Papa Francesco, la Santa Madre di Dio e la Pace sulla Terra, nel segno della stella Nova Centauri 2013

“Nel volto del Bambino Gesù contempliamo il volto di Dio. Venite, adoriamo! A Natale Cristo viene fra noi: è il momento propizio per un incontro personale con il Signore. Dio non si rivela nella forza o nella potenza, ma nella debolezza e nella fragilità di un neonato”(Papa Francesco). Nel segno della stella Nova Centauri 2013, […]

Agnus Dei mosaico

“Nel volto del Bambino Gesù contempliamo il volto di Dio. Venite, adoriamo! A Natale Cristo viene fra noi: è il momento propizio per un incontro personale con il Signore. Dio non si rivela nella forza o nella potenza, ma nella debolezza e nella fragilità di un neonato”(Papa Francesco). Nel segno della stella Nova Centauri 2013, Papa Francesco fa suo il Canto degli Angeli che apparvero ai pastori di Betlemme nella notte in cui nacque Gesù: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). È il primo Anno Domini 2014 di Papa Bergoglio pastore della Santa Chiesa Universale di Cristo. “Un rinnovato impegno nella costruzione di una convivenza fondata sulla verità, sull’amore e sulla giustizia, fuggendo dalla globalizzazione dell’indifferenza, che fa abituare alla sofferenza dell’altro e induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli”, è il messaggio di Papa Bergoglio per il nuovo anno nella Giornata mondiale della Pace, il 1° Gennaio, sul tema “La Fraternità, fondamento e via per la pace”. Nella solennità di Maria Madre di Dio, Papa Francesco ha affidato alla Madonna i desideri del nostro cuore e i bisogni della Terra. “Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Con queste parole il Santo Padre apre il nuovo anno 2014 scegliendo l’antica preghiera di benedizione che Dio suggerisce a Mosé, per accompagnare “il nostro cammino per il tempo che si apre davanti a noi. “Sono parole di forza, di coraggio, di speranza – rivela Papa Bergoglio – non una speranza illusoria, basata su fragili promesse umane; neppure una speranza ingenua che immagina migliore il futuro semplicemente perché è futuro. Questa speranza ha la sua ragione proprio nella benedizione di Dio, una benedizione che contiene l’augurio più grande, l’augurio della Chiesa ad ognuno di noi, pieno di tutta la protezione amorevole del Signore, del suo provvidente aiuto. Un augurio che si è realizzato pienamente in una donna, Maria, in quanto destinata a diventare la Madre di Dio. Questo è il titolo principale ed essenziale della Madonna. Si tratta di una qualità – ricorda il Papa – di un ruolo che la fede del popolo cristiano, nella sua tenera e genuina devozione per la mamma celeste, ha percepito da sempre. Madre di Dio che ci ha preceduti nel nostro cammino di fede e per questo la sentiamo particolarmente vicina a noi! La Madre di Dio ha condiviso la nostra condizione, ha dovuto camminare sulle stesse strade frequentate da noi, a volte difficili e oscure, ha dovuto avanzare nel ‘pellegrinaggio della fede’. Maria sorgente di speranza e di gioia vera! Esempio di umiltà e disponibilità alla volontà di Dio, che al calvario tiene accesa la fiamma della fede nella risurrezione del Figlio e la comunica con affetto materno agli altri. A Lei affidiamo il nostro itinerario di fede, i desideri del nostro cuore, le nostre necessità, i bisogni del mondo intero, specialmente la fame e la sete di giustizia e di pace e di Dio; e la invochiamo tutti insieme: Santa Madre di Dio!”. Il Papa all’Angelus rivolge il suo augurio speciale per il 2014. “Il mio augurio è quello della Chiesa, è quello cristiano! Non è legato al senso un po’ magico e un po’ fatalistico di un nuovo ciclo che inizia. Tutti noi – ricorda il Vescovo di Roma – abbiamo lo Spirito Santo ricevuto nel Battesimo:
Lui ci spinge ad andare avanti nella strada della vita cristiana, nella strada della Storia, verso il Regno di Dio”. Il Santo Padre richiama il tema della Giornata mondiale della Pace. “Fraternità, fondamento e via per la pace, nella convinzione che siamo tutti figli dell’unico Padre, parte della stessa famiglia umana, con un comune destino – osserva Papa Bergoglio – chiamati ad operare perché il mondo diventi una comunità di fratelli che si rispettano, si accettano nelle loro diversità e si prendono cura gli uni degli altri. Siamo anche chiamati a renderci conto delle violenze e delle ingiustizie presenti in tante parti del mondo e che non possono lasciarci indifferenti e immobili: c’è bisogno dell’impegno di tutti per costruire una società veramente più giusta e solidale”. Pena, forse, gli scenari più cupi dell’universo di Capitan Harlock, il capolavoro manga del maestro Leiji Matsumoto, oggi una splendida pellicola cinematografica interamente in 3D diretta da Shinji Aramaki, in computer grafica, realizzata dalla Toei Animation. Da qui l’invito di Papa Francesco ad incamminarci tutti, da ogni angolo della Terra “con più decisione sulle vie della giustizia e della pace, aiutati dal Signore: la pace, infatti, richiede la forza della mitezza, la forza non violenta della verità e dell’amore”. E si comincia con la pace in casa. “Giustizia e pace a casa, tra noi. Si incomincia a casa e poi si va avanti, a tutta l’umanità. Ma dobbiamo incominciare a casa”. Quindi l’invocazione a Maria perché il Vangelo della fraternità possa “abbattere i muri che impediscono ai nemici di riconoscersi fratelli. A Lei, che estende la Sua maternità a tutti gli uomini, affidiamo il grido di pace delle popolazioni oppresse dalla guerra e dalla violenza, perché il coraggio del dialogo e della riconciliazione prevalga sulle tentazioni di vendetta, di prepotenza, di corruzione”. Dopo la preghiera Mariana, ricambiando gli auguri del Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, Papa Francesco rivolge la benedizione particolare al popolo italiano “affinché, con il contributo responsabile e solidale di tutti, possa guardare al futuro con fiducia e speranza”, con un grazie per le tante iniziative di preghiera e di impegno per la pace in ogni parte del mondo.
Oltre 6 milioni e 600mila fedeli hanno partecipato ai vari incontri in Vaticano con Papa Bergoglio nel 2013, sebbene, come riferisce la Prefettura della Casa Pontificia, siano “dati approssimativi” calcolati sulla base delle domande di partecipazione agli eventi pervenute alla Prefettura e dei biglietti distribuiti, come pure su una stima sommaria delle presenze a momenti come l’Angelus o il Regina Coeli e le grandi celebrazioni in Piazza San Pietro, a partire dal Marzo scorso. I dati non comprendono gli incontri fuori dal Vaticano vissuti dal Papa con una grande partecipazione di fedeli, come il viaggio apostolico in Brasile nel mese di Luglio per la Gmg di Rio de Janeiro, le tre visite in Italia, a Lampedusa, Cagliari e Assisi, e le visite nella diocesi di Roma. “Un anno che è passato non ci porta ad una realtà che finisce ma ad una realtà che si compie, è un ulteriore passo verso la meta che sta davanti a noi: una meta di speranza e di felicità, perché incontreremo Dio, ragione della nostra speranza e fonte della nostra letizia”. Così il Papa durante i Vespri per la Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e il Te Deum nella Basilica Vaticana, poco prima della visita al Presepe allestito in Piazza San Pietro. Il Pontefice, all’omelia, parla di “Roma, una città di una bellezza unica, ma in cui ci sono tante persone segnate da miserie materiali e morali, persone povere, infelici, sofferenti, che interpellano la coscienza non solo delle autorità, ma di ogni cittadino”. Papa Francesco parla dall’apostolo Giovani, il quale definisce il tempo presente in modo preciso: “È giunta l’ultima ora. Questa affermazione che ricorre nella Messa del 31 Dicembre sta a significare che con la venuta di Dio nella storia siamo già nei tempi ultimi, dopo i quali il passaggio finale sarà la seconda e definitiva venuta di Cristo. Con Gesù è venuta la pienezza del tempo, pienezza di significato e pienezza di salvezza. E non ci sarà più una nuova rivelazione, ma la manifestazione piena di ciò che Gesù ha già rivelato. La visione biblica e cristiana del tempo e della storia – spiega il Papa – non è ciclica, ma lineare: è un cammino che va verso un compimento. Un anno che è passato, quindi, non ci porta ad una realtà che finisce ma ad una realtà che si compie, è un ulteriore passo verso la meta che sta davanti a noi: una meta di speranza, una meta di felicità, perché incontreremo Dio, ragione della nostra speranza e fonte della nostra letizia”. Papa Francesco invita i fedeli a raccogliere, come in una cesta, i giorni, le settimane, i mesi che abbiamo vissuto, per offrire tutto al Signore. “Domandiamoci – afferma il Santo Padre – come abbiamo vissuto il tempo che Lui ci ha donato. Lo abbiamo usato soprattutto per noi stessi, per i nostri interessi, o abbiamo saputo spenderlo anche per gli altri? Quanto tempo abbiamo riservato per stare con Dio, nella preghiera, nel silenzio, nell’adorazione? Cos’è successo quest’anno, che cosa sta succedendo, e che cosa succederà? La qualità della vita dipende da tutti noi, ed ognuno di noi contribuisce a renderla vivibile, ordinata, accogliente. Il volto di una città è come un mosaico le cui tessere sono tutti coloro che vi abitano. Certo, chi è investito di autorità ha maggiore responsabilità, ma ciascuno è corresponsabile, nel bene e nel male. Roma – osserva il Papa – è una città di una bellezza unica. Il suo patrimonio spirituale e culturale è straordinario. Eppure, anche a Roma ci sono tante persone segnate da miserie materiali e morali, persone povere, infelici, sofferenti, che interpellano la coscienza di ogni cittadino. A Roma forse sentiamo più forte questo contrasto tra l’ambiente maestoso e carico di bellezza artistica, e il disagio sociale di chi fa più fatica. Roma, una città di contrasti, piena di turisti ma anche di rifugiati; piena di gente che lavora, ma anche di persone che non trovano lavoro o svolgono lavori sottopagati a volte indegni. Tutti, però, hanno il diritto ad essere trattati con lo stesso atteggiamento di accoglienza e di equità, perché ognuno è portatore di dignità umana. Roma avrà un volto ancora più bello se sarà ancora più ricca di umanità, ospitale, accogliente; se tutti noi saremo attenti e generosi verso chi è in difficoltà; se sapremo collaborare con spirito costruttivo e solidale, per il bene di tutti. La Roma dell’anno nuovo sarà migliore se non ci saranno persone che la guardano da lontano, in cartolina, che guardano la sua vita solo dal balcone, senza coinvolgersi in tanti problemi umani, problemi di uomini e donne che, alla fine e dal principio, lo vogliamo o no, sono nostri fratelli. In questa prospettiva – rileva il Papa – la Chiesa di Roma si sente impegnata a dare il proprio contributo alla vita e al futuro della Città: ad animarla con il lievito del Vangelo, ad essere segno e strumento della misericordia di Dio”. Papa Francesco nel celebrare nella Chiesa del Gesù la Messa per la ricorrenza liturgica del Santissimo Nome di Gesù, in ringraziamento per l’iscrizione al catalogo dei Santi, il 17 Dicembre scorso, di Pietro Favre, primo sacerdote gesuita, insieme a 350 gesuiti, ricorda quanto afferma San Paolo: “Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo (Fil 2, 5-7). Noi, gesuiti – osserva Papa Bergoglio – vogliamo essere insigniti del nome di Gesù, militare sotto il vessillo della sua Croce, e questo significa: avere gli stessi sentimenti di Cristo. Significa pensare come Lui, voler bene come Lui, vedere come Lui, camminare come Lui. Significa fare ciò che ha fatto Lui e con i suoi stessi sentimenti, con i sentimenti del suo Cuore. Il Cuore di Cristo è il Cuore di un Dio che, per amore, si è svuotato. Ognuno di noi, gesuiti, che segue Gesù dovrebbe essere disposto a svuotare se stesso. Siamo chiamati a questo abbassamento: essere degli svuotati. Essere uomini che non devono vivere centrati su se stessi perché il centro della Compagnia è Cristo e la Sua Chiesa. E Dio è il Deus Semper Maior, il Dio che ci sorprende sempre. E se il Dio delle sorprese non è al centro, la Compagnia si disorienta. Per questo, essere gesuita significa essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto: perché pensa sempre guardando l’orizzonte che è la gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza sosta. E questa è l’inquietudine della nostra voragine. Quella santa e bella inquietudine! Ma, perché peccatori, possiamo chiederci se il nostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o se invece si è atrofizzato; se il nostro cuore è sempre in tensione: un cuore che non si adagia, non si chiude in se stesso, ma che batte il ritmo di un cammino da compiere insieme a tutto il popolo fedele di Dio. Bisogna cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e sempre. Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita, una inquietudine anche apostolica, non ci deve far stancare di annunciare il Kerygma, di evangelizzare con coraggio. È l’inquietudine che ci prepara a ricevere il dono della fecondità apostolica. Senza inquietudine siamo sterili. È questa l’inquietudine – ricorda Papa Francesco- che aveva Pietro Favre, uomo di grandi desideri, un altro Daniele. Favre era un ‘uomo modesto, sensibile, di profonda vita interiore e dotato del dono di stringere rapporti di amicizia con persone di ogni genere’ (Benedetto XVI, Discorso ai gesuiti, 22 Aprile 2006). Tuttavia, era pure uno spirito inquieto, indeciso, mai soddisfatto. Sotto la guida di Sant’Ignazio ha imparato a unire la sua sensibilità irrequieta ma anche dolce e direi squisita, con la capacità di prendere decisioni. Era un uomo di grandi desideri; si è fatto carico dei suoi desideri, li ha riconosciuti. Anzi per Favre, è proprio quando si propongono cose difficili che si manifesta il vero spirito che muove all’azione (Memoriale, 301). Una fede autentica – insegna il Vescovo di Roma – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo. Ecco la domanda che dobbiamo porci: abbiamo anche noi grandi visioni e slancio? Siamo anche noi audaci? Il nostro sogno vola alto? Lo zelo ci divora (Sal 69,10)? Oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche da laboratorio? Ricordiamolo sempre: la forza della Chiesa non abita in se stessa e nella sua capacità organizzativa, ma si nasconde nelle acque profonde di Dio. E queste acque agitano i nostri desideri e i desideri allargano il cuore. Quello di Sant’Agostino: ‘Pregare per desiderare e desiderare per allargare il cuore’. Proprio nei desideri Favre poteva discernere la voce di Dio. Senza desideri non si va da nessuna parte ed è per questo che bisogna offrire i propri desideri al Signore. Nelle Costituzioni si dice che ‘si aiuta il prossimo con i desideri presentati a Dio nostro Signore’ (Costituzioni, 638). Favre aveva il vero e profondo desiderio di ‘essere dilatato in Dio’: era completamente centrato in Dio, e per questo poteva andare, in spirito di obbedienza, spesso anche a piedi, dovunque per l’Europa, a dialogare con tutti con dolcezza, e ad annunciare il Vangelo. Mi viene da pensare alla tentazione, che forse possiamo avere noi e che tanti hanno, di collegare l’annunzio del Vangelo con bastonate inquisitorie, di condanna. No, il Vangelo si annunzia con dolcezza, con fraternità, con amore. La sua familiarità con Dio lo portava a capire che l’esperienza interiore e la vita apostolica vanno sempre insieme. Scrive nel suo Memoriale che il primo movimento del cuore deve essere quello di ‘desiderare ciò che è essenziale e originario, cioè che il primo posto sia lasciato alla sollecitudine perfetta di trovare Dio nostro Signore’ (Memoriale, 63). Favre prova il desiderio di «lasciare che Cristo occupi il centro del cuore» (Memoriale, 68). Solo se si è centrati in Dio è possibile andare verso le periferie del mondo! E Favre ha viaggiato senza sosta anche sulle frontiere geografiche tanto che si diceva di lui: ‘pare che sia nato per non stare fermo da nessuna parte’ (MI, Epistolae I, 362). Favre era divorato dall’intenso desiderio di comunicare il Signore. Se noi non abbiamo il suo stesso desiderio – avverte Papa Francesco – allora abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera e, con fervore silenzioso, chiedere al Signore, per intercessione del nostro fratello Pietro, che torni ad affascinarci. Quel fascino del Signore che portava Pietro a tutte queste pazzie apostoliche. Noi siamo uomini in tensione, siamo anche uomini contraddittori e incoerenti, peccatori, tutti. Ma uomini che vogliono camminare sotto lo sguardo di Gesù. Noi siamo piccoli, siamo peccatori, ma vogliamo militare sotto il vessillo della Croce nella Compagnia insignita del nome di Gesù. Noi che siamo egoisti, vogliamo tuttavia vivere una vita agitata da grandi desideri. Rinnoviamo allora la nostra oblazione all’Eterno Signore dell’Universo perché con l’aiuto della Sua Madre gloriosa possiamo volere, desiderare e vivere i sentimenti di Cristo che svuotò se stesso. Come scriveva san Pietro Favre, ‘non cerchiamo mai in questa vita un nome che non si riallacci a quello di Gesù’ (Memoriale, 205). E preghiamo la Madonna di essere messi con il suo Figlio”. Il Santo Padre si è recato in forma privata alla Basilica di Santa Maria Maggiore dove ha sostato in preghiera silenziosa davanti all’immagine della Madre di Dio venerata con il titolo Salus populi romani. Nella festa liturgica della Divina Maternità, il Papa fa esplicito riferimento alla Basilica di Santa Maria Maggiore, all’immagine mariana per la quale dimostra una grandissima devozione. Il 4 Gennaio di 50 anni fa, Papa Paolo VI si recò in pellegrinaggio in Terra Santa. Per la prima volta il Successore di Pietro tornava nella Terra di Gesù. La visita di tre giorni vissuti con grande intensità da Papa Montini, rappresentò anche il primo viaggio internazionale del Vescovo di Roma in età contemporanea. Quel viaggio fu straordinario non solo per i cristiani, ma per tutti in Israele e Palestina. La visita ebbe anche un grande significato ecumenico: l’abbraccio con il Patriarca Atenagora, un evento storico. Pregarono insieme il Padre Nostro sul Monte degli Ulivi. “Gesù è l’Amore fattosi carne. Non è soltanto un maestro di sapienza – insegna Papa Bergoglio nella Santissima Messa di Natale – non è un ideale a cui tendiamo e dal quale sappiamo di essere inesorabilmente lontani, è il senso della vita e della storia che ha posto la sua tenda in mezzo a noi. ‘Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce’ (Is 9,1). Questa profezia di Isaia non finisce mai di commuoverci, specialmente quando la ascoltiamo nella Liturgia della Notte di Natale. E non è solo un fatto emotivo, sentimentale; ci commuove perché dice la realtà profonda di ciò che siamo: siamo popolo in cammino, e intorno a noi – e anche dentro di noi – ci sono tenebre e luce. E in questa notte, mentre lo spirito delle tenebre avvolge il mondo, si rinnova l’avvenimento che sempre ci stupisce e ci sorprende: il popolo in cammino vede una grande luce. Una luce che ci fa riflettere su questo mistero: mistero del camminare e del vedere. Camminare. Questo verbo ci fa pensare al corso della storia, a quel lungo cammino che è la storia della salvezza, a cominciare da Abramo, nostro padre nella fede, che il Signore chiamò un giorno a partire, ad uscire dal suo paese per andare verso la terra che Lui gli avrebbe indicato. Da allora – spiega Papa Bergoglio – la nostra identità di credenti è quella di gente pellegrina verso la terra promessa. Questa storia è sempre accompagnata dal Signore! Egli è sempre fedele al Suo patto e alle Sue promesse. ‘Dio è luce, e in Lui non c’è tenebra alcuna’ (1 Gv 1,5). Da parte del popolo, invece, si alternano momenti di luce e di tenebra, fedeltà e infedeltà, obbedienza e ribellione; momenti di popolo pellegrino e di popolo errante. Anche nella nostra storia personale si alternano momenti luminosi e oscuri, luci e ombre. Se amiamo Dio e i fratelli, camminiamo nella luce, ma se il nostro cuore si chiude, se prevalgono in noi l’orgoglio, la menzogna, la ricerca del proprio interesse, allora scendono le tenebre dentro di noi e intorno a noi. ‘Chi odia suo fratello – scrive l’apostolo Giovanni – è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi’ (1 Gv 2,11). In questa notte, come un fascio di luce chiarissima, risuona l’annuncio dell’Apostolo: ‘È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini’ (Tt 2,11). La grazia che è apparsa nel mondo è Gesù, nato dalla Vergine Maria, vero uomo e vero Dio. Egli è venuto nella nostra storia, ha condiviso il nostro cammino. È venuto per liberarci dalle tenebre e donarci la luce. In Lui è apparsa la grazia, la misericordia, la tenerezza del Padre: Gesù è l’Amore fattosi carne. Non è soltanto un maestro di sapienza, non è un ideale a cui tendiamo e dal quale sappiamo di essere inesorabilmente lontani, è il senso della vita e della storia che ha posto la Sua tenda in mezzo a noi. I pastori – osserva il Papa – sono stati i primi a vedere questa “tenda”, a ricevere l’annuncio della nascita di Gesù. Sono stati i primi perché erano tra gli ultimi, gli emarginati. E sono stati i primi perché vegliavano nella notte, facendo la guardia al loro gregge. Con loro ci fermiamo davanti al Bambino, ci fermiamo in silenzio. Con loro ringraziamo il Signore di averci donato Gesù, e con loro lasciamo salire dal profondo del cuore la lode della Sua fedeltà: Ti benediciamo, Signore Dio Altissimo, che ti sei abbassato per noi. Tu sei immenso, e ti sei fatto piccolo; sei ricco, e ti sei fatto povero; sei l’onnipotente, e ti sei fatto debole. In questa Notte condividiamo la gioia del Vangelo: Dio ci ama, ci ama tanto che ha donato il suo Figlio come nostro fratello, come luce nelle nostre tenebre. Il Signore ci ripete: ‘Non temete’ (Lc 2,10). E anch’io vi ripeto: Non temete! Il nostro Padre è paziente, ci ama, ci dona Gesù per guidarci nel cammino verso la terra promessa. Egli è la luce che rischiara le tenebre. Egli è la nostra pace. Amen”. Il Santo Natale invita a guardare al Presepio con stupore, ad aprire il nostro cuore per comprendere perché Dio si è fatto Bambino. Dio è più grande di ogni nostro pensiero, come hanno insegnato i grandi teologi. E ciò vale anche per il Messia, più grande delle nostre idee su di Lui. “Quanto più nel cuore del popolo cristiano sarà vivo l’amore per l’Eucaristia, tanto più gli sarà chiaro il compito della missione: portare Cristo. Non solo un’idea o un’etica a Lui ispirata, ma il dono della sua stessa Persona. Chi non comunica la verità dell’Amore al fratello non ha ancora dato abbastanza” – scrive Benedetto XVI nell’Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis (2007). Giovanni Paolo II, 24 Dicembre 1997, osserva che “la nascita del Messia è l’evento centrale nella storia dell’umanità. L’attendeva con oscuro presentimento l’intero genere umano; l’attendeva con esplicita consapevolezza il Popolo eletto. Ecco l’evento storico intriso di mistero: nasce un tenero bambino pienamente umano, ma che è allo stesso tempo il Figlio unigenito del Padre. È il Figlio non creato, ma eternamente generato, Figlio della stessa sostanza del Padre. ‘Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero’. È il Verbo, per mezzo del quale tutte le cose sono state create”. Nel Santo Natale si manifesta in pienezza la verità del Suo disegno di salvezza sull’uomo umile e sul mondo. Non è soltanto l’uomo ad essere salvato, ma tutta la Creazione, la quale è invitata a partecipare insieme nel Gloria, a cantare al Signore un canto nuovo, a gioire e ad esultare con tutte le nazioni della Terra (Sal 95-96). “Sì, il Figlio eterno, Colui che è l’eterno compiacimento del Padre si è fatto Uomo, e la Sua nascita terrena, nella notte di Betlemme, testimonia una volta per sempre che in Lui ogni uomo è compreso nel mistero della divina predilezione, che è fonte della pace definitiva”. Ecco in cosa consiste la vera potenza di Dio: nella sua bontà. “Dio è Amore – scrive san Giovanni nella prima lettera – in questo si è manifestato l’Amore di Dio per noi: Dio ha mandato il Suo unigenito figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per Lui” (4, 8-9). Da sempre gli uomini hanno voluto essere vicini a Dio. Questo desiderio è divenuto realtà con la venuta di Gesù che si è fatto vicino a noi. Ora tutti i semplici, i poveri, i sofferenti, i bambini, hanno accesso al cuore di Dio. Alla Sua potenza. L’Amore spinge il Dio grande a farsi piccolo. Per cogliere il significato di questa Umiltà, occorre pensare all’inizio. Adamo ed Eva furono creati da Dio a Sua immagine, con il compito di custordire il mondo servendo il Creatore e passeggiando insieme a Lui nel giardino. Ma si ribellarono pensando che Dio avrebbe limitato la loro libertà. “Questa superbia che ha distrutto l’armonia fra Dio e le creature, si trova in qualche modo in ogni uomo come una goccia di veleno” – osserva Benedetto XVI. “Nel Presepio vediamo il Bambino: indifeso, totalmente dipendente da Maria e Giuseppe. Qui possiamo accorgerci – spiega Papa Francesco – che Dio è veramente diverso da come noi lo immaginiamo. Ha voluto liberarci dalla nostra superbia, scegliendo la strada dell’umiltà. Così ha voluto guarire il nostro cuore, liberandolo dal peccato, la causa più profonda dei mali del mondo. Il Presepio ci spinge anche all’umiltà, sottomettendoci ‘gli uni agli altri nel timore di Cristo’ (Efesini, 5, 21) e sapendo che l’umiltà è la forza del Vangelo”. Gesù vuol rinascere sempre, anche oggi, nei nostri cuori. ‘Dio si è fatto uomo perché noi diventassimo partecipi della natura divina’ (2 Pietro, 1, 4). “Ciò è avvenuto nel momento del battesimo – insegna San Leone Magno – quando abbiamo ricevuto la nuova vita, quella dei figli nel Figlio. Questa vita dobbiamo nutrire con la preghiera e far crescere tramite la grazia dei sacramenti. Questa vita è un grande mistero: mostra la grandezza di Dio che nel suo amore vuol entrare nel cuore di ognuno di noi e mostra la grandezza dell’uomo creato per Dio e che solo in Gesù trova la piena felicità e la vera pace. Riconosci, o cristiano, la tua dignità. Ricorda a quale capo appartieni e di quale corpo sei membro. Ripensa che, liberato dal potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce e nel regno di Dio”. Dio si è fatto bambino “per rivelarci il suo amore che ci attire – afferma Benedetto XVI nel Messaggio Urbi Et Orbi di Natale 2010 – per mostrarci la Sua umiltà che ci salva, per farci Suoi figli che partecipano della Sua stessa vita. Siamo grati e fieri di questa nostra vocazione cristiana e rendiamo testimonianza a quel Dio che è così grande da farsi Bambino per noi”. Il Verbo si fece carne. Di fronte a questa rivelazione, di fronte all’incredudiltà del mondo pagano, riemerge la domanda: com’è possibile? Il Verbo e la carne sono realtà tra loro opposte. Come può la Parola eterna e onnipotente diventare un uomo fragile e mortale? “Per Amore. Chi ama vuole condividere tutto e la Sacra Scrittura presenta proprio la grande storia dell’Amore di Dio per il suo popolo, culminata in Gesù Cristo. Dio è Amore. È in Se stesso Comunione, Unità nella Trinità, ed ogni Sua opera e parola mira alla comunione. L’Incarnazione è il culmine della creazione. Quando nel grembo di Maria si formò Gesù, il creato raggiunse il suo vertice. Il Principio ordinatore dell’Universo, il Logos, incominciava ad esistere nel mondo, in un tempo e in uno spazio. Nella notte del mondo si accende una luce nuova, che si lascia vedere dagli occhi semplici della fede. Se la verità fosse solo una formula matematica, in un certo senso si imporrebbe da sé. Se invece la Verità è Amore, domanda la fede, il “sì” del nostro cuore”. Un pensiero per i migranti e i rifugiati vittime del rifiuto, dello sfruttamento, della tratta e la fiducia nella “vicinanza amorosa di Dio”. All’ultimo Angelus del 2013, nella prima Domenica dopo Natale e nella Festa della Santa Famiglia, Papa Francesco prega per tutti gli esiliati, i profughi e gli anziani. In preparazione al Sinodo dei Vescovi dedicato alla famiglia, il Papa eleva una preghiera speciale, composta personalmente, con un saluto ai fedeli di Nazareth, Barcellona, Loreto e Madrid. “Gesù ha voluto nascere in una famiglia umana – osserva il Papa – ha voluto avere una madre e un padre, sperimentando la condizione drammatica dei profughi segnata da paura, incertezza, disagi, affinché nessuno si senta escluso dalla vicinanza amorosa di Dio”. A queste famiglie, milioni, che vivono questa triste realtà quotidiana, è rivolto il pensiero di Papa Bergoglio. “In terre lontane anche quando trovano lavoro, non sempre i profughi e gli immigrati incontrano accoglienza vera, rispetto, apprezzamento dei valori di cui sono portatori. Le loro legittime aspettative si scontrano con situazioni complesse e difficoltà che sembrano a volte insuperabili”. Ecco il percorso di Giuseppe, Maria e Gesù “sulla via dolorosa dell’esilio, in cerca di rifugio in Egitto a causa delle minacce di Erode, una famiglia costretta a farsi profuga”. Il Santo Padre ricorda che quasi ogni giorno la televisione e i giornali annunciano “notizie di profughi che fuggono dalla fame, dalla guerra, da altri pericoli gravi, alla ricerca di sicurezza e di una vita dignitosa per sé e per le proprie famiglie. Pensiamo al dramma di quei migranti e rifugiati che sono vittime del rifiuto, dello sfruttamento, che sono vittime della tratta delle persone e del lavoro schiavo. Ma pensiamo anche agli altri esiliati, io li chiamerei ‘esiliati nascosti’, quegli esiliati che possono esserci all’interno delle famiglie stesse: gli anziani, per esempio, che a volte vengono trattati come presenze ingombranti. Molte volte penso che un segno per sapere come va una famiglia è vedere come si trattano in essa i bambini e gli anziani. Dio – assicura il Santo Padre – è là dove l’uomo è in pericolo, là dove l’uomo soffre, là dove scappa, dove sperimenta il rifiuto e l’abbandono; ma Dio è anche là dove l’uomo sogna, spera di tornare in patria nella libertà, progetta e sceglie per la vita e la dignità sua e dei suoi familiari”. L’invito è fissare “lo sguardo sulla Santa Famiglia e sulla semplicità della vita che essa conduce a Nazareth: è un esempio che fa tanto bene alle nostre famiglie, le aiuta a diventare sempre più comunità di amore e di riconciliazione, in cui si sperimenta la tenerezza, l’aiuto vicendevole, il perdono reciproco”. Papa Francesco ricorda “le tre parole chiave per vivere in pace e gioia in famiglia: permesso, grazie, scusi. Quando in una famiglia non si è invadenti, si chiede permesso. Quando in una famiglia non si è egoisti, si impara a dire: grazie! grazie! E quando in una famiglia, uno si accorge di aver fatto una cosa brutta, sa chiedere scusa”. Solo allora “in quella famiglia c’è pace e c’è gioia”. Il Papa incoraggia le famiglie a “prendere coscienza dell’importanza che hanno nella Chiesa e nella società. L’annuncio del Vangelo, infatti, passa anzitutto attraverso le famiglie, per poi raggiungere i diversi ambiti della vita quotidiana”. A Maria e San Giuseppe, il Papa chiede “di illuminare, di confortare, di guidare ogni famiglia del mondo, perché possa compiere con dignità e serenità la missione che Dio le ha affidato”. Alla Santa Famiglia il Santo Padre affida “questo lavoro sinodale”, recitando una preghiera per le famiglie di tutto il mondo, composta personalmente: “in Gesù, Maria e Giuseppe, contempliamo lo splendore dell’amore vero”. A loro il Papa chiede di rendere anche “le nostre famiglie luoghi di comunione e cenacoli di preghiera, autentiche scuole del Vangelo e piccole Chiese domestiche”, con le parole: “Gesù, Maria e Giuseppe, in voi contempliamo lo splendore dell’amore vero, a voi con fiducia ci rivolgiamo. Santa Famiglia di Nazareth, rendi anche le nostre famiglie luoghi di comunione e cenacoli di preghiera, autentiche scuole del Vangelo e piccole Chiese domestiche. Santa Famiglia di Nazareth,
mai più nelle famiglie si faccia esperienza di violenza, chiusura e divisione: chiunque è stato ferito o scandalizzato conosca presto consolazione e guarigione. Santa Famiglia di Nazareth, il prossimo Sinodo dei Vescovi possa ridestare in tutti la consapevolezza del carattere sacro e inviolabile della famiglia, la sua bellezza nel progetto di Dio. Gesù, Maria e Giuseppe, ascoltate, esaudite la nostra supplica. Amen”. La famiglia oggi è il nucleo più importante da cui la fede deve nascere e deve essere trasmessa. La famiglia fondata sul Matrimonio indissolubile di un uomo e di una donna, è il sacrosanto Diritto di Dio che nessuna legge umana può distruggere, alterare e/o adattare alle ideologie neopagane dominanti del relativismo etico. È importante che tutto parta dalla famiglia, per potersi poi allargare alla grande famiglia della comunità locale, della parrocchia, della Chiesa universale e delle Nazioni. La famiglia ha un significato straordinario anche perché se ci sono ancora dei giovani che oggi riempiono le chiese, e non soltanto piazza San Pietro, è proprio perché dietro ci sono delle famiglie cristiane. E nei nostri Paesi ce ne sono ancora tante, però bisogna crederci sempre e insegnare soprattutto ai giovani che tutto parte da lì; una vita bella è possibile solo in una famiglia dove c’è l’amore di Gesù e dei genitori di diverso sesso, una mamma e un papà, magari con i nonni. Ecco perché si festeggia il Santo Natale. Ecco perché la Famiglia di Nazareth è il modello per tutte le famiglie del mondo. E l’amore che ha trasmesso la Famiglia di Nazareth è sicuramente il motivo per la felicità del mondo intero, non solo delle famiglie. Occorre testimoniarlo apertamente. Sempre. La mia famiglia per me significa tutto quello che i miei genitori mi hanno trasmesso, quindi tutta una serie di valori, l’affetto ovviamente con la fatica quotidiana, perché non esiste oggi la famiglia perfetta. Occorre immaginare la famiglia come passato, presente e futuro che si intrecciano. Presente perché comunque tuttora la vivo bene e lo stare insieme è fantastico. Futuro perché creare una famiglia, come ci ha insegnato il Signore, per vivere e condividere la vita è un diritto sacrosanto e grande. E la Famiglia di Nazareth ne è sicuramente l’esempio più perfetto e più bello. Papa Francesco chiede questa testimonianza ad ogni famiglia cristiana sulla Terra, non soltanto a quelle di “rappresentanza”! La volontà del Santo Padre è di trovare il modo nuovo di una testimonianza di noi cristiani semplici ma soprattutto convinti. Sicuramente il primo momento c’è già stato quel 13 Marzo 2013 quando si è affacciato e ha chiesto di pregare per lui. Un gesto che racchiude tutto il suo pontificato nella semplicità e nel sorriso. La vicinanza ai fedeli, l’amicizia, il modo molto umano con cui si è posto nei confronti di tutti. Ora, anche le famiglie cristiane sono chiamate a rispondere con gesti concreti. La famiglia è fonte di Pace. Distruggere la famiglia, violarla nei suoi diritti fondamentali, significa condannare l’umanità intera. Papa Francesco rilegge alcune tra le pagine più tristi dell’anno 2013, prima di invocare sulla Città e sul mondo il dono della Pace che solo Dio può donare: “Una Pace che deve essere frutto dell’impegno comune di tutti gli uomini, senza distinzione alcuna”. In occasione del suo primo Messaggio Urbi et Orbi, Papa Bergoglio si affaccia per la terza volta alla Loggia delle Benedizioni nella semplicità della sua talare Bianca, per pronunciare parole forti. Ricorda a tutti che “la Pace non è un equilibrio tra forze contrarie né una bella facciata dietro alla quale ci sono contrasti e divisioni. La Pace è un impegno di tutti i giorni, per costruire la quale è necessario il lavoro di tutti gli uomini uniti in un’opera di raffinato artigianato”.  Lo dice forte. “La pace è artigianale” perché “deve essere forgiata quasi a mani nude. Mani scaldate dalla tenerezza di Dio. E bisogna cercare le mani di Dio, le sue carezze che non fanno ferite ma che danno proprio pace e forza”. Stare insieme per costruire la pace. Papa Francesco rinnova l’invito a camminare insieme per illuminare con la Luce di Dio il futuro dell’umanità. “Camminare insieme – precisa il Santo Padre – non vuol dire trasformarsi in popolo errante: significa piuttosto andare incontro a Gesù affinché Egli ci conduca nella terra promessa”. Un cammino certamente difficile, segnato da tappe dolorose. Il Pontefice ricorda le più drammatiche: la sofferenza del popolo siriano, quella “spesso dimenticata” della Repubblica Centroafricana, le vittime del Sud Sudan sconvolto da lotte intestine, quelle causate dall’intolleranza religiosa in tanti, troppi Stati del mondo. “A soffrirne di più – osserva il Papa – sono i cristiani costretti a subire accuse ingiuste sino a divenire oggetti di violenze e discriminazioni. E sono tanti più numerosi che nei primi tempi della Chiesa. Bisogna pregare per loro. Ma non basta. È necessario che si prenda coscienza dell’urgenza di assicurare a tutti i credenti il diritto alla libertà di religione ma non solo sulla carta: in tanti Paesi che proclamano di garantirla specialmente i cristiani – avverte Papa Bergoglio – incontrano limitazioni e discriminazioni”. Il Vescovo di Roma esorta tutti i cristiani a pregare per quanti sono perseguitati a causa della loro fede in Gesù. “Le persecuzioni sono occasione per rendere testimonianza. E tuttavia questa ingiustizia va denunciata ed eliminata”. Nel clima gioioso del Natale irrompe la festa di Santo Stefano, primo martire della Chiesa. “Questa commemorazione – rivela Papa Francesco – potrebbe sembrare fuori luogo. Il Natale, infatti, è la festa della vita e ci infonde sentimenti di serenità e di pace. Perché allora turbarne l’incanto col ricordo di una violenza così atroce? In realtà, nell’ottica della fede, la festa di Santo Stefano è in piena sintonia col significato profondo del Natale. Nel martirio, infatti, la violenza è vinta dall’amore, la morte dalla vita. La Chiesa vede nel sacrificio dei martiri la loro nascita al cielo. Celebriamo dunque oggi il ‘natale’ di Stefano, che in profondità scaturisce dal Natale di Cristo. Gesù trasforma la morte di quanti lo amano in aurora di vita nuova! Nel martirio di Stefano si riproduce lo stesso confronto tra il bene e il male, tra l’odio e il perdono, tra la mitezza e la violenza, che ha avuto il suo culmine nella Croce di Cristo. La memoria del primo martire viene così, immediatamente, a dissolvere una falsa immagine del Natale: l’immagine fiabesca e sdolcinata, che nel Vangelo non esiste! La liturgia ci riporta al senso autentico dell’Incarnazione, collegando Betlemme al Calvario e ricordandoci che la salvezza divina implica la lotta al peccato, passa attraverso la porta stretta della Croce. Questa è la strada che Gesù ha indicato chiaramente ai suoi discepoli, come attesta il Vangelo di oggi: ‘Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato’. Per questo – è l’invocazione del Papa – preghiamo in modo particolare per i cristiani che subiscono discriminazioni a causa della testimonianza resa a Cristo e al Vangelo: siamo vicini a questi fratelli e sorelle che, come Santo Stefano, vengono accusati ingiustamente e fatti oggetto di violenze di vario tipo. Sono sicuro che purtroppo sono più numerosi oggi che nei primi tempi della Chiesa. Ce ne sono tanti! Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o non è pienamente realizzata. Tuttavia, accade anche in Paesi e ambienti che sulla carta tutelano la libertà e i diritti umani, ma dove di fatto i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni”. Il Papa chiede ai fedeli una preghiera per tutti i cristiani vittime di persecuzione. “Per il cristiano questo non fa meraviglia, perché Gesù lo ha preannunciato come occasione propizia per rendere testimonianza. Tuttavia, sul piano civile, l’ingiustizia va denunciata ed eliminata. Maria Regina dei Martiri ci aiuti a vivere il Natale con quell’ardore di fede e di amore che rifulge in Santo Stefano e in tutti i martiri della Chiesa. Sostare davanti al Presepe, possa suscitare in tutti un generoso impegno di amore vicendevole, affinché all’interno delle famiglie e delle varie comunità si viva quel clima di intesa e di fraternità che tanto giova al bene comune. Lasciamoci riscaldare il cuore dalla tenerezza di Dio che si è fatto Bambino”, è l’invito di Papa Francesco nel suo primo Messaggio natalizio in occasione della Benedizione Urbi et Orbi pronunciato dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro, dopo gli inni vaticano e italiano suonati dalla Banda della Gendarmeria vaticana e dall’Arma dei Carabinieri. Circa 70mila le persone presenti in Piazza San Pietro. È un accorato appello di pace per il mondo intero. Il Papa fa suo il Canto degli Angeli che apparvero ai pastori di Betlemme nella notte in cui nacque Gesù: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama (Lc 2,14). Un Canto che unisce cielo e terra, rivolgendo al cielo la lode e la gloria, ed alla terra degli uomini l’augurio di pace. Invito tutti ad unirsi a questo Canto: questo Canto è per ogni uomo e donna che veglia nella notte, che spera in un mondo migliore, che si prende cura degli altri cercando di fare umilmente il proprio dovere. A questo prima di tutto ci chiama il Natale: dare gloria a Dio, perché è buono, è fedele, è misericordioso. In questo giorno auguro a tutti di riconoscere il vero volto di Dio, il Padre che ci ha donato Gesù. Auguro a tutti di sentire che Dio è vicino, di stare alla sua presenza, di amarlo, di adorarlo. E ognuno di noi possa dare gloria a Dio soprattutto con la vita, con una vita spesa per amore suo e dei fratelli. La vera pace – insegna il Papa – è un impegno di tutti i giorni che si porta avanti a partire dal dono di Dio, dalla sua grazia che ci ha dato in Gesù Cristo”. Papa Bergoglio, guardando il Bambino nel Presepe, pensa “ai bambini che sono le vittime più fragili delle guerre, ma anche agli anziani, alle donne maltrattate, ai malati: le guerre spezzano e feriscono tante vite! E troppe ne ha spezzate negli ultimi tempi il conflitto in Siria, fomentando odio e vendetta: continuiamo a pregare il Signore perché risparmi all’amato popolo siriano nuove sofferenze e le parti in conflitto mettano fine ad ogni violenza e garantiscano l’accesso agli aiuti umanitari. Abbiamo visto quanto è potente la preghiera! E sono contento che oggi si uniscano a questa nostra implorazione per la pace in Siria anche credenti di diverse confessioni religiose. Non perdiamo mai il coraggio della preghiera! Il coraggio di dire: Signore, dona la tua pace alla Siria e al mondo intero. E anche i non credenti invito a desiderare la pace – è la preghiera di Papa Francesco – con il loro desiderio, quel desiderio che allarga il cuore: tutti uniti, o con la preghiera o con il desiderio. Ma tutti, per la pace”. Il Santo Padre pensa poi all’Africa. “Dona, Bambino, pace alla Repubblica Centroafricana, spesso dimenticata dagli uomini. Ma tu, Signore, non dimentichi nessuno! E vuoi portare pace anche in quella terra dilaniata da una spirale di violenza e di miseria, dove tante persone sono senza casa, acqua e cibo, senza il minimo per vivere. Favorisci la concordia nel Sud Sudan, dove le tensioni attuali hanno già provocato troppe vittime e minacciano la pacifica convivenza di quel giovane Stato. Tu, Principe della pace, converti ovunque il cuore dei violenti perché depongano le armi e si intraprenda la via del dialogo”. Nei pensieri del Papa c’è anche la Nigeria, “lacerata da continui attacchi che non risparmiano gli innocenti e gli indifesi”. Il Vescovo di Roma chiede a Dio di “benedire la Terra che ha scelto per venire nel mondo e far così giungere a felice esito i negoziati di pace tra Israeliani e Palestinesi”. Papa Bergoglio chiede che siano “sanate le piaghe dell’amato Iraq, colpito ancora da frequenti attentati” ed eleva la sua preghiera per “quanti sono perseguitati a causa della fede cristiana, per i profughi e i rifugiati, specialmente nel Corno d’Africa e nell’est della Repubblica Democratica del Congo”. Prega affinché “i migranti in cerca di una vita dignitosa trovino accoglienza e aiuto: tragedie come quelle a cui abbiamo assistito con i numerosi morti a Lampedusa, non accadano mai più! O Bambino di Betlemme, tocca il cuore di quanti sono coinvolti nella tratta di esseri umani, affinché si rendano conto della gravità di tale delitto contro l’umanità. Volgi il tuo sguardo ai tanti bambini che vengono rapiti, feriti e uccisi nei conflitti armati, ed a quanti vengono trasformati in soldati, derubati della loro infanzia”. Il Santo Padre invoca il Signore del cielo e della terra perché guardi questo nostro pianeta Terra “che spesso la cupidigia e l’avidità degli uomini sfrutta in modo indiscriminato. Assisti e proteggi quanti sono vittime di calamità naturali, soprattutto il caro popolo filippino, gravemente colpito dal recente tifone”. Lancia a tutti il suo invito a fare memoria che “in questa umanità oggi è nato il Salvatore, che è Cristo Signore: fermiamoci davanti al Bambino di Betlemme. Lasciamo che il nostro cuore si commuova: non abbiamo paura di questo! Non abbiamo paura che il nostro cuore si commuova! Ne abbiamo bisogno, che il nostro cuore si commuova! Lasciamolo riscaldare dalla tenerezza di Dio; abbiamo bisogno delle sue carezze. Le carezze di Dio non fanno ferite: le carezze di Dio ci danno pace e forza. Abbiamo bisogno delle sue carezze. Dio è grande nell’amore, a Lui la lode e la gloria nei secoli! Dio è pace: chiediamogli che ci aiuti a costruirla ogni giorno, nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nelle nostre città e nazioni, nel mondo intero. Lasciamoci commuovere dalla bontà di Dio”. Dopo la Benedizione Urbi et Orbi, Papa Francesco rivolge a tutto il mondo suo augurio di Buon Natale. “In questo giorno illuminato dalla speranza evangelica che proviene dall’umile grotta di Betlemme, invoco il dono natalizio della gioia e della pace per tutti: per i bambini e gli anziani, per i giovani e le famiglie, per i poveri e gli emarginati. Gesù, nato per noi, conforti quanti sono provati dalla malattia e dalla sofferenza; sostenga coloro che si dedicano al servizio dei fratelli più bisognosi. Buon Natale a tutti!”. Nella Basilica Vaticana, Papa Francesco presiede la Messa della Vigilia di Natale. “Gesù è il senso della vita e della storia” – afferma il Pontefice nella sua omelia, invitando i fedeli a porsi in cammino con Dio, senza dimenticare gli emarginati e condividendo la gioia del Vangelo. Preceduta dall’antico canto della Kalenda che annuncia il Natale, la celebrazione ha visto la preghiera dei fedeli anche in aramaico e cinese, lingua in cui si è pregato per tutti i cristiani perseguitati a causa delle fede. I canti Adeste fideles e Tu scendi dalle stelle annunciano la grande gioia. È la tenerezza, quella “ternura” che suona dolce in lingua spagnola, la nota dominante che avvolge la prima Messa di Natale di Papa Francesco che depone Gesù Bambino nella mangiatoia, lo bacia delicatamente stringendolo tra le braccia ed alla fine della celebrazione lo porta in processione fino al Presepe interno alla Basilica Vaticana, circondato da dieci bambini di cinque diversi continenti con le mani colme di fiori bianchi. Nel Natale si vivono le “percezioni interiori al femminile proprie dell’attesa di un parto”. Un atteggiamento spirituale che prevede uno stile di apertura natalizio, un segno nell’anima ben preciso, con relativa targa:“Si prega di disturbare”. È un forte richiamo al significato più vero del Natale quello che Papa Francesco propone già durante la messa celebrata Lunedì 23 Dicembre nella cappella di Santa Marta. “In quest’ultima settimana che precede il Natale – ricorda il Pontefice – la Chiesa ripete la preghiera: Vieni, Signore! E così facendo, chiama il Signore con tanti nomi diversi, pieni di un messaggio sul Signore stesso: O Sapienza, o Saggezza, o radice di Iesse, o Sole, o Re delle genti, o Emmanuel oggi. La Chiesa fa questo perché è in attesa di un parto. Infatti anche la Chiesa, in questa settimana, è come Maria: in attesa del parto. Nel suo cuore la Vergine sentiva quello che sentono tutte le donne in quel tempo così particolare: quelle percezioni interiori nel suo corpo e nella sua anima dalle quali comprende che il figlio sta ormai per nascere. E nel suo cuore diceva sicuramente al bambino che portava in grembo: Vieni, voglio guardarti la faccia perché mi hanno detto che tu sarai grande! È un’esperienza spirituale che – spiega il Santo Padre – viviamo anche noi, come Chiesa, perché accompagniamo la Madonna in questo cammino di attesa. E vogliamo affrettare questa nascita del Signore. Questo è il motivo della preghiera: Vieni, o chiave di Davide, o sole, o saggezza, o Emmanuel. Vieni! Un’invocazione riecheggiata anche dagli ultimi versetti della Bibbia quando, alla fine del libro dell’Apocalisse, la Chiesa ripete: Vieni, Signore Gesù. E lo fa con quella parola aramaica – Maranathà – che può significare un desiderio o anche una sicurezza: il Signore viene. In realtà, il Signore viene due volte. La prima, è quella che commemoriamo adesso, la nascita fisica. Poi verrà alla fine, a chiudere la storia. Ma, San Bernardo ci dice che c’è una terza venuta del Signore: quella di ogni giorno. Infatti il Signore ogni giorno visita la sua Chiesa. Visita ognuno di noi. E anche la nostra anima entra in questa somiglianza: la nostra anima assomiglia alla Chiesa; la nostra anima assomiglia a Maria”. In questa prospettiva Papa Francesco ricorda che “i padri del deserto dicono che Maria, la Chiesa e l’anima nostra sono femminili. Così quello che si dice di una, analogamente si può dire dell’altra. Dunque la nostra anima è in attesa, in questa attesa per la venuta del Signore. Un’anima aperta che chiama: vieni, Signore! Proprio in questi giorni, lo Spirito Santo muove il cuore di ciascuno a fare questa preghiera: vieni, vieni! Del resto tutti i giorni di Avvento abbiamo detto nel prefazio che noi, la Chiesa, come Maria, siamo ‘vigilanti nell’attesa’. E la vigilanza è la virtù, è l’atteggiamento dei pellegrini. Siamo pellegrini. Siamo in attesa o siamo chiusi? Siamo vigilanti – domanda il Papa – o siamo sicuri in un albergo nel cammino e non vogliamo andare più avanti? Siamo pellegrini o siamo erranti? Ecco perché la Chiesa ci invita a pregare con questo: Vieni!. Si tratta in definitiva di aprire la nostra anima perché in questi giorni sia vigilante nell’attesa. È un invito a comprendere cosa succede intorno a noi: se viene il Signore o se non viene; se c’è posto per il Signore o c’è posto per le feste, per fare spese, fare rumore”. Stop al tormento degli acquisti! Una riflessione che, secondo il Papa, porta a un’altra domanda da rivolgere a se stessi. “La nostra anima è aperta, come è aperta la Santa Madre Chiesa e come era aperta la Madonna? O la nostra anima è chiusa e abbiamo attaccato sulla porta un cartellino, molto educato, che dice: si prega di non disturbare? Il mondo non finisce con noi e noi – osserva Papa Francesco – non siamo più importanti del mondo. Così, con la Madonna e con la madre Chiesa ci farà bene ripetere oggi in preghiera queste invocazioni: o saggezza, o chiave di David, o re delle genti, vieni, vieni! E sarà bene ripetere tante volte: vieni! Una preghiera che diventa esame di coscienza, per verificare com’è la nostra anima e fare in modo che non sia un’anima che dica agli altri di non essere disturbata, ma piuttosto un’anima aperta, un’anima grande per ricevere il Signore in questi giorni. Un’anima che incomincia a sentire quello che domani nell’antifona ci dirà la Chiesa: sappiate che oggi viene il Signore e domani vedrete la sua gloria”. Papa Francesco è andato in visita al Papa emerito, Benedetto XVI, per gli auguri di Natale. Benedetto XVI ha accolto Francesco all’ingresso della sua residenza, già monastero Mater Ecclesiae. Dopo una breve preghiera insieme nella Cappella, l’incontro privato in una sala della residenza. Papa Francesco, che era accompagnato dai suoi segretari personali, ha salutato anche gli altri membri della “famiglia” del Papa emerito, mons. Gänswein e le Memores Domini. La visita è durata circa 45 minuti. Perché si canta il Te Deum nella notte del 31 Dicembre? Il Te Deum è un inno di lode e di ringraziamento del cristiano in onore della Santissima Trinità. Inizia con le parole latine Te Deum laudamus. È una manifestazione di esultanza. Il Te Deum fu probabilmente scritto da Niceta, vescovo di Remesiana. Non avrebbe quindi valore la bella leggenda della composizione da parte dei santi Ambrogio e Agostino dopo il battesimo di quest’ultimo. Il testo originario ha subito nel tempo alcune varianti. Si tratta di un inno in versetti che si canta normalmente nell’ufficio notturno, dopo l’ultima lezione del mattutino e, occasionalmente, in altre funzioni liturgiche come canto di ringraziamento per un beneficio ricevuto da una persona o da una comunità religiosa e laicale. Durante il canto del Te Deum si sta in piedi, salvo che al verso “Te ergo quaesumus…”, al quale ci si inginocchia. Il Te Deum appartiene al genere innodico, è una espressione che eleva lodi e ringraziamenti al Signore attraverso un particolare lirismo. L’inno aumenta la sua importanza con il sostegno musicale, la musica non è quindi semplicemente supporto della parola, ma diventa fase espressiva e descrittiva del testo nella sua globalità. Generalmente gli inni sono in forma metrica e strofica, il Te Deum è invece liberamente versificato, di origini arcaiche e di ispirazione salmica. La scelta del Te Deum, canto di ringraziamento che nella liturgia trova posto nella Messa di San Silvestro del 31 Dicembre, ultimo giorno dell’anno. Che cosa significa il Natale per Papa Francesco? “È l’incontro con Gesù. Dio ha sempre cercato il suo popolo, lo ha condotto, lo ha custodito – rivela Papa Bergoglio nell’intervista di Andrea Tornielli su La Stampa – ha promesso di essergli sempre vicino. Nel Libro del Deuteronomio leggiamo che Dio cammina con noi, ci conduce per mano come un papà fa con il figlio. Questo è bello. Il Natale è l’incontro di Dio con il suo popolo. Ed è anche una consolazione, un mistero di consolazione. Tante volte, dopo la messa di mezzanotte, ho passato qualche ora solo, in cappella, prima di celebrare la messa dell’aurora. Con questo sentimento di profonda consolazione e pace. Ricordo una volta qui a Roma, credo fosse il Natale del 1974, una notte di preghiera dopo la messa nella residenza del Centro Astalli. Per me il Natale è sempre stato questo: contemplare la visita di Dio al suo popolo”. Che cosa dice il Natale all’uomo di oggi? “Ci parla della tenerezza e della speranza. Dio incontrandoci ci dice due cose. La prima è: abbiate speranza. Dio apre sempre le porte, mai le chiude. È il papà che ci apre le porte. Secondo: non abbiate paura della tenerezza. Quando i cristiani si dimenticano della speranza e della tenerezza, diventano una Chiesa fredda, che non sa dove andare e si imbriglia nelle ideologie, negli atteggiamenti mondani. Mentre la semplicità di Dio ti dice: vai avanti, io sono un Padre che ti accarezza. Ho paura quando i cristiani perdono la speranza e la capacità di abbracciare e accarezzare. Forse per questo, guardando al futuro, parlo spesso dei bambini e degli anziani, cioè dei più indifesi. Nella mia vita di prete, andando in parrocchia, ho sempre cercato di trasmettere questa tenerezza soprattutto ai bambini e agli anziani. Mi fa bene, e mi fa pensare alla tenerezza che Dio ha per noi”. Come si può credere che Dio, considerato dalle religioni infinito e onnipotente, si faccia così piccolo? “I Padri greci la chiamavano ‘synkatabasis’, condiscendenza divina. Dio che scende e sta con noi. È uno dei misteri di Dio. A Betlemme, nel 2000, Giovanni Paolo II disse che Dio è diventato un bambino totalmente dipendente dalle cure di un papà e di una mamma. Per questo il Natale ci dà tanta gioia. Non ci sentiamo più soli, Dio è sceso per stare con noi. Gesù si è fatto uno di noi e per noi ha patito sulla croce la fine più brutta, quella di un criminale”. Il Natale viene spesso presentato come fiaba zuccherosa. Ma Dio nasce in un mondo dove c’è anche tanta sofferenza e miseria. “Quello che leggiamo nei Vangeli è un annuncio di gioia. Gli evangelisti hanno descritto una gioia. Non si fanno considerazioni sul mondo ingiusto, su come faccia Dio a nascere in un mondo così. Tutto questo è il frutto di una nostra contemplazione: i poveri, il bambino che deve nascere nella precarietà. Il Natale non è stata la denuncia dell’ingiustizia sociale, della povertà, ma è stato un annuncio di gioia. Tutto il resto sono conseguenze che noi traiamo. Alcune giuste, altre meno giuste, altre ancora ideologizzate. Il Natale è gioia, gioia religiosa, gioia di Dio, interiore, di luce, di pace. Quando non si ha la capacità o si è in una situazione umana che non ti permette di comprendere questa gioia, si vive la festa con l’allegria mondana. Ma fra la gioia profonda e l’allegria mondana c’è differenza”. È il suo primo Natale, in un mondo dove non mancano conflitti e guerre. “Dio mai dà un dono a chi non è capace di riceverlo. Se ci offre il dono del Natale è perché tutti abbiamo la capacità di comprenderlo e riceverlo. Tutti, dal più santo al più peccatore, dal più pulito al più corrotto. Anche il corrotto ha questa capacità: poverino, ce l’ha magari un po’ arrugginita, ma ce l’ha. Il Natale in questo tempo di conflitti è una chiamata di Dio, che ci dà questo dono. Vogliamo riceverlo o preferiamo altri regali? Questo Natale in un mondo travagliato dalle guerre, a me fa pensare alla pazienza di Dio. La principale virtù di Dio esplicitata nella Bibbia è che Lui è amore. Lui ci aspetta, mai si stanca di aspettarci. Lui dà il dono e poi ci aspetta. Questo accade anche nella vita di ciascuno di noi. C’è chi lo ignora. Ma Dio è paziente e la pace, la serenità della notte di Natale è un riflesso della pazienza di Dio con noi”. In Gennaio saranno cinquant’anni dallo storico viaggio di Paolo VI in Terra Santa. Lei ci andrà? “Natale sempre ci fa pensare a Betlemme, e Betlemme è in un punto preciso, nella Terra Santa dov’è vissuto Gesù. Nella notte di Natale penso soprattutto ai cristiani che vivono lì, a quelli che hanno difficoltà, ai tanti di loro che hanno dovuto lasciare quella terra per vari problemi. Ma Betlemme continua a essere Betlemme. Dio è venuto in un punto determinato, in una terra determinata, è apparsa lì la tenerezza di Dio, la grazia di Dio. Non possiamo pensare al Natale senza pensare alla Terra Santa. Cinquant’anni fa Paolo VI ha avuto il coraggio di uscire per andare là, e così è cominciata l’epoca dei viaggi papali. Anch’io desidero andarci, per incontrare il mio fratello Bartolomeo, patriarca di Costantinopoli, e con lui commemorare questo cinquantenario rinnovando l’abbraccio tra Papa Montini e Atenagora avvenuto a Gerusalemme nel 1964. Ci stiamo preparando”. Lei ha incontrato più volte i bambini gravemente ammalati. Che cosa può dire davanti a questa sofferenza innocente? “Un maestro di vita per me è stato Dostoevskij, e quella sua domanda, esplicita e implicita, ha sempre girato nel mio cuore: perché soffrono i bambini? Non c’è spiegazione. Mi viene questa immagine: a un certo punto della sua vita il bambino si ‘sveglia’, non capisce molte cose, si sente minacciato, comincia a fare domande al papà o alla mamma. È l’età dei ‘perché’. Ma quando il figlio domanda, poi non ascolta tutto ciò che hai da dire, ti incalza subito con nuovi ‘perché?’. Quello che cerca, più della spiegazione, è lo sguardo del papà che dà sicurezza. Davanti a un bambino sofferente, l’unica preghiera che a me viene è la preghiera del perché. Signore perché? Lui non mi spiega niente. Ma sento che mi guarda. E così posso dire: Tu sai il perché, io non lo so e Tu non me lo dici, ma mi guardi e io mi fido di Te, Signore, mi fido del tuo sguardo”. Parlando della sofferenza dei bambini non si può dimenticare la tragedia di chi soffre la fame. “Con il cibo che avanziamo e buttiamo potremmo dar da mangiare a tantissimi. Se riuscissimo a non sprecare, a riciclare il cibo, la fame nel mondo diminuirebbe di molto. Mi ha impressionato leggere una statistica che parla di 10mila bambini morti di fame ogni giorno nel mondo. Ci sono tanti bambini che piangono perché hanno fame. L’altro giorno all’udienza del mercoledì, dietro una transenna, c’era una giovane mamma col suo bambino di pochi mesi. Quando sono passato, il bambino piangeva tanto. La madre lo accarezzava. Le ho detto: signora, credo che il piccolo abbia fame. Lei ha risposto: sì sarebbe l’ora…Ho replicato: ma gli dia da mangiare, per favore! Lei aveva pudore, non voleva allattarlo in pubblico, mentre passava il Papa. Ecco, vorrei dire lo stesso all’umanità: date da mangiare! Quella donna aveva il latte per il suo bambino, nel mondo  abbiamo sufficiente cibo per sfamare tutti. Se lavoriamo con le organizzazioni umanitarie e riusciamo a essere tutti d’accordo nel non sprecare il cibo, facendolo arrivare a chi ne ha bisogno, daremo un grande contributo per risolvere la tragedia della fame nel mondo. Vorrei ripetere all’umanità ciò che ho detto a quella mamma: date da mangiare a chi ha fame! La speranza e la tenerezza del Natale del Signore ci scuotano dall’indifferenza”. Alcuni brani dell’Evangelii Gaudium le hanno attirato le accuse degli ultra-conservatori americani. Che effetto fa a un Papa sentirsi definire ‘marxista’? “L’ideologia marxista è sbagliata. Ma nella mia vita ho conosciuto tanti marxisti buoni come persone, e per questo non mi sento offeso”. Le parole che hanno colpito di più sono quelle sull’economia che ‘uccide’… “Nell’esortazione non c’è nulla che non si ritrovi nella Dottrina sociale della Chiesa. Non ho parlato da un punto di vista tecnico, ho cercato di presentare una fotografia di quanto accade. L’unica citazione specifica è stata per le teorie della “ricaduta favorevole”, secondo le quali ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. C’era la promessa che quando il bicchiere fosse stato pieno, sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade invece che quando è colmo, il bicchiere magicamente s’ingrandisce, e così non esce mai niente per i poveri. Questo è stato l’unico riferimento a una teoria specifica. Ripeto, non ho parlato da tecnico, ma secondo la dottrina sociale della Chiesa. E questo non significa essere marxista”. Lei ha annunciato una ‘conversione del papato’. Gli incontri con i patriarchi ortodossi le hanno suggerito qualche via concreta? “Giovanni Paolo II aveva parlato in modo ancora più esplicito di una forma di esercizio del primato che si apra ad una situazione nuova. Ma non solo dal punto di vista dei rapporti ecumenici, anche nei rapporti con la Curia e con le Chiese locali. In questi primi nove mesi ho accolto la visita di tanti fratelli ortodossi, Bartolomeo, Hilarion, il teologo Zizioulas, il copto Tawadros: quest’ultimo è un mistico, entrava in cappella, si toglieva le scarpe e andava a pregare. Mi sono sentito loro fratello. Hanno la successione apostolica, li ho ricevuti come fratelli vescovi. È un dolore non poter ancora celebrare l’eucaristia insieme, ma l’amicizia c’è. Credo che la strada sia questa: amicizia, lavoro comune, e pregare per l’unità. Ci siamo benedetti l’un l’altro, un fratello benedice l’altro, un fratello si chiama Pietro e l’altro si chiama Andrea, Marco, Tommaso…”. L’unità dei cristiani è una priorità per lei? “Sì, per me l’ecumenismo è prioritario. Oggi esiste l’ecumenismo del sangue. In alcuni paesi ammazzano i cristiani perché portano una croce o hanno una Bibbia, e prima di ammazzarli non gli domandano se sono anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. Il sangue è mischiato. Per coloro che uccidono, siamo cristiani. Uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari verso l’unità e forse non è ancora arrivato il tempo. L’unità è una grazia, che si deve chiedere. Conoscevo ad Amburgo un parroco che seguiva la causa di beatificazione di un prete cattolico ghigliottinato dai nazisti perché insegnava il catechismo ai bambini. Dopo di lui, nella fila dei condannati, c’era un pastore luterano, ucciso per lo stesso motivo. Il loro sangue si è mescolato. Quel parroco mi raccontava di essere andato dal vescovo e di avergli detto: ‘Continuo a seguire la causa, ma di tutti e due, non solo del cattolico’. Questo è l’ecumenismo del sangue. Esiste anche oggi, basta leggere i giornali. Quelli che ammazzano i cristiani non ti chiedono la carta d’identità per sapere in quale Chiesa tu sia stato battezzato. Dobbiamo prendere in considerazione questa realtà”. Nell’esortazione lei ha invitato a scelte pastorali prudenti e audaci per quanto riguarda i sacramenti. A che cosa si riferiva? “Quando parlo di prudenza non penso a un atteggiamento paralizzante, ma a una virtù di chi governa. La prudenza è una virtù di governo. Anche l’audacia lo è. Si deve governare con audacia e con prudenza. Ho parlato del battesimo, e della comunione come cibo spirituale per andare avanti, da considerare un rimedio e non un premio. Alcuni hanno subito pensato ai sacramenti per i divorziati risposati, ma io non sono sceso in casi particolari: volevo solo indicare un principio. Dobbiamo cercare di facilitare la fede delle persone più che controllarla. L’anno scorso in Argentina avevo denunciato l’atteggiamento di alcuni preti che non battezzavano i figli delle ragazze madri. È una mentalità ammalata”. E quanto ai divorziati risposati? “L’esclusione della comunione per i divorziati che vivono una seconda unione non è una sanzione. È bene ricordarlo. Ma non ho parlato di questo nell’esortazione”. Ne tratterà il prossimo Sinodo dei vescovi? “La sinodalità nella Chiesa è importante: del matrimonio nel suo complesso parleremo nelle riunioni del concistoro in febbraio. Poi il tema sarà affrontato al Sinodo straordinario dell’ottobre 2014 e ancora durante il Sinodo ordinario dell’anno successivo. In queste sedi tante cose si approfondiranno e si chiariranno”. Come procede il lavoro dei suoi otto ‘consiglieri’ per la riforma della Curia? “Il lavoro è lungo. Chi voleva avanzare proposte o inviare idee lo ha fatto. Il cardinale Bertello ha raccolto i pareri di tutti i dicasteri vaticani. Abbiamo ricevuto suggerimenti dai vescovi di tutto il mondo. Nell’ultima riunione gli otto cardinali hanno detto che siamo arrivati al momento di avanzare proposte concrete, e nel prossimo incontro, in febbraio, mi consegneranno i loro primi suggerimenti. Io sono sempre presente agli incontri, eccetto la mattina del mercoledì per via dell’udienza. Ma non parlo, ascolto soltanto, e questo mi fa bene. Un cardinale anziano alcuni mesi fa mi ha detto: ‘La riforma della Curia lei l’ha già cominciata con la messa quotidiana a Santa Marta’. Questo mi ha fatto pensare: la riforma inizia sempre con iniziative spirituali e pastorali prima che con cambiamenti strutturali”. Qual è il giusto rapporto fra la Chiesa e la politica? “Il rapporto deve essere allo stesso tempo parallelo e convergente. Parallelo, perché ognuno ha la sua strada e i suoi diversi compiti. Convergente, soltanto nell’aiutare il popolo. Quando i rapporti convergono prima, senza il popolo, o infischiandosene del popolo, inizia quel connubio con il potere politico che finisce per imputridire la Chiesa: gli affari, i compromessi…Bisogna procedere paralleli, ognuno con il proprio metodo, i propri compiti, la propria vocazione. Convergenti solo nel bene comune. La Politica è nobile, è una delle forme più alte di carità, come diceva Paolo VI. La sporchiamo quando la usiamo per gli affari. Anche la relazione fra Chiesa e potere politico può essere corrotta, se non converge soltanto nel bene comune”. Posso chiederle se avremo donne cardinale? “È una battuta uscita non so da dove. Le donne nella Chiesa devono essere valorizzate, non ‘clericalizzate’. Chi pensa alle donne cardinale soffre un po’ di clericalismo”. Come procede il lavoro di pulizia allo Ior? “Le commissioni referenti stanno lavorando bene. Moneyval ci ha dato un report buono, siamo sulla strada giusta. Sul futuro dello Ior si vedrà. Per esempio, la ‘banca centrale’ del Vaticano sarebbe l’Apsa. Lo Ior è stato istituito per aiutare le opere di religione, missioni, le Chiese povere. Poi è diventato com’è adesso”. Un anno fa poteva immaginare che il Natale 2013 lo avrebbe celebrato in San Pietro? “Assolutamente no”. Si aspettava di essere eletto? “Non me l’aspettavo. Non ho perso la pace mentre crescevano i voti. Sono rimasto tranquillo. E quella pace c’è ancora adesso, la considero un dono del Signore. Finito l’ultimo scrutinio, mi hanno portato al centro della Sistina e mi è stato chiesto se accettavo. Ho risposto di sì, ho detto che mi sarei chiamato Francesco. Soltanto allora mi sono allontanato. Mi hanno portato nella stanza adiacente per cambiarmi l’abito. Poi, poco prima di affacciarmi, mi sono inginocchiato a pregare per qualche minuto insieme ai cardinali Vallini e Hummes nella cappella Paolina”. Nella riflessione spirituale di Paolo VI, il Discorso tenuto a Nazareth il 5 Gennaio 1964, si scopre l’autenticità della Sacra Famiglia di Nazareth, esempio di vita e scuola di preghiera molto potente per tutte le famiglie del mondo con Maria, Gesù e Giuseppe. “La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. In primo luogo essa ci insegna il silenzio…atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto. Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Desideriamo ricordare che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore”. Versus le vane promesse farneticanti dei politicanti, versus il crollo delle nascite, versus gli aborti, versus le unioni immonde e l’ecatombe antropologica di un’Italia senza futuro, solo l’Altissimo è in grado porre una freno a così tanto sfacelo. Vieni Signore Gesù! Occorre fermarsi a riflettere perché anche le stelle del firmamento celeste sono portatrici di messaggi. Il 2 Dicembre 2013 si è verificata l’esplosione di una stella nova. L’evento è stato visibile a occhio nudo nel Sud del mondo e gli effetti sono ancora evidenti nel cielo notturno australe, come rivela l’immagine di Rolf Wahl Olsen, scattata dalla Nuova Zelanda, che mostra la Nova Centauri 2013 e il suo insolito colore rosa. La stella è il risultato dell’esplosione termonucleare dell’Idrogeno sulla superficie di una nana bianca. È stata scoperta nella costellazione di Centauro dal “cacciatore” di novae John Seach il 2 Dicembre, grazie alla sua DSLR “patrol camera”, quando aveva già raggiunto la magnitudo 5.5; tuttavia l’immagine suggestiva rosa è stata scattata il 28 Dicembre dai cieli di Auckland in Nuova Zelanda, quando la nova brillava di magnitudo 4.5, dal fuoco 4 di un telescopio Serrurier Truss Newtonian di 12.5 pollici. “La nova appare rosa – rivela Olsen – perché stiamo osservando la luce da un guscio in espansione di Idrogeno ionizzato che emette fortemente sia la parte rossa sia blu dello spettro ottico. Queste emissioni danno alla stella il forte colore rosato, simile alle nebulose ad emissione che sono anche prevalentemente rosa/magenta”. Una stella nova è il risultato di un’esplosione termonucleare sulla superficie di una nana bianca in un sistema solare binario stretto. A differenza di una Supernova, durante la cui esplosione la stella viene disintegrata, magari trasformandosi in un astro di neutroni o in buco nero, una nova non comporta la distruzione della stella ospite. Ma l’onda di energia in espansione può aver distrutto ogni forma di vita aliena in quel lontano sistema e nei vicini violentemente irradiati, chissà forse per centinaia di anni luce dal “ground zero”, prefigurando scenari fantascientifici degni di Capitan Harlock! La nana bianca, gravitazionalmente più forte la cui materia pesa moltissimo, continua a strappare Idrogeno dalla sua stella compagna e il processo può ripetersi in futuro, generalmente nel giro di pochi o centinaia di migliaia di anni. La Nova Centauri 2013, come si evince dalla curva di luce preliminare dell’American Association of Variable Star Observers (AAVSO) acquisita sulla base di osservazioni astrofisiche, potrebbe aver raggiunto il suo picco massimo di splendore (3.5) il giorno 15 Dicembre. Salita a magnitudo 3.6 il 5 Dicembre per poi scendere alla nova magnitudine il giorno 9 poco prima di riaccendersi di nuovo, il 27 Dicembre la nova era ancora visibile a occhio nudo brillando di magnitudo 4.4 nell’emisfero australe. Invisibile dalle regioni boreali della Terra, la Nova Centauri 2013 è esplosa nella costellazione celeste del Centauro, ad ovest delle stelle Alpha e Beta Centauri, vicina alla Croce del Sud, il simbolo dello European Southern Observatory. Le novae, si sa, sono astri imprevedibili. Nel caso fosse esplosa a poche centinaia di anni luce dalla Terra, non saremmo certamente qui a descriverla! John Seach non aveva notato nulla di così brillante nella stessa fetta di cielo ripresa il 16 Novembre all’undicesima magnitudine limite. Steven Graham dalla Nuova Zelanda, cercandola tra le sue immagini, nota la comparsa della nova tra il 1° e il 2 Dicembre. Ernesto Guido, Nick Howes e Martino Nicolini, grazie al loro telescopio di 20 pollici, in remoto, immortalano la “nuova” stella di magnitudine 4.7/4.6 acquisendo lo spettro che mostra le chiare linee ad emissione dell’Idrogeno, tipiche delle stelle novae. Alle ore 7:37 italiane del 4 Dicembre 2013 Sebastian Otero dall’Argentina conferma una magnitudo 4.3 per la Nova del Centauro. Chiaramente molto più brillante della boreale Nova Delphini 2013 di Ferragosto, l’evento più seguito in assoluto. Gli astronomi hanno già puntato tutti i telescopi spaziali e terrestri disponibili. Secondo alcuni l’astro potrebbe non essere molto più vicino di quanto si pensi. Il che lascerebbe supporre la probabile presenza di una stella progenitrice di almeno magnitudine 15 sicuramente alla portata dei grandi telescopi dell’ESO in Cile. La designazione preliminare della “nuova” stella è PNV J13544700-5909080 (designazione GCVS, V1369 Cen, IAUC 9265) prima della conferma ufficiale da parte della comunità astronomica mondiale come Nova Centauri 2013. Ulteriori osservazioni si rendono necessarie per stabilire la distanza esatta dall’esplosione termonucleare, in genere superiore ai 9mila anni luce. “Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne” – scrive Papa San Leone Magno. Ma centoventiseimila morti e 300mila orfani in tre anni di conflitto, sono i drammatici numeri della crisi siriana che ancora non vede soluzione. Di quanto sta accadendo nel Paese si discuterà in Vaticano il 13 Gennaio 2014 nel corso del workshop “Siria – si può restare indifferenti?”, promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze. L’incontro è in linea con l’impegno dimostrato dal Papa: il suo digiuno nel momento in cui la situazione era drammatica e la sua lettera al Presidente russo Valdimir Putin, allora Presidente del G20, nella quale si chiedeva ai governi “interessati” di riconsiderare il tema del bombardamento! Occorre il cessate il fuoco per rendere possibile l’aiuto umanitario, per creare corridoi umanitari che al momento non ci sono; occorre la cessazione della persecuzione contro i cristiani e dunque del cosiddetto martirio “interreligioso”. La Siria ha una Costituzione che, come in Italia, deve essere rispettata! Il Principio di legalità è essenziale. Occorre contrastare la tratta delle persone, la prostituzione: temi cari al Papa insieme a quello della globalizzazione dell’indifferenza. I numeri di questo conflitto sono veramente impressionanti. Il problema è che ci sono tanti “interessi” che si incrociano, tante responsabilità. Forse i diversi leader hanno guardato più ai loro interessi che non a quello comune, ovvero evitare i circa 130 mila morti ed i tanti bambini rimasti orfani, senza genitori. Per non parlare degli altri drammi delle famiglie, l’esodo della gente, specialmente dei cristiani. Tante persone, anche vescovi, sono scomparse. Non sono state rapite dagli Alieni! Che fine hanno fatto? La situazione è drammatica. Questo, evidentemente, mostra ancora di più quella che Papa Bergoglio chiama la globalizzazione dell’indifferenza. È inspiegabile che nessuno possa mettere fine a questa piccola “guerra mondiale” che dura da tre anni! Dalle informazioni raccolte dall’Agenzia Fides, nell’anno 2013 sono stati uccisi nel mondo 22 operatori pastorali, quasi il doppio rispetto al precedente anno 2012 in cui erano stati 13. Nella notte tra il 31 Dicembre 2013 ed il 1° Gennaio 2014 è stato ucciso padre Eric Freed, parroco ad Eureka, in California: la polizia sta indagando per chiarire le cause e le modalità dell’omicidio. Per il quinto anno consecutivo, il numero più elevato di operatori pastorali uccisi si registra in America Latina, con al primo posto la Colombia. Nel 2013 sono morti in modo violento 19 sacerdoti, 1 religiosa, 2 laici. Secondo la ripartizione continentale, in America sono stati uccisi 15 sacerdoti; in Africa sono stati uccisi 1 sacerdote in Tanzania, 1 religiosa in Madagascar, 1 laica in Nigeria; in Asia sono stati uccisi 1 sacerdote in India ed 1 in Siria; 1 laico nelle Filippine; in Europa è stato ucciso 1 sacerdote in Italia. Come avviene ormai da tempo, l’elenco di Fides non riguarda solo i missionari “ad gentes” in senso stretto, ma tutti gli operatori pastorali morti in modo violento. Non viene usato di proposito il termine “martiri” se non nel suo significato etimologico di “testimoni”, per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro, anche per la scarsità di notizie che si riescono a raccogliere sulla loro vita e sulle circostanze della morte. Nell’anno 2013 è stato aperto il processo di beatificazione delle sei missionarie italiane delle Suore delle Poverelle di Bergamo, morte in Congo nel 1995 per aver contratto il virus ebola pur di non lasciare la popolazione priva di assistenza sanitaria, definite “martiri della carità”. È stata conclusa la fase diocesana del processo di beatificazione di Luisa Mistrali Guidotti, membro dell’Associazione Femminile Medico Missionaria, uccisa nel 1979 nell’allora Rhodesia mentre accompagnava in ospedale una partoriente a rischio. Si è aperta la strada della beatificazione per padre Mario Vergara, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere e del catechista laico Isidoro Ngei Ko Lat, uccisi in odio alla fede in Myanmar nel 1950. Il 25 Aprile 2013 è stata celebrata la beatificazione di don Pino Puglisi: “la sua mitezza e la sua incessante azione missionaria, evangelicamente ispirata, si scontrò con una logica di vita opposta alla fede, quella dei mafiosi, i quali ostacolarono la sua azione pastorale con intimidazioni, minacce e percosse, fino a giungere alla sua eliminazione fisica, in odio alla fede” –hanno scritto i Vescovi della Sicilia. Desta ancora preoccupazione la sorte di numerosi altri operatori pastorali sequestrati o scomparsi, di cui non si hanno più notizie, come i tre sacerdoti congolesi Agostiniani dell’Assunzione, sequestati nel nord Kivu, nella Repubblica democratica del Congo nell’Ottobre 2012, e di un sacerdote colombiano scomparso da mesi. Mentre il tremendo conflitto che sta insanguinando da tre anni la Siria non risparmia i cristiani: da tempo non si hanno più notizie del gesuita italiano p. Paolo Dall’Oglio, dei due Vescovi metropoliti di Aleppo – il greco ortodosso Boulos al-Yazigi e il siro ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, delle suore ortodosse del monastero di Santa Tecla. Proprio in queste ultime ore è stato liberato p. Georges Vandenbeusch, il sacerdote “Fidei Donum” francese che era stato rapito il 13 Novembre nella sua parrocchia di Nguetchewe, in Camerun. Ma scorrendo le poche notizie che si riescono a raccogliere sugli operatori pastorali che hanno perso la vita nel 2013, ancora una volta si osserva che la maggior parte di loro è stata uccisa in seguito a tentativi di rapina o di furto, aggrediti in qualche caso con efferatezza e ferocia, segno del clima di degrado morale, di povertà economica e culturale che genera violenza e disprezzo della vita umana. Tutti vivevano in questi contesti umani e sociali, portando avanti la missione di annuncio del messaggio evangelico senza compiere gesti eclatanti, ma testimoniando la loro fede nell’umiltà della vita quotidiana. Come ha sottolineato il Santo Padre Francesco, “in duemila anni sono una schiera immensa gli uomini e le donne che hanno sacrificato la vita per rimanere fedeli a Gesù Cristo e al suo Vangelo”. Agli elenchi provvisori stilati annualmente dall’Agenzia Fides, infatti, deve sempre essere aggiunta la lunga lista dei tanti, di cui forse non si avrà mai notizia o di cui non si conoscerà il nome, che in ogni angolo del pianeta Terra soffrono e pagano con la vita la loro fede in Gesù Cristo.

Nicola Facciolini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *