Spaccature e cambiamenti

Ieri, Matteo Renzi, alla assemblea degli industriali della provincia di Brescia, ha detto che: “c’è un disegno per spaccare l’Italia in due e per dividerla tra padroni e lavoratori” , mentre lui ed il suo governo lavorano per una Nazione riunita e per riforme irrinunciabili che occorre fare subito, perché ora è il momento propizio […]

tessariIeri, Matteo Renzi, alla assemblea degli industriali della provincia di Brescia, ha detto che: “c’è un disegno per spaccare l’Italia in due e per dividerla tra padroni e lavoratori” , mentre lui ed il suo governo lavorano per una Nazione riunita e per riforme irrinunciabili che occorre fare subito, perché ora è il momento propizio e da cogliere.
Replicando all’editoriale di Scalfari sulla Repubblica che lui non “è un uomo solo al comando” , ma invece da voce ad un “popolo che chiede di cambiare”, mentre gli altri, quelli che vogliono la spaccatura e resistono al cambiamento, sfruttano il di disoccupati e cassaintegrati per attaccare il governo.
Renzi è incontenibile nel lanciare il suo allarme contro chiunque ostacoli il suo disegno e, dopo averlo fatto nelle varie piazze (ma non tutte, visto che ha disertato l’alluvione di Genova e il terremoto de L’Aquila), ora lo fa in un ambiente che gli è diventato congeniale: le fabbriche del profondo tessuto industriale del Nord, dove si stanno svolgendo le assemblee territoriali di Confindustria.
Mentre lui parla un corteo fatto di irriducibili della Fiom e dei centri sociali, si scontra duramente con la polizia, ma lui rilancia affermando che bisogna aver il coraggio di dire che è finito il tempo dei `si farà´, anche perché “il clima fuori è cambiato: tre mesi fa eravamo una banda di ragazzini, ora che stiamo facendo le riforme”, senza per nulla essere, come accusa la Camusso, la quintessenza dei poteri forti, la longa manus di chissà quali disegni, gli uomini soli al comando.
Subito dopo e prima di andare, oggi, all’Altare della Patria per la festa della Repubblica, aveva detto al Tg5: “Se vogliono contestare il governo lo facciano”, senza però fare del mondo del lavoro “un campo di gioco di uno scontro politico: si affrontino le questioni del Jobs act, se si vuole attaccare il governo ci sono altre strade senza sfruttare il dolore dei disoccupati e dei cassaintegrati”.
Poi di nuovo l’affondo: “Dobbiamo evitare un rischio pazzesco”, il “disegno per dividere il mondo del lavoro”, ma “non esiste una doppia Italia, dei lavoratori e dei padroni: c’è un’Italia indivisibile che non consentirà a nessuno di scendere nello scontro verbale e non solo”.
Ma una certa divisione nel Paese è un fatto, ribadito giorni fa dalla moltitudine a piazza San Giovanni e ieri, a Brescia, con circa 200 manifestanti, dei centri sociali, Cobas e movimenti studenteschi, che hanno utilizzato fumogeni, petardi e lanciato sassi e bottiglie.
Oggi si apprende che, secondo la Commissione Europea, il tasso di disoccupazione italiano “resta elevato ai suoi livelli storici”, il 12,8% e si riflette “nell’attività economica depressa”, con un debito pubblico destinato a toccare un nuovo record nel 2015, con un picco pari al 133,8% del Pil e un’economia in contrazione anche quest’anno, con una flessione dello 0,4%.
Nonostante i toni di Renzi , l’appuntamento con la ripresa è quindi rinviato al 2015, con un’espansione stimata da Bruxelles allo 0,6% che dovrebbe consolidarsi nel 2016 con un +1,1% ed un mercato del lavoro resta, invece, per il momento al palo e con una disoccupazione che resterà tale anche il prossimo anno.
Intanto, mentre il commissario agli Affari Economici e Monetari, Pierre Moscovici, promette un dialogo “costruttivo” sulle leggi di bilancio, due delle quattro maggiori economie dell’Eurozona continueranno a sforare i parametri di Maastricht per almeno altri tre anni, con la differenza che, mentre il deficit spagnolo ha almeno imboccato una tendenza al ribasso, quello francese, dato al 4,4% nel 2014, dovrebbe salire al 4,5% nel 2015 e al 4,7% nel 2016.
Chi cresce è la Germania, mentre la gregia pare divenuta virtuosa, poiché i frutti delle durissime misure di austerità adottate negli scorsi anni, hanno portato Atene ad essere sul punto di e uscire dalla recessione già quest’anno e sfiorare il pareggio di bilancio nel 2015.
E che l’aria non sia buona per Renzi ed il governo ce lo dicono le secche parole di Juncker, un “unchained”, senza freni, a commento delle “critiche superficiali” del presidente del Consiglio italiano a margine dell’ultimo consiglio europeo contro “i tecnocrati di Bruxelles”, che rispondendo ad una domanda del capogruppo del Ppe al Parlamento europeo, Manfred Weber, in merito alle parole di Renzi ha detto testuale: “A Renzi dico che non sono il capo di una banda di burocrati: sono il presidente della Commissione Ue, istituzione che merita rispetto, non meno legittimata dei governi”. E poi: “Se la Commissione avesse dato ascolto ai burocrati il giudizio sul bilancio italiano sarebbe stato molto diverso”.
Intanto, da noi, la politica torna a fare il suo corso ed i suoi propri interessi e, dopo il caso De Magistris, la legge Severino è assediata con entusiasmo bipartisan sull’onda dello scandalo Fiorito, con probabile parificazione degli amministratori locali ai parlamentari e abolizione della sospensione per condanne di primo grado ed anche un possibile spiraglio per Berlusconi.
Gli attacchi, rinvigoriti dalla sentenza del Tar , si concentrano innanzitutto sul fatto che la Severino scalza dalle loro poltrone gli amministratori condannati per determinati reati anche solo in primo grado, come è accaduto a De Magistris ed ora, ancora una volta, Forza Italia chiede alla Corte costituzionale di pronunciarsi anche sulla “retroattività” della Severino, per riabilitare il capo in testa.
Insomma la politica torna ad occuparsi di se stessa (come, forse, ha sempre fatto) e le parole di Renzi restano un bel programma che si priva nei fatti di contenuto.
Condivido Claudio Romiti che commentando il linguaggio della Serracchiani, renziano d’hoc, contrapposta a Piero Ostellino, nel corso del talk-show condotto su La7 dalla rediviva Lilli Gruber, ha dato sfoggio di un politichese tutto nuovismo e buone intenzioni; unna sorta di neolingua ad uso e consumo di un popolo sempre più confuso, in grado cioè – usando un concetto freudiano – di utilizzare la parola come delirante strumento di onnipotenza. Tant’è vero che la rampante avvocatessa romana, esponente molto camaleontica del Partito Democratico, ha dispensato a piene mani il termine che va tanto di moda nel teatrino della politica: cambiamento.
Un termine, ahinoi, che troppo spesso i professionisti del bene come la Serracchiani spacciano per qualcosa di profondamente rivoluzionario, quando in realtà esso si traduce inevitabilmente in un ribaltamento di poltrone a beneficio degli stessi, interessatissimi filantropi di bottega.
Come sembrano nuove e plausibili le parole di Gianni Tonelli, segretario nazionale del Sap, dopo le critiche ricevute per il comunicato emesso dopo la sentenza nel processo sulla morte di Stefano Cucchi, che ha visto l’assoluzione di tutti gli imputati.
Secondo lui l’Italia è “uno strano Paese”, in cui “qualcuno pensa che Caino abbia più diritti di Abele, che le sentenze dei tribunali vanno bene finché mettono alla gogna i “cattivi” poliziotti, ma sono da denunciare se condannano i cattivi ragazzi. Uno strano paese dove qualcuno pensa o sogna ancora i tribunali del popolo”.

“Dunque non ci sono responsabili per la morte di Stefano Cucchi, che entra così nel sempre più lungo elenco dei morti di Stato senza giustizia. Lo strazio e la vergogna per un esito del genere restano, per me, insuperabili. Da cittadino e da giudice”, ha detto a l’Espresso Livio Pepino, tra i fondatori di Magistratura democratica, di cui è stato presidente, parlando della sentenza con cui la Corte d’Assise d’Appello di Roma ha assolto tutti gli imputati agenti, medici e infermieri – per la morte, a una settimana dall’arresto, del trentunenne Stefano Cucchi ed aggiunto: “credo sia ipocrita e deresponsabilizzante fermarsi solo sul segmento finale”, perché: “Il fatto più inquietante è l’omertà, la serie infinita di coperture che ha caratterizzato questo processo e che caratterizza la totalità (o quasi) dei processi analoghi”.
Ecco allora l’Italia delle mezze verità e delle mille parole per indorare la pillola e far apparire nuovo ciò che è vecchio e realizato ciò che non è stato neanche avviato.
Secondo Furio Colombo, su il Fatto Quotidiano, Cucchi è stato ucciso due volte e nell’ultima, assieme allo Stato, anche dai quei politici i quali si limitano a parlare di diritti umani e civili, come parlano dei campi di prigionia e di abbandono degli immigrati o delle carceri.
Ed è giusto ricordare che, a parte i Radicali che ormai sono ridotti ad un numero da specie protetta, tutte le categorie dei deboli sono circonfusi di parole, ma solo di queste e per di più pronunciate dagli spalti di qualche congresso, a da qualche ben radicata trasmissione televisiva; opportunamente, per non scomporre la grande armonia o la sua sensazione e narrazione.
E, ricorda sempre Colombo, nelle ore in cui Renzi parla e parla la Serracchiani di una Italia buona, proba e su cui scommetere, Cucchi non ha colpevoli e viene posto fine all’unico impegno internazionale davvero di pace che ha onorato l’Italia in molti anni: l’operazione “Mare Nostrum”, senza che senatori o deputati invadessero l’emiciclo di almeno una delle Camere decisi a denunciare che si è trattato di un delitto.
Allora, a parte trovate estemporanee e populiste da parte di politici, ministri e sottosegretari, non possiamo, da cittadini e da uomini, che provare amarezza e disorientamento di fronte a sindacati di polizia che, invece di difendere (come merita) l’onore della divisa, si schierano con chi picchia.
E non possiamo che scuote il capo sulla notizia, non meno populista, che ora, dopo le manganellate agli operai della Terni (come quelle ai terremotati de L’Aquila), dopo che la versione della questura e del ministro dell’Interno Angelino Alfano sui fatti di piazza Indipendenza a Roma scricchiolano ogni giorno di più, il capo della polizia Alessandro Pansa vuole accelerare sulle nuove “regole di ingaggio”, come raccontano il Corriere della Sera e il Messaggero, evitare “lo scontro fisico”, non usare pistole elettriche e limitarsi a garantire un’”area di rispetto”, senza più agenti in divisa ai lati di chi sfila.
Ricordo le polemiche fra evoluzionisti e negazionisti in occasione della mostra “Homo sapiens”, a Roma nel 2012 e a Trento l’anno successivo.
Ci si rese conto sentendo gli uni (arrivati a credere nei miracoli pensando che il solo caso possa spiegare qualunque cosa) e gli altri che l’Homo sapiens è il frutto di una storia più nel senso che alla parola “storia” potevano dare i fratelli Grimm, che non in quello di Erodoto, sicché è per lui più veritiera, ancora oggi, la narrazione di Renzi ed i suoi che la concreta, bruciante situazione dei fatti.
Ha scritto nel 2007 il pittore Mario Tessari: “Molti dei quadri che ho già realizzato, e anche quelli a cui sto lavorando adesso, sono come premonizioni di qualcosa nel divenire. Mi è sempre stata data questa facoltà, anche se non riesco a spiegarmela: ho delle premonizioni che portano ad una verità non ancora completamente conosciuta”
Auguriamoci che almeno Renzi abbia questa facoltà, che preconizi il futuro e che le sue parole siano solo il “ritratto” anticipato di un futuro di garanzie, lavoro, sicurezza, serietà ed attenzione in cui tutti speriamo.

Carlo Di Stanislao

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