Festa di Santa Caterina da Siena in preparazione del Giubileo Domenicano

“Lo Spirito Santo ci trasforma veramente e vuole trasformare, anche attraverso di noi, il mondo in cui viviamo”(Papa Francesco).“Andate e fate discepoli tutti i popoli!”(Mt 28,19). Virgo digna coelo. Si celebra la Festa di Santa Caterina da Siena, Dottore della Chiesa, Patrona d’Italia e Compatrona d’Europa e della Città di Roma, in preparazione degli ottocento […]

santa caterina libro“Lo Spirito Santo ci trasforma veramente e vuole trasformare, anche attraverso di noi, il mondo in cui viviamo”(Papa Francesco).“Andate e fate discepoli tutti i popoli!”(Mt 28,19). Virgo digna coelo. Si celebra la Festa di Santa Caterina da Siena, Dottore della Chiesa, Patrona d’Italia e Compatrona d’Europa e della Città di Roma, in preparazione degli ottocento anni dalla fondazione dell’Ordine Domenicano nell’Anno Domini 2016 (Ordo Praedicatorum). Nata a Siena nel 1347, Caterina morì a Roma nel 1380. All’età di 16 anni, spinta da una visione di San Domenico, entrò nel Terz’Ordine Domenicano. Quando la fama della sua santità si diffuse, fu protagonista di un’intensa attività di consiglio spirituale nei confronti di ogni categoria di persone: nobili e uomini politici, artisti e gente del popolo, persone consacrate, ecclesiastici, compreso il Papa Gregorio XI che in quel periodo risiedeva ad Avignone e che Caterina esortò energicamente ed efficacemente a fare ritorno a Roma. Viaggiò molto per sollecitare la riforma interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati. Anche per questo motivo San Giovanni Paolo II la volle dichiarare Compatrona d’Europa con le solenni parole a fondamento degli Stati Uniti di Europa con la Santa Russia: “il Vecchio Continente non dimentichi mai le radici cristiane che sono alla base del suo cammino e continui ad attingere dal Vangelo i valori fondamentali che assicurano la giustizia e la concordia”. Nel Dialogo della Divina Provvidenza, con un’immagine singolare, Santa Caterina descrive Gesù Cristo come un “ponte” lanciato tra il Cielo e la Terra. Esso è formato da tre scaloni costituiti dai piedi, dal costato e dalla bocca di Gesù. Elevandosi attraverso questi scaloni, l’anima passa attraverso le tre tappe di ogni via di santificazione: il distacco dal peccato, la pratica della virtù e dell’amore, l’unione dolce e affettuosa con Dio. Il 29 Aprile la Chiesa Cattolica ricorda Santa Caterina e in ogni chiesa domenicana (compresa San Domenico a Teramo in Abruzzo), le Fraternite Laicali Domenicane rinnovano, nella celebrazione eucaristica tradizionalmente officiata dai Padri Francescani, la solenne Promessa Domenicana pronunciata per la prima volta nella Professione, nell’ascolto della Parola di Dio, nella preghiera, nello studio, nella predicazione e nell’impegno evangelico quotidiani. Il legame più significativo e più profondo che unisce l’Ordine Domenicano alla sua grande Santa viene espresso nello stesso motto dell’Ordine dei Predicatori: Veritas, la Verità. La Verità è Gesù Cristo come si legge nel Vangelo secondo Giovanni: “Io sono la via, la verità e la vita” (14,6). Gesù infatti è la verità di Dio per gli uomini e le donne di tutti i tempi, perché in Lui, Figlio Unigenito incarnato, morto, risorto e glorificato, si realizza e si manifesta la Misericordia e la Giustizia del Padre, principio della giustificazione (Lettera ai Romani 3,21) offerta gratuitamente a tutti coloro che credono alla salvezza operata dal Padre nel sangue di Gesù (Ibidem, 3,25) e della loro stessa glorificazione (Vangelo secondo Giovanni 17,22). Nei suoi scritti, da lei dettati, soprattutto nel Dialogo della divina Provvidenza e nelle 383 Lettere, Caterina utilizza espressioni ed immagini vive ed audaci per comunicare questa Verità, rivolgendosi con somma libertà a tutti, ai semplici ed ai grandi della Terra e della Chiesa, sapendo denunciare con fermezza i peccati dei laici ed ancor più quelli dei frati, del clero e dei prelati, ma sempre offrendo a tutti la speranza della infinita Misericordia divina. Già nella vita sociale, anche all’interno della Chiesa, scrive Caterina a Papa Urbano VI (Lettera 291), la giustizia deve essere “condita di misericordia, ché, se giustizia senza misericordia fusse, sarebbe con la tenebra della crudeltà”. Ma il cuore di Dio poi è più assetato di misericordia che di giustizia, dato che è per la Sua misericordia che vuole la soddisfazione della colpa, e non viceversa, come spesso vien detto ed anche insegnato (Lettera, 76 e 349). Quindi, il peccato più grave che possa essere commesso dall’Uomo consiste nel ritenere che il proprio peccato e la propria miseria siano più grandi della Misericordia di Dio (Dialogo, XXXVII, 311-312). E Giuda dispiacque più a Dio ed offese maggiormente Gesù con la sua disperazione che non con il suo tradimento (Dialogo, XXXVII, 316-318). Dio infatti non teme che la Sua misericordia sia strumentalizzata, quando presuntuosamente le persone continuano a peccare confidando appunto nella misericordia divina, ma piuttosto ne teme il disprezzo (Dialogo, XXXVII, 314-315). Questo “tollerare” l’abuso della Sua misericordia è da parte di Dio una specie di “dolce inganno” (Dialogo, CXXXII, 2840) con il quale Egli permette ai peccatori di abituarsi comunque ad affidarsi alla Sua misericordia, anche se in un modo riprovevole, per conservarli sempre nella speranza della misericordia: “Questo fa la mia misericordia, di farlo sperare nella vita loro nella misericordia, ben che Io non lo ‘l do perché essi offendano con la misericordia, ma perché si dilatino in carità e in considerazione della bontà mia. Ma essi l’usano tutta in contrario, però che con la speranza che essi ànno presa della mia misericordia m’offendono. E nondimeno Io gli pure conservo nella speranza della misericordia, perché ne l’ultimo della morte essi abbino a che ataccarsi e al tutto non vengano meno nella reprensione e non giongano a disperazione. Però che molto più è spiacevole a me, e danno a loro, questo ultimo peccato del disperarsi, che tutti gli altri mali che egli à commessi” (Dialogo, CXXXII, 2798-2810). Ed il Padre riconosce che è costretto a ciò solamente dal Suo amore e dalla preghiera dei suoi servi fedeli: “l’amore mi costrigne, perché v’amai prima che voi fuste. Senza essere amato da voi, Io v’amai ineffabilemente. Esso mi costrigne a farlo, e l’orazioni dei servi miei…” (Dialogo, CXLIII, 927-930). Anche nel giudizio il volto di Cristo rimarrà sempre lo stesso, il volto dell’Amore misericordioso, “la mutazione della faccia non sarà in lui quando verrà a giudicare con la maiestà mia, ma in coloro che saranno giudicati da lui”. Avverrà cioè una specie di proiezione del proprio cuore sul volto di Cristo e ognuno di noi vedrà, sul volto dell’Amore, se stesso nella Verità. La Verità dell’uomo è vivere da risorgenti, perché partecipi della Risurrezione di Gesù, in un mondo di morituri e questo modo di vivere diventa possibile, per Caterina, se ci si avvicina sempre di più al mistero della caverna del costato di Cristo (Dialogo, CXXIV, 1527). Nel Vangelo secondo Matteo (11,25-30) si legge: “In quel tempo Gesù disse: Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”. Non c’è altro Nome sulla Terra nel Quale si può essere salvati e nel Quale si può acquistare la Vita Eterna, come hanno insegnato i nuovi Papi Santi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. È questo il nostro Diritto di Cittadinanza Celeste, acquistato da Cristo per noi peccatori con il Suo preziosissimo Sangue. Nel riconoscimento dell’opera del padre domenicano Benedetto Carderi, cittadino onorario di Teramo, storico, autore di numerosi libri tra cui “I Domenicani a L’Aquila”, artefice nell’Anno del Signore 1939 del ritorno dei Domenicani a Teramo dopo 130 anni (dai tempi delle famigerate leggi massoniche e napoleoniche che nel 1809 avevano trasformato la chiesa domenicana aprutina prima in stalla e poi in caserma), della fondazione della Cattedra Cateriniana e della poderosa Biblioteca Domenicana Aprutina, oltre 8mila volumi oggi custoditi nella Biblioteca Provinciale “M. Delfico” di Teramo. E nel ricordo sempiterno della Priora Maria Di Curzio, salita alla Casa del Padre Lunedì 9 Aprile 2012, amica impareggiabile del Terz’Ordine Domenicano, nel momento più difficile della partenza dei Padri Domenicani nel 2005. “Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri” – annunciato i figli spirituali di San Domenico. Santa Caterina da Siena è Patrona d’Italia insieme a San Francesco d’Assisi e Patrona d’Europa insieme a Santa Brigida di Svezia e Santa Teresa Benedetta della Croce. Con Santa Teresa d’Avila, Caterina ha il titolo di Dottore della Chiesa Universale. Nel 1461 Caterina fu canonizzata da Papa Pio II e nel 1866 fu dichiarata Compatrona di Roma. Caterina nacque a Fontebranda, rione senese, il 25 Marzo 1347. Ventiquattresima figlia del tintore Jocopo Benincasa e di Lapa de’ Piagenti, alla tenera età di sei anni ha la sua prima emblematica visione del Cristo in trono, in abiti pontificali, con accanto San Pietro e San Paolo. L’anno successivo nel suo cuore emette già il voto di verginità. Caterina, in solitudine, comincia una serie di penitenze e digiuni. Il cibo è una delle sue privazioni. Da piccolissima smette di mangiare la carne per nutrirsi di erbe selvatiche. Dopo aver superato eroicamente molti ostacoli frapposti dalla famiglia alla sua vocazione, a 16 anni Caterina ottiene d’indossare l’abito del Terz’Ordine Domenicano (Mantellate). Fino ai vent’anni vive una vita molto ritirata nella continua preghiera e nell’intensa penitenza. Gesù la favorisce di molte visioni ed ammaestramenti, ponendo le basi della sua ascesa spirituale che si concentra nella conoscenza di sé (“colei che non è”) per umiliarsi, e di Dio (“Colui che è”) per crescere nel Suo Amore. Il demonio la tormenta con numerose tentazioni. Questo periodo culmina con le “nozze mistiche” e con l’invito divino ad unire alla carità verso Dio un attivo amore del prossimo. Al termine del Carnevale del 1367, le apparvero la Madonna, Gesù e altri santi per compiere il rito delle nozze mistiche. Caterina riceve in dono un anello visibile solo ai suoi occhi. Proprio per questo, per le nozze celebrate con Gesù, l’iconografia tradizionale rappresenta Santa Caterina da Siena con un anello al dito e con un giglio in mano come simbolo di purezza. Dedica la sua vita al raggiungimento della pace e della salvezza degli uomini ed all’assistenza ai bisognosi e ai malati. Il suo primo e più illustre biografo, il beato Raimondo da Capua, sacerdote e poi Maestro dell’Ordine dei Frati Predicatori, racconta che Caterina si avvicinò da sola alle sacre scritture che imparò a leggere pur essendo analfabeta. Fu lei stessa a rivelare a fra Raimondo, suo direttore spirituale e confessore, di avere ricevuto in dono dal Signore la facoltà di leggere. In seguito imparò anche a scrivere ma non utilizzò molto la scrittura, tanto che le sue memorie furono sempre dettate da lei ad altri. Caterina scrisse a pontefici e sovrani di tutta Europa. Nota per il suo modo tutto nuovo di affrontare problemi come la crociata in Terrasanta, il ritorno dei Papi a Roma e la riforma della Chiesa, per il suo passare da visioni e colloqui soprannaturali alle terrene vicissitudini della politica, Caterina entusiasma e preoccupa i potenti della Terra. Con lettere e colloqui scrolla troni e cattedre, discute con governanti, entusiasma la gioventù, conforta, esorta quanti implorano un suo intervento. Le sue lettere a sovrani, condottieri e letterati suscitano una grande attenzione e in pochi anni Caterina riesce ad esercitare il suo benefico influsso, contribuendo a risolvere controversie politiche. Nelle lettere ai governanti suoi contemporanei ricorda che il dovere di amministrare la città è un “potere prestato” da Dio. La politica, per la Santa Senese, è la buona amministrazione della cosa pubblica finalizzata ad ottenere il bene comune e non l’interesse personale. Per far questo il buon amministratore deve ispirarsi direttamente a Gesù Cristo che rappresenta l’esempio più alto di Giustizia e Verità. Ben presto la sua fama di “donna di pace” si estese in tutto il mondo. La piena ortodossia di Caterina da Siena fu riconosciuta dal Capitolo Generale Domenicano riunito a Firenze nel Maggio 1374, che le mise al fianco fra Raimondo. Per quattro anni lui l’accompagnò nei suoi viaggi e ad Avignone le fece da interprete con Gregorio XI, il Pontefice che tornò a Roma nel 1377. Caterina, infatti, si recò ad Avignone e riuscì a convincere il Papa Gregorio XI a riportare la Cattedra di San Pietro a Roma. Fu quello, infatti, il cosiddetto periodo della “cattività avignonese” che divise l’Europa, i vescovi, i principi e gli ordini religiosi, durante il quale (1309-1377) la Santa Sede e con essa il Papa furono “ospitati” ad Avignone. La tradizione vuole che nel 1375 Caterina ricevesse le stimmate mentre si trovava nella chiesa di Santa Cristina a Pisa. Stimmate che rimasero invisibili a tutti fino al momento della sua morte. Fra Raimondo, come Caterina, fu per il Papa romano e ne difese la causa nelle missioni in varie parti d’Europa. Caterina gli aveva predetto l’elezione a Maestro Generale dei Domenicani, cosa che avvenne nello stesso anno della morte della santa senese (1380). Nello spirito cateriniano di riforma, fra Raimondo impresse nuovo vigore spirituale all’Ordine, favorendo lo sviluppo del movimento di “osservanza”, sorto sull’esempio francescano, meritando così il titolo di “secondo fondatore dell’Ordine dei Predicatori”. Scoppiato lo Scisma d’Occidente il 20 Settembre 1378, Caterina si adopera in ogni modo, con la preghiera, l’offerta sacrificale di sé, la parola, le lettere, per sanarlo e riportare la Chiesa alla coesione. Buona parte delle 381 Lettere del suo Epistolario ne danno testimonianza. Per rendere più incisiva la sua opera a favore della Chiesa, Papa Urbano VI la chiamò a Roma dove Caterina trascorse gli ultimi due anni della sua vita. Il testamento spirituale di Caterina è il seguente: “Tenete per certo, figlioli, che io ho offerto la mia vita per la santa Chiesa”. Spirò dolcemente il 29 Aprile 1380 pronunciando le parole: “Padre nelle tue mani affido il mio spirito”. Il suo corpo dopo cinque giorni venne sepolto nella basilica domenicana di Santa Maria sopra Minerva (vicina al Pantheon) dove giace tuttora sotto l’Altare maggiore. Nel 1381, un anno dopo la morte, la testa di Caterina fu portata come reliquia a Siena dove ancora oggi si trova, nella Basilica di San Domenico, con un dito della santa, mentre il suo piede sinistro fu portato a Venezia nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Caterina è raffigurata nell’iconografia classica anche con il libro, simbolo della dottrina. L’affermazione icastica, sintesi del pensiero di Caterina, sul mistero e ministero sacerdotale (“El tesoro della Chiesa è el sangue di Cristo, dato in prezzo per l’anima (…) e voi ne sete ministro”) è l’essenza della prima Lettera (209) che Gregorio XI riceve dalla santa senese poco dopo il suo arrivo a Roma, il 17 Gennaio 1377. Una Lettera attuale, ancora oggi sconvolgente ma necessaria per la difesa della Chiesa dagli assalti del laicismo, della massoneria, del relativismo etico e dell’inferno. Il Progetto di San Domenico è oggi la grandezza, per molti ancora ignota, di un ideale di fede, vita, azione, pensiero, speranza, gioia e carità che, nonostante la cultura nichilista imperante, non perde mai la sua urgente attualità. Anzi affascina, tanto che si trova in perfetta sintonia con il progetto di Nuova Evangelizzazione che San Giovanni Paolo II ha promosso per portare agli uomini del nostro tempo, Cristo Risorto, la “Verità che libera”. La Scuola di preghiera domenicana, tanto cara al Santo Pontefice polacco, non vuole e non può essere o ridursi a un’espressione culturale di una fede “part-time” per laici più o meno impegnati. La Fraternita Laicale Domenicana non è un salotto culturale dove si recitano poesie. La Scuola di preghiera permanente e lo studio del Catechismo della Chiesa Cattolica, infatti, sono un dovere per ogni cristiano. Può essere utile per cercare di rispondere all’esigenza di numerose persone che sentono il bisogno di pregare e sono alla ricerca di spazi di silenzio e di incontro col Signore. Vogliamo e dobbiamo imparare a pregare, prima di insegnare a farlo, come osserva Papa Francesco. Come? Pregando alla Scuola di un solo Maestro, Gesù Cristo, aiutati dalla Madre di Dio, Maria, la nostra Corredentrice, la nostra Avvocata in Cielo e sulla Terra. Il Centro di gravità, l’anima della preghiera, è mettersi alla presenza di Dio, di Gesù che, con tutti i nostri limiti, ci condurrà per mano nel cammino di preghiera. Gesù ha parlato molto di preghiera nelle famiglie del Suo tempo: quasi ogni pagina del Santo Vangelo è una preghiera ed ogni incontro con un uomo o una donna è una lezione sulla preghiera. Gesù risponde sempre a chi ricorre a Lui con un grido di Fede (il cieco di Gerico, il centurione, la Cananea, Giairo, l’emorroissa, Marta, la vedova che piange sul figlio, Maria a Cana). Gesù raccomanda molto di pregare incessantemente per superare e vincere i problemi, le malattie e le tentazioni della vita quotidiana. Gesù comanda di pregare per vincere ogni male e malattia. Gesù sulla Terra pregava molto, passava intere notti a pregare, a parlare col Padre, ad ascoltarlo, per imparare a fare sempre la sua volontà. “Gesù, insegnaci a pregare!” – chissà quante volte queste parole accorate del popolo in  ascolto della Sua Parola, sono state elevate al Cielo. E Gesù ha risposto. Ha dato un modello di preghiera, il Padre nostro. Che il Papa emerito Benedetto XVI spiega nei suoi libri dedicati alla figura storica di Gesù di Nazaret. La lettura personale e comunitaria di alcuni brani della Sacra Bibbia, la preghiera dei Salmi, la risonanza semplice e discreta, l’atteggiamento di adorazione dinanzi al Santissimo Sacramento, il silenzio assoluto, come insegnano i Dottori della Chiesa, ci permettono di creare un clima di ascolto, di adorazione, di dialogo sentito con Gesù, Signore della nostra vita. Uniti dall’unico Maestro Gesù, a pregare, possiamo contemplare, adorare, implorare aiuto, chiedere misericordia, lodare, ringraziare. Questa è stata la vita di San Domenico, di Santa Caterina e di tutti i Santi di Dio che rappresentano un successo esponenziale (altro che “tramonto del cristianesimo”!) della fede nei secoli. Per questo riteniamo necessario uno spazio di preghiera comunitaria, come base e stimolo per la preghiera personale e familiare di quanti vogliono percorrere con costanza il cammino della fede cristiana oggi sempre più in pericolo nella nostra stessa Italia ed Europa. La Scuola di preghiera, animata da religiosi e sacerdoti degni, seguendo l’insegnamento di San Paolo, deve essere aperta a tutti come insegna San Giovanni Paolo II. Ragazzi, adolescenti, giovani e adulti, di qualsiasi movimento, ceto sociale e realtà ecclesiale. Si comincia dalla famiglia. L’autoreferenzialità è sinonimo di asfissia. Dobbiamo cercare di camminare con semplicità alla luce della Sacra Bibbia, per imparare a pregare pregando, alla presenza di Gesù Maestro, meditando sulle disposizioni spirituali di “auto-governo” delle Fraternite, necessarie per poter pregare con frutto in umiltà, coscienti che Dio ci ama sempre, con la volontà di ringraziare sempre Dio per l’amore e la sofferenza quotidiana. Dobbiamo meditare sui modelli che l’Antico Testamento ci offre di uomini e donne di fede e preghiera operosa (Abramo, Mosè, Davide, Salomone, Giuditta, Isaia, Ester), su Gesù che prega e sul modello di Maria Santissima orante. Quindi sulla preghiera di pentimento, di implorazione, di ascolto e di ringraziamento. Scriveva nel 2006 fra Carlos Azpiroz Costa OP, allora Maestro dell’Ordine dei Predicatori, nella sua Lettera giubilare: “è incominciata una novena di anni che culminerà con il Giubileo del 2016 per gli 800 anni dalla conferma dell’Ordine dei Predicatori da parte del Papa”. I capitolari del Capitolo Generale di Bogotá chiesero che il tempo tra questi anni di Giubileo fosse “consacrato a un serio rinnovamento della nostra vita e missione di predicatori del Vangelo”. Interessa anche ai laici domenicani ed a tutta la Chiesa. Per questo l’impegno dei Domenicani a Teramo e in Abruzzo prosegue, nonostante gli attacchi del diavolo. “L’anima nostra – insegna S. Caterina – è come una casa nella quale abitando possiamo conoscere noi stessi e Dio”. Gli incontri dei laici domenicani si svolgono a Teramo nella nuova sede della Provincia Cateriniana dell’Ordine dei Padri Predicatori, nello storico quartiere di Porta Romana, presso la chiesa medievale di San Domenico. La Fraternita Laicale Domenicana di Teramo è aperta a tutti i fedeli cattolici che desiderano scoprire e condividere la vocazione e la spiritualità domenicana nel mondo. Con il paterno consiglio del sacerdote francese Bruno Cadoré, il Maestro dell’Ordine dei Predicatori, eletto durante il 209° Capitolo Generale. Padre Cadoré è l’87.mo successore di San Domenico di Guzmán. Prima di entrare nell’Ordine, Bruno Cadoré, nato nel 1954 (di madre francese, il padre della Martinica), era un prestigioso medico ricercatore a Strasburgo. Ha presentato una tesi sulla leucemia nel 1979, ha fatto il praticantato medico a Haiti, esperienza che ha segnato profondamente la sua vita. Esperto di etica biomedica, è stato direttore del Centro di Etica Medica dell’Istituto Cattolico di Lille in Francia, prima di essere eletto priore provinciale della provincia domenicana transalpina, nel 2001. Durante la sua attività all’Istituto Cattolico di Lille ha scritto quaranta pubblicazioni mediche. Ordinato sacerdote nel 1986, si è laureato in Teologia Morale nel 1992. Dal 2008 è membro del Consiglio Nazionale francese per l’Aids, il virus che sta uccidendo milioni di persone in tutto il mondo. È stato presidente della Conferenza dei Provinciali d’Europa (IEOP), il che gli ha permesso di avere una conoscenza diretta non solo della provincia della Francia e dell’Ordine in Europa, ma anche dei cinque vicariati della provincia, dal nord dell’Europa all’Africa equatoriale e al mondo arabo (Iraq, Egitto e Algeria). Padre Cadoré, eletto nel 2010 Superiore di più di 6mila Padri Domenicani (ma quale crisi di vocazioni!) racconta la sua vocazione nella quale ha avuto un ruolo decisivo il suo lavoro come medico. Padre Cadoré afferma che la sua missione come successore di San Domenico è quella di essere “servitore dell’unità fra tutti i fratelli”. La sua vita di giovane pediatra è cambiata inaspettatamente quando un giorno mise piede nella chiesa di un convento. “Non so perché ma stavo cercando un convento domenicano, e quel giorno la comunità era riunita in preghiera. Quella che vidi fu una comunità di frati dall’aria molto libera e gioiosa. In quel periodo attraversavo una fase di ricerca. Infatti, poiché lavoravo con i bambini malati, ero incerto, mi dicevo che dovevo avere anche un altro punto di vista sul mondo rispetto alla malattia, alla morte e alle difficoltà della vita. E poi sono entrato in questa chiesa. E lì, ho avuto l’impressione che si cercava qualche cosa di vero, libero e gioioso. Allora sono andato, ogni tanto, a pregare con i frati”. È così entrato nell’Ordine dei Domenicani e dopo il noviziato è stato inviato per due anni in missione ad Haiti. “Quello è stato per me un momento molto importante – confessa Padre Cadoré – innanzitutto non sapevo che cosa fosse una comunità di predicatori. In secondo luogo, non conoscevo quel lato del mondo dove le persone vivono in situazioni estremamente precarie; all’epoca vi era anche una dittatura, molto disorganizzata. E lì, conobbi dei frati che vivevano in una grande regione, in campagna, fra le montagne, e che avevano cominciato un lavoro di organizzazione della loro parrocchia in comunità ecclesiali di base denominate fraternità. E trascorsi questi due anni in mezzo alle persone, a conoscere il Vangelo, a sentire le loro prediche: credo di aver appreso il Vangelo insieme a loro. Ciò è stato per me determinante, un qualcosa che non ho mai dimenticato”. Per il Maestro dell’Ordine dei Predicatori, “un domenicano è un frate predicatore e dunque è un fratello che vive con i fratelli, che vuole vivere con i fratelli perché solo così si condivide la Parola di Dio ed è così che si diventa gli uomini che siamo. Uomini che predicano provando un po’ a seguire l’esempio di Gesù, cioè andando a incontrare le persone, nelle calamità, ascoltandole, prendendo del tempo per sapere che vita conducono, quali sono i loro interrogativi, vivendo con loro e cercando insieme a loro la Verità della Parola di Dio”. Per quanto riguarda la sua missione come Maestro dell’Ordine, Padre Cadoré riconosce con grande umiltà che “non so bene quale sia il ruolo del Maestro dell’Ordine. Lo scoprirò. Ho l’impressione che il lavoro essenziale consista nel conoscere i fratelli, nell’imparare ad amarli, nell’ammirare ciò che predicano, nello scoprire le persone con cui vivono, con cui predicano, e al contempo nello scoprire come la Parola di Dio si riveli in mezzo alla gente attraverso la predicazione della Parola scambiata e il dialogo con la gente. Credo, inoltre, che il Maestro dell’Ordine sia il servitore dell’unità fra tutti i fratelli, fra tutte queste comunità, fra tutte queste province, fra tutte queste culture così differenti. Attraverso il mistero di un’unità che ci è stata data, credo, per la gioia di essere destinatari della Parola di Dio, la gioia di amare le persone come fece il Figlio di Dio, come fece San Domenico; la libertà, prendere del tempo per cercare di capire realmente insieme agli altri quale sia il percorso da seguire nella vita, quale sia il senso della vita. Lo studio, infatti, è un atto eucaristico”. Eucaristia e Storia sono unite dalla “memoria”. Tutti i sacramenti cristiani sono un memoriale, ma l’Eucaristia esplicita l’economia di incarnazione e di salvezza del Cristo, più di ogni altro mistero e, pertanto, diventa la norma a cui ogni discepolo cristiano deve configurarsi per potersi inserire nella direttrice salvifica tracciata da Gesù. Già San Tommaso, che in sintonia con l’insegnamento teologico più corrente al suo tempo coglieva in ogni segno sacramentale un’apertura sul passato sul presente e sul futuro, insegnava che questa triplice significazione è particolarmente evidente nell’Eucaristia nella quale si fa memoria della Passione di Cristo (si perpetua il memoriale della sua Passione), si attinge la giustizia cristiana (la mente, l’anima è ricolmata di Grazia) e ci pone in cammino verso l’escatologia (e ci è dato il pegno della Gloria futura). Nella catechesi su Santa Caterina, presentata nell’Udienza Generale del 24 Novembre 2010, Benedetto XVI parla “di una donna che ha avuto un ruolo eminente nella storia della Chiesa. Si tratta di Santa Caterina da Siena. Il secolo in cui visse – il quattordicesimo – fu un’epoca travagliata per la vita della Chiesa e dell’intero tessuto sociale in Italia e in Europa. Tuttavia, anche nei momenti di maggiore difficoltà, il Signore non cessa di benedire il suo Popolo, suscitando Santi e Sante che scuotano le menti e i cuori provocando conversione e rinnovamento. Caterina è una di queste e ancor oggi ella ci parla e ci sospinge a camminare con coraggio verso la Santità per essere in modo sempre più pieno discepoli del Signore. Nata a Siena, nel 1347, in una famiglia molto numerosa, morì a Roma, nel 1380. All’età di 16 anni, spinta da una visione di San Domenico, entrò nel Terz’Ordine Domenicano, nel ramo femminile detto delle Mantellate. Rimanendo in famiglia, confermò il voto di verginità fatto privatamente quando era ancora un’adolescente, si dedicò alla preghiera, alla penitenza, alle opere di carità, soprattutto a beneficio degli ammalati. Quando la fama della sua santità si diffuse, fu protagonista di un’intensa attività di consiglio spirituale nei confronti di ogni categoria di persone: nobili e uomini politici, artisti e gente del popolo, persone consacrate, ecclesiastici, compreso il Papa Gregorio XI che in quel periodo risiedeva ad Avignone e che Caterina esortò energicamente ed efficacemente a fare ritorno a Roma. Viaggiò molto per sollecitare la riforma interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati: anche per questo motivo il Venerabile Giovanni Paolo II la volle dichiarare Compatrona d’Europa: il Vecchio Continente non dimentichi mai le radici cristiane che sono alla base del suo cammino e continui ad attingere dal Vangelo i valori fondamentali che assicurano la giustizia e la concordia. Caterina soffrì tanto, come molti Santi. Qualcuno pensò addirittura che si dovesse diffidare di lei al punto che, nel 1374, sei anni prima della morte, il Capitolo Generale dei Domenicani la convocò a Firenze per interrogarla. Le misero accanto un frate dotto ed umile, Raimondo da Capua, futuro Maestro Generale dell’Ordine. Divenuto suo confessore e anche suo “figlio spirituale”, scrisse una prima biografia completa della Santa. Fu canonizzata nel 1461. La dottrina di Caterina, che apprese a leggere con fatica e imparò a scrivere quando era già adulta, è contenuta ne Il Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina, un capolavoro della letteratura spirituale, nel suo Epistolario e nella raccolta delle Preghiere. Il suo insegnamento è dotato di una ricchezza tale che il Servo di Dio Paolo VI, nel 1970, la dichiarò Dottore della Chiesa, titolo che si aggiungeva a quello di Compatrona della Città di Roma, per volere del Beato Pio IX, e di Patrona d’Italia, secondo la decisione del Venerabile Pio XII. In una visione che mai più si cancellò dal cuore e dalla mente di Caterina, la Madonna la presentò a Gesù che le donò uno splendido anello, dicendole: “Io, tuo Creatore e Salvatore, ti sposo nella fede, che conserverai sempre pura fino a quando celebrerai con me in cielo le tue nozze eterne” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 115, Siena 1998). Quell’anello rimase visibile solo a lei. In questo episodio straordinario cogliamo il centro vitale della religiosità di Caterina e di ogni autentica spiritualità: il cristocentrismo. Cristo è per lei come lo sposo, con cui vi è un rapporto di intimità, di comunione e di fedeltà; è il bene amato sopra ogni altro bene. Questa unione profonda con il Signore – ricorda Benedetto XVI – è illustrata da un altro episodio della vita di questa insigne mistica: lo scambio del cuore. Secondo Raimondo da Capua, che trasmette le confidenze ricevute da Caterina, il Signore Gesù le apparve con in mano un cuore umano rosso splendente, le aprì il petto, ve lo introdusse e disse: “Carissima figliola, come l’altro giorno presi il tuo cuore che tu mi offrivi, ecco che ora ti do il mio, e d’ora innanzi starà al posto che occupava il tuo” (ibid.). Caterina ha vissuto veramente le parole di san Paolo, “non vivo io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Come la santa senese, ogni credente sente il bisogno di uniformarsi ai sentimenti del Cuore di Cristo per amare Dio e il prossimo come Cristo stesso ama. E noi tutti possiamo lasciarci trasformare il cuore ed imparare ad amare come Cristo, in una familiarità con Lui nutrita dalla preghiera, dalla meditazione sulla Parola di Dio e dai Sacramenti, soprattutto ricevendo frequentemente e con devozione la santa Comunione. Anche Caterina appartiene a quella schiera di santi eucaristici con cui ho voluto concludere la mia Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis (cfr n. 94). Cari fratelli e sorelle, l’Eucaristia è uno straordinario dono di amore che Dio ci rinnova continuamente per nutrire il nostro cammino di fede, rinvigorire la nostra speranza, infiammare la nostra carità, per renderci sempre più simili a Lui. Attorno ad una personalità così forte e autentica si andò costituendo una vera e propria famiglia spirituale. Si trattava di persone affascinate dall’autorevolezza morale di questa giovane donna di elevatissimo livello di vita, e talvolta impressionate anche dai fenomeni mistici cui assistevano, come le frequenti estasi. Molti si misero al suo servizio e soprattutto considerarono un privilegio essere guidati spiritualmente da Caterina. La chiamavano “mamma”, poiché come figli spirituali da lei attingevano il nutrimento dello spirito. Anche oggi la Chiesa riceve un grande beneficio dall’esercizio della maternità spirituale di tante donne, consacrate e laiche, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio, rafforzano la fede della gente e orientano la vita cristiana verso vette sempre più elevate. “Figlio vi dico e vi chiamo – scrive Caterina rivolgendosi ad uno dei suoi figli spirituali, il certosino Giovanni Sabatini – in quanto io vi partorisco per continue orazioni e desiderio nel cospetto di Dio, così come una madre partorisce il figlio”(Epistolario, Lettera n. 141: A don Giovanni de’ Sabbatini). Al frate domenicano Bartolomeo de Dominici era solita indirizzarsi con queste parole: “Dilettissimo e carissimo fratello e figliolo in Cristo dolce Gesù”. Un altro tratto della spiritualità di Caterina è legato al dono delle lacrime. Esse esprimono una sensibilità squisita e profonda, capacità di commozione e di tenerezza. Non pochi Santi hanno avuto il dono delle lacrime, rinnovando l’emozione di Gesù stesso, che non ha trattenuto e nascosto il suo pianto dinanzi al sepolcro dell’amico Lazzaro e al dolore di Maria e di Marta, e alla vista di Gerusalemme, nei suoi ultimi giorni terreni. Secondo Caterina, le lacrime dei Santi si mescolano al Sangue di Cristo, di cui ella ha parlato con toni vibranti e con immagini simboliche molto efficaci: “Abbiate memoria di Cristo crocifisso, Dio e uomo (…). Ponetevi per obietto Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso”(Epistolario, Lettera n. 21: Ad uno il cui nome si tace). Qui possiamo comprendere perché Caterina, pur consapevole delle manchevolezze umane dei sacerdoti, abbia sempre avuto una grandissima riverenza per essi: essi dispensano, attraverso i Sacramenti e la Parola, la forza salvifica del Sangue di Cristo. La Santa senese ha invitato sempre i sacri ministri, anche il Papa, che chiamava “dolce Cristo in terra”, ad essere fedeli alle loro responsabilità, mossa sempre e solo dal suo amore profondo e costante per la Chiesa. Prima di morire disse: “Partendomi dal corpo io, in verità, ho consumato e dato la vita nella Chiesa e per la Chiesa Santa, la quale cosa mi è singolarissima grazia” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 363). Da santa Caterina, dunque, noi apprendiamo la scienza più sublime: conoscere ed amare Gesù Cristo e la sua Chiesa. Nel Dialogo della Divina Provvidenza, ella, con un’immagine singolare, descrive Cristo come un ponte lanciato tra il cielo e la terra. Esso è formato da tre scaloni costituiti dai piedi, dal costato e dalla bocca di Gesù. Elevandosi attraverso questi scaloni, l’anima passa attraverso le tre tappe di ogni via di santificazione: il distacco dal peccato, la pratica della virtù e dell’amore, l’unione dolce e affettuosa con Dio. Cari fratelli e sorelle, impariamo da santa Caterina ad amare con coraggio, in modo intenso e sincero, Cristo e la Chiesa. Facciamo nostre perciò le parole di santa Caterina che leggiamo nel Dialogo della Divina Provvidenza, a conclusione del capitolo che parla di Cristo-ponte: “Per misericordia ci hai lavati nel Sangue, per misericordia volesti conversare con le creature. O Pazzo d’amore! Non ti bastò incarnarti, ma volesti anche morire! (…) O misericordia! Il cuore mi si affoga nel pensare a te: ché dovunque io mi volga a pensare, non trovo che misericordia” (cap. 30, pp. 79-80)”. Alla luce del legame intessuto dal compianto domenicano Benedetto Carderi con l’Abruzzo, le città di L’Aquila e Teramo, nell’ambito civile, culturale e religioso; considerato l’apporto fondamentale che padre Carderi con i suoi studi e le sue preghiere ha offerto allo sviluppo della storiografia abruzzese, e il meticoloso plurisecolare contributo dei domenicani nell’arricchimento del patrimonio librario conventuale donato alla biblioteca provinciale aprutina “Melchiorre Delfico”; analizzata la relazione tra storia e teologia, conoscenza e fede, vita e spiritualità, che trovano nella persona e nell’opera di Benedetto Carderi un insigne maestro, perché mai i Padri Domenicani hanno lasciato l’Abruzzo e la città di Teramo? La Priora Maria Di Curzio prese le redini della Fraternita Laicale Domenicana aprutina, con coraggio, spirito di sacrificio e amore, per cinque anni è riuscita a ristabilire un clima di reciproca stima e di sincero affetto, con la saggezza e l’autorevolezza che le erano proprie, per il sostegno morale e spirituale ai bisognosi, per la vicinanza costante e fedele (“Siamo forti – amava affermare la Priora – come torri che non crollano”) ai suoi. La Comunità domenicana tutta, alla quale Maria è appartenuta per più di 60 anni, per sempre la ringrazia per l’insegnamento e la testimonianza vissuti con dignità e speranza nel Signore Risorto, per l’incrollabile fede in Cristo e nel carisma di S. Domenico e S. Caterina. Oggi si fa memoria di una donna, il cui nome in greco significa “donna pura”: Caterina ha avuto un ruolo di prim’ordine nella storia della Chiesa. L’epoca di Caterina fu un periodo travagliato per la Chiesa, l’Italia e l’Europa, proprio come quello che stiamo vivendo oggi. La memoria della vita di questa grande Santa possa scuotere le nostre coscienze, le nostre menti e il nostro cuore provocando in ognuno una netta conversione per essere degni discepoli del Signore. Facciamo nostra questa meravigliosa preghiera di Santa Caterina: “Spirito Santo, vieni nel mio cuore, per la tua potenza tiralo a te, Dio vero. Concedimi carità e timore. Custodiscimi o Dio da ogni mal pensiero. Infiammami e riscaldami del tuo dolcissimo amore, acciò ogni travaglio mi sembri leggero. Assistenza chiedo ed aiuto in ogni mio ministero. Cristo amore, Cristo amore”. Accogli, o Dio, questo sacrificio di salvezza, che ti offriamo nella festa di santa Caterina, e fa’ che l’insegnamento della sua vita ci renda sempre più ferventi nel rendere grazie a te, fonte di ogni bene. Sia lodato Gesù Cristo! La storia di Santa Caterina è esemplare di come il dono della sapienza di Dio possa compiere prodigi anche senza il talento del sapere umano, al punto che Papa Paolo VI volle insignire la Santa senese del titolo di Dottore della Chiesa. Anche solo osservare il modo in cui si prega può rovesciare una convinzione ferrea nel suo opposto. È quel che accade al papà di Caterina da Siena, Japoco Benincasa. Quella figlia carina, in età da marito, a soli 12 anni si è quasi barricata in casa pur di non recedere da quello che davvero gli fa battere il cuore: donarsi a Dio. I tentativi di convincerla non sortiscono effetti. Ma poi, un giorno, quel padre forse innervosito da tanta testardaggine sorprende la figlia in preghiera nella sua stanza e ciò che vede, quel modo della figlia di raccogliersi, di vedere con gli occhi dell’anima lo Sposo Gesù che veramente ama, lo convince. La determinazione della ragazza ha la meglio e per lei si spalancano le porte del convento. A 16 anni è tra le Mantellate di San Domenico. Questa vittoria è rivelatrice di ciò che Caterina Benincasa, semianalfabeta che detterà per i Papi lettere di inaudita sapienza cristiana, sarà capace di fare di lì a un decennio. Intanto, la sua è una missione che fin da subito si “sporca” le mani con “la carne di Cristo”, i reietti della società medievale, i lebbrosi, gli ultimi e i malati di una delle troppe pestilenze che tormentano l’epoca, tutti curati da Caterina con affetto e coraggio. Poi, giacché come sempre accade ogni esempio attira imitatori, una “Bella brigata” si coagula attorno alla Santa, per aiutare e sostenere quella giovane che legge e scrivere a malapena. Sembra che Dio stesso parli e scriva attraverso di lei. A toccare con mano questo prodigio di dottrina e discernimento sono i poveri, i nobili e i politici bellicosi dissuasi dalle armi con un imperativo: “Io voglio!” scandito in nome di Dio. I consigli spirituali di Caterina sono acuti e appropriati per ciascuno e arrivano a “dettare” il giusto comportamento anche al Papa, con un’autorevolezza straordinaria. Quando l’assenza del Pontefice da Roma si fa insostenibile perché Gregorio XI in quel momento era ad Avignone, la giovane insipiente divenuta religiosa in odore di santità indirizza al “dolce Cristo in terra” espressioni di fuoco: “Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo”. Sono le parole della santa senese che raggiunge la Francia per portare il Papa con sé a Roma! Ma non c’è solo luce nella trama della vita di Caterina. Il filo dell’ordito è fatto di tribolazioni di ogni tipo, anche una “verifica” da parte del suo Ordine risolta in modo positivo, ma niente fiacca la fibra interiore della santa senese, anche se il corpo si spegne a soli 33 anni, poco prima di mezzogiorno della Domenica dopo l’Ascensione, il 29 Aprile 1380. A Roma, dove si trova, Caterina chiude gli occhi sussurrando le identiche parole di Gesù sulla croce. Per la sua eccezionale apertura europea, San Giovanni Paolo II proclamò Caterina da Siena “Compatrona d’Europa” nel 1999. Ecco perché fu Virgo digna coelo. La sua immagine sarebbe diventata simbolo potente, capace di coagulare attese di rinnovamento e progetti di riforma, ma anche punto di riferimento costante degli ideali di perfezione cristiana nella complessa fase di passaggio dall’età medievale a quella moderna. Paolo VI la dichiarò Dottore della Chiesa per la sua alta teologia e il suo influsso sul rinnovamento di questa scienza. La memoria della santa senese è rimasta sempre viva nel popolo cristiano e il suo influsso non è mai cessato. La sua eredità futura è il Partito Conservatore Europeo per la fondazione degli Stati Uniti di Europa con la Santa Madre Russia. Caterina è profondamente intrisa di questa esperienza cristiana e costantemente, pur denunciando radicalmente tutti i limiti e tutti i difetti, ripropone sempre questa possibilità che Dio offre di riaffidarsi a Lui. La figura di Caterina supera ampiamente la sua esistenza terrena e assume un forte valore simbolico, che, alla vigilia del Giubileo Domenicano del 2016, rammenta a tutti la fede incrollabile di cui ella fu portatrice e che la rese madre spirituale di tanti cristiani. Il suo influsso non ha mai cessato di arricchire la Chiesa principalmente attraverso l’agiografia e la cultura letteraria grazie in particolare al suo magnifico epistolario. Nei suoi scritti Caterina utilizza espressioni ed immagini vive ed audaci per comunicare la Verità, Gesù Cristo, rivolgendosi con somma libertà a tutti, ai semplici ed ai grandi della Terra e della Chiesa, sapendo denunciare con fermezza i peccati, ma sempre offrendo a tutti la speranza della infinita Misericordia divina.
© Nicola Facciolini

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