Ciao Planck, il telescopio spaziale dell’Esa è stato spento dopo quattro anni e mezzo di full immersion nella radiazione cosmica del Big Bang

“La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero; è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza”(Albert Einstein). Ecco la Creazione dell’Universo quasi perfetto nell’affresco di Planck, il telescopio spaziale dell’Esa che è stato spento dopo 4 anni e mezzo di full immersion nella radiazione cosmica a microonde del Big […]

“La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero; è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza”(Albert Einstein). Ecco la Creazione dell’Universo quasi perfetto nell’affresco di Planck, il telescopio spaziale dell’Esa che è stato spento dopo 4 anni e mezzo di full immersion nella radiazione cosmica a microonde del Big Bang. Il satellite cosmologico dell’Agenzia Spaziale Europea è giunto al termine della sua missione. La mappa dell’Universo primordiale che ci lascia in eredità è la più nitida e precisa di sempre. Gli scienziati, per raccogliere i fotoni dell’alba della Creazione, si sono spinti alle sorgenti del tempo e dello spazio che oggi sono dappertutto, ovunque volgiamo lo sguardo. Anche in noi stessi. Ma il tempo, nel mentre, ha continuato inesorabile la sua corsa ed alla fine la campana del De Profundis ha suonato anche per Planck. Alle ore 14:10 di Mercoledì 23 Ottobre, dalla sala di controllo dello European Space Operations Centre dell’Esa, a Darmstadt (Germania) è stato inviato l’ultimo comando definitivo per lo switch-off. Ordine giunto al termine d’una lunga e complessa sequenza, messa in atto nelle ultime settimane sotto l’abile regia dello Spacecraft Operations Manager dell’Esa, Steve Foley, per garantire l’ibernazione permanente del satellite, ora relitto spaziale dell’umanità. Se il comando assicura che da Planck non giungerà mai più il benché minimo segnale, non significa certo che di questo meraviglioso telescopio spaziale e della sua impresa non sentiremo più parlare. Anzi. L’eredità scientifica che ci lascia, con dati raccolti su nove frequenze, in quattro anni e mezzo d’osservazione ininterrotta dell’intero cielo a microonde, è immensa. Un’eredità che comprende la mappa più accurata mai ottenuta della CMB (la radiazione di fondo a microonde), una stima dell’età dell’universo a due decimali (13,82 miliardi di anni) e una nuova “ricetta” per il Cosmo, con il dosaggio dei sui ingredienti più oscuri rivisto e aggiornato. Un’eredità che abbiamo appena iniziato a capire: sono attese per i mesi dell’Anno Domini 2014 le mappe in polarizzazione, dalle quali potrebbe emergere, si augurano gli scienziati, l’Impronta delle Onde Gravitazionali generate al momento del Big Bang. Ibernare permanentemente un satellite distante un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, non è un gioco da ragazzi. “Non è per niente facile – rivela Paolo Ferri, responsabile delle operazioni di volo dell’Esa – la nostra attività principale è quella di tenere i satelliti attivi e in funzione, non quella di spegnerli”. Già nel Gennaio 2012 il telescopio Planck aveva esaurito il liquido refrigerante necessario a mantenere l’HFI, lo strumento ad alta frequenza, alla temperatura di funzionamento, prossima allo Zero Assoluto. I ricevitori a bassa frequenza dello strumento LFI, finanziato dall’Asi e realizzato in gran parte dall’Italia, potendo operare anche a temperature lievemente superiori, hanno potuto continuare a lavorare fino allo scorso Agosto 2013, permettendo così a Planck di compiere, nel corso della sua missione, ben otto survey complete del cielo, cinque delle quali con entrambi gli strumenti. Grazie al perfetto funzionamento di ogni componente del satellite (il downtime è da record, con appena poche ore di “ferie” nei dati sull’intera durata della missione) “Planck è stato mantenuto in vita ben oltre ogni aspettativa” – spiega Jan Tauber, il Project Scientist della missione Esa. È così giunto il momento fatidico che in gergo viene chiamato “clean disposal”, lo smaltimento corretto. Anzitutto, usando una parte degli oltre cento chili di carburante ancora presente nel serbatoio, eredità di un lancio e di un’inserzione in orbita impeccabili, si è dato il via alla manovra di “deorbiting”, tesa a liberare Planck dal laccio gravitazionale che lo teneva ancorato al Punto Lagrangiano Secondo (L2) e dunque alla Terra, lasciandolo così andare alla deriva attorno al Sole. A manovra in corso, ha avuto inizio la bonifica della navicella, il “passivating” nel gergo degli addetti ai lavori: le batterie sono state scollegate, la catena di trasmissione spenta e i serbatoi del combustibile e dei liquidi criogenici svuotati fino all’ultima goccia. Per avere un’idea di quanto l’Esa curi questi aspetti, basti pensare che è stato eseguito un aggiornamento del software di bordo per impedire ogni futura trasmissione. Questo perché, nell’improbabile eventualità che il telescopio Planck riuscisse a “resuscitare” dallo spegnimento (con tutti i raggi cosmici che attraversano la sonda, senza scomodare gli Extraterrestri Alieni, non si sa mai!) tenterebbe immediatamente di comunicare con la Terra. La “pezza” applicata previene appunto questi tentativi, prendendo per così dire a “martellate” il motore della vecchia auto, fedele compagna di mille avventure, prima di consegnarla allo sfasciacarrozze cosmico. Se dal punto di vista sentimentale, sono centinaia i ricercatori e i tecnici, molti dei quali in Italia ed all’Inaf, che a Planck hanno dedicato anni della propria vita, lo switch-off è un addio di quelli senz’appello, dal punto di vista scientifico la strada da percorrere in compagnia del telescopio spaziale Planck è ancora molto lunga. “La missione Planck è stata per me come scalare la montagna più alta del mondo – confessa Reno Mandolesi, associato Inaf e responsabile di LFI – siamo arrivati fino in cima, raggiungendo un grandissimo successo. Ma Planck non muore: l’eredità che lascia con i dati di astronomia e cosmologia continueranno a dare i loro frutti per molto tempo”. Esattamente come previsto dagli scienziati, i ricevitori ad alta frequenza della sonda Esa per lo studio della radiazione cosmica di fondo a microonde, esaurito l’Elio-3, hanno iniziato a riscaldarsi oltre la soglia permessa per le osservazioni scientifiche. La missione poteva continuare con LFI, lo strumento a bassa frequenza. Fino a 10 mesi fa, Planck è stato il punto più freddo del Sistema Solare. Gli scienziati sapevano che non sarebbe durato a lungo. La temperatura, lentamente ma in modo inesorabile, aveva già preso a salire da qualche settimana, al ritmo di 2.5 millesimi di grado al giorno. Fino a che, appunto alle ore 12 del 14 Gennaio 2013, non ha superato la fatidica soglia che lo ha reso troppo caldo per continuare il suo lavoro. L’High Frequency Instrument, uno dei due strumenti a bordo del satellite, al lavoro dall’estate del 2009 a 1.5 milioni di chilometri dalla Terra, si è dovuto arrendere. Anche se gelido, poche frazioni di grado sopra lo Zero Assoluto, non lo era abbastanza per rilevare, com’è riuscito a fare fino a tre giorni fa, nella mappa a microonde dell’Universo, le differenze di temperatura, nell’ordine dei milionesimi di grado, risalenti all’epoca del Big Bang. Così è stato mandato in pensione, senza astronomiche “buone uscite” come sanno fare in Italia per i burocrati politicanti più quotati! Un pensionamento, quello di Planck, giunto esattamente nell’istante previsto dai responsabili della missione, quando cioè la pressione dell’Elio-3, l’isotopo dell’Elio e ingrediente fondamentale del cocktail criogenico che ha mantenuto per 30 mesi abbondanti l’HFI a meno 273.05 gradi Celsius sotto zero, è scesa al di sotto dei 18.6 bar, rallentandone il flusso. Un pensionamento ampiamente meritato. Giorno di festa e di tristezza. Ma non è ancora il momento dei ricordi. Gli scienziati di Planck hanno promesso alla comunità scientifica mondiale il rilascio delle prime mappe cosmologiche, con i relativi articoli scientifici, per l’inizio del 2014. Un impegno che richiede un lavoro di analisi immane, e non concede un istante di tregua. Senza contare che oltre a HFI, basato su tecnologia bolometrica e sensibile a un range di frequenze dai 100 agli 857GHz, a bordo di Planck è presente anche LFI, il Low Frequency Instrument, i cui radiometri, progettati per captare segnali tra i 30 e i 70 GHz, sono destinati a produrre dati per decenni. L’eccitazione è grande, anche per i risvolti che i risultati potrebbero avere nel campo della fisica fondamentale, tali da rendere Planck un esperimento gemello di Lhc al Cern di Ginevra. Grazie alle straordinarie prestazioni del satellite, ora abbiamo a disposizione un autentico tesoro di dati scientifici. Le prime mappe cosmologiche complete del Telescopio Spaziale Planck dell’Esa sono state presentate a Parigi. Il modello inflazionistico standard è confermato. Cambiano però le quantità degli ingredienti cosmici fondamentali, si alza l’età dell’Universo, 100 milioni di anni più vecchio, ed emergono tre strane anomalie. A Parigi gli scienziati dell’Agenzia Spaziale Europea erano a dir poco entusiasti. Le implicazioni considerevoli non soltanto per la nascita di una nuova fisica e di una nuova cosmologia. Viviamo in un Universo Intelligente quasi perfetto. Creato certamente per l’Uomo. È la conferma del Disegno Intelligente? Ciò che ha calamitato l’attenzione degli astrofisici di tutto il mondo, Giovedì 21 Marzo 2013, è l’Armonia del Cosmo nella grande e nella piccola scala, come effettivamente osservato da Planck nel carotaggio spaziotemporale più ardito e preciso di sempre, dalla Terra fino agli abissi del passato, fino all’età di 380mila anni dopo la Creazione. I dati acquisiti dal telescopio dell’Esa rivelano l’esistenza di strutture fondamentali in grado di rivoluzionare la nostra attuale comprensione e concezione dell’Universo. La nuova mappa di Planck è il risultato dei primi 15.5 mesi di esplorazione, il primo ritratto in assoluto di tutto il Cosmo così come “disegnato” dalla luce più ancestrale di sempre, quella che l’Universo rilasciò per la prima volta all’età di 380mila anni. A quel tempo il Creato era una calda e densa zuppa di protoni, elettroni e fotoni, in reciproca interazione, alla temperatura di 2700 gradi Celsius (molto più bassa dei miliardi di miliardi di gradi del Big Bang). Quando i protoni e gli elettroni si unirono per formare gli atomi di Idrogeno, la luce fu liberata per sempre, latrice di preziose informazioni anche per l’Umanità. A causa dell’espansione accelerata dell’Universo, quella luce antica, oggi invisibile agli occhi umani, nel corso di miliardi di anni fu trasformata in microonde equivalenti alla temperatura di appena 2.7 gradi sopra lo zero assoluto (–273.15 gradi Celsius). La radiazione di fondo cosmico (CMB) immortalata da Planck mostra le più infinitesimali fluttuazioni di temperatura che corrispondono a regioni primordiali caratterizzate da differenti densità: i “semi” cosmici delle future strutture a grande e piccola scala, le stelle e le galassie che oggi osserviamo.
Secondo il Modello Standard della Cosmologia, le fluttuazioni di densità e temperatura sorsero subito dopo il Big Bang, poco prima della brevissima super-espansione accelerata universale (Inflazione) a velocità incredibilmente maggiori a quella della luce. Fluttuazioni che furono poi ingigantite dall’Inflazione su scala cosmica. Il telescopio Planck ha registrato nella nuova mappa queste fluttuazioni osservate sull’intera volta celeste alla risoluzione più alta di sempre. Dall’analisi della natura e della distribuzione di questi “semi” ancestrali visibili nell’immagine CMB di Planck, gli scienziati possono determinare la composizione esatta e l’evoluzione spaziotemporale dell’Universo, dalla sua nascita al tempo presente. Immaginate di vedere il film della vostra vita in alta definizione. È la stessa cosa. Ogni spazio e ogni tempo, con tutte le forme di vita dell’Universo passato e futuro, sono racchiuse nella nuova Mappa di Planck. In definitiva, le informazioni estratte da essa forniscono un’eccellente conferma del Modello Standard cosmologico con un livello di precisione quasi assoluto e sicuramente senza precedenti nella storia, segnando una pietra miliare anche nella comprensione della composizione dell’Universo. Non tutto è chiaro. La precisione di Planck pone ulteriori interrogativi e svela alcuni misteri. La Mappa è così dettagliata, come le immagini di un retina display su scala universale, che è possibile rivelare strutture peculiari oggi inspiegabili. Richiedono certamente la nascita di una nuova fisica e di una nuova matematica per la loro esatta comprensione. “La straordinaria qualità delle immagini di Planck fornisce il ritratto più autentico dell’Universo giovane – rivela Jean-Jacques Dordain, direttore generale dell’Esa – possiamo quasi toccare le fondamenta del Cosmo, ma al tempo stesso la nostra conoscenza è ben lungi dall’essere completa. Queste scoperte sono rese possibili dalle tecnologie uniche sviluppate dall’industria europea”. Il professor George Efstathiou dell’Università di Cambridge (UK) spiega che dalla pubblicazione della prima Mappa di Planck nel 2010, sono stati compiuti decisivi progressi grazie all’integrazione, con estrema precisione, di tutte le informazioni estratte dall’analisi della CMB primordiale che ha attraversato lo spaziotempo fino a raggiungere la Terra, incrementando il livello di dettaglio in maniera considerevole. Una delle più sorprendenti scoperte è l’aver osservato che le fluttuazioni di temperatura nella CMB a grande scala non corrispondono a quelle previste dal Modello Standard: pare che i loro segnali non siano così forti come attesi dalla struttura rivelata da Planck nella scala più piccola. C’è poi l’evidente asimmetria nelle temperature medie registrate nei due emisferi opposti del Cielo. Questo è in contrasto con la previsione fatta dal Modello Standard che l’Universo dovrebbe essere sostanzialmente simile in qualsiasi direzione lo guardiamo. Inoltre, nella mappa appare una misteriosa regione fredda, a forma di omino, che si estende su un angolo di cielo molto più grande del previsto. L’asimmetria e il punto freddo erano già stati osservati dal satellite WMAP della Nasa, il predecessore di Planck, ma furono in gran parte ignorati dagli scienziati a causa dei molti dubbi sulla loro origine cosmica. “Il fatto che Planck ha effettivamente osservato queste anomalie con un rilevamento così significativo, cancella tutti i dubbi – fa notare Paolo Natoli dell’Università di Ferrara (Italia) – nessuno oggi può più dubitare della loro esistenza, nessuno può più dire che si tratta di errori di misura”. Il problema semmai è nella loro interpretazione. “Immaginate di controllare le fondamenta della vostra casa e di scoprire che alcune parti sono deboli – rivela François Bouchet dell’Institut d’Astrophysique di Parigi – potreste non sapere se quelle strutture deboli finiranno per far crollare la vostra casa, ma potreste benissimo iniziare la ricerca dei mezzi atti a rafforzare abbastanza rapidamente tutto l’edificio prima che crolli”. Una lezione magistrale sulla messa in sicurezza totale del Modello Standard e delle nostre povere case pericolanti in Italia, In Europa e nel mondo. Tuttavia un modo per spiegare queste anonalie ci sarebbe. È immaginare l’Universo che osserviamo non come un luogo dove tutto è lo stesso ovunque guardiamo, sulla grande e piccola scala. Ma diverso. In questo scenario rivoluzionario, la radiazione luminosa della CMB potrebbe aver seguito una rotta un po’ più complessa di quanto finora compreso per attraversare l’Universo fino ai giorni nostri, determinando l’affioramento nella nuova Mappa di Planck degli schemi insoliti che osserviamo. “Il nostro più immediato obiettivo potrebbe essere la costruzione di un nuovo modello cosmologico che preveda e colleghi insieme le anomalie osservate – afferma il professor Efstathiou – ma questi sono giorni epocali: non sappiamo ancora se è possibile farlo, con che tipo di nuova fisica farlo né di cos’altro abbiamo bisogno. È eccitante”. Oltre a confermare le anomalie, Planck ha permesso di elaborare dati conformi spettacolarmente coerenti alle aspettative di un modello piuttosto semplice di Universo, consentendo agli scienziati di raffinare i valori e i dosaggi dei suoi ingredienti. La Materia Normale delle stelle, dei pianeti e delle galassie contribuisce ad appena il 4.9 percento della densità di massa/energia dell’intero Universo, con un lieve incremento rispetto alla precedente misura di 4.5 percento. La Materia Oscura, finora scoperta indirettamente grazie ai suoi effetti gravitazionali, è il 26.8 percento del Cosmo, quasi un quinto in più rispetto alla stima precedente di 22.7 percento. Al contrario, l’Energia Oscura, una forza misteriosa antigravitazionale ritenuta responsabile dell’espansione dell’Universo, rappresenta meno di quanto si pensasse. Appena, si fa per dire, il 68.3 percento dell’Universo, rispetto alla precedente stima di 72.8 percento. Non solo. Planck ha raffinato anche la misura della famosa Costante di Hubble. Il nuovo valore del tasso di espansione accelerata dell’Universo, è di 67.15 chilometri al secondo per megaparsec, significativamente inferiore al valore standard finora acquisito in Astronomia. Anche l’età dell’Universo è stata aggiornata. I nuovi dati di Planck indicano 13.82 miliardi di anni, leggermente più maturo. “Con le più accurate e dettagliate mappe del cielo a microonde finora mai realizzate, Planck sta ridisegnando l’Universo svelandone le fondamenta e – spiega Jan Tauber, scienziato del Progetto Planck dell’Esa – ci sta spingendo ai limiti dell’attuale comprensione delle teorie cosmologiche. Quel che oggi vediamo è una misura quasi perfetta del Modello Standard della cosmologia, ma con caratteristiche interessanti che ci costringono a ripensare alcuni dei nostri assunti di base. Questo è soltanto l’inizio di un nuovo viaggio e ci aspettiamo che le ulteriori analisi dei dati di Planck aiuteranno a far luce su questo enigma”. Una serie di articoli scientifici sui nuovi risultati di Planck è stata pubblicata il 22 Marzo 2013, frutto della perlustrazione dell’intero cielo nelle bande di frequenza da 30 a 857 GHz. Con pazienza certosina, gli scienziati del team di Planck, molti dei quali italiani, l’hanno distillata dal mare d’impurità che la contaminavano. Il risultato è la mappa più accurata e precisa che mai stia stata prodotta della Cosmic Microwave Background. Nei meandri del suo labirinto si celano non solo i semi originari di tutte le strutture osservabili. Qualcosa è cambiato. Forse tutto, come insegna la Scienza sempre pronta a mettere in discussione sé stessa per ricominciare daccapo. Detta così sembrano gli argomenti di conversazione tra i personaggi della serie Star Trek, ma in realtà i numeri di Planck derivano da un altro parametro d’importanza cruciale: la Costante di Hubble. Come rilevano gli scienziati dell’Inaf, fanno riflettere i tre principali scostamenti rilevati da Planck rispetto al Modello Standard: si tratta di autentiche anomalie. La più sorprendente, del tutto inattesa, riguarda lo spettro di potenza delle fluttuazioni della temperatura della CMB: a grandi scale angolari non corrispondono a quelle previste dal Modello Standard. Il loro segnale, dicono i dati, è meno intenso di quanto implicherebbe la struttura a scala angolare più piccola osservata da Planck. Sembra molto complicato e in effetti lo è. Potremmo dire che, ascoltando la sinfonia del Cosmo primordiale, Planck s’è accorto che è un po’ “carente” nei suoni bassi, un difetto simile a quello dei tablet di prima generazione! Delle altre due anomalie, invece, già si mormorava qualcosa, dunque colgono i cosmologi meno di sorpresa. Una è il cosiddetto “cold spot”, una regione fredda che si estende su una porzione di cielo molto più ampia del previsto. L’altra è un’asimmetria fra le temperature medie nei due emisferi opposti del cielo, in contrasto con quanto predetto dal Modello Standard, secondo il quale l’Universo dovrebbe essere grosso modo simile in tutte le direzioni in cui lo osserviamo. Entrambe erano già state notate. A questo punto, però, non si possono più nascondere sotto il tappeto. Per il resto, le informazioni estratte dalla nuova Mappa di Planck forniscono, con un’accuratezza mai raggiunta prima, una serie di conferme eccellenti del Modello Standard. “Una delle più importanti riguarda le fluttuazioni primordiali: quelle da cui si sono formate, nel tempo, le galassie, le stelle e tutte le strutture che osserviamo: grazie a Planck – spiega Nazzareno Mandolesi, membro del CdA dell’Agenzia Spaziale Italiana, associato Inaf e responsabile dello strumento LFI del Telescopio Spaziale – oggi sappiamo che quelle fluttuazioni obbediscono con grande precisione a una statistica gaussiana. Questo risultato rappresenta la più stringente conferma dell’Inflazione: ora occorre però comprendere che cosa l’abbia messa in moto, pochissimi istanti dopo il Big Bang. Prendiamo la nuova particella identificata al Cern: se, come sembra, è davvero il Bosone di Higgs, essa ha un ruolo fondamentale nel dare una massa a tutte le particelle elementari del Modello Standard”. Il Bosone di Higgs potrebbe essere anche la misteriosa particella che scatena l’Inflazione, la velocità iperluminare dell’Universo? “Queste sono le domande con le quali una nuova fisica, situata all’intersezione fra cosmologia e fisica fondamentale, dovrà confrontarsi negli anni a venire”. In attesa della fisica del futuro, gli scienziati di Planck possono concedersi un meritato brindisi. “Dopo vent’anni di lavoro e di attesa, è un’emozione straordinaria vedere in diretta l’Universo neonato con una definizione senza precedenti – dichiara Marco Bersanelli dell’Università degli Studi di Milano – è un po’ come sbarcare per la prima volta su un continente ignoto: le Mappe di Planck portano i segni inequivocabili di processi che sono avvenuti nella prima frazione di secondo dopo l’inizio della storia cosmica, e ci sorprendono con alcune tracce impreviste la cui natura al momento sfugge a qualsiasi spiegazione”. Grazie alle sue performance ad alta precisione, Planck mostra come le fluttuazioni della radiazione cosmica di fondo a grandi scale angolari siano meno intense di quanto atteso in base alle previsioni del modello cosmologico standard compatibili con i migliori dati disponibili. Nella Mappa ottenuta dalla differenza fra i dati di Planck e il modello cosmologico standard, è possibile rappresentare l’aspetto che potrebbero avere queste anomalie. Per estrarre dai dati di Planck il fondo cosmico a microonde, i cosmologi hanno dovuto compiere un’opera da certosini. Le “contaminazioni” che è toccato loro rimuovere per svelare l’affresco originale sono di varia natura: le emissioni discrete da singole sorgenti galattiche ed extragalattiche; l’emissione diffusa proveniente dal materiale interstellare della Via Lattea; l’emissione termica diffusa dovuta alla polvere interstellare della Via Lattea. Solo al termine di questo lungo processo è emersa in tutta la sua purezza la radiazione di fondo cosmico a microonde, finalmente confrontabile con i modelli cosmologici. La mappa della CMB, per i cosmologi, è un po’ come la carta vetrata: ne vogliono conoscere la grana. Il grafico dello “spettro di potenza” mostra, ad esempio, quante strutture dell’Universo primordiale hanno grana “grossa” e quante grana “fine”, e riassume in un linguaggio purtroppo specialistico ma altamente raffinato e in pochi tratti di “pennello”, l’enormità di informazioni contenute nella Mappa a tutto cielo delle variazioni di temperatura nella radiazione cosmica di fondo. A diverse scale angolari, dalle più grandi alle più piccole, indicandone la corrispondenza con le diverse regioni. “Completando con successo la missione per cui è stato concepito – dichiara Carlo Baccigalupi della SISSA di Trieste, associato Inaf – Planck ha guardato l’Universo con occhi dotati di un’estensione in frequenza mai raggiunta prima. Gli scienziati hanno raggiunto risultati senza precedenti nel separare le emissioni astrofisiche dalla Radiazione Cosmica di Fondo. Planck ha pertanto prodotto la fotografia dell’Universo a temperature di migliaia di gradi, quando era circa mille volte più piccolo. Tale fotografia è stata ottenuta sulla quasi totalità del cielo, con un dettaglio di un minuto d’arco, rivelando informazioni precisissime sulle componenti cosmiche oscure e sugli istanti immediatamente seguenti al Big Bang. La mappa della radiazione di fondo mostra le strutture cosmiche poco dopo la loro nascita, sotto forma di zone più o meno dense e calde. La temperatura dell’Universo all’epoca in cui la fotografia è stata realizzata da Planck, è di circa 3000 gradi Celsius. Le variazioni visibili di temperatura sono 100mila volte più piccole e le più ridotte misurano oggi alcuni milioni di anni luce”. Marco Bersanelli sottolinea che “gli strumenti di Planck, realizzati con l’apporto decisivo di ricercatori e tecnologi italiani, sono i più potenti ricettori di microonde mai costruiti. Grazie alla loro estrema sensibilità ci hanno permesso di registrare con precisione spettacolare le oscillazioni del plasma primordiale, vere e proprie onde sonore iniziali che hanno dato il via alla formazione di tutte le strutture dell’Universo. Per la prima volta Planck ha captato per intero questa sinfonia cosmica, la cui analisi accurata ha permesso di misurare con precisione senza precedenti le caratteristiche globali dell’Universo”. Gianfranco De Zotti, associato Inaf dell’Osservatorio astronomico di Padova e della SISSA di Trieste, rileva che “nato per studiare l’Universo nella sua globalità, Planck ha già portato a risultati fondamentali anche in campo astrofisico. Come la mappa a tutto cielo degli ammassi di galassie visti grazie all’effetto Sunyaev-Zeldovich (interazione del loro plasma con i fotoni CMB) che ha permesso di scoprire nuovi ammassi, compreso un sistema triplo, e i ponti di gas ionizzato che li collegano. O l’identificazione dello haze, una componente dell’emissione galattica con probabile controparte nei raggi gamma. O, ancora, la caratterizzazione statistica della distribuzione delle galassie responsabili del fondo diffuso infrarosso”. Andrea Zacchei dell’Osservatorio astronomico Inaf di Trieste conferma come siano trascorsi 4 anni gloriosi di “osservazioni dell’Universo bambino a soli 380mila anni dalla sua nascita. Gli strumenti a bordo hanno funzionato egregiamente ed ora, finalmente, rilasciamo le prime mappe in temperatura a tutto cielo. La loro creazione è costata anni di lavoro a centinaia di scienziati che hanno creato software iper-specializzati che, usando supercalcolatori, sono in grado visualizzare la radiazione fossile di fondo. Queste mappe hanno una risoluzione ed una sensibilità mai raggiunta prima e saranno una pietra fondamentale nella moderna cosmologia. Fra pochi mesi la sfida sarà ancora più ardua, cercheremo di terminare l’analisi in polarizzazione che potrebbe riservarci sorprese nella nostra comprensione dell’Universo”. L’Italia è responsabile della realizzazione del sensore LFI costituito da 56 radiometri raffreddati a 20 gradi Kelvin (-253°C), temperatura necessaria per raggiungere la sensibilità richiesta dalle misure scientifiche. Il Principal Investigator (PI) è Nazzareno Mandolesi. Per “HFI” (PI-ship francese), costituto da 48 bolometri raffreddati a 0.1 gradi Kelvin, la partecipazione italiana riguarda la fornitura della preamplificazione criogenia, sotto la responsabilità del Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma “La Sapienza”. Per entrambi gli strumenti la comunità scientifica italiana è inoltre fortemente coinvolta nell’attività scientifica legata alla missione che al momento è principalmente rivolta allo sviluppo e ai test delle procedure per la riduzione e l’analisi dei dati prodotti dalla missione. “Ho contribuito a far si che questa missione avesse luogo sia come Presidente del Consiglio Scientifico dell’Esa – ricorda Giovanni Bignami, Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – che prima ancora come Direttore Scientifico dell’Asi. Ho poi avuto modo di sostenerla come presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana e oggi sono a raccoglierne i preziosi frutti come Presidente dell’Inaf, testimone, credo, di un’eccellenza italiana nel campo dell’astrofisica e delle attività spaziali che ha pochi eguali al mondo”. Gelide nubi molecolari e una misteriosa foschia avvolgono il cielo di Planck sempre più vicino alla Verità della Creazione. Furono i risultati presentati a Bologna nel corso del congresso “Astrophysics from the radio to the submillimetre” (13-17 Febbraio 2012) che calamitò l’attenzione degli astrofisici di tutto il mondo. Lanciato nello spazio nel 2009, il satellite Planck doveva andare in pensione nel 2011. I sensori Low Frequency Instrument (LFI), che scandaglia le frequenze comprese tra 30 e 70 GHz, e l’High Frequency Instrument (HFI) tra 100 e 857 GHz, rappresentano lo stato dell’arte e il cuore di Planck. L’HFI ha completato le sue osservazioni nel Gennaio 2012, mentre l’LFI continuava ad esplorare il Cosmo. Planck è ancora lassù, per stupire e far riflettere il mondo. Tra le tante scoperte inedite emerse, particolare interesse hanno sucitato le enormi nubi di gas freddo, mai segnalate prima e individuate da Planck grazie alle emissioni di monossido di carbonio, e una sorta di foschia a microonde, battezzata “haze”. La cui origine è ancora tutta da spiegare. È stata rilevata nella regione che circonda il centro della nostra Galassia e si presenta come un tipo di emissione di sincrotrone. Una luce molto energetica che sulla Terra utilizziamo anche nella medica nucleare. Nelle profondità dello spazio siderale questa luce presenta uno spettro più “duro”: spostandosi verso frequenze più alte, l’intensità della sua emissione non diminuisce in modo repentino, come invece avviene per il sincrotrone standard, e quindi risulta avere un comportamento giudicato dagli scienziati “insolito”. L’Asi ha un ruolo fondamentale ed ha investito 36 milioni di euro per l’intera realizzazione dello strumento LFI e per il contributo italiano allo strumento HFI. Inoltre sta finanziando la comunità scientifica con 2,7 milioni di euro per tre anni per supportare la missione in orbita e per l’analisi dei dati. Lo scorso anno fu presentata una mappa all-sky sulle emissioni di monossido di carbonio nella Via Lattea e su una componente misteriosa della nostra galassia denominata “nebbia”. Gli scienziati illustrarono alcune immagini significative. Nella prima, insieme ad altre sorgenti, la distribuzione spaziale sull’intero cielo del Galactic Haze visto a 30 e 44 GigaHerz dai rivelatori LFI. Si tratta di un’emissione di sincrotrone diffusa che si pensa possa essere dovuta a una maggiore frequenza di esplosione di supernovae ovvero al vento galattico o ancora all’annichilazione di particelle di Materia Oscura (la famosa materia rossa vulcaniana dell’universo di Star Trek di J.J. Abrams?). A oggi nessuna di queste ipotesi ha però ricevuto una conferma definitiva. Nella seconda, una sovrapposizione fra la distribuzione del Galactic Haze visto da Planck nel cielo a microonde (a 30 e 44 GHz, in rosso e giallo) e il cielo a raggi gamma (tra 10 e 100 GeV, rappresentato in blu) rilevato dal telescopio spaziale Fermi della Nasa. I dati di Fermi rivelano due grandi strutture a forma di bolla che si estendono dal centro galattico. Le due regioni, osservate da Planck e da Fermi ai due estremi opposti dello spettro elettromagnetico, risultano spazialmente molto ben correlate e potrebbero effettivamente essere una manifestazione, attraverso differenti processi di emissione, della medesima popolazione di elettroni. In entrambe le immagini, la banda orizzontale nera centrale nasconde il piano galattico, mascherato durante l’analisi dei dati di Planck per escludere regioni ad alta contaminazione di foregrounds dovuta all’intensa emissione della Galassia. Nella terza immagine, la distribuzione del monossido di carbonio (CO), una molecola utilizzata dagli astronomi per tracciare le nubi molecolari presenti in cielo, rilevata da Planck (in blu) e da precedenti osservazioni (Dame et al. 2001, in rosso). La mappa ottenuta dai dati di Planck, la prima a tutto cielo che sia mai stata compilata, comprende ampie porzioni di spazio inedite, rimaste inesplorate dalle precedenti indagini. Spettacolare è il livello di dettaglio raggiunto: in tre particolari regioni del cielo Planck ha rilevato alte concentrazioni di CO in corrispondenza delle costellazioni di Cefeo, del Toro e di Pegaso. Le nubi molecolari, regioni dense e compatte distribuite in tutta la Via Lattea, nelle quali si ammassano gas e polveri, rappresentano una delle fonti di emissione in primo piano osservate da Planck. La stragrande maggioranza del gas presente in queste nubi è costituita da idrogeno molecolare (H2). È in queste regioni fredde che si formano le stelle. Poiché l’idrogeno molecolare non irradia facilmente, per individuare queste nursery cosmiche gli astronomi si avvalgono di altre molecole presenti in questi vivai stellari, meno abbondanti ma molto più facili da tracciare. La più importante è la molecola del monossido di carbonio, il cui spettro presenta righe d’emissione nelle frequenze alle quali sono sensibili i rivelatori HFI. Interessante è la regione della nube molecolare di Cefeo, una fra le più studiate dai telescopi terrestri, osservata (grazie al bagliore emesso dal monossido di carbonio) da Planck (in blu). Evidente è il confronto con le osservazioni precedenti (Dame et al., 2001, in rosso). Idem per la regione della nube molecolare del Toro. In entrambi i casi, dai dati di Planck emergono dettagli mai visti prima. La regione di Pegaso, situata a latitudini galattiche elevate, a differenza delle altre due, non era ancora stata osservata, dunque l’emissione del CO è oggi mostrata con i soli dati di Planck. Le future osservazioni di questi vivai di stelle consentiranno un esame approfondito delle condizioni fisiche e chimiche che portano alla formazione di nubi molecolari, permettendo così di comprendere meglio le fasi più precoci dei processi di formazione stellare. Mano a mano che la missione Planck procede nella sua esplorazione verso gli albori dell’Universo, analizzando i dati in arrive, gli scienziati continuano a imbattersi in aspetti sconosciuti della nostra Galassia. Prevalentemente composte da molecole d’idrogeno, le nubi fredde costituiscono i bacini di gas dai quali si formano le stelle. Le molecole d’idrogeno non emettono facilmente radiazione elettromagnetica, e questo le rende assai difficili da rilevare. Ma anche il monossido di carbonio (CO) che nelle nostre città è uno fra gli inquinanti atmosferici più diffusi (l’impronta della presenza dell’Uomo sulla Terra!), è un costituente delle nuvole fredde che popolano la Via Lattea ed altre galassie. Seppur molto più rare di quelle d’Idrogeno, le molecole di CO emettono radiazione elettromagnetica proprio nelle frequenze alle quali è sensibile Planck. Ed è proprio rilevandone le impronte che gli scienziati di Planck sono riusciti non solo a individuare nuove nubi molecolari dove non ci si attendeva d’incontrarne, ma addirittura a tracciare la prima mappa a tutto cielo delle emissioni di monossido di carbonio. Mappa che si rivelerà uno strumento preziosissimo per i radiotelescopi terrestri (il Sardinia Radio Telescope, il più grande d’Europa, ed Alma dell’Eso in Cile) anch’essi sensibili elle emissioni del CO ma costretti a esplorare solo porzioni limitate di cielo, a causa dell’enorme quantità di tempo che richiederebbe una survey completa. Se la mappa a tutto cielo del monossido di carbonio è una prima assoluta, la grande sorpresa che le ultime analisi dei dati di Planck stanno regalando agli scienziati è una misteriosa foschia di microonde che sfida ogni spiegazione. Battezzata haze, o foschia, è stata rilevata da Planck nella regione che circonda il centro galattico, e si presenta come un tipo di emissione ben noto agli astrofisici: l’emissione di sincrotrone, generata allorché gli elettroni, accelerati dalle esplosioni di supernovae, si trovano ad attraversare i campi magnetici. L’emissione di sincrotrone associata a questa nuova, enigmatica foschia galattica presenta però caratteristiche che la rendono diversa da quella che si osserva altrove nella Via Lattea. Un comportamento insolito per il quale gli scienziati stanno valutando le ipotesi più disparate, dalla maggiore frequenza di esplosione di supernovae al vento galattico, fino all’annichilazione di particelle di materia oscura. Oggi nessuna di queste ha però ricevuto una conferma e il mistero s’infittisce. Obiettivo primario di Planck è quello di osservare il fondo cosmico a microonde (CMB), risalente ad appena 380mila anni dopo il Big Bang, per decodificare le informazioni in esso contenute sulle componenti fondamentali dell’Universo e l’origine della struttura cosmica. Per vedere nei dettagli il fondo cosmico occorre anzitutto rimuovere le contaminazioni introdotte dalla moltitudine di sorgenti di foregrounds (così chiamato perché si trovano davanti al fondo) sovrapposte. Fra di esse, l’emissione del monossido di carbonio e la foschia galattica. “Un compito arduo e delicato, quello della rimozione, in grado però di fornirci un insieme di dati di prima qualità, tali da offrirci uno sguardo inedito sui temi caldi dell’astronomia galattica ed extragalattica” – rivela Jan Tauber dell’Esa. “I dati che il satellite Planck ha raccolto nei quasi tre anni di vita operativa stando dando informazioni estremamente importanti, che aiuteranno gli scienziati a comprendere meglio le problematiche che riguardano la nascita dell’Universo” – fa notare Barbara Negri. “Il lavoro di analisi di più di 450 scienziati di Planck continua senza sosta, per arrivare puntuali al rilascio, all’inizio del 2014, dei risultati cosmologici definitivi: quelli da cui ci attendiamo grandi sorprese – afferma Reno Mandolesi – sono molto orgoglioso di guidare un team internazionale, con grande partecipazione italiana, di valore straordinario. Con Planck, la più complessa missione mai realizzata da Esa, l’Italia con Asi, Inaf e le università coinvolte dimostra ancora una volta di essere una delle nazioni spaziali di eccellenza a livello internazionale”. Dopo aver quasi raddoppiato il tempo previsto per la sua missione, il satellite Planck sembra destinato a continuare la sua permanenza nello spazio come relitto cosmico. Sebbene l’High Frequency Instrument, dopo 885 giorni di onorato servizio, abbia definitivamente terminato la sua vita operativa, il Low Frequency Instrument (LFI), interamente realizzato in Italia, è stato capace di lavorare a temperature leggermente superiori per fornire ulteriori dati di taratura utili per migliorare la qualità dei risultati finali di tutta la missione. Tutto l’Universo è un palcoscenico e tutte le galassie non sono altro che attori? Non sappiamo se il William Shakespeare dei nostri giorni, scrivendo una nuova opera sulla Creazione, possa essere d’accordo. Ma una cosa è certa: il satellite Planck è perfettamente in grado di offrirci la nuova visione di quel grandioso Disegno Cosmico che è l’Universo in cui viviamo, rivelandone i segreti dell’evoluzione, dallo spazio più profondo fino alla nostra periferia interstellare, fornendo informazioni preziosissime sui suoi Attori e sul Dietro le Quinte. Il valzer inaugurato dalla missione spaziale Planck, promette meraviglie e sorprese nella ricerca dei semi cosmici della vita. L’incredibile mole di dati finora acquisiti dalla sonda garantirà il lavoro a generazioni di astrofisici ed astronomi. I magnifici arazzi cosmici osservati e disegnati dal Telescopio Spaziale Planck, superba macchina dello spaziotempo, in grado di effettuare affreschi di inestimabile valore, alla ricerca delle fondamentali strutture del Creato, sono frutto della più dettagliata analisi del Cielo che sia mai stata eseguita nelle microonde dal Big Bang ai giorni nostri. Che cosa ha visto l’Osservatorio spaziale Planck? Un Universo di meraviglie e possibilità infinite. Non ha visto astronavi, ufo, alieni, carovane di extraterrestri profughi, in stile “Galactica”, in arrivo sulla Terra, ma i fondamentali elementi della vita. Le decine di articoli scientifici pubblicati sulla rivista Astronomy & Astrophysics, dimostrano la ricchezza del progetto. “Planck è una missione magnifica – rivela Jan Tauber – il satellite e gli strumenti hanno funzionato molto bene offrendo alla comunità scientifica internazionale uno scrigno di informazioni con una risoluzione senza precedenti”. Meno di mezzo milione di anni dopo la creazione dell’Universo nel Big Bang, l’incandescente sfera di fuoco primordiale raffreddata ormai a temperature dell’ordine dei 3mila gradi Celsius, diventò ovunque trasparente e riempì i cieli con la sua sfavillante luminosità. Man mano che l’Universo si espandeva, quella luce ancestrale diventava sempre debole fino a raggiungere le frequenze delle microonde. Ed è a queste lunghezze d’onda che oggi possiamo osservare la Creazione di DIO. Quella luce ci ha lasciato delle precise tracce divine impresse per sempre in tutto l’Universo: le fluttuazioni nel fondo cosmico. Dal loro studio gli scienziati sperano di comprendere meglio il Big Bang e l’Universo primordiale attraverso l’osservazione e l’analisi delle prime stelle e galassie. Effettivamente Planck ha sondato tutta la volta celeste ben cinque volte (delle teoriche due inizialmente previste) grazie ai suoi due potenti “occhi”, l’High Frequency Instrument e il Low Frequency Instrument. Per osservare nelle immagini così combinate una lunghezza d’onda di copertura senza precedenti, in grado di esplorare dettagli, in reami e domini finora ignoti, di oggetti cosmici molto distanti e con una grande risoluzione. L’obiettivo minimo richiesto per decretare il successo della navicella spaziale, era di due intere mappature del Cielo. Planck ha lavorato talmente bene per 30 mesi, da doppiare gli obiettivi preliminari richiesti, completando la quinta esplorazione totale della volta celeste con entrambi i sensori. “Questo risultato – fa notare Jean-Loup Puget, della Université Paris Sud di Orsay (Francia), il principal investigator dell’occhio HFI di Planck – ci consegna dati migliori rispetto a quelli previsti”. Poi, da buon vecchio pirata cosmico alle prese con gli acciacchi dell’età, il telescopio spaziale Planck si è affidato all’occhio sano rimasto (LFI) in grado di operare a temperature leggermente più elevate, calibrando i dati per aumentare sensibilmente la qualità delle misure. Planck non vede solo le microonde primordiali del Big Bang ma anche quelle emesse dalle gelide polveri interstellari che attraversano tutto l’Universo. I risultati preliminari della sonda includono un catalogo di ammassi di galassie (clusters) dell’Universo più lontano nello spaziotempo, molte delle quali erano prima perfettamente ignote, ed alcuni giganteschi superammassi figli della probabile fusione dei clusters. Un altro importante risultato dell’analisi preliminare è la migliore misura di sempre dell’antico Cielo infrarosso prodotto dalla stelle in formazione nell’Universo primordiale. Questa osservazione di Planck dimostra come alcune delle prime galassie producevano stelle a ritmi parossistici, un migliaio di volte superiori a quelli oggi rilevabili nella nostra Galassia, la Via Lattea. Molti altri risultati di Planck relativi al Big Bang e all’Universo neonato richiederanno ancora un anno di studi. Gli scienziati hanno tutto il tempo per analizzare con estrema cautela i dati finora acquisiti, per rimuovere i segnali spuri e le emissioni inquinanti, per esaltare i segnali più deboli e genuini che emergono dal fondo cosmico. L’annuncio degli scienziati dell’Esa e dell’Asi, è molto atteso perché, benché quella di Planck sia la terza missione spaziale in assoluto ad aver fatto breccia nella radiazione cosmica primordiale, quella per intenderci che possiamo ancora oggi cercare e trovare nello sfarfallio dei nostri televisori tra una frequenza e l’altra, ci sono ancora molte ipotesi da valutare e teorie da dimostrare per spiegare che cos’è effettivamente accaduto durante il Big Bang. Le implicazioni scientifiche, tecnologiche e filosofiche per l’Umanità potrebbero essere incalcolabili. “Le misure di Planck – preannuncia il prof. Puget – faranno fuori intere famiglie di modelli, solo che oggi ancora non sappiamo quali”. I dati definitivi raccolti sul Big Bang saranno resi pubblici nel rapporto generale di fine missione con la pubblicazione di tutti i risultati ottenuti nella campagna osservativa, nei primi mesi del 2014. “Siamo veramente soddisfatti di come ha lavorato Planck – rivela il prof. Alvaro Giménez, direttore del dipartimento Science and Robotic Exploration dell’Esa – ben oltre le più rosee aspettative. Questo è un grande tributo al lavoro svolto da molti scienziati e ingegneri d’Europa e di altre nazioni del mondo coinvolti nel progetto. In realtà siamo appena giunti a metà missione di Planck, molto resta ancora da fare per studiare i dati e ottenere gli entusiasmanti risultati scientifici che tutti attendono con ansia”. Il satellite Planck nasce dalla grande collaborazione europea dei 15 Paesi partecipanti, con un grande contributo dell’industria e degli scienziati italiani. Nel mondo della scienza gli Stati Uniti d’Europa sono già una feconda realtà. Planck osserva l’alba della Creazione dello spazio e del tempo, sondando la prima luce dell’Universo subito dopo il Big Bang. Per aiutare gli scienziati, i filosofi e i teologi a capire cosa c’era Prima ma anche cosa c’è Dopo. Il premio Nobel per la Fisica del 2006 fu assegnato a John C. Mather e George F. Smoot, per le loro ricerche nel settore dell’astrofisica legate all’utilizzo del satellite COBE della Nasa, finalizzato a questo tipo di indagini. Tra il 1964 e il 1965, i fisici americani Arno Penzias e Robert Wilson (Premio Nobel 1978) scoprirono casualmente l’esistenza di una radiazione nella frequenza delle microonde che aveva caratteristiche straordinarie: appariva sempre identica a se stessa indipendentemente dalle condizioni del tempo, dalla stagione dell’anno, dal luogo da cui si effettuavano le osservazioni e le misure, dal fatto che fosse giorno o notte. Si trattava, cioè, di una radiazione omogenea e isotropa. Perché siamo letteralmente immersi in un bagno di radiazione a microonde primordiale. Ma come interpretare questo fenomeno fisico così sconvolgente? La risposta, in realtà, era già servita su un piatto d’argento. Negli anni ’40 del XX Secolo era stata sviluppata una teoria che prediceva l’esistenza di una radiazione cosmica di fondo, proprio nella frequenza delle microonde, nell’ipotesi che l’Universo avesse avuto origine da un evento come quello descritto dalla teoria del Big Bang. In ultima analisi, la scoperta della radiazione cosmica di fondo fu uno degli indizi più convincenti a supporto del Big Bang e, quindi, del famoso Modello Standard. L’osservatorio spaziale COBE (COsmic Background Explorer) fu lanciato nel 1989 dalla Nasa, proprio per osservare nel miglior dettaglio all’epoca disponibile, la radiazione cosmica di fondo. Che è una conseguenza della nascita stessa dell’Universo. Non la emette un corpo specifico o una classe di sorgenti celesti. È l’Universo che la emise e la continua ad emettere, a causa del suo stato energetico. La teoria del Big Bang, infatti, prevede che una frazione di secondo dopo la sua Creazione, l’Universo, non più grande di una pallina da ping-pong in espansione istantanea iperluminare, fosse costituito da un brodo di particelle e di radiazione elettromagnetica in equilibrio. Gli scienziati sanno che a causa di questo equilibrio, la radiazione ha una caratteristica che la rende particolarmente semplice: la distribuzione della sua intensità lungo le varie lunghezze d’onda, cioè quello che tecnicamente si chiama spettro, dipende da un solo parametro, la temperatura. Il satellite COBE riuscì a misurare due parametri fondamentali con grande precisione: la temperatura della radiazione in 2,725 gradi Kelvin, che non è la temperatura a cui la radiazione fu emessa, ma quella a cui la misuriamo oggi (a causa dell’espansione accelerata dell’Universo la radiazione – non solo la materia – si è raffreddata); e piccole variazioni di una parte su centomila di questa temperatura. Queste fluttuazioni corrispondono a variazioni di densità nell’Universo primordiale, che sono state verificate e dimostrare essere, a loro volta, i semi cosmici dai quali si sono formati gli ammassi di galassie, le galassie, le stelle e i pianeti. Grazie al telescopio spaziale COBE gli scienziati hanno potuto osservare per la prima volta gli embrioni dell’Universo così come lo conosciamo. L’eredità di COBE è stata raccolta dal satellite Planck dell’Esa-Asi. La cosmologia osservativa è ancora una scienza giovane: COBE ha sollevato molte domande, alle quali, negli anni successivi, sono arrivate risposte parziali da missioni scientifiche come Boomerang dell’Infn, un’impresa italo-americana realizzata grazie a rivelatori posti su un pallone aerostatico, e il satellite WMAP della Nasa. Il satellite Planck non solo s’inserisce perfettamente su questa linea di ricerca, ma promette di realizzare una vera e propria rivoluzione cosmologica. Grazie a Planck gli scienziati cercano di comprendere la struttura fondamentale dell’Universo neonato; di capire come si sono formati i superammassi di galassie a partire da quello stato di contrazione incredibilmente energetica in cui l’Universo si trovava; di capire se è vero, come alcuni indizi indicano, che l’Universo è stato coinvolto in una fase di iper-espansione parossistica, detta Inflazione, che lo ha portato a dilatarsi immediatamente dalle dimensioni di un Protone (in una frazione infinitesimale di secondo) a dimensioni paragonabili a quelle attuali. Grazie all’Energia Oscura. Perché potrebbe essere l’Energia Oscura il Motore dell’Universo (Warp Drive) in espansione accelerata. Un’incredibile Forza che ci circonda in grado di sprigionare, in determinate condizioni, un’istantanea propulsione iper-luminare. Immaginate se la potessimo dominare, imbrigliare e governare in un motore interstellare di nuova concezione…come sull’Enterprise! Per ora è solo buona fantascienza degna di Star Trek con tutti gli spin-off annessi e connessi. Ma, tornando alla missione Planck, gli obiettivi estremamente ambiziosi che il telescopio dell’Esa si prefigge di coronare con il massimo successo, sono garantiti dai ben più sofisticati strumenti che nel complesso lo rendono mille volte più potente di COBE. Per costruire il satellite Plank, l’Esa ha compiuto uno sforzo tecnologico notevole. Planck è dotato, oltre a un telescopio ottico di un metro e mezzo di diametro, di strumenti che richiedono un costante raffreddamento: una batteria di 22 ricevitori radio in grado di funzionare a meno 253 gradi Celsius e ben 52 rivelatori funzionanti a meno 272.9 gradi Celsius, appena un decimo di grado sopra lo Zero Assoluto. Planck è stato l’oggetto artificiale più freddo del Sistema Solare! Ma non è solo grazie a una tecnologia di così alto livello che la cosmologia è divenuta negli ultimi decenni una vera e propria scienza e può porsi l’obiettivo di scoprire e poter dunque raccontare la storia dell’Universo: come è nato, come è cambiato nel tempo, come finirà. Perché sono sopratutto i migliori scienziati del mondo i protagonisti assoluti chiamati a fare la loro parte nell’analisi dei dati raccolti da Planck. Diversamente dalla maggior parte dei satelliti per l’astronomia, Planck non è stato lanciato in orbita intorno alla Terra. Dopo il decollo ha impiegato circa 4 mesi per raggiungere il cosiddetto Punto Lagrangiano Secondo a circa un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, in direzione opposta al Sole. Questa sede ha garantito che il satellite si trovasse abbastanza lontano dalla Terra e dalla Luna, e che fosse schermato dal Sole in modo da evitare le emissioni di calore di questi corpi, che da soli sarebbero stati sufficienti a interferire con le osservazioni astronomiche. Come ben sanno gli scienziati dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), uno dei campi dove la ricerca italiana si è distinta e sta producendo nuovi e straordinari risultati, è lo studio della radiazione di fondo nelle microonde, la luce fossile del Big Bang. Questa luce porta con sé lo stampo delle perturbazioni di densità che hanno poi dato origine alle strutture, mostrandone con il suo spettro di potenza, la relativa importanza alle diverse scale. Galassie, ammassi, superammassi hanno un loro corrispondente nelle fluttuazioni d’intensità nella CMB che osserviamo sul cielo a diverse scale, le cosiddette anisotropie. Proprio un esperimento a guida italiana, Boomerang, nel 2000 mostrò per la prima volta con precisione i picchi e le valli di questo spettro di potenza, fornendo una riprova straordinaria della teoria di formazione delle galassie basata sull’esistenza della materia oscura fredda e costruendo uno dei pilastri principali del modello cosmologico attuale. Poi, facendo seguito alla missione americana WMAP, che ha esteso le misure di Boomerang all’intero cielo, il prossimo passo era rappresentato dall’esperimento italo-francese Planck, attualmente in volo con pieno successo. Planck sta producendo immagini uniche, e nei prossimi mesi si attendono risultati straordinari, grazie alla sua grande sensibilità e risoluzione, che permettono di spingersi a scale angolari sempre più piccole. Un obiettivo ambizioso di Planck potrebbe essere l’identificazione diretta del cosiddetto spettro dei “modi B” delle anisotropie di polarizzazione, associato alle perturbazioni tensoriali primordiali dell’Universo. Questa misura costituisce una conferma definitiva del modello inflazionario per l’Universo primordiale. Mappe di polarizzazione così profonde quali quelle necessarie per tali ricerche, darebbero indicazioni dirette sulla scala di energia inflazionaria e verifiche sulla fisica ad altissima energia, ben al di là di quanto concepibile con gli acceleratori di particelle presenti (Lhc) o futuri, e in laboratori sotterranei come quello del Gran Sasso (Infn). Gli scienziati sanno che la teoria dell’Inflazione risolve elegantemente alcuni problemi dello scenario base del Big Bang, postulando una fase di espansione esponenziale dell’Universo primordiale. Questa semplice idea giustifica due aspetti cruciali in pieno accordo con la Relatività di Albert Einstein: la geometria dell’Universo essenzialmente piatta; l’estrema isotropia dell’Universo su regioni che, in assenza di una fase inflazionaria, non dovrebbero essere mai state in contatto causale. La piattezza e la isotropia appaiono entrambe confermate dalle misure di questa luce fossile CMB su tutte le scale angolari e dalle osservazioni della struttura su larga scala dell’Universo. Sebbene ciò non rappresenti una conferma diretta dello scenario inflazionario, certamente lo supporta. Lo studio dei primi istanti dell’Universo, durante la fase inflazionaria, ci conduce ai confini della nostra attuale comprensione, rendendo la cosmologia una disciplina capace di gettar luce su aspetti ancora ignoti, non solo di fisica fondamentale. L’analisi e l’interpretazione accurata della radiazione fossile CMB richiede una separazione estremamente precisa ed affidabile delle varie componenti spurie di radiazione prodotte dalla nostra Galassia o da sorgenti che i fotoni incontrano nel loro cammino prima di arrivare a noi. Questa ripulitura del segnale si ottiene dalla combinazione con osservazioni nelle bande contigue (radio e infrarosso) e dallo sviluppo di modelli astrofisici accurati delle diverse sorgenti di rumore diffuso. Queste linee di ricerca hanno nel contempo una loro specifica rilevanza, data l’importanza astrofisica e cosmologica che rivestono varie classi di sorgenti extragalattiche che si sovrappongono alla luce fossile CMB, come gli ammassi di galassie, responsabili dell’effetto “Sunyaev-Zeldovich”, o le sorgenti galattiche di emissione diffusa e discreta. L’alto livello segnale/rumore richiesto per raggiungere tali obiettivi, in teoria non appare raggiungibile nemmeno nel futuro prossimo. Ma è estremamente importante per la comunità scientifica europea realizzare progetti ed esperimenti in questa direzione finalizzati allo sviluppo della tecnologia necessaria agli eredi di Planck. I progressi nella tecnologia appaiono promettenti per i rivelatori sia bolometrici sia coerenti, in particolare nel caso di grandi batterie spaziali (“array”) di rivelatori per amplificare il segnale sul piano focale. La validità delle tecnologie sperimentate in questa direzione avranno una buona chance di rivelare il “modo B” della polarizzazione per arrivare infine alla realizzazione di missioni spaziali congiunte Esa-Nasa, in grado di osservare l’intero Cielo in 4D con grande sensibilità e controllo ottimale degli effetti sistematici. Alla base di quasi tutti questi risultati c’è l’Early Release Compact Source Catalogue di Planck. L’equivalente dell’elenco dei personaggi teatrali in scena, l’abecedario dell’Universo. Ottenuto dall’osservazione continua dell’intero Cielo a lunghezze d’onda millimetriche e submillimetriche, il catalogo è costituito da una raccolta di migliaia di sorgenti estremamente fredde. Sorgenti che l’intera comunità scientifica potrà d’ora in avanti esplorare e studiare in tutta libertà. Sono stati i primi risultati pubblici della missione: un catalogo di tutte le sorgenti galattiche ed extragalattiche viste da Planck nell’intero Cielo. Non solo: è il primo catalogo a tutto cielo, a nove frequenze diverse, da 30 GHz a 857 GHz, e costituisce un’assoluta novità. Darà lavoro per anni a tutti i telescopi da Terra e dallo spazio, che potranno fare osservazioni di follow-up. Per avere accesso ai dati contenuti nel catalogo – spiegano gli scienziati – non è necessaria alcuna competenza tecnica. Sono resi pubblici attraverso un sito web dell’Esa, accessibile a tutti. Si potranno fare ricerche per parole chiave, per zone di cielo e per nome degli oggetti. Di ogni corpo celeste, sarà anche possibile visualizzarne l’immagine, per studiarne forma e struttura. Insomma, una vera e propria Stele di Rosetta totalmente integrata con gli altri cataloghi astronomici già esistenti. È un palcoscenico, quello dell’Universo, sul quale va in scena un’Opera in tre atti. Quello che riescono a cogliere i telescopi ottici, l’arazzo di galassie che ci circonda, è poco più che l’atto finale. Con le sue misure a lunghezze d’onda che vanno dal radio all’infrarosso, Planck è in grado di risalire indietro nel tempo, e mostrarci i due Atti precedenti. I risultati presentati nel 2011 riguardano l’Atto di mezzo, quando le galassie si stavano ancora formando. Qui Planck ha rilevato l’esistenza di una popolazione ammassi stellari, altrimenti invisibili, a miliardi di anni indietro nel tempo: avvolte nella polvere, in esse si formavano stelle a un ritmo vorticoso, da 10 a 1000 volte più rapido di quello che possiamo osservare oggi nella nostra Galassia. Si tratta di misure mai effettuate prima a queste lunghezze d’onda. Planck sarà in grado di offrirci la migliore visuale che sia mai stata disponibile anche sul primo dei tre Atti: la formazione delle prime strutture a grande scala nell’Universo, dalle quali le galassie si sarebbero poi formate. Strutture la cui traccia è impressa nella radiazione di fondo a microonde, risalente ad appena 380mila anni dopo il Big Bang, l’epoca in cui l’Universo cominciava a raffreddarsi. Per vedere nei dettagli il fondo cosmico occorre anzitutto rimuovere le contaminazioni introdotte dalla moltitudine di sorgenti di foregrounds a esso sovrapposte. Fra queste, gli oggetti elencati nell’Early Release Compact Source Catalogue, così come altre sorgenti d’emissione diffusa. Alcuni risultati in evidenza riguardano sorgenti come la cosiddetta “emissione anomala a microonde”: un bagliore diffuso, associato a regioni dense e polverose della Via Lattea, la cui origine ha rappresentato per anni un vero e proprio enigma. Un mistero che i dati di Planck, grazie all’ampiezza senza precedenti della gamma di lunghezze d’onda alle quali sono sensibili i suoi rivelatori, potrebbero aver definitivamente risolto: a generare l’emissione anomala sono le collisioni di grani di polvere in rapidissima rotazione su se stessi, fino a decine di miliardi di volte al secondo, con atomi o pacchetti di luce ultravioletta. Gli scienziati sfruttando un effetto particolare detto “Sunyaev-Zel’dovich”, grazie a Planck sono poi riusciti a individuare 189 ammassi di galassie, 20 dei quali ancora sconosciuti. Un’assoluta novità. È la prima volta che nuovi ammassi di galassie vengono scoperti grazie all’effetto Sunyaev-Zel’dovich, e già stanno arrivando conferme della loro esistenza grazie a osservazioni congiunte con altri satelliti come l’osservatorio a raggi X dell’Esa, Xmm-Newton. Oltre a consegnarci immagini spettacolari, lo studio di questi enormi e antichissimi grappoli di galassie ci aiuta ad approfondire le nostre conoscenze sul tipo di Universo in cui viviamo, a che velocità si sta espandendo e quanta materia-energia contiene. Ma questa non è che la punta dell’iceberg, perché grazie all’impegno di tutte le persone coinvolte nel progetto Planck, questo campo di studi sta superando ogni aspettativa. L’Italia in questi anni ha raggiunto una posizione di eccellenza nel campo dell’osservazione ed esplorazione dell’Universo vicino e lontano. Il contributo italiano offerto al successo della missione Planck ne è una conferma. “È un grande momento, per Planck – fa notare Jan Tauber – finora ci siamo concentrati sulla raccolta dei dati e sul mettere in luce il loro potenziale. Oggi, finalmente, è arrivato il tempo delle scoperte”. Planck continua a osservare l’Universo. I prossimi dati saranno in grado di mostrare, a un livello di dettagli senza precedenti, l’Atto iniziale della Creazione cosmica, che un dramma non fu. Semmai, un Atto d’amore del Creatore. L’immagine dell’origine di Tutto, dello Spazio e del Tempo. Planck è una missione dell’Agenzia Spaziale Europea che ha gestito il programma sin dagli esordi, nel 1993, e ha finanziato lo sviluppo del satellite, il lancio e le operazioni di controllo. Il prime contractor di Esa per Planck è stata la Thales Alenia Space (Cannes, Francia). Un contributo fondamentale a Planck è stato dato dall’industria europea. In particolare, decisivo è stato il contributo di Thales Alenia Spazio (Torino) per il service module, di Astrium (Friedrichshafen, Germania) per gli specchi del telescopio e di Oerlikon Space (Zürich, Svizzera) per le strutture del payload. La maggior parte dei test criogenici e ottici più complessi sono stati eseguiti presso il Centro Spaziale di Liegi, in Belgio, e presso la sede di Cannes di Thales Alenia Space. L’eccezionale know-how richiesto per lo sviluppo dello strumento a bassa frequenza (LFI) e di quello ad alta frequenza (HFI) è stato fornito da due grandi consorzi internazionali, comprendenti in totale circa 50 istituti scientifici dell’Europa e degli Stati Uniti, finanziati dalle agenzie dei Paesi coinvolti. Per quanto riguarda lo sviluppo degli strumenti scientifici, un contributo importante è dovuto a Thales Alenia Space (Milano) per LFI ed a Air Liquide – DTA (Grenoble, Francia) per HFI. I due consorzi sono anche responsabili per l’operatività scientifica dei rispettivi strumenti e per il trattamento dei dati. Alla guida dei consorzi, i due principal investigators: J.-L. Puget, dell’Institut d’Astrophysique Spatiale di Orsay (Francia), è responsabile di HFI (finanziato principalmente dal CNES e dal CNRS [INSU, IN2P3]), mentre N. Mandolesi, dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Bologna, è responsabile di LFI (finanziato principalmente dall’ASI e dall’Inaf). La Nasa ha finanziato lo US Planck Project, con base al JPL e con il coinvolgimento di scienziati da numerose istituzioni degli Stati Uniti, il cui contributo all’impegno dei due consorzi è stato decisivo. Un consorzio d’istituti danesi, finanziato dal Danish National Research Council, ha preso parte insieme all’Esa allo sviluppo dei due specchi del telescopio di Planck che è gestito dal Flight Control Team del Mission Operations Centre (MOC), presso lo European Space Operations Centre (ESOC) dell’Esa a Darmstadt (Germania). Il Planck Science Office, presso lo European Space Astronomy Centre (ESAC) dell’Esa, in Spagna, gestisce l’intera survey e coordina le operazioni scientifiche dei due strumenti. L’esplorazione spaziotemporale più importante e significativa, è appena iniziata. Fanno parte della Planck Scientific Collaboration tutti gli scienziati che hanno contribuito allo sviluppo della missione Planck, e che prendono parte all’utilizzo scientifico dei dati di Planck durante il periodo proprietario. Gli scienziati della Planck Scientific Collaboration sono membri di uno o più dei seguenti quattro consorzi: il Consorzio LFI, il Consorzio HFI, il Consorzio DK-Planck e il Planck Science Office dell’Esa. I due centri di elaborazione dati a guida europea di Planck si trovano a Parigi, in Francia, e a Trieste, in Italia. Lo sviluppo della missione Planck (www.satellite-planck.it/) è stato sostenuto dal contributo finanziario e tecnologico degli Stati membri dell’ESA. Più del 40 per cento dei costi di sviluppo della missione è stato fornito dalle Agenzie che hanno fornito HFI e LFI. Oltre la metà dei finanziamenti nazionali sono giunti da Francia e Italia, tramite le loro due principali agenzie di finanziamento, CNES e ASI, e gli enti di ricerca nazionali. Il contributo degli Stati membri dell’Esa è ancora più significativo per quanto riguarda il funzionamento scientifico della missione e il trattamento dei suoi dati. Gli Stati membri dell’Esa hanno anche fornito tecnologie-chiave, come per esempio il dispositivo di raffreddamento innovativo, che ha permesso di mantenere la strumentazione della missione ad appena un decimo di grado sopra lo zero assoluto. Anche la Nasa ha contribuito, con tecnologie di rilievo e parte della strumentazione di bordo. Ammirando la Mappa di Planck non si può fare a meno di notare come l’Universo sia veramente di una semplicità disarmante. Impressiona considerare come quella uniformità quasi assoluta appena mossa da un soffio di brezza, cioè le famose “oscillazioni acustiche”, sia stata il terreno fertile per lo sbocciare della successiva complessità, della ricchezza, della varietà che troviamo nell’Universo presente. L’Uomo ne è l’apice? Ecco la vita, la coscienza, ecco noi stessi in questo quadro meraviglioso disegnato da DIO. Siamo noi il più enigmatico dei frutti dell’Universo, irriducibili a tutto ciò che ci precede e ci circonda, ed allo stesso tempo materialmente dipendenti da questa storia cosmica così sottile e imponente? Come afferma il Salmo “non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra”(Sal 138,15). Il nostro corpo e le nostre ossa hanno avuto bisogno della Terra e del Cosmo intero, comprese quelle leggere increspature nell’Universo di 13,82 miliardi di anni fa. Grazie infinite, Planck.

© Nicola Facciolini

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