Il “palazzo” di Kafka

Più che di una crisi di governo sembra una crisi di “palazzo”, voluta dalla scalpitante Renzi con il sostegno di deputati Pd preoccupati di conservare il proprio posto ed allarmati di elezioni a maggio. Letta è stato spazzato via con un voto quasi plebiscitario ed un rituale irrituale non passato per il Parlamento, accusando di […]

lettaPiù che di una crisi di governo sembra una crisi di “palazzo”, voluta dalla scalpitante Renzi con il sostegno di deputati Pd preoccupati di conservare il proprio posto ed allarmati di elezioni a maggio.

Letta è stato spazzato via con un voto quasi plebiscitario ed un rituale irrituale non passato per il Parlamento, accusando di fariseismo il partito che laconicamente lo ringrazia e lo mette da parte, compatto attorno al “demolition man” Renzi (la definizione è di Financial Times), facendogli fare la fine della giraffa che nello zoo di Copenaghen è stata uccisa e data in pasto ai leoni (la similitudine è di Civati).

Massimo Franco sul Corriere parla di “svolta opaca” e la più parte dei commentatori dice che lo scopo di Renzi è quello di operare fino ad ottobre per fare approvare la nuova legge elettorale e poi andare alle elezioni.

Lui però dichiara di voler durare fino al 2018 e già fa trapelare di avere pronto un governo con 12 ministri fra cui 4 donne, per avere la forza politica per affrontare i problemi del Paese, con un orizzonte di legislatura da condividere con la attuale coalizione e con un programma aperto alle istanze rappresentate dalle forze sociali ed economiche.

C’è chi dice che Matteo Renzi abbia sondato anche Sel (che è spaccata) e Ndc (che sarebbe disponibile) per far sì che il suo governo, senza elezioni, possa avere i numeri.

Berlusconi usa toni accomodanti e pacati ma c’è più d’uno che nota che siccome la politica non funziona come i film dove gli stuntman (le controfigure) recitano le parti più rischiose a vantaggio degli attori, adesso Renzi rischia di rompersi il collo in prima persona e di farla lui la fine della giraffa danese da dare in pasto ai leoni.

Un esempio fra i tanti riguarda Alfano, oggi segretario del Ncd , nanificato dall’intesa Renzi-Berlusconi che aveva reso immediatamente superflui sia lui sia il suo partito di profughi, ma che adesso va tenuto buono senza rischiare l’irritazione di Berlusconi, né quella del Sel né dei pochi sopravvissuti di Scelta civica che, da residuali, diventano ora determinanti.

Sicché potrebbe avere ragione Ansi che su Il Fatto Quotidiano dice che, colto da una specie di palingenitico “cupio dissolvi”, Renzi finirà per rottamare se stesso.

I segni ci sono e riguardano proprio il suo punto di forza: la comunicazione, ovvero non dire nulla ma dirlo bene, ovvero in modo mediaticamente efficace.

Sbaglia nel mostrare pertinacia bravura nel rimettere Berlusconi al centro della scena politica, e sbaglia ancora in Sardegna, dove spara duro non sul rivale teorico Cappellacci, che pure è rinviato a giudizio per abuso d’ufficio, ma su Michela Murgia, dicendo che votarla “mette a posto la coscienza ma non la Regione”, come se le due cose fossero diverse.

Davvero l’Italia è un paese che farebbe impazzire anche Kafka e Renzi il paradigma della politica di questa Paese, che non ha più risorse (anzi ne ha perse in cinque anni per un valore stimato di 170 miliardi), ma si permette ritenere normale che si debba deporre un premier perché il suo partito ha deciso tramite le primarie di cambiare capo, ad un Tar di dire, dopo 4 anni, che una elezione regionale va rifatta e alle banche di garantire solo se stesse dopo una refgalia di 7 miliardi e mezzo.

Che Renzi, il campione della asserita rupture, vada a fare il premier senza vincere delle elezioni non è cosa da poco, ma neanche cosa del tutto sorprende in questa incredibile Nazione.

Secondo un recentissimo sondaggio Ipr il 48% degli elettori di sinistra vorrebbe il voto subito, appena approvata la nuova legge elettorale e il 36 un Letta bis e solo un 16 il Renzi.

Ma in fondo tutti tacciono, ora che è la minoranza ad aver avuto ragione, pronti o ad adattarsi fra mugolii e mitigati malumori o a salire sul carro del momentaneo vincitore, cercando di fare i propri interessi.

Ne “Il Castello” Kafka descrive le avventure di K, che accompagnato da due bislacchi e ambigui emissari, ostacolo da una invisibile autorità, è frustrato in ogni tentativo di dare un senso alla sua chiamata e si frammenta in un dedalo di domande senza risposta e vani sforzi.

Lo scorso anno la sua città, Praga, ha festeggiato i 130 anni dalla sua morte, ma forse spetterebbe a L’Italia il compito di esserne metafora vivente, dove l’uomo mosso da volontà di salvezza e di riscatto è sempre tristemente destinato alla impotenza e alla sconfitta.

Carlo Di Stanislao

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