Poveri e spiati

Sarà anche stabilizzata l’economia come dice Saccomanni, ma intanto l’Istat certifica che la nostra povertà è raddoppiata dal 1997 al 2012, arrivando al numero record di 5 milioni ed in termini di povertà assoluta, cioè senza accesso ad un paniere di beni e servizi (cibo, alloggio, riscaldamento, vestiti) considerato il minimo accettabile nella nostra società. […]

Sarà anche stabilizzata l’economia come dice Saccomanni, ma intanto l’Istat certifica che la nostra povertà è raddoppiata dal 1997 al 2012, arrivando al numero record di 5 milioni ed in termini di povertà assoluta, cioè senza accesso ad un paniere di beni e servizi (cibo, alloggio, riscaldamento, vestiti) considerato il minimo accettabile nella nostra società.
Ma ciò nonostante, come scrive oggi Il Fatto Quoitidiano, quando si parla dell’introduzione di una misura di contrasto alla povertà in Italia parte subito il fuoco di sbarramento, con i vari bensanti che affermano che gli indigenti e i non occupati sono persone che si sdraiano al sole a fare la siesta anziché lavorare, sicchè si sovvertirebbe l’ordine costituito se invece di guadagnarselo il welfare fosse riconosciuto come diritto, cosa che non solo servirevbbe esxclusivamente a fare carità aggravanto il già compromessio bilancio statale, ma non portarebbe assollutamente a nulla.
Per fortuna però qualcosa si muove anche in senso contrario con il ministro Giovannini e il viceministro Cecilia Guerra che hanno rivitalizzato un’idea sepolta nel decennio del berlusconismo, dopo che il primo colpo le era stato inferto dal centrosinistro, con i risultati di un gruppo di lavoro che ha fornito delle linee guida per l’introduzione di un reddito minimo chiamato Sia, Sostegno per l’inclusione attiva e, ancora, il rispuntare di una idea lanciata tempo fa da le Acli e la Caritas, con una proposta molto articolata di reddito di inclusione sociale, che sta raccogliendo adesioni da vari soggetti del terzo settore ed anche istituzionali.
Ma non si tratterebbe di un semplice trasferimento monetario, bensì di un vero e proprio contratto tra beneficiario e amministrazione pubblica, in base al quale chi in grado di farlo deve cercarsi attivamente un lavoro, partecipare a programmi di inserimento lavorativo, di formazione, di riqualificazione professionale, e deve accettare le offerte, pena la perdita del beneficio.
Il contratto poi, prevederà dei programmi di inserimento sociale che riguardano anche la cura dei minori e dei familiari non autosufficienti, il rispetto dell’obbligo scolastico, l’adozione di comportamenti di base che sono richiesti ad ogni altro cittadino. Sulla scorta di ipotesi ragionevoli il Sia potrebbe costare circa 7-8 miliardi di euro all’anno, un costo che, dati i tempi, pare enorme ed insostenibiole ma che, come scrive Stefano Sacchi, docente di economia della università di Milano e membro del Gruppo di lavoro che ha elaborato la proposta di Sostegno per l’inclusione attiva presso il ministero, non lo è se si tiene conto che, solo nel 2011, le pensioni di invalidità civile sono costate quasi il doppio: 13,5 miliardi.
C’è anche chi pensa ad una erogazione immediata a sostegno delle famiglie di 1,5 miliardi, perché, come ha detto il presidente dell’Istat Antonio Golini, alle commissioni Bilancio di Senato e Camera sul Ddl di Stabilità: “le difficoltà delle famiglie si riflettono anche nella composizione degli acquisti, che ha visto un incremento del peso dei prodotti di qualità e prezzo inferiori rispetto a quello del periodo pre-crisi. Nel primo semestre 2013, il 17 per cento per cento delle famiglie (1,6 punti percentuali in più rispetto allo stesso periodo del 2012 e 4,9 punti percentuali in più dei primi sei mesi del 2011), dichiara di aver diminuito la quantità di generi alimentari acquistati e, contemporaneamente, di aver scelto prodotti di qualità inferiore. Un’evidenza simile si osserva nel caso dell’abbigliamento e delle calzature: la quota di famiglie, che ha limitato la quantità e la qualità dei prodotti acquistati sale dal 12,6 per cento del primo semestre 2011 al 18,3 per cento della prima metà del 2013”.
Ed invece di riflettere su misure concrete contro la crescente povertà, la politica continua il suo eterno ed insopoortabile teratrino, con renzi che descrive contenitori futuri tanto mastodondici quanto vuoti, i 5 Stelle che con Grillo attaccano di nuovo Napolitano e chiedono eleziooni subito, il Pdl incapace di propposte a causa del fatto che è ormai quasi acefalo ed il Pd tutto concetrato sulla lotta per il posto di segretario l’8 dicembre.
Scrive Eugenio Scalfari che la situazione politica del nostro Paese è estremamente fragile. Il centrodestra sta esplodendo e implodendo. Il suo “patron” perde pezzi  –  cioè consenso  –  ogni giorno ma è ancora capace di crear guai nel tentativo di sopravvivenza, un caimano azzoppato ma ancora in grado di far del male. Ha di fatto spaccato il partito, l’ha consegnato ai duri e puri, cioè a quelli identificati con lui; ha designato a succedergli la figlia Marina, così come avveniva in tempi di regimi assoluti nelle dinastie sovrane.
A contarli bene i berlusconiani sono ormai divisi in cinque o sei spezzoni, tra i quali ci sono anche quelli  –  forse i soli consapevoli di quanto sta avvenendo  –  che vorrebbero dar vita a una destra moderata, repubblicana e europeista, capace di alternarsi con una sinistra riformista ed europeista e  –  quando necessario  –  coalizzarsi con l’avversario per superare crisi epocali.
Purtroppo sono pochi e perciò timidi e incerti nella scelta dei tempi e dei modi. La sinistra riformista dovrebbe incoraggiarli. Ugo La Malfa, che ha lasciato nella storia italiana una traccia molto superiore alle forze quantitative del partito che guidava, cercò di rendere moderni un capitalismo arretrato e monopoloide e una sinistra La situazione politica del nostro Paese è estremamente fragile. Il centrodestra sta esplodendo e implodendo. Il suo “patron” perde pezzi  –  cioè consenso  –  ogni giorno ma è ancora capace di crear guai nel tentativo di sopravvivenza, un caimano azzoppato ma ancora in grado di far del male. Ieri ha spaccato il partito, l’ha consegnato ai duri e puri, cioè a quelli identificati con lui; ha designato a succedergli la figlia Marina, così come avveniva in tempi di regimi assoluti nelle dinastie sovrane.
A contarli bene i berlusconiani sono ormai divisi in cinque o sei spezzoni, tra i quali ci sono anche quelli  –  forse i soli consapevoli di quanto sta avvenendo  –  che vorrebbero dar vita a una destra moderata, repubblicana e europeista, capace di alternarsi con una sinistra riformista ed europeista e  –  quando necessario  –  coalizzarsi con l’avversario per superare crisi epocali.
Purtroppo sono pochi e perciò timidi e incerti nella scelta dei tempi e dei modi. La sinistra riformista dovrebbe incoraggiarli. Ugo La Malfa, che ha lasciato nella storia italiana una traccia molto superiore alle forze quantitative del partito che guidava, cercò di rendere moderni un capitalismo arretrato e monopoloide e una sinistra ancora nostalgica del marxismo e del leninismo. Ma di La Malfa oggi non sde ne vedono in giro.
E se i due partiti di maggioranza sono in crisi, in crisi (anzi in caduta libera) sembra essere il Movimento 5 Stelle rispetto alle amministritave di Bolzano, mentre il centro continua a scindersi e a divenire sempre più minuto e dopo le dimissioni di Monrti, l’ultima scossa arriva da Italia Futura, dove si è registrata la scissione di Nicola Rossi dal pensatoio messo in piedi quattro anni fa da Luca Cordero di Montezemolo, chiamato come presidente per rilanciare l’associazione dopo che i suoi esponenti più in vista erano stati eletti in parlamento, come Irene Tenagli, o erano entrati al governo, come nel caso di Carlo Calenda e che ora in una lettera considera “comclusa” la sua missione ma i ben informati dicono che se ne va per un dissidio profondo con Montezemolo che preferisce ancora attendere e non schierarsi né con Mario Monti né contro di lui, prima che ci siano dei cambiamenti significativi nel panorama politico.
Ed i problemi non sono finiti e non sono solo di natura economica. C’è da risovere ancora il problema immigrati e il coinvolgimento vero e non solo a parole di tutta l’Europa, per non parlare dei rapporti con il governo USA che oltre a spiare Francia e Germania si è scoperto ha spiato e capillarmente anche noi.
Gleen Greenwald, il giornalista americano che custodisce i file della “talpa” del Datagate Edward Snowden, ha detto che sono stati spiati 35 leader mondiali leader politici e militari controllati a loro insaputa da parte di responsabili governativi Usa.
Merkel ed Hollande si sono riavvicinati nella indignazione, mentre Letta, si è limitato a dire che: “Non possiamo tollerare che ci siano zone d’ombra o dubbi”, affrettandosi subito ad aggiungere che: “Ovviamente vanno fatte tutte le verifiche”.
Adesso vengono fuori anche presunte “spiate russe”, con la rivelazione, peraraltro smentita dal Cremilino, che al vertice G20 dello scorso settembre a San Pietroburgo i russi abbiano regalato ai leader mondiali gadget spia, oggetti trappola sotto forma di chiavette Usb e cavi Usb, come dimostrato da una verifica specialistica voluta qualche giorno dopo quel vertice dal presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy, che consegnò per verifica immediatamente i gadget ai funzionari della sicurezza che, poi, per avere conferma, si sarebbero rivolti ai servizi tedeschi.
Naturalmente la Russia nega e Dmitri Peskov, portavoce di Putin, ha commentato la notizia apparsa sulla stampa come: “Un chiaro tentativo di sviare l’attenzione da un problema realmente esistente, l’attività di spionaggio Usa oggetto di discussione ora tra le capitali europee e Washington”.
In attesa di sapere chi mente, notiamo, tornando allo spiare a “stelle e strisce”, che non è cambiato niente dai tempi in cui Olivetti (uomo fuori dagli schemi secondo la biografia di Occhetto, portato sugli schermi televisivi da Luca Zingaretti in due puntate prodotte da Luca Barbarechi e la regia di Michele Soavi), era un uomo pericooso e da tenere sotto sretto controlllo da parte degli americani perché sosteneva che la cultura è liberta e che le fabbriche devbbone essere come un organismo vivente, con una infanzia, una giovinezza, una maturità e chiunque neghi questa evoluzione è nemico della società e della sua crescita.
E Olivetti ed il suo comunitarismo fanno così paura ancora oggi che anche nella fiction Rai “Olivetti – La forza di un sogno” tutto è stato edulcorato, con la conspiracy theory sull’ingerenza degli Usa nellasua morte solo accennata, e con citazioni retoriche e sommarie sulle sue idee circa l’imprenditoria che deve generare profitti destinati al bene della comunità, tanto da fargli dire, nel 1953, alla apertura dello stabilimento a Pozzuoli: “Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi soltanto nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?”.
L’Olivetti di Barbareschi e Soavi (che firma anche una scena sorrentiniana con soldati tedeschi che marciano rovesciiati) vuole mostrare solo l’uomo buono ed il padroneilluminato una sorta di Steve Jobs ante litteram ma senza istanze rivioluzionarie e non il determinato sognatore-imprenditore che ha detto che: “una fabbrica che funziona in una società che non funziona non serve a niente” e ancora che: “bisogna cambiare gli uomini e per questo c’è bisogno di un progetto sociale”.

Carlo Di Stanislao

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