La strage di Nassiriya il 12 novembre 2003, dieci anni fa il sacrificio degli Italiani per la Pace nel mondo

Il 12 Novembre 2013 si ricorda il decimo anniversario della Strage di Nassiriya in Iraq. Vi persero la vita 19 italiani, tra militari e civili, in guerra contro il terrore per la pace mondiale e la libertà del popolo dell’Iraq, e “gli iracheni che con essi perirono, vittime di una stessa inaccettabile e vile barbarie” […]

Il 12 Novembre 2013 si ricorda il decimo anniversario della Strage di Nassiriya in Iraq. Vi persero la vita 19 italiani, tra militari e civili, in guerra contro il terrore per la pace mondiale e la libertà del popolo dell’Iraq, e “gli iracheni che con essi perirono, vittime di una stessa inaccettabile e vile barbarie” – ricorda il Presidente della Repubblica Italiana, Giorno Napolitano mentre il Ministro della Difesa consegna la “Medaglia della riconoscenza” ai familiari dei Caduti. Ma quello che chiedono tutti i familiari è di non dimenticare il sacrificio dei loro congiunti, il loro modo di servire la Patria. E crediamo fermamente che sia una bella occasione per dare agli Italiani la consapevolezza di quanto profondo sia il legame tra i valori delle Forze Armate, della Democrazia, della Libertà, della Giustizia e della Pace. Il ricordo dei nostri giovani Eroi, figli valorosi dell’Italia, sarà sempre vivo in ciascuno di noi come un dolore condiviso intimo e personale. Sono nostri fratelli. L’Italia non ha dimenticato e non dimenticherà mai i suoi Martiri per la Pace e la Libertà. Questi tragici eventi possano rappresentare un momento storico di passaggio verso la piena consapevolezza e la ripresa del sentimento nazionale oltre che del rinsaldato legame tra il Popolo italiano e le Forze Armate. L’Italia può offrire il suo contributo, considerato il piano strategico Nato di rafforzamento della difesa nel settore mediterraneo nel quadro della sicurezza globale insieme a Stati Uniti e Russia. In omaggio al sacrificio compiuto dai nostri eroici connazionali e di quanti ancora oggi sono impegnati in tutto il mondo a diffondere i valori che la Bandiera italiana rappresenta, durante la commemorazione del 12 Novembre vengono pronunciati i nomi delle vittime del vile attacco: Tenente Massimiliano FICUCIELLO, Luogotenente Enzo FREGOSI, Aiutante Giovanni CAVALLARO, Aiutante Alfonso TRINCONE, Maresciallo Capo Alfio RAGAZZI, Maresciallo Capo Massimiliano BRUNO, Maresciallo Daniele GHIONE, Maresciallo Filippo MERLINO, Maresciallo Silvio OLLA, Vice Brigadiere Giuseppe COLETTA, Vice Brigadiere Ivan GHITTI, Appuntato Domenico INTRAVAIA, Carabiniere Scelto Horatio MAIORANA, Carabiniere Scelto Andrea FILIPPA, Caporal Maggiore Emanuele FERRARO, Caporale Alessandro CARRISI, Dottor Stefano ROLLA, Signor Marco BECI. A distanza di dieci anni da quel tragico 12 Novembre 2003, il dolore per la Strage di Nassiriya è ancora vivo ed è sempre più necessario l’esempio di chi, animato da straordinario senso di umanità e di responsabilità, ha offerto il proprio destino con assoluta abnegazione e dedizione ai valori della Pace, della Democrazia, della Patria, della Giustizia e della Libertà. L’abbraccio con il quale allora l’Italia intera si strinse attorno ai nostri militari e ai loro familiari, continua ad essere Messaggio di Speranza per vincere la crisi economica e sociale.  L’attacco del 12 Novembre 2003 fu un vile atto di guerra alla base italiana di Nassiriya in cui furono assassinati dodici Carabinieri, cinque soldati e due civili impegnati in un’Operazione internazionale di peace-keeping che ha consentito agli Iracheni di poter eleggere un’Assemblea Costituente, di avere un Governo rappresentativo delle varie etnie e che ha permesso al popolo dell’Iraq di esprimersi attraverso un referendum di approvazione della Costituzione. L’Iraq è stato chiamato alle urne per le sue prime libere elezioni politiche nel 2009. L’omaggio del Tricolore vuol essere un momento di riflessione e di ringraziamento ai diciannove Eroi di Nassiriya. Per non dimenticare. È l’occasione per ricordare tutti i militari caduti nelle diverse missioni di Pace (www.difesa.it/Pagine/default.aspx) che le nostre Forze Armate compiono nel mondo. Le solenni celebrazioni pubbliche del 4 Novembre, Giornata dell’Unità Nazionale e Festa delle Forze Armate, nel 95° anniversario della vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale, richiamano alla memoria l’alto sacrificio. La splendida ed epica vittoria che pose fine al primo conflitto mondiale, cementò una nazione che per secoli era stata divisa e immersa nelle proprie realtà degli interessi particolari. Il 4 Novembre è la Giornata del nostro cammino unitario e della nostra solidarietà verso i Popoli della Terra in difficoltà. È la festa delle Forze della Pace e della Sicurezza. Dei nostri soldati e, soprattutto, dei nostri giovani, nella speranza che sappiano conservare l’unità e la pace per alimentarle sempre di più. Ben 95 anni fa, i soldati italiani attestandosi sul Piave si apprestavano a portare a compimento l’unificazione dell’Italia, trasformando in realtà storica il grande progetto della comunione di tutti gli italiani su un unico territorio. Una festa che deve essere ancora pienamente compiuta e valorizzata nel cuore e nell’anima, una solennità che in poche altre occasioni si ripete eguale, per onorare i nostri Caduti in guerra, per ricordare l’Unità nazionale e per festeggiare le Forze Armate. Celebriamo le radici storiche dell’Italia unita e quanti in armi hanno reso servigio alla nazione con dedizione, amor patrio e spirito di sacrificio, per garantire le conquiste di un’Italia libera, giusta e democratica, non dimenticando tutti gli Italiani che hanno donato la loro vita per il bene della Patria e per assicurare la pacifica convivenza civile fra le nazioni. Celebriamo e commemoriamo con rispetto e dolore quanti soffrirono, militari e civili, durante i lunghi anni del conflitto. La gratitudine della Patria, vada non solo verso coloro che con la loro vita, i loro sacrifici, le loro sofferenze, lottarono per creare una Italia unita, libera e giusta. Ma anche a tutti i militari caduti nelle diverse missioni che le nostre Forze Armate compiono nel mondo. Sono ancora tante le guerre combattute sulla Terra per difendere la libertà e la dignità di altri popoli e nazioni. Ma se i conflitti possono essere individuati ed è quindi possibile determinare le opzioni per la loro risoluzione, ciò che minaccia direttamente noi, il terrorismo internazionale organizzato e i trafficanti di armi e morte, è così indefinibile, imprevedibile, indifferente alle nostre ragioni, animato dal cieco odio di natura non reattiva, che ogni volta ci viene chiesto un nuovo, intenso, attento impegno. Nel mondo intero l’Onu, la Nato, l’Alleanza degli Stati democratici si stanno prodigando in interventi che si possono definire di Pubblica sicurezza internazionale. Al momento l’Italia si distingue tra gli Stati, per numero di missioni in corso e di uomini impiegati. In questo straordinario intento, le nostre Forze Armate sono esemplari. I nostri ragazzi, le nostre ragazze, gli ufficiali e sottufficiali che li guidano, i comandanti che sovrintendono alle varie operazioni, dimostrano al mondo intero il loro valore. Ciò è motivo di orgoglio per noi tutti ma anche una sicurezza per il futuro della nostra Democrazia. Il 4 e 12 Novembre non celebriamo qualcosa di astratto e lontano dal sentire comune. Come ogni anno, torniamo a porre l’accento su quello che, fuori di retorica, può essere definito come il bene supremo collettivo, l’unità nazionale. Che, così come viene intesa, non è un mero bene da salvaguardare: se così fosse, non avrebbe senso ormai in quest’epoca e in questa terra nella quale nuovi popoli, nuove etnie, nuove culture, nuove esigenze, nuovi eserciti a carattere multinazionale, nuove richieste entrano in gioco. Quando parliamo di unità nazionale, dobbiamo riferirci alla cifra che dà sostanza alla nostra convivenza di Italiani e che da essa si alimenta. L’unità dell’Italia, insomma, non intesa come una parola evocativa o come un sentimento cui aspirare: l’unità della nostra nazione va concepita e attuata come un avvenimento reale, come tensione cui proiettarsi, che nessun politicante potrà mai rubarci. Abbiamo un’identità di Italiani, siamo davvero un Popolo unito con una comune storia, con un comune sentire, con comuni valori. Il nostro cammino verso il futuro  procede lungo una strada segnata dalla storia e nella quale vogliamo continuare a stare. L’unità di un popolo non è il collante ma è il sentiero sul quale procedere, in riferimento a regole e valori ben precisi. In primis, della vita e del rispetto della dignità di ogni persona. In questo senso un pensiero e un ringraziamento forti, oggi 12 Novembre 2013, li esprimiamo alle Istituzioni che garantiscono nella massima accezione, la Democrazia, la Libertà, la Giustizia e la civile convivenza. Nell’auspicio che in tutti sia sempre presente l’amore per la nostra Patria, non come mezzo di un egoistico nazionalismo, ma come l’espressione di una comune fratellanza e di un’identità comunitaria in grado di creare ricchezza. Per questi motivi occorre riconoscere la Medaglia d’oro al valore militare a quanti, indossando una divisa, hanno sacrificato la propria vita per la Patria e per la Pace, siano essi caduti a Nassiriya siano essi caduti perché contaminati da uranio impoverito nelle missioni in Bosnia, Kosovo e Iraq siano essi caduti eroicamente in qualsiasi altro teatro operativo del mondo. Questi nostri militari e le loro famiglie incarnano in loro l’alto valore della Patria e della Pace. Essi sono un esempio di coraggio, abnegazione e solidarietà. La Medaglia d’oro al valor militare a questi nostri Caduti trova anche fondamento nella sofferenza che i nostri reduci hanno patito e continuano a patire con le loro coraggiose famiglie. Siamo convinti che il Parlamento italiano saprà stare più vicino alle famiglie dei tanti militari caduti e feriti per la libertà e la pacificazione dei popoli, chiaramente predisponendo tutti quegli strumenti utili affinché simili tragedie non abbiano mai più a ripetersi. I nostri militari meritano mezzi, strumenti e sistemi di sicurezza sul teatro operativo, di natura attiva e passiva, degni dell’Alleanza Atlantica (Nato) alla quale apparteniamo. Degni, tra pari, dell’amicizia e dell’alleanza con gli Stati Uniti d’America e delle conoscenze scientifiche e tecnologiche del XXI° Secolo. La vicinanza dello Stato ai familiari dei militari colpiti da patologie dovute all’esposizione all’uranio impoverito, deve materializzarsi necessariamente sia nella giusta e pronta elargizione economica dovuta alle vittime del dovere sia nella divulgazione, attraverso mirate campagne ed iniziative culturali e sociali sul territorio, della drammatica realtà vissuta da questi nostri militari sul teatro operativo e, da reduci, in Italia. La loro memoria ci appartiene. E la cultura (anche cinematografica) renda loro le dovuti attenzioni. Il silenzio della politica e della cultura non può trovare giustificazione retorica e satirica. Gli Italiani hanno il diritto di sapere come e perché offrono i loro figli al Mondo e alla Patria. Questa non è retorica qualunquistica ma il concreto, mirato e serio riconoscimento della vicinanza al dramma che colpisce, ancora oggi, i nostri reduci nelle varie patologie post-belliche. Non dimentichiamo, infatti, che i militari ammalatisi o deceduti a causa dell’uranio impoverito nelle missioni in Bosnia, Kosovo e Iraq, invocano ancora giustizia e verità. Sul numero delle vittime l’incertezza è ancora totale. Dalle onorificenze non vanno esclusi i feriti della Strage di Nassiriya. Il 12 Novembre 2013 si celebra la quinta Giornata del ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace. Ma in Iraq e in Afghanistan ci sono stati veri e propri episodi di guerra. “Nell’ambito delle commemorazioni, sarà consegnata ai familiari delle vittime della strage di Nassiriya – nella quale persero la vita 19 persone: 12 Carabinieri, 5 militari dell’Esercito e 2 giornalisti – la Medaglia della Riconoscenza”, si legge in una nota del gabinetto del Ministro. Il riconoscimento deve riguardare anche i feriti ospedalizzati. Lo Stato Italiano deve dimostrare di essere riconoscente ai 19 feriti. Tutti i feriti dei Carabinieri di Nassiryah, anche gli ultimi che non l’avevano fatto prima, si sono costituiti da poco parte civile con­tro il ministero della Difesa. La pre­scrizione incombeva proprio con l’approssimarsi del decennale. Forse perché quel giorno nella base Maestrale, di quaranta che erano all’inter­no, 19 sono morti ed altrettanti so­no rimasti feriti, mentre adesso ri­sultano ferite più di ottanta perso­ne, gente che era a chilometri di distanza dalla base e si ritrova con tutti i benefici di legge? Un altro fe­rito che era di guardia al momen­to del vile attacco suicida, niente affatto “kamikaze” come si scrive da dieci anni, non è stato neppure invitato alla ceri­monia. Molti hanno rifiutato l’onorificenza di “vittima del terrorismo”. L’Associazione feriti e vittime della criminalità e del dovere ha protestato con il Comandate del­l’Arma lamentando che al decen­nale non siano stati invitati tutti i feriti “per il solo fatto di non essere stati ricoverati subito”. Si tratta so­prattutto di personale affetto da stress post traumatico, in servizio pur avendo un’invalidità riconosciuta. Feriti dimenticati e messi da parte mentre torna sempre in mente il fragore dell’attacco e la visione del muro che esplode in faccia. Oltre alle lesioni fisiche, dieci anni dopo la strage di Nassiriya, queste persone portano dentro una ferita invisibile e inconfessabile. Ai 27 feriti ufficiali del più pauroso atto di guerra ai militari italiani dopo la Seconda Guerra Mondiale è stato riconosciuto lo stress post traumatico da combattimento. Una serie di disturbi che colpisce chi è stato in prima linea, flashback, scatti d’ira, difficoltà ad addormentarsi e altri traumi legati alla guerra. Altro che attentato terroristico! Anche l’acqua della doccia sul viso dà un senso di soffocamento. Non riescono ad andare ad un concerto per il rumore. Il caos ricorda loro l’esplosione. Se a Natale qualcuno stappa una bottiglia di spumante, tornano i sudori freddi. Le ferite psicologiche restano aperte. Se non si dorme per giorni, se si sogna un campo di fiori ed improvvisamente si vede una testa mozzata, se si sentono degli odori forti, torna alla mente l’attacco. Vuol dire che Nassiriya non li lascerà mai più. È la ferita invisibile del Ptsd, il Disordine da stress post traumatico, per lungo tempo un tabù nel mondo militare italiano. In realtà fin dalla prima missione in Libano del 1982, fra Aprile e Luglio del 1983, ben 28 militari di leva furono esaminati ed 11 rimpatriati per disturbi di natura psichiatrica. Forse i feriti di Nassiriya rientrano nella media europea, attorno al tre percento di possibili casi di stress post traumatico riferendosi come campione ai reparti più operativi? Per Nassiriya ai 19 feriti ospedalizzati ed a un’altra decina di militari è stato riconosciuto il Ptsd. Otto carabinieri sono stati congedati per stress post traumatico. Poi due di loro vennero ritenuti abili per una missione in Bosnia ed un’altra in Iraq. Negli ultimi dieci anni 260 militari sono stati evacuati dai teatri operativi per sospetti problemi psichiatrici. In 107 non hanno presentato sintomi di rilievo. Ad una settantina è stato diagnosticato un disturbo da stress, anche se non grave. A 65 militari sono stati riscontrati problemi psichiatrici di vario genere. Secondo il ministro della Difesa dal 2007 al 2011 i casi censiti di Ptsd sono stati 32. Ma forse il dato è sottostimato. Il numero di suicidi nelle Forze Armate dal 1996 ad oggi è di circa 20 all’anno per un totale di 398 militari che si sono tolti la vita. Il Ministro ha riferito di quattro soldati che si sono tolti la vita per motivi legati alle missioni: due in Iraq e due in Afghanistan. Nel Paese asiatico degli aquiloni e nei periodi caldi in Iraq sono stati impegnati circa 20mila militari in prima linea. Se la matematica non è un’opinione, pare realistico pensare che lo stress post traumatico da combattimento abbia potuto colpire almeno 600 soldati. I traumatizzati meritano una Medaglia. Perché ogni notte, quando si spengono le luci e cala il silenzio, molti rivedono la scena del loro mezzo che salta in aria. L’unico modo per prendere sonno è tenere la tv accesa. Un altro veterano, quando la compagna è fuori città, preferisce dormire in caserma, altrimenti viene assalito da incubi. A Nassiriya, un militare impegnato per ore in uno scontro a fuoco, una volta tornato in Italia ha lasciato le Forze Armate. Quella scena gli era rimasta dentro e non avrebbe più potuto riaffrontarla neppure mentalmente. Anche i generali a volte cedono. Ad Herat, un comandante del contingente italiano è scoppiato a piangere come un bambino parlando di un suo ufficiale ferito. C’è gente che da Nassiriya o dall’Afghanistan non è mai tornata. Tanto che i bimbi pur non sentendo il boato scoppiano a piangere. La strada vuota, deserta e la voglia di far sapere ai cari di esser vivi. Le immagini della base distrutta alla televisione. I morti. I loro volti. Tutti i reduci si portano dentro il dolore, la ferita di sensazioni quasi fisiche. Tutti parlano di quell’odore di carne bruciata. Raccontano l’angoscia, la paura di muoversi in mezzo allo scoppiettio continuo delle munizioni. Descrivono la confusione mentale generata dal brusio di urla, ordini e rumori. Ricordano la nube indistinta di fumo e polvere che li circonda. Rivivono l’angoscia di calpestare il sangue dei colleghi, di schiacciare qualche ferito o, peggio, camminare sul corpo di un morto. Quell’orrore, degno dei film di Quentin Tarantino, serve però a restituire ai nostri militari l’affetto e la comprensione dei cittadini. Quell’attacco di dieci anni fa rappresenta un vero spartiacque nel rapporto tra la popolazione italiana e le sue Forze Armate. Per la prima volta la percezione del rischio cambia totalmente. I militari comprendono che il rischio è assai reale e rispondono con un addestramento e una preparazione molto più severa. La comunità nazionale attraverso quel lutto si avvicina di più a loro. Dopo Nassiriya i soldati visti, a volte, come lontani tornano ad essere parte della comunità nazionale e non più di un videogioco sul retina display. L’addio ai Caduti stringe la cittadinanza intorno ai propri soldati. E la nazione comprende cosa rischiano in missione. Quell’odore, quel tanfo dolciastro, un misto di carne bruciata ed altri miasmi, entra nella gola, scende nei polmoni, torce lo stomaco. Da quel giorno in molti reduci non se n’è mai più andato. È rimasto dentro. Da quel 12 Novembre 2003 quando respirano qualcosa di simile rivedono le immagini tornare, una processione, un incubo ricorrente. Arriva l’odore e poi arrivano loro. Sempre assieme. Sempre le stesse persone. Tutte in fila dietro a quel lezzo. Vedono quell’asinello tranciato in due dall’esplosione. Vedono la sua carcassa appena oltre il ponte. Si ritrovano tra le macerie. Si rivedono sull’orlo di quella voragine, un baratro di due metri. Non è un impatto cosmico. È la guerra. È tanta roba. Troppa roba. Soprattutto se si sa che lì dentro son finite le vite dei loro amici. E lo sapevano. Solo quando hanno visto quel buco nero hanno capito che non sarebbero mai più tornati. Sono loro, i reduci di Nassiriya, da dieci anni il simbolo vivente della strage. Militari con una mano sull’elmetto ed il mitragliatore abbassato. Militari che scrutano quel baratro davanti alle rovine spettrali della palazzina sventrata dal camion-bomba dei nemici. Ma ad essere inghiottiti, triturati da quell’inferno nero, furono i loro amici. In quel momento facevano i conti con la loro morte. In quel momento respiravano l’orrore che invadeva lo stomaco e rovesciava le budella. Poi pian piano quelle foto sono diventate più grandi di loro. Più grandi di quel che vedevano. In quei tristi giorni i sopravvissuti non avevano tempo per riflettere. Quando videro le foto della carneficina non ci potevano credere e non la sapevano nemmeno raccontare. Davanti a quelle foto irradiate ovunque nel mondo e su internet, mentre Mark Elliot Zuckerberg inventava Facebook all’Università di Harvard negli States, i nostri militari non riuscivano a proferire parola. Quelle istantanee di Nassiriya condensano la perdita di amici e colleghi divorati da quel girone infernale che è la guerra. Qualcuno spera in una Medaglia la valor militare. Qualcuno si accontenta di ricordare. Ma nessuno pensa che il loro sacrificio sia stato vano. Sono i Figli di Nassiriya, bambini e ragazzi cresciuti nel ricordo dei padri assassinati dalla guerra, non soltanto da un vile attentato. La strage di Nassiriya, la morte dei padri, resta il centro della loro vita. Dopo quel 12 Novembre sono venuti giorni strazianti, ma anche tanta solidarietà. La tristezza dei primi solenni funerali di Stato, ma anche la folla, l’affetto, la solidarietà dei comuni cittadini di una nazione italiana unita. La loro vicinanza dà ai familiari di tutte le vittime la forza di andare avanti perché i loro padri non sono stati dimenticati. Dopo quell’attacco l’Italia era in ginocchio, ma ha riscoperto l’amor patrio e l’unità nazionale. Le immagini dei funerali, i tricolori alle finestre, la folla in fila al Vittoriano per rendere omaggio ai Caduti di Nassiriya, sono una pagina di storia indimenticabile. Quel che è seguito in Italia ha realmente fatto capire che il loro sacrificio non è stato vano? Le nostre Forze Armate, presidio della Democrazia, dei Diritti e delle Libertà fondamentali della Costituzione Italiana, hanno lavorato per la Pace, partecipando alla ricostruzione dell’Iraq. I Caduti amavano l’Arma dei Carabinieri ed amavano quelle missioni. E questi sono i valori che oggi i loro figli continuano a trasmettere a tutti gli Italiani. Grazie al loro sacrificio, noi continuiamo ad amare la Patria a cui loro hanno donato la vita. I politicanti dovrebbero umilmente riconoscerlo, prima di continuare a danneggiare l’Italia. Perché chi dimentica, uccide tre volte. A dieci anni di distanza il rammarico più grande non è solo la mancanza di un riconoscimento tangibile del loro sacrificio. Per chi veste la divisa l’unico riconoscimento possibile, è soltanto una Medaglia al valor militare? No. Dieci anni dopo, il ricordo non è svanito. Quel sacrificio ha colpito tutti gli Italiani. Nessuno dimentica Nassiriya e i suoi Caduti. Oggi l’Italia unita, con il Tricolore in mano, è particolarmente orgogliosa dei suoi Eroi. Il loro sacrificio è una molla per continuare a vivere nel loro ricordo e per ricominciare. I Caduti di Nassiriya hanno contribuito a riunire l’Italia, a risvegliare nei cittadini quel patriottismo rimasto sopito per tanti decenni. Chi pensa che la loro vita sia stata sprecata non dice la verità. Una vita donata al prossimo non è mai una vita buttata. Loro erano lì, in Iraq, per difenderci dal terrorismo internazionale organizzato, e la loro presenza in quel territorio ha contribuito a tener lontana la minaccia dal nostro Paese. Loro ci hanno lasciato l’amore per il lavoro, per la crescita, per l’Italia. Ci hanno trasmesso i valori in cui ogni Italiano dovrebbe credere per esserne fiero. Le nuove foto diffuse dall’Ufficio Stampa dell’Arma dei Carabinieri, che ringraziamo vivamente, rendono l’idea. “Rivolgo il mio deferente omaggio a tutti coloro che hanno perso la vita adempiendo con onore al proprio dovere, al servizio dell’Italia e della comunità internazionale – scrive il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio inviato, in occasione della celebrazione della quinta Giornata dedicata al ricordo dei caduti, militari e civili, nelle missioni internazionali per la pace – nel 10° anniversario della strage di Nassiriya, che oggi ricorre, un commosso pensiero va, in particolare, ai 19 italiani tragicamente caduti in quell’efferato, gravissimo attentato ed agli iracheni che con essi perirono, vittime di una stessa inaccettabile e vile barbarie. I militari ed i civili che, anche a rischio della vita, operano nelle aree di crisi, in tante travagliate regioni del mondo, sono l’espressione di un Paese che crede nella necessità di uno sforzo comune per la sicurezza e la stabilità. Sono il simbolo di un impegno forte a tutela dei diritti fondamentali dell’Uomo e per la cooperazione pacifica tra i popoli. I caduti che commemoriamo in questa Giornata sono stati interpreti coraggiosi e sfortunati di questo grande impegno italiano. Dobbiamo esserne orgogliosi e tributare loro la nostra riconoscenza per quanto hanno dato. Con questi sentimenti sono oggi affettuosamente vicino ai familiari di quegli uomini e di quelle donne e partecipo al loro dolore”. Viva le Forza Armate! Viva l’Italia!

© Nicola Facciolini

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