Emozioni da Venezia ed altri luoghi

A Venezia ha vinto l’Europa, capace di un cinema coraggioso ed emozionante, non confezionato per incontrare i gusti del pubblico, ma rischioso, come si addice alle vere opere d’arte. Com’era nei pronostici il Leone D’Oro va allo svedese “Un piccione sul ramo che riflette sull’esistenza” di Roy Andersson, un film lirico e folle, che batte […]

veneziaA Venezia ha vinto l’Europa, capace di un cinema coraggioso ed emozionante, non confezionato per incontrare i gusti del pubblico, ma rischioso, come si addice alle vere opere d’arte.

Com’era nei pronostici il Leone D’Oro va allo svedese “Un piccione sul ramo che riflette sull’esistenza” di Roy Andersson, un film lirico e folle, che batte di un soffio gli altrettanto ispirati “Le notti bianche del postino” di Andrej Kancalovskij (Leone d’Argento) e “The look of silence” di Joshua Oppenheim (Premio della Giuria).

Soddisfazione anche per l’Italia che si porta a casa una meritata Coppa Volpi per la migliore protagonista, andata ad Alba Rohrwacher per “Hungry Hurts” di Saverio Costanzo, con l’altro protagonista, Adan Driver, che vince il premio per la migliore interpretazione maschile.

Fra i grandi esclusi dai premi spiccano “Birdman” di Alejandro Gonzàlez Iñàrritu, che però potremmo ritrovarci tranquillamente all’Oscar, come è accaduto, lo scorso anno, a “Gravity” e, l’anno prima, ad “Amnesia” di Wang Xiaoshuai e i due eccellenti italiani: “Anime nere”, opera seconda di Francesco Nunzi e “Il giovane favoloso”(con un favoloso Ennio Germano), di Mario Martone, che comunque si sono aggiudicati una distribuzione internazionale.

Fra gli altri premi ci piace sottolineare quello Mastroianni, per un giovane emergente, andato a Romain Paul, il ragazzino protagonista del melo che arriva dalla Francia “L’ultimo colpo di martello”, unico film francese, su quattro, a ricevere un premio e che parla di un direttore d’orchestra alle prese con la sesta sinfonia di Mahler, cosa che può aver avuto un certo impatto sul presidente di giuria, il musicista Alexander Desplat.

Il premio De Laurentiis per la migliore opera prima è andata a “Court” di Chaitanya Tamhane, un film toccante ed ispirato, che ha convinto pienamente la giuria presieduta da Alice Rohrwacher e composta da Lisandro Alonso, Ron Mann, Vivian Qu e Razvan Radulescu, ad asegnarli il premio e l’assegno di di 100.000 dollari, messi a disposizione da Filmauro di Aurelio e Luigi De Laurentiis, suddivisi in parti uguali tra il regista e produttore.

Il Lido smette il rosso e le paillettes del Festival d’Arte Cinematografica e Venezia si imbelletta per la “Regata storica”, aperta, come da tradizione, dal coloratissimo corteo acqueo, formato dalle Bissone, dal Bucintoro e dalle barche delle società di voga, come accade dalle origini della manifestazione, che rievoca la venuta nella Laguna della regina di Cipro Caterina Cornaro, che segnò l’inizio del dominio della Serenissima sull’isola del Mediterraneo.

Apice della regata, la sfida dei campioni del remo su gondolini a 2 remi, imbarcazioni leggere in forma di gondola molto snella, che esalta le qualità tecniche dei regatanti più che la loro potenza.

Ma, mentre la Mostra del Cinema si chiude con una dissolvenza e rutilante appare la “Regata”, restano i problemi di una città alle prese con lo scandalo del Mose, i licenziamenti crescenti, l’economia che affonda ed il rischio delle grandi navi in Laguna.

A Venezia, durante il Festival, è stata proiettata la copia restaura del secondo, profetico film di Marco Bellocchio (vincitore del ’67 del Premio della Giuria”), “La Cina è vicina”, rappresentazione del desiderio utopico di una rivoluzione che ispirandosi ai maoisti spazzasse via il potere borghese, a sua volta già cosciente del clima d’assedio che l’incipiente contestazione faceva sentire. Nessuno all’epoca poteva immaginare quel che sarebbe successo quarant’anni dopo e il film risultava premonitore di un disastro non solo economico, ma di sistema.

Fa tristezza vedere, contemporaneamente in tv e sul web, un piatto di tortellini e poi la ratatouille, che accomunano un sorridente Manuel Valls, capo del governo francese, ed un entusiasta Matteo Renzi, con il corollario dei giovani ledader della nuova sinistra europea, proprio in quella Bologna che, più di ogni altro luogo, aveva incarnato un autentico desiderio di radicale e rivoluzionario cambiamento.

E fa tristezza e paura il Berlusconi rilanciato da Renzi, che cerca un nuovo ruolo e peso, intervenendo sulla crisi Ucraina, per prendere le difese dell’amico Puntin ed affermando che l’atteggiamento Nato è irresponsabile, per rivendicare a se e a al suo governo la stabilità continentale dal 2004 ad oggi.

“Il merito è di sinistra, la qualità è di sinistra, il talento è di sinistra. Io voglio stare dalla parte dell’uguaglianza non dell’egualitarismo”, ha detto Renzi alla Festa dell’Unità a Bologna, con il solito armamentario di slide e sms ed un “bla bla” fatto di populismo e futurismo che è, in sostanza, un chiacchiericco intriso di promesse e rinvii, che sempre più assomigliano, come scrive il Fatto Quotidiano, alle “mille balle blu” di Berlusconi.

E siccome, per me, la realtà si misura nel cinema (specialmente), penso a “I colori della vittoria” che, come e più di “Le idi di Marzo” di Clooney, volendo piacere e persuadere di essere democratico e progressista, è solo ridondante, prolisso, privo di energia, ma così ben costruito nella sua filosofia spicciola, da aver ricevuto ben due candidature agli Oscar, oltre, naturalmente, ad un grande successo popolare.

Carlo Di Stanislao

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