La vita dell’anziano in casa è più lunga

“Non è fantascienza una presa in carico globale della persona a casa. E’ una battaglia che portiamo avanti da vent’anni e ha le sue basi nella libertà di scelta dei luoghi di cura e dei curanti prevista dal Sistema sanitario nazionale. Una libertà di scelta che va regolamentata”. Così Maria Giulia Marini, responsabile dell’area Sanità […]

“Non è fantascienza una presa in carico globale della persona a casa. E’ una battaglia che portiamo avanti da vent’anni e ha le sue basi nella libertà di scelta dei luoghi di cura e dei curanti prevista dal Sistema sanitario nazionale. Una libertà di scelta che va regolamentata”. Così Maria Giulia Marini, responsabile dell’area Sanità e salute della Fondazione Istud, che si pronuncia sulla fattibilità e sulla sostenibilità economica del progetto “Restare a casa” per il quale si sta battendo il Comitato 16 novembre. E se è vero che l’assistenza a casa è particolarmente gradita dai pazienti (lo chiede dall’86 al 92% degli intervistati dall’istituto), e meno dai familiari (per il carico di cura che grava sugli stessi), va sottolineato un aspetto: nel restare a casa non ci sarebbero vantaggi economici, ma ci sono di sicuro vantaggi qualitativi. Con un daato emblematico, riferito dalla stessa responsabile Istud: “Da studi pubblicati sulle più importanti riviste scientifiche sappiamo che la durata della vita è più lunga quando la persona è assistita a domicilio. Nel caso degli ultranovantenni il dato è che nelle Rsa si muore sei mesi prima, nel caso degli over 65 si registra un’accelerazione della morte di 10 anni rispetto alla gestione a domicilio”.
Quella dei luoghi di cura, comunque, “è una libertà di scelta che va regolamentata”.

“Non separare il sanitario dal sociale”. Ma da dove cominciare per mettere in piedi un’assistenza domiciliare che rispetti la libertà di cura? “Bisogna non separare il sanitario dal sociale, e questo va fatto a cominciare dall’alto, a livello ministeriale – afferma Maria Giulia Marini -. Poi serve che Comuni e aziende sanitarie si parlino. A livello organizzativo la macchina è pronta: la base è il team multidisciplinare di medico, infermiere, assistente sociale, psicologo, fisioterapista”. Secondo l’esperta dell’Istud occorre anche “non farsi fregare dalle ideologie, perché la differenza la fa la qualità: se il pubblico non funziona, si guarda al privato, quello accreditato e rimborsato dalla Regione. Però lo devo poter scegliere”.
Un aspetto su cui la responsabile Istud insiste è la sostenibilità per tutta la famiglia del malato: “E’ fondamentale non mandare la famiglia nel caos”.

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