private Usa stanno costruendo nuove navette spaziali e sapranno farsi valere sull’elefantiaca burocrazia dominante in Italia e in Europa. Anche le imprese russe e cinesi sono al lavoro! Programmi sicuramente impegnativi che sembrano paradossalmente allontanare la conquista pubblica di Marte e delle stelle. Programmi legati al pragmatismo dello sviluppo economico-finanziario del Pianeta Terra imposto da lobby e massonerie più o meno oscure delle “sette sorelle”. Perché sia il primo sia il secondo obiettivo, guardano alle fonti minerarie che il nostro satellite, Marte e gli asteroidi possono riservare all’umanità: quei materiali così rari ma così indispensabili per lo sviluppo tecnologico della Terra. Un passo alla volta. Faremo in tempo? La Terra non dispone di navette di salvataggio. Siamo messi molto male. Nello spazio volano ancora pochi astronauti pubblici fortunati con il biglietto di stato pagato dai contribuenti. Ma lo spazio è di tutti, anche delle libere imprese. Che Marte sia solo un obiettivo accantonato e non abbandonato lo dimostra il lavoro della Nasa e della fondazione Mars Society. Il tema di una sua futura colonizzazione forse è un mito per tenerci buoni sulla Terra? I have a dream. Ho un sogno. Che al VLT dell’ESO si scopra ET direttamente su qualche vicino esopianeta. Beh, allora, tutto cambierà per davvero. Nella cultura, nella società e nell’economia mondiali. Se così non fosse saremmo destinati alla fine del Titanic. E se c’è chi ipotizza di trasformare Marte in una Nuova Terra con un processo di terraforming degno del generale Zod (Man of Steel) certamente non ne gusterebbe i benefici dal momento che i tempi narrati dal geniale regista Zack Snyder o da Paul Verhoeven nel film Total Recall sono puramente fittizi. Altro che ore. Occorrono secoli. L’importante è evitare la Terza Guerra Mondiale. L’importante è mettere a tacere culturalmente, politicamente e giuridicamente i guerrafondai, i servizi segreti free-lance impazziti e i terroristi globalizzati. C’è poi da porsi il quesito se, in attesa di essere eticamente pronti al Primo Contatto ufficiale con i veri Alieni buoni, ovunque questo avvenga, programmato o meno, si finisca per convincersi che, in fondo, Marte sia diventato già un obiettivo obsoleto. È quello che auspica il fisico Harold White della Nasa impegnato a realizzare il primo Propulsore Interstellare a Curvatura, il Warp Drive, reso famoso dalla saga di Star Trek e del capitano James Tiberius Kirk (William Shatner) in onda ogni Venerdì sera, alle ore 21:10, su Rai4. Una simile scoperta probabilmente renderebbe Marte un luogo di villeggiatura, magari per sgranchirsi le gambe prima di affrontare il viaggio interstellare vero e proprio. Sarebbe comunque fantastico immaginare il nostro primo viaggio verso Giove entro i prossimi dieci anni. Fernando Ferroni, Presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ha dichiarato di essere profondamente grato “al Presidente della Repubblica per aver incluso tra i prestigiosi italiani nominati nuovi Senatori a vita il Prof. Carlo Rubbia. Un riconoscimento a una personalità straordinaria che nasce dalla grande scuola italiana di fisica delle particelle. Un continuatore di quanto Fermi e i ragazzi di Via Panisperna iniziarono e che fu sciaguratamente troncato dai tragici eventi precedenti il secondo conflitto mondiale. Premio Nobel per un progetto lungimirante, realizzato al Cern con un importante contributo dei gruppi italiani dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che ha portato alla conferma più importante del Modello Standard con la scoperta dei bosoni W e Z”. Un risultato di importanza comparabile alla scoperta del Bosone di Higgs, realizzata nello stesso laboratorio. “Carlo Rubbia è una personalità dall’intelligenza straordinaria, di un’energia sovrumana e con una passione per la fisica incredibile. Dopo il Premio Nobel – ricorda il Presidente dell’Infn – ha sviluppato un progetto, realizzato e funzionante oggi ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso, per un rivelatore di centinaia di tonnellate di Argon liquido, una macchina fotografica digitale capace di catturare dettagli precisissimi di ogni interazione dei neutrini. Questa tecnologia sviluppata nel nostro Paese sarà la base per i più rilevanti esperimenti di neutrino nel futuro. Con la capacità di guardare avanti che ha sempre dimostrato, Carlo Rubbia ha proposto un esperimento al Cern per la ricerca di una nuova possibile specie di neutrino e partecipa a un grande progetto americano per lo studio delle proprietà fondamentali del neutrino. Entrambi i progetti sono basati sulla tecnologia dimostrata nell’esperimento Icarus al Gran Sasso. Ma Carlo Rubbia è un vulcano di idee. Recentemente ha proposto un acceleratore di nuovo tipo (un collisionatore di muoni) basato su un’idea rivoluzionaria. Allo stesso tempo ha proposto una nuova tecnologia per motori spaziali per l’esplorazione dello spazio profondo. Da Presidente dell’Enea iniziò la produzione di energia con la tecnologia del solare termodinamico, una strada che è seguita oggi in vari Paesi nel mondo. Mi piace ricordare che Carlo Rubbia ha accettato recentemente di essere un Professore al Gran Sasso Science Institute, la nuova Scuola di Dottorato istituita del Miur e affidata all’Infn. La sua capacità di motivare i giovani con la sua fulminante abilità di comunicazione e il rigore intellettuale che non ammette sconti saranno molto importanti per il successo della scuola. Di questo si renderanno conto presto anche tutti i Senatori che avranno la fortuna di sedere con lui nella stessa prestigiosa Sede”. Perché, come disse Albert Einstein, “la cosa più incomprensibile dell’Universo è che sia comprensibile”. L’esplorazione spaziale dell’Uomo, tra Fede, Scienza e Ragione, è una necessità per tutti. Il grande fisico italiano Nicola Cabibbo, scomparso qualche anno fa, a lungo presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, era convito del fatto che i progressi della tecnologia e della scienza richiedano agli operatori del settore un’attenzione rinnovata alla dimensione sapienziale del significato ultimo della vita umana. Al tempo stesso, le grandi scoperte della scienza che aprono nuovi orizzonti sulla materia vivente e inanimata, così come sulla struttura e sulla storia dell’Universo, sono di importanza cruciale per il mondo della Religione. Non sempre scienza e fede sono state considerate come esperienze alleate che reciprocamente si sostengono in vista del bene dell’Uomo. Storicamente, si sono succedute varie linee di tendenza che le ha viste distanti e contrapposte, soprattutto quando i difensori dell’una e dell’altra hanno preteso di essere gli unici detentori della verità. Oggi finalmente è possibile superare queste barriere. La Chiesa Cattolica, grazie a Papa Francesco, è pronta per il grande balzo! La Chiesa, infatti, non si scandalizza di fronte a una sorta di “ateismo metodologico” che viene messo in atto in quei campi di ricerca in cui non è necessario ricorrere a Dio quale ipotesi di lavoro o criterio di comprensione. La comunità cristiana riconosce, anzi, coltiva il Diritto della Scienza a procedere logicamente (matematicamente) nel suo cammino in modo rigoroso e autonomo. Anzi, ritiene che la certezza della Fede che porta a proclamare l’esistenza del Dio Unico che benevolmente dà origine a tutte le cose, infonda nel cercatore della verità scientifica un entusiasmo, un ottimismo, una fiducia e una carica che possono giocare un grande ruolo positivo nei confronti dell’impegno a comprendere la Realtà. Lo sforzo di comprensione del mondo, le ricerche finalizzate a un utilizzo rispettoso della Natura, lo studio che aiuta a capire la struttura e il funzionamento della Realtà per utilizzarne le potenzialità, secondo il progetto del Creatore, devono essere viste con soddisfazione e gioia, senza timore e senza limiti che non siano quelli del rispetto della dignità di ogni persona, della vita dell’Uomo, della sua salvezza e del Creato. In questa prospettiva, si deve riconoscere che Scienza e Fede possono essere considerate esperienze sorelle, perché hanno origine dall’unico Padre celeste, pur essendo dotata ognuna della propria originalità, della propria missione, del proprio metodo. La Scienza, la Tecnologia e la Fede hanno, quale loro referente principale, l’Uomo, la sua dignità, il suo benessere, la sua realizzazione sulla Terra e nello Spazio dove, più che in altre occasioni, viene e sarà messa alla prova la Fede quale esperienza capace di salvare e fare crescere l’umanità. Davvero folli, quindi, sono coloro che vogliono cancellare per legge le prerogative costituzionali del Senato della Repubblica Italiana!

Nicola Facciolini

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