Viaggio tra le parole, alla scoperta della nostra lingua. Appiccià  e stutà

Abbiamo già trattato le parole “accendere” e “spegnere” (oltre alla parola “estinguere”). Perciò ho pensato di andare a visitare le corrispondenti parole napoletane “appiccià” e “stutà”. Per chi ritiene sia poco limitarsi in questo tipo di ricerca all’origine latina delle parole oppure allo spostamento di significato per via di metafora, vorrei precisare che questo nostro […]

accendereAbbiamo già trattato le parole “accendere” e “spegnere” (oltre alla parola “estinguere”). Perciò ho pensato di andare a visitare le corrispondenti parole napoletane “appiccià” e “stutà”. Per chi ritiene sia poco limitarsi in questo tipo di ricerca all’origine latina delle parole oppure allo spostamento di significato per via di metafora, vorrei precisare che questo nostro impegno è orientato  soprattutto a fornire un metodo di lavoro. E mi pare che si possa tranquillamente dire che al punto in cui siamo questo obiettivo sia stato raggiunto.

Così il primo passo è fatto.  Eventuali ulteriori sviluppi alla ricerca delle origini delle parole possiamo sempre tentarli, sia che continuiamo a risalire il tempo della storia sia che ci spostiamo in ambiti disciplinari affini o confinanti. Però dobbiamo allontanare da noi l’illusione di raggiungere il capolinea di questo percorso, a meno che non si voglia mantenere la presunzione di penetrare l’atto creativo dell’origine del linguaggio.

Dunque, accendere, spegnere e estinguere, etimologicamente parlando – come a suo tempo abbiamo  evidenziato, fanno parte della sfera lessicale (insieme di parole che ruotano intorno ad un tema)  del “colore” e della “luce”. E faccio notare di passaggio che anche nella lingua francese, sebbene esistano sinonimi appartenenti ad altre sfere lessicali, alcune parole corrispondenti alle italiane “accendere e spegnere” (“allumer” = ad-luminare   e  “éteindre” = estinguere) si ascrivono alla medesima sfera lessicale, in quanto presentano gli stessi tratti semantici.

Ora mi resta di far vedere i tratti semantici che caratterizzano “appiccià” e “stutà”.

Appiccià = ad-piceare (pix = pece; piceus = imbevuto di pece; picea = abete [resinoso]); quindi “appicciare” = “avvicinare alla pece, alla resina” ( sostanza che infiamma).

Stutà =  ex-tutare (ex = allontanamento; tutus = sicuro); quindi mettere al sicuro, allontanando (dal fuoco, evidentemente!).

Allora scopriamo che, rispetto ad accendere e spegnere (o estinguere) dove si insisteva sugli effetti luminosi delle due operazioni dell’accendere o dello spegnere il fuoco, i vocaboli napoletani di appiccià e di stutà  evidenziano invece l’atto di avvicinare la sostanza infiammabile (nel caso di appiccià), e quello di mettere al sicuro il focolaio (stutà) con l’allontanamento della fiamma. Ciò dimostra che nella formazione  del  significato si è passati da una percezione  sensoriale dei fenomeni alla rappresentazione di una operazione meccanica. 

Fin qui ci siamo mossi operando solo sulla scorta delle parole. Ma lavorando in collaborazione con gli storici (delle istituzioni, dei costumi, dell’economia, della cultura materiale) o con altri esperti delle diverse discipline del sapere, i risultati ai quali si giunge possono essere verifica e conferma alle ipotesi del linguista. Con questo credo che ora, piano piano, si vada definendo anche la portata dell’espressione “lingua trasparente”, tante volte utilizzata nei nostri articoli.

 

Luigi Casale 

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