Lunga Vita e Prosperità Leonard Nimoy, Primo Ufficiale Scientifico della Stazione Spaziale Internazionale

“L’unica destinazione è la felicità” (Papa Francesco). “Interessante, Capitano. Possibile che noi due siamo diventati tanto vecchi e tanto inflessibili da essere sopravvissuti alla nostra utilità?” (Dottor Spock). Lunga Vita e Prosperità in Cielo, Leonard Nimoy, Primo Ufficiale Scientifico della Stazione Spaziale Internazionale! L’Anima più nobile, preziosa e gentile di Star Trek viene consegnata alla […]

Spock1L’unica destinazione è la felicità” (Papa Francesco). “Interessante, Capitano. Possibile che noi due siamo diventati tanto vecchi e tanto inflessibili da essere sopravvissuti alla nostra utilità?” (Dottor Spock). Lunga Vita e Prosperità in Cielo, Leonard Nimoy, Primo Ufficiale Scientifico della Stazione Spaziale Internazionale! L’Anima più nobile, preziosa e gentile di Star Trek viene consegnata alla Storia di ogni scienziato, artista, diplomatico, teologo, ingegnere, medico, archeologo, imprenditore e giornalista che si rispetti sulla faccia della Terra e altrove. Soprattutto grazie al genio di Leonard Nimoy e Gene Roddenberry che hanno saputo leggere i segni dei tempi, criticando la passione dei Terrestri per l’irrilevante e i bassi istinti irrazionali. Nimoy, che nel 1976 inaugurò il primo Space Shuttle “Enterprise” della Nasa con i colleghi della serie classica di Star Trek, incarna la buona Fantascienza d’Autore che aiuta la Scienza nella ricerca della Verità, ossia nell’obiettiva rimozione maieutica delle menzogne, più o meno velate e giustificate, che sono la causa di ogni male nel Mondo. La Scienza ispirata da Galileo Galilei e Star Trek. Sull’Astronave di Spock, che ci ha lasciati il 27 Febbraio 2015 (insufficienza respiratoria) per raggiungere il suo mondo Vulcano, all’età di 83 anni, non esattamente ultra bicentenaria come quella vulcaniana sperata, c’è posto per tutti. Qualche tempo fa, negli Anni Novanta del XX Secolo, i giornali e le riviste parlavano del Dottor Spock come del “venusiano dalle orecchie appuntite”. Mamma Rai ancora oggi scrive, così come pronunzia, la parola “Spack” nei sinuosi titoli di coda davvero spettacolari, tra immondi cinegiornali di altri tempi, nuove SS nere alle porte d’Italia e pericolosi mostri alieni che ghermiscono bambini e adulti cristiani. Però “quello con le orecchie a punta”, nulla a che vedere con il diabolico satiro Pan, ne ha fatta fare di strada a tre generazioni di scienziati in tutto il Mondo, come riconosciuto dalla medesima Nasa. Star Trek, questa “carovana verso le stelle” secondo Roddenberry, salva la vita? Per scampare alla folle guerra del Vietnam, negli Anni Sessanta, moltissimi giovani americani fan (Trekker) della serie, preferirono iscriversi all’Università per ottenere il congedo e salvare le loro preziose esistenze. Chissà oggi quanti giovani riuscirebbero a fare altrettanto in Europa e nel Mondo grazie a Star Trek! Perché in tutti quei romanzi, film e telefilm ispirati dal Vulcaniano Spock, icona immortale della logica aliena, gli episodi “Trek” parlano esattamente di quei tragici fatti che ancora oggi scandiscono sulla Terra gli istanti dell’Umanità. Provare per credere. Da quell’8 Settembre 1966 sono passati 49 anni. Quando il primo episodio della nuova serie di Fantascienza veniva trasmesso sui teleschermi americani, le due Superpotenze, Usa e Urss, nutrivano la Guerra Fredda, impegnate a costruire micidiali Bombe all’Idrogeno per potenziare il proprio folle arsenale a ritmi forsennati, pronti a distruggere la Terra centinaia di volte. Più o meno il potenziale nucleare attuale in un Mondo profondamente diverso, reso possibile, dopo la fine della sfida ideologica, anche da quel ragionevole ammorbidimento dei “toni” suggerito dal Signor Spock e dai leader mondiali che tutti noi conosciamo al servizio del Bene. Insomma, grazie a Leonard Nimoy, la saga di Star Trek era destinata a entrare prima nella Storia, poi Leggenda e nel Mito per cambiare il volto della Fantascienza e della Cultura. Una vera “transizione” di fase! I valori giudaico-cristiani di Star Trek, sebbene volutamente taciuti da Roddenberry nel XXIII Secolo, appaiono in tutto il loro portento grazie alla logica del Signor Spock. Il quale, è bene ricordarlo, sempre per Fede, non esitò a rinunziare al Rito della Logica Totale (Kholinar) su Vulcano, in nome dell’amicizia con la Terra e dell’insaziabile curiosità scientifica che avrebbe salvato il Mondo. Gene Roddenberry, il creatore di Star Trek nei primi anni Sessanta, conosciuto come il “Grande Uccello della Galassia” (Bird of Prey), non aveva certo idea che, grazie alla sua serie rivoluzionaria dove Americani, Russi, Italiani, Cinesi, Africani e Giapponesi lavorano tranquillamente insieme, sulla Terra e gli Altri Mondi, avrebbe cambiato per sempre anche il concetto di Globalizzazione su basi scientifiche, economiche e giuridiche. Oggi un fatto dato quasi per acquisito nella liberalizzazione dell’industria spaziale privata, nonostante i folli “eugenetici” di turno stile Khan sempre pronti a colpire: nessuno è al sicuro sulla Terra! Il 5 Aprile 2063, il giorno del Primo Contatto ufficiale degli Umani con i Vulcaniani nello Stato del Montana, è ancora lontano. Prima dovrebbe scoppiare la Terza Guerra Mondiale: siamo finiti nell’universo di Roddenberry? Gli appassionati di Star Trek, cioè i “Trekker”, in qualunque parte del Mondo vivano, in questi ultimi 49 anni hanno lavorato per la Pace, consapevoli che non siamo tutti uguali pur appartenendo alla stessa razza umana su base genetica, e che la diversità biologica è una grande ricchezza. In Star Trek, che originariamente copre un arco temporale compreso tra il 2264 e 2373 dopo Cristo, incontriamo tutto il bestiario alieno possibile e immaginabile, fin dalla prima missione quinquennale della nave interstellare USS Enterprise NCC-1701. L’Ufficiale Scientifico Spock, ieratico vulcaniano di razza, è il grande moderatore del Capitano James Tiberius Kirk (William Shatner), il risolutore di conflitti altrimenti insanabili e distruttivi. I fan di Star Trek hanno imparato a convivere nelle diversità: qui non esistono, dopo la fine del danaro, ricchi o poveri, età medie, colori della pelle, limiti di età, religioni fondamentaliste, status sociali, livelli di educazione comuni. Esistono i Pad, i vari sensori e traduttori universali, così come i “replicatori” di cibo e vestiario a base di Antimateria come i generatori di energia ad annichilazione controllata e il teletrasporto. Ma nessuno nel XXIII Secolo, dopo tutti quei miliardi di morti della folle guerra nucleare, sogna di ripetere gli stessi errori. Allora, i fan di Star Trek diventano, insieme al Signor Spock, latori di un messaggio molto potente: collaborare insieme per il futuro della Umanità sulla Terra e nello Spazio cosmico già prima del contatto alieno ufficiale che speriamo sia altrettanto pacifico. Chi è il “tipico” fan di Star Trek se non chi veste i panni razionali di Leonard Nimoy? La rivoluzione di Roddenberry, come più volte riscoperto da ben più illustri colleghi, è tutta qui: le Infinite Diversità in Infinite Combinazioni che l’Universo ci offre in tutte le Vite. Il Mondo è bello perché molteplice. Un “innesco” dottrinale potente, degno di un “Key Note Speech”, per evitare anche la Quarta Guerra Mondiale. Quella con le clave, preconizzata da Albert Einstein. Dunque, se c’è un volto che caratterizza Star Trek, è sicuramente quello di Leonard Nimoy (1931-2015). Più di qualunque altro attore apparso in una delle varie serie, più di qualunque versione di “phaser” a particelle o di navetta spaziale stile “Galileo” della Uss Enterprise, un’immagine, una foto o un ritratto del vulcaniano Spock diventa autenticamente l’icona di tutto quello che Star Trek rappresenta. Il talento di Nimoy è sicuramente il segreto del successo di Star Trek. In tutte le altre serie se ne avverte infatti la mancanza. Neppure la bella razionale T-Pol nell’ultima sfortunata avventura di “Enterprise”, può reggere al confronto con Nimoy. Ogni volta che un film, un reportage o un libro dedicato alla Fantascienza vuole mostrarsi tale, il mezzo sicuro è di piazzare Leonard Nimoy in copertina o in cameo. Ogni volta che una pubblicità o un fumetto vogliono scherzare sul tema, le finte orecchie finiscono incollate magistralmente al suo volto scarno che il fumo assassino avrebbe inciso sino alle ossa come il “laser” che amava brandire per difendere i suoi amici. La faccia di Nimoy è una delle più quotate e riconoscibili sulla Terra. Anche su Twitter, Facebook, Bind e Google. Un uomo che ha raggiunto un tale livello di notorietà, da conservare la Ragione. Mai arrogante, mai suscettibile, mai paranoico. Leonard Nimoy proietta l’immagine di un professionista equilibrato, un attore che è anche regista, produttore e fotografo, capace di considerare il fenomeno Star Trek in maniera più analitica e distaccata di alcuni suoi colleghi. Il suo libro “I Am Spock” è in parte il secondo tentativo di un’autobiografia dialogica con il suo alter ego, per controbilanciare la precedente impresa, “I Am Not Spock” di 40 anni fa. Il titolo del 1975 aveva creato più di un sospetto sul fatto che Nimoy rifiutasse il personaggio di Star Trek e quindi i suoi fan. Il primo libro contiene numerosi riferimenti a film, programmi, storie, testi e autori di Fantascienza, che appaiono dominanti negli interessi dell’attore. “La mia passione è nata dal fatto che mi sono spesso ritrovato a lavorare nella Fantascienza, fin dal lontano 1952 – ricorda Leonard Nimoy sulla rivista ufficiale “Star Trek” (Anno 2, n.1, Febbraio 1998, Fanucci Editore) a cura dello Star Trek Italian Club – il mio primissimo impegno in questo campo fu in una serie prodotta dalla Republic Pictures. Era uno di quei programmi di 12 episodi che duravano 15 minuti ciascuno e venivano proiettati al cinema insieme al film del momento. Io recitai in un programma chiamato Zombies of the Stratosphere. È piuttosto buffo adesso, a pensarci bene. Io interpretavo un marziano che arrivava insieme ad altri due o tre con il pazzesco piano di impadronirsi della Terra”. Nimoy nel frattempo recita in numerosi altri film, compresa la classica storia delle voraci formiche che vogliono impadronirsi del Mondo (Assalto alla Terra) e in “The Brain Eaters”. In pratica, “ho lavorato in tutte le serie televisive di Fantascienza trasmesse negli anni Cinquanta e Sessanta – rivela Leonard Nimoy – ho fatto comparse occasionali in alcuni film di Fantascienza e da ragazzino avevo un certo interesse per la materia: ero solito leggere una serie di libri chiamati i Romanzi di Tom Swift. Perciò l’argomento è sempre stato importante per me e in qualche modo ho finito per rendermi utile nel campo fantascientifico”. Leonard Nimoy diventa così l’icona dell’Alieno Extraterrestre saggio, logico e gentile che l’Umanità attende da sempre. Da non confondere con la Divinità! Dopo dieci anni di piccole parti nel cinema e in televisione, il produttore Gene Roddenberry offre a Nimoy la parte di un alieno nell’episodio pilota di una nuova serie televisiva. Tutto il resto è Storia. Come insegnano Stephen Hawking e Star Trek nell’episodio “Specchio, specchio”, avrebbero potuto esistere realtà alternative a quella che conosciamo. Magari una nella quale Nimoy non conosce il fumo micidiale delle sigarette che, come confessa su Twitter a pochi giorni della fine, non avrebbe mai voluto fumare, evitando così le patologie polmonari che lo avrebbero condotto alla morte. Forse molti ignorano che l’altra grande icona fantascientifica, Martin Landau, divenuto celebre grazie alle due serie di “Spazio:1999”, era la seconda scelta di Roddenberry per il ruolo di Spock, in caso di rifiuto di Nimoy. Se Landau avesse accettato nell’universo della prima scelta, chissà come sarebbero stati la carriera di Nimoy e la sorte di Star Trek. “Credo che mi sarei occupato di regia molto prima – osserva Leonard Nimoy – negli anni Sessanta stavo considerando la possibilità di intraprendere la carriera di regista. Avevo tenuto numerosi corsi di recitazione e avevo seguito come uditore corsi di regia. Avevo addirittura seguito vari registi sul set per familiarizzarmi con i procedimenti e gli aspetti tecnici, e stavo avviandomi in quella direzione quando improvvisamente il primo e il secondo episodio pilota di Star Trek trovarono un acquirente e io fui preso nell’ingranaggio, intrappolato nella parte di Spock. È quindi probabile che la mia attività sarebbe stata la regia”. La Storia non si studia con i “se”. Gli universi paralleli però affascinano anche la Scienza: provate a simularne alcuni con le bolle di sapone intrappolate in un vasetto di vetro! Tutti vengono presi dal gioco del “se”, finanche tentati di immaginare il successo di Star Trek con il solo William Shatner a fianco dell’ufficiale scientifico Martin Landau o Michael Dunn e, in alternativa, con Jack Lord nei panni del Capitano Kirk. In altri termini, il successo stratosferico di Star Trek è dovuto all’idea di Roddenberry o alla magica casuale combinazione del Trio Volare dell’epoca (Shatner, Nimoy e Kelley) con le suggestive melodie di Alexander Courage e Jerry Goldsmith? Nimoy non sembra affatto convinto. “Non si può sminuire l’importanza dell’idea – spiega il Signor Spock – si rivelò subito vitale, praticabile e comprensibile. Ci volle un po’ perché la distribuzione della parti andasse a posto. Credo che la prima scelta del cast fosse meno felice di quella definitiva, e questo solo per motivi di personalità e di chimica”. Dopo così tanti anni di convivenza con Spock, che cosa ha mantenuto acceso l’interesse di Leonard Nimoy per la storia? “Spock è molto cambiato, e per questo ha continuato a interessarmi. Credo che mi sarei annoiato se il personaggio fosse rimasto sempre lo stesso. Io sono cambiato, Spock è cambiato, e questo in sostanza è l’argomento del mio libro, in quanto entrambi abbiamo modificato le nostre posizioni fino a trovare un punto di incontro. Spock è diventato un pochino più flessibile e io un pochino più logico. La scena alla fine di Star Trek VI: Rotta verso l’Ignoto, fra Kirk e Spock, per me è stata uno spartiacque, quella dove Spock dice a Kirk: “Possibile che noi due siamo diventati tanto vecchi e tanto inflessibili da essere sopravvissuti alla nostra utilità?”. Questo è il tipo di commento introspettivo che Spock non avrebbe mai fatto 25 anni fa e mostra una nuova capacità di autoanalisi. È l’evoluzione del personaggio che ha mantenuto vivo il mio interesse”. La Verità è chiaramente nel mezzo, tra la logica dominante di Spock e il pragmatismo del Capitano Kirk costretto, suo malgrado, a vestire i panni diplomatici di “ramoscello d’ulivo” presso i Klingon. Dall’evidente significato pasquale. E siamo nel 1991, a poche settimane dalla caduta del Comunismo sovietico e del Patto di Varsavia, con lo storico ammainabandiera del pennone “falce e martello” dal Cremlino finalmente “libero” nel Tricolore della Santa Russia cristiana e non più atea. Bene, allora Spock è cambiato e anche Leonard Nimoy. Era inevitabile. Non si può dire lo stesso delle obsolete dottrine militari ancora oggi imperanti negli Stati Uniti d’America e nella Nato, i relitti della Guerra Fredda che potrebbero avverare la drammatica “profezia” di Roddenberry, magari per un tragico errore umano! Personaggi di rilievo del mondo di Star Trek e fan importanti hanno scritto molto per sostenere negli ultimi 25 anni come il messaggio di speranza, pace, prosperità, ottimismo e impegno scientifico, abbia cambiato il volto degli USA, sia pure di poco. “Non credo che il Paese sia cambiato – osserva Leonard Nimoy – ma credo che siano alcune persone ad essere cambiate. Domenica scorsa ero a New York a vedere Patrick Stewart (il Capitano Jean Luc Picard in “Star Trek: The Next Generation”, NdA) che in teatro faceva Prospero (l’opera teatrale La Tempesta di William Shakespeare, NdA) e al termine della rappresentazione stavamo risalendo il passaggio affollato tra le file di sedili per lasciare la sala quando una giovane donna mi ha detto queste precise parole: “Lei mi ha cambiato la vita”. E mi capita spesso di trovare persone che raccontano come la loro vita sia cambiata in meglio grazie alla serie Star Trek”. Tuttavia alcuni fan manifestano il loro lato oscuro: l’ossessione, la paranoia e la mitomania. Nel libro “I Am Spock”, Leonard Nimoy racconta che nel 1978 una fan gli rubò gli abiti, li indossò e poi gli telefonò per dirgli: “In questo momento mi sono trasformata in te. Ho addosso i tuoi vestiti”. Molte star meno famose ricorrono alle guardie del corpo e agli occhiali scuri per sottrarsi ai fan, ma anche qui Nimoy dimostra il suo tipico logico buonsenso. “No, non spreco tempo a preoccuparmi di cose del genere. Fanno parte del gioco. Ci si offre all’attenzione del pubblico e queste reazioni sono inevitabili, non si tratta di un fenomeno limitato a Star Trek. Succede con ogni spettacolo televisivo, a ogni attore cinematografico. Noi ci mettiamo in mostra, chiediamo al pubblico di accorgersi di noi, e loro lo fanno. A volte l’attenzione che suscitiamo è sgradevole, ma credo che questo valga per Star Trek come per qualsiasi altra serie televisiva, né più né meno”. La popolarità di Star Trek è cresciuta con gli anni, e Leonard Nimoy ne è sempre stato il motore di Curvatura, il reattore Warp centrale. La serie originale classica non ottenne un successo immediato, tanto che fu cancellata alla fine della terza stagione, ma con le successive repliche divenne un tale fenomeno sociologico “cult” di massa che fu progettata una nuova serie televisiva. Avrebbe dovuto chiamarsi “Star Trek: Fase II”, ma fu rapidamente sostituita da una serie di film veri e propri per il Cinema, che conquistarono la Terra e un pubblico del tutto nuovo. Così Nimoy, attore del primo film “Star Trek: The Motion Picture”, diventa il pilastro centrale del secondo “Star Trek: L’Ira di Khan” e il regista del terzo e quarto, rispettivamente “Star Trek: Alla Ricerca di Spock” e “Star Trek: Rotta verso la Terra”. Mentre quest’ultimo veniva completato, a Leonard fu offerto l’incarico di produttore esecutivo di un nuovo progetto, “Star Trek: The Next Generation” (TNG), creato sempre da Gene Roddenberry. L’attore rifiutò, in parte perché non credeva che la serie avrebbe funzionato senza il cast originale. Poi dovette constatare che il programma era diventato uno dei più seguiti nella storia della televisione. In riconoscimento della centralità di Spock in Star Trek, Nimoy fu invitato a riprendere il ruolo, come ambasciatore vulcaniano in missione segreta su Romulus, in un episodio di TNG in due parti, “Il Segreto di Spock” (Unification), dal quale fu tratto l’omonimo romanzo di Jeri Taylor. Il ritorno di Nimoy alzò lo “share” alle stelle! L’episodio “Unification”, dove incontriamo anche il papà di Spock, ottenne infatti il massimo indice di ascolto della serie TNG negli Stati Uniti d’America. Nel libro “I Am Spock”, Nimoy dichiara ufficialmente che la storia è “meravigliosa” per un sacco di buone ragioni, tra cui il rapporto padre-figlio. “La giudicai un’idea interessante. Non mi sembrò pienamente sviluppata sul piano drammatico, ma almeno era un’idea intelligente e stimolante. C’era veramente una storia da raccontare. Ma raggiungeva un altissimo livello di drammaticità? No, per essere del tutto sincero no. Interessante, questo sì, mi sembrò una partecipazione preziosa e importante soprattutto perché il pubblico era veramente entusiasta dell’idea. Si trattava proprio di una specie di unificazione, non è vero? Un incontro di generazioni diverse. La cosa era già stata fatta da DeForest Kelly in una sua breve partecipazione, e anche da Mark Lenard nel ruolo di Sarek. Furono tutti momenti molto significativi perché rendevano l’idea di familiarità, di un legame stretto”, tra le civiltà e la genitorialità autentica voluta da Dio. “Ma non è stato l’uso più efficace del personaggio di Spock”. L’argomento delicato affronta un punto che Leonard Nimoy tiene a chiarire per non essere frainteso. Quanto intitolò la sua prima autobiografia “I Am Not Spock” e rifiutò di partecipare al progetto di “Star Trek: Fase II”, numerosi fan della serie ne dedussero l’impressione che non gli piacesse il personaggio. La sua interpretazione nella prima pellicola cinematografica, limitata com’era dalla sceneggiatura, sembrò una conferma. E, quando filtrarono voci che Spock doveva rimanere ucciso nell’Ira di Khan, l’opinione diffusa era che fosse una decisione presa, assunta e diretta da Nimoy. Non era affatto vero: l’intento di Leonard è sempre stato di difendere Spock come personaggio e di assicurarsi che fosse sempre una parte essenziale della storia. Senza Spock, Star Trek avrebbe subìto un triste declino in tutte le altre serie e al cinema. “La mia preoccupazione sull’uso del personaggio risale fin dagli inizi – spiega Nimoy – c’è stato un momento, nella primissima parte della lavorazione della serie originale, in cui Spock era un personaggio di secondo o di terzo piano, e in quei primi episodi c’erano spesso scene in cui non compariva affatto. Quando il personaggio improvvisamente acquistò un’enorme popolarità, la richiesta della rete alla compagnia di produzione fu: “date più spazio a Spock”. Gli scrittori sul momento reagirono inserendo Spock in parecchie scene in cui prima non figurava – ricorda l’attore – ma non avevano ancora avuto il tempo di trovargli una funzione. Io ritengo che Spock sia popolare per quello che fa, per il modo in cui agisce. Il pubblico vuole vederlo in azione, non semplicemente vederlo ciondolare in giro. Bisognerebbe sempre motivare la sua presenza, altrimenti è meglio lasciar perdere”. Naturalmente questo punto di vista fu la causa dell’assenza di Nimoy dal film campione di incassi “Star Trek: Generazioni” nel 1994, in cui si incrociano in maniera magistrale i filoni della saga. “Generazioni rappresentò la prima volta in cui rifiutai di interpretare Spock dopo essere stato invitato – rivela con fermezza Leonard Nimoy chiarendo definitivamente il concetto della “difesa” di Spock – la ragione nuda e cruda fu che il personaggio non aveva una funzione. Non fui certo felice di non partecipare. Dovetti scegliere fra due situazioni sgradevoli, e secondo me il male minore era non comparire piuttosto che non servire a nulla. Non mi va di andare a vedere uno spettacolo per il quale è pubblicizzata la presenza di qualcuno e poi scoprire che la persona in questione è irrilevante nell’economia dello spettacolo. Come spettatore la cosa non mi piace. Mi sento ingannato. E ritengo che sarebbe stato scorretto che il mio nome comparisse in cartellone senza che il mio personaggio avesse una funzione. Per me era chiaro che se avessi interpretato il ruolo offertomi, sarei servito solo da richiamo pubblicitario, senza contribuire al valore drammatico del film. La manciata di battute assegnate a Spock dalla sceneggiatura di Generazioni furono tranquillamente distribuite agli altri attori senza creare nessuno squilibrio, e questo dimostra che avevo ragione”. Se si potesse trovare una storia nella quale Spock ha una parte importante, invece che limitarsi ad inserirlo dentro come un sopravvissuto, Leonard Nimoy sicuramente accetterebbe volentieri la possibilità di riprendere in mano il suo ruolo. “Si tratta di vedere quali sono le intenzioni. Se mi chiedete “lo spazio ci sarebbe?” oppure “sarebbe conveniente usare ancora la squadra originale?”, io risponderei decisamente di sì. Ma non credo che sia quella l’intenzione, almeno io personalmente la vedo così. Non ho titolo per pronunciarmi sull’argomento”. Nel 2008 ottiene una parte molto significativa nel primo nuovo film “Star Trek” del regista J.J. Abrams che riapre finalmente i giochi, sebbene in un universo alternativo rispetto alla storia classica. Qui incontriamo il giovane Spock, dall’infanzia su Vulcano fino all’ingresso nella Flotta Stellare e nell’equipaggio dell’astronave Enterprise. Ma Nimoy dubiterà fino alla fine che chi controlla l’esclusiva di Star Trek abbia progetti altrettanto seri per la squadra della serie classica. Nel 1995, anno della scoperta ufficiale del primo esopianeta alieno, Leonard Nimoy non si occupava di regia già da alcuni anni. “È solo che non ho più visto una sceneggiatura abbastanza convincente o abbastanza stimolante – spiega l’attore – per me la regia è un lavoro arduo, richiede fatica fisica e coinvolgimento emotivo”. Anche le sue partecipazioni a programmi televisivi e film erano limitate a progetti di personale interesse. “Lavoro se e quando si presenta l’occasione buona. Non è che debba chiamare il mio agente e dirgli “ho bisogno di lavorare”. Sono molto impegnato”. Tutti ricordano l’opera teatrale intitolata “The Apples of the Fall”, un testo nel quale dramma e commedia si intrecciano, incentrato sui rapporti tra madre e figlia. Se Nimoy si occupa anche di teatro, William Shatner si impegna nella stesura di alcuni romanzi che ruotano intorno al Capitano Kirk, sebbene lo stesso Leonard ci tenga a prendere le distanze da questi ritorni al ruolo che gli aveva dato la fama mondiale. “Non prevedo affatto di scrivere su Spock in futuro – osserva Nimoy – sto lavorando al progetto di un romanzo il cui protagonista è un alieno, ma non necessariamente Spock. In questo momento mi piace la diversità. Mi piace molto. Mi diverte passare rapidamente da un progetto all’altro. Lo trovo stimolante. Mi sento libero, non costretto a un dato ruolo a lungo termine. I miei impegni attuali sono tutti diversificati, interessanti e a breve termine, e io mi diverto. Adesso sono restio a impegnarmi in un qualunque progetto a lungo termine perché mi sta molto a cuore la mia vita privata, e finché le mie attività mi lasciano spazio per vivere come voglio, sono soddisfatto”. La carriera di Leonard Nimoy (figlio, marito, padre e nonno di una splendida Famiglia, grande amico di William Shatner) spazia dalla scrittura alla recitazione, dalla regia alla produzione, anche con partecipazioni da “guest star” in programmi come “Ai confini della realtà”, ma il suo viso lo associa per sempre a un particolare personaggio: così Nimoy sarà al tempo stesso una delle persone più duttili e più rigidamente legate a un modello nell’arte visiva. Nel decennio successivo alla cancellazione della serie classica, il più delle volte interpreterà personaggi freddi e razionali, compreso lo psichiatra posseduto dagli alieni nel “remake” de “L’invasione degli ultracorpi” nel 1978 (Terrore dallo spazio profondo), nonché uno dei pochi personaggi immaginari più noti di Spock, il famoso investigatore privato Sherlock Holmes. Quando gli chiedono se per lui interpretare personaggi logici e freddi non stia diventando una seconda natura, si mette a ridere e risponde: “Ormai dovrei proprio sapere come si fa”. È una delle galassie più distanti di sempre per lo European Southern Observatory (ESO), l’Osservatorio Australe Europeo più produttivo sulla Terra che onora il grande Leonard Nimoy. Le nuove osservazioni dei supertelescopi ALMA, per raccogliere il debole bagliore della polvere fredda nel sistema stellare A1689-zD1, e Very Large Telescope, per misurarne la distanza, hanno fornito agli astronomi la prima rilevazione di polvere in una galassia di formazione stellare così lontana e affascinante. È la prova regina della rapida evoluzione delle galassie dopo il Big Bang avvenuto 13,8 miliardi di anni fa. L’equipe di astrofisici, guidata da Darach Watson dell’Università di Copenhagen, usa lo strumento X-Shooter, installato sul VLT, insieme alla potenza dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, per studiare gli oggetti più giovani e lontani del Cosmo. E si sono sorpresi nello scoprire un sistema molto più evoluto del previsto, con una frazione di polvere simile a una galassia molto più matura, come la Via Lattea. Questa polvere è fondamentale per la vita, perché serve per formare i pianeti rocciosi con acqua liquida, le molecole complesse e le stelle ordinarie come le nane rosse e le nane gialle attorno alle quali orbitano gli altri Mondi di Star Trek. Si sospettava che la galassia, già notata in immagini dell’Hubble Space Telescope, fosse molto distante: A1689-zD1 è osservabile solo grazie al fatto che la sua luminosità è amplificata più di nove volte da una Lente Gravitazionale (teorizzata da Albert Einstein) formata dallo spettacolare ammasso di galassie Abell1689 che si trova tra il giovane sistema stellare e la Terra. Senza l’assistenza della Forza di Gravità, che non ha nulla a che fare con il film Gravity di una irriconoscibile Academy, il bagliore di questa galassia molto fioca sarebbe troppo debole per poter essere visto. D’altra parte la luce che si osserva in A1689-zD1 risale a quando l’Universo aveva solo circa 700 milioni di anni, cioè il cinque percento della sua età attuale (redshift di 7,5). È un sistema relativamente modesto, molto meno massiccio e luminoso di molti altri oggetti già studiati in quella fase dell’Universo primordiale. Dunque, l’esempio più tipico di galassia per quell’epoca. A1689-zD1 viene osservata così com’era durante il periodo della re-ionizzazione, quando le prime stelle donarono l’Alba cosmica alle tenebre, illuminando per la prima volta un Universo immenso e trasparente, e terminando così la stagnazione prolungata del Nichilismo Cosmico. Dovrebbe apparire come un sistema appena formato, ma la galassia sorprende gli osservatori per la sua ricca complessità chimica e l’abbondanza di polvere interstellare. “Dopo aver confermato la distanza della galassia con il VLT – rivela Darach Watson – ci siamo resi conto che era già stata osservata con ALMA. Non ci aspettavamo di trovare molto, ma posso dirvi che eravamo veramente emozionati quando ci siamo resi conto che non solo ALMA l’aveva osservata, ma che c’era un chiaro segnale. Una delle principali finalità dell’Osservatorio ALMA è di stanare le galassie nell’Universo primordiale grazie all’emissione del gas freddo e delle polvere, ed eccola lì!”. A1689-zD1 è un infante, in termini di tempo cosmico, ma dimostra di essere precoce. A quell’epoca ci si aspettava una mancanza degli elementi chimici più pesanti dell’Idrogeno e dell’Elio, i cosiddetti Metalli che vengono prodotti nei nuclei stellari prima di venire dispersi nello spazio quando l’astro esplode o si spegne lentamente terminando la propria vita in nana bianca come il nostro Sole del futuro. Questo processo deve essere ripetuto in molte generazioni stellari per produrre un’abbondanza significativa di elementi più pesanti come il Carbonio, l’Ossigeno e l’Azoto. L’equipe composta da D. Watson (Niels Bohr Institute, University of Copenhagen, Danimarca), L. Christensen (University of Copenhagen), K.K. Knudsen (Chalmers University of Technology, Svezia), J. Richard (CRAL, Observatoire de Lyon, Saint Genis Laval, Francia), A. Gallazzi (INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri, Firenze, Italia) e M.J. Michalowski (SUPA, Institute for Astronomy, University of Edinburgh, Royal Observatory, Edinburgh, Regno Unito) ha scoperto che sorprendentemente la galassia A1689-zD1 sembra emettere tanta radiazione nell’infrarosso lontano. È una forte indicazione del fatto che ha già prodotto molte delle sue stelle e una quantità notevole di Metalli. Dunque, non solo contiene polvere ma possiede anche un rapporto tra gas e polveri simile a quello di galassie più mature. La lunghezza d’onda infrarossa viene infatti “stirata” dall’espansione dell’Universo fino a conquistare la banda millimetrica dello spettro luminoso, la radiazione che raggiunge la Terra per essere rilevata dalle 66 antenne di ALMA. “Anche se l’origine esatta della polvere galattica rimane oscura – osserva Darach Watson – la nostra scoperta indica che la produzione avviene molto rapidamente, entro 500 milioni di anni dall’inizio della formazione stellare nell’Universo, un intervallo molto breve su scala cosmologica, dato che la maggior parte delle stelle vive per miliardi di anni”. Anche molto più del nostro Sole, come le nane rosse. I risultati “Trekker” dell’ESO suggeriscono che A1689-zD1 abbia formato stelle a un tasso moderato ma continuo da circa 560 milioni di anni dopo il Big Bang, oppure che ha attraversato un periodo di formazione stellare estrema e molto rapida prima di entrare in una fase di declino. Tempo fa, prima di ALMA, gli astronomi temevano che queste galassie lontane non sarebbero mai state rilevabili. Oggi A1689-zD1 viene studiata tranquillamente grazie alle osservazioni acquisite da ALMA in tempi molto brevi. “Questa incredibile galassia polverosa – spiega Kirsten Knudsen della Chalmers University of Technology (Svezia), coautrice dell’articolo “A dusty, normal galaxy in the epoch of reionization” di D. Watson et al., pubblicato online dalla rivista Nature – aveva fretta di completare la sua prima generazione di stelle. In futuro ALMA potrà aiutarci a trovare più galassie come questa, per imparare cosa le rende così precoci”. Nel frattempo lo strumento MUSE, montato sul telescopio VLT, fornisce agli astronomi la migliore veduta tridimensionale di sempre dell’Universo profondo. Dopo aver puntato la regione celeste del Campo Profondo Meridionale di Hubble (Hubble Deep Field South) per sole 27 ore, le nuove osservazioni dell’ESO rivelano le distanze, i moti e le altre proprietà di un numero di galassie ben più consistente, rispetto ai primi studi, su questa apparentemente minuscola fetta di spaziotempo. Osservazioni che superano le potenzialità del magnifico Hubble Space Telescope in orbita da 25 anni a 600 Km di quota, svelando oggetti prima invisibili alle ottiche di 2,4 metri di diametro del Signore dell’Orbita, la nostra Sentinella. Assolutamente da valorizzare (e poi recuperare e riportare a terra) grazie al nuovo speciale Space Shuttle europeo “Galilei” della DreamChaser, appositamente modificato all’uopo. Così, osservando a lungo la stessa regione di Cielo, gli astronomi dell’ESO hanno potuto creare delle Mappe Profonde che possono rivelare, se lette correttamente, molte più informazioni sull’Universo primordiale. La più famosa di queste è l’originale Campo Profondo di Hubble ottenuto 20 anni fa dal mitico Telescopio Spaziale nel corso di alcuni giorni verso la fine dell’Anno Domini 1995. L’immagine spettacolare, ormai l’icona scientifica di Hubble, ha rapidamente trasformato la comprensione del reale contenuto dell’Universo giovane. Nel 1997, due anni dopo, fu seguita da una simile osservazione. La Mappa Profonda è anche conosciuta come il Campo Profondo Meridionale di Hubble. Immagini che però non avevano tutte le risposte: per saperne di più sulle galassie riprese nei campi profondi, gli astronomi dovevano osservare un oggetto per volta con molti altri strumenti, un compito lungo e difficile. Oggi, per la prima volta, il nuovo sensore MUSE può svolgere entrambi i compiti nello stesso tempo e molto più in fretta, come sull’Enterprise di Star Trek. Una delle prime osservazioni, dopo la fase di verifica sul VLT nel 2014, è stato un lungo sguardo al Campo Profondo Meridionale di Hubble. I risultati hanno superato le più rosee aspettative per l’equipe composta da R. Bacon (Observatoire de Lyon, CNRS, Université Lyon, Saint Genis Laval, Francia [Lyon]), J. Brinchmann (Leiden Observatory, Leiden University, Leida, Paesi Bassi [Leiden]), J. Richard (Lyon), T. Contini (Institut de Recherche en Astrophysique et Planétologie, CNRS, Tolosa, Francia; Université de Toulouse, Francia [IRAP]), A. Drake (Lyon), M. Franx (Leiden), S. Tacchella (ETH Zurich, Institute of Astronomy, Zurich, Svizzera [ETH]), J. Vernet (ESO, Garching, Germania), L. Wisotzki (Leibniz-Institut für Astrophysik Potsdam, Potsdam, Germania [AIP]), J. Blaizot (Lyon), N. Bouché (IRAP), R. Bouwens (Leiden), S. Cantalupo (ETH), C.M. Carollo (ETH), D. Carton (Leiden), J. Caruana (AIP), B. Clément (Lyon), S. Dreizler (Institut für Astrophysik, Universität Göttingen, Göttingen, Germania [AIG]), B. Epinat (IRAP; Aix Marseille Université, CNRS, Laboratoire d’Astrophysique de Marseille, Marsiglia, Francia), B. Guiderdoni (Lyon), C. Herenz (AIP), T.-O. Husser (AIG), S. Kamann (AIG), J. Kerutt (AIP), W. Kollatschny (AIG), D. Krajnovic (AIP), S. Lilly (ETH), T. Martinsson (Leiden), L. Michel-Dansac (Lyon), V. Patricio (Lyon), J. Schaye (Leiden), M. Shirazi (ETH), K. Soto (ETH), G. Soucail (IRAP), M. Steinmetz (AIP), T. Urrutia (AIP), P. Weilbacher (AIP) e T. de Zeeuw (ESO, Garching, Germania; Leiden). “Dopo solo poche ore di osservazione al telescopio – rivela Roland Bacon del Centre de Recherche Astrophysique de Lyon in Francia, investigatore principale dello strumento MUSE, a capo del comitato di verifica e coautore del lavoro presentato nell’articolo “The MUSE 3D view of the Hubble Deep Field South” di R. Bacon et al., pubblicato dalla rivista Astronomy & Astrophysics – abbiamo dato un rapido sguardo ai dati e abbiamo trovato molte galassie, un risultato molto incoraggiante. Quando siamo tornati in Europa ci siamo messi a esplorare i dati più in dettaglio. Era come pescare in acque profonde e ogni nuova retata produceva entusiasmo e discussioni sulle specie appena pescate”. Ogni punto dello sguardo che MUSE ha rivolto al campo HDF-S, non è solo il pixel di un’immagine ma anche uno spettro che rivela l’intensità della luce nei suoi diversi colori costituenti proprio in quel punto, circa 90mila spettri in tutto. Ogni spettro copre un intervallo di lunghezze d’onda che va dalla zona blu fino al vicino infrarosso (475-930 nanometri). Questi colori possono rivelare la distanza, la composizione e i moti interni di centinaia di galassie distanti, oltre a catturare un piccolo numero di stelle molto deboli della nostra Via Lattea. Anche se il tempo totale di esposizione è stato molto inferiore rispetto a quello delle immagini di Hubble, i dati MUSE del HDF-S hanno rivelato in questo piccolo spicchio di Cielo più di venti oggetti molto deboli che Hubble non aveva effettivamente visto. Il sensore MUSE accoppiato alla potenza di fuoco di VLT, è particolarmente sensibile a oggetti che emettono la maggior parte della loro energia ad alcune lunghezze d’onda particolari che appaiono come punti brillanti nei dati. Le galassie dell’Universo primordiale hanno di solito spettri di questo tipo poiché contengono Idrogeno gassoso che risplende a causa della radiazione ultravioletta delle giovani stelle calde. “L’emozione più grande è stata quando abbiamo trovato galassie molto lontane che non erano neppure visibili nelle immagini più profonde di Hubble – osserva Bacon – dopo così tanti anni di duro lavoro sullo strumento, per me è stata un’esperienza significativa vedere i nostri sogni diventare realtà”. L’attento studio di tutti gli spettri delle osservazioni MUSE dell’HDF-S, consente al gruppo di astronomi di misurare la distanza di 189 galassie: da quelle relativamente vicine fino a quelle che vediamo quando l’Universo aveva meno di un miliardo di anni. A conti fatti, il pacchetto di dati disponibili all’ESO è più di dieci volte il numero di misure di distanza pre-esistenti per questa zona di Cielo. Per le galassie più vicine, MUSE può fare anche di più e studiare le diverse proprietà delle varie zone di una stessa galassia, per rivelare la rotazione del sistema stellare, per capire come le proprietà mutino da punto a punto nella galassia. È un metodo molto potente per seguire le galassie nel Tempo Cosmico della loro evoluzione in quella fetta di Cielo. “Ora che abbiamo dimostrato le capacità uniche di MUSE per esplorare l’Universo profondo – rileva Bacon – osserveremo altri Campi Profondi, come il Campo Ultraprofondo di Hubble”. È il famoso HUDF, esteso fino a redshift 12. Ma c’è anche l’Hubble eXtreme Deep Field (XDF) ripreso nel 2012, che mostra galassie fino a 13,2 miliardi di anni fa e aggiorna la stima del numero di galassie osservabili a 200 miliardi. “Potremo studiare migliaia di galassie e scoprirne di debolissime e molto distanti. Queste piccole galassie nella loro infanzia, viste com’erano più di 10 miliardi di anni nel passato, sono gradualmente cresciute fino a diventare simili alla Via Lattea come la vediamo oggi”. Mentre il nuovo sensore SPHERE montato sul Very Large Telescope dell’ESO, è stato usato per cercare la nana bruna che avrebbe dovuto essere in orbita intorno all’insolita stella doppia V471 Tauri. SPHERE ha offerto agli astronomi, su un piatto d’oro, il miglior panorama di sempre di quest’oggetto interessante: infatti gli scienziati non hanno trovato che il nulla. La sorprendente assenza della nana bruna prevista con un alto livello di confidenza, significa che la spiegazione convenzionale per lo strano comportamento di V471 Tauri è illogica e sbagliata, come sembra suggerire Spock. Il risultato inatteso viene descritto nel primo articolo scientifico basato su osservazioni ottenute con SPHERE, intitolato “The First Science Results from SPHERE: Disproving the Predicted Brown Dwarf around V471 Tau” di A. Hardy et al., pubblicato sulla rivista Astrophysical Journal Letters dall’equipe composta da A. Hardy (Universidad Valparaíso, Valparaíso, Cile; Millennium Nucleus “Protoplanetary Disks in ALMA Early Science”, parte del Millennium Science Initiative Program, Universidad Valparaíso), M.R. Schreiber (Universidad Valparaíso), S.G. Parsons (Universidad Valparaíso), C. Caceres (Universidad Valparaíso), G. Retamales (Universidad Valparaíso), Z. Wahhaj (ESO, Santiago, Cile), D. Mawet (ESO, Santiago, Cile), H. Canovas (Universidad Valparaíso), L. Cieza (Universidad Diego Portales, Santiago, Cile; Universidad Valparaíso), T.R. Marsh (University of Warwick, Coventry, Regno Unito), M.C.P. Bours (University of Warwick), V.S. Dhillon (University of Sheffield, Sheffield, Regno Unito) e A. Bayo (Universidad Valparaíso). Alcune coppie di stelle sono formate da due astri normali di massa leggermente diversa. Quando la stella di massa un po’ più alta invecchia e si espande diventando una gigante rossa, il materiale viene trasferito all’altra finendo per circondare entrambi gli astri con un grande involucro gassoso, come potranno verificare le prossime missioni interstellari alla Star Trek. Quando la nube si disperde, le due stelle si avvicinano fino a formare una coppia molto stretta composta da una nana bianca (il relitto nucleare astrale, grande più o meno come la Terra ma dalla possente gravità non più sostenuta dalle reazioni termonucleari bensì dalla pressione quantica del gas degenere di elettroni nella materia compressa: una proprietà molto interessante verificabile, su ben altre scale di energia magnetica, anche nell’Idrogeno metallico del nostro Giove!) e da una stella normale. Simili coppie di astri sono chiamate “binarie dopo la fase di inviluppo comune”. Una di queste, nota come V471 Tauri, è membro dell’ammasso stellare delle Iadi nella Costellazione del Toro. Si stima che abbia circa 600 milioni di anni e si trovi più o meno a 163 anni luce dalla Terra. Il nome deriva dal fatto che l’oggetto è la 471esima stella variabile (non singola ma binaria) identificata nella Costellazione del Toro. I due astri sono molto vicini, con un’orbita di circa 12 ore, l’una intorno all’altra. Due volte, ogni orbita, una stella passa davanti all’altra e questo porta a variazioni regolari nella luminosità della coppia se osservata dalla Terra mentre una stella eclissa l’altra. Il team di astronomi guidato da Adam Hardy ha dapprima usato il sistema ULTRACAM del New Technology Telescope per misurare con grande precisione questi mutamenti di luminosità. I tempi dell’eclisse sono stati calcolati con un’accuratezza minore di due secondi, degna dell’Ufficiale Scientifico Mr. Spock (Leonard Nimoy) in Star Trek. Un grande miglioramento rispetto alle misure precedenti. Il momento in cui le eclissi si verificano, però, non è regolare, ma ciò poteva essere ben spiegato assumendo che in orbita intorno a entrambe le stelle vi fosse una nana bruna, la cui attrazione gravitazionale si riteneva disturbasse l’orbita dei due astri. Gli astronomi hanno ipotizzato che vi potesse essere anche un secondo compagno più piccolo. D’altra parte non è mai stato possibile ottenere un’immagine di una nana bruna debole vicina a stelle più brillanti. La potenza di SPHERE, appena installato sul VLT dell’ESO, ha permesso agli scienziati di cercare la nana bruna per la prima volta nel luogo esatto in cui ci si aspettava di trovarla. Ma non hanno visto nulla, benché l’ottima qualità delle immagini ottenute avrebbe dovuto facilmente rivelare la “quasi-stella”. La risoluzione di SPHERE è così accurata da osservare un compagno di grossa taglia planetaria sub-stellare, 70mila volte più debole della stella centrale, a soli 0,26 arcosecondi, a 163 anni luce dalla Terra. La nana bruna prevista in questo caso era molto più brillante. “Molti articoli suggeriscono l’esistenza di questo oggetto circumbinario – osserva Adam Hardy – ma i risultati trovati qui forniscono evidenza contraria a questa ipotesi”. Se non ci sono altri oggetti in orbita, cosa può provocare gli strani cambiamenti orbitali della stella binaria? Molte teorie sono state avanzate. Se alcune sono già state escluse, è possibile che gli effetti siano causati da variazioni del campo magnetico nella più grande delle due stelle, un meccanismo simile ai mutamenti, più piccoli, osservati sulla superficie del Sole. L’effetto è noto come “meccanismo di Applegate” e si spiega nelle variazioni regolari della forma nella stella, che portano a cambiamenti nella luminosità apparente della binaria osservata da Terra. “Uno studio simile era necessario da molti anni – spiega Hardy – ma è diventato possibile solo con l’avvento di nuovi potenti strumenti come SPHERE”. Questo è il modo in cui funziona la Scienza ispirata da Galileo Galilei e Star Trek. “Osservazioni con nuova tecnologia possono confermare o, come in questo caso, confutare idee precedenti. È un modo eccellente di iniziare la vita osservativa per questo fantastico strumento”. Altri astronomi, usando le strutture dell’ESO e i telescopi delle Isole Canarie, hanno identificato due stelle incredibilmente massicce nel cuore della nebulosa planetaria Henize 2-428. I due astri binari sono in orbita stretta e perciò ci si aspetta che diventino sempre più vicini. Quando alla fine si fonderanno, tra circa 700 milioni di anni, conterranno materia sufficiente per innescare una potentissima esplosione di Supernova. Il risultato dello studio pubblicato dalla rivista Nature nell’articolo “The double-degenerate, super-Chandrasekhar nucleus of the planetary nebula Henize 2-428” di M. Santander-García et al., si deve al team di astrofisici composto da M. Santander-García (Observatorio Astronómico Nacional, Alcalá de Henares, Spagna; Instituto de Ciencia de Materiales de Madrid (CSIC), Madrid, Spagna), P. Rodríguez-Gil (Instituto de Astrofísica de Canarias, La Laguna, Tenerife, Spagna [IAC]; Universidad de La Laguna, Tenerife, Spagna), R.L.M. Corradi (IAC; Universidad de La Laguna), D. Jones (IAC; Universidad de La Laguna), B. Miszalski (South African Astronomical Observatory, Observatory, Sud Africa [SAAO]), H.M.J. Boffin (ESO, Santiago, Cile), M.M. Rubio-Díez (Centro de Astrobiología, CSIC-INTA, Torrejón de Ardoz, Spagna) e M. M. Kotze (SAAO). L’equipe di astronomi, guidata da Miguel Santander-García, ha scoperto una coppia stretta di nane bianche, resti stellari molto piccoli ma estremamente densi, con una massa totale di circa 1,8 volte quella del Sole. È la coppia astrale più massiccia finora trovata: quando le due stelle si fonderanno, animeranno la scena catastrofica di una velenosa Supernova di tipo Ia (uno A), innescata dal superamento del famoso Limite di Chandrasekhar fisicamente concesso da Madre Natura alla massa più grande che una singola nana bianca possa sognare di avere per resistere all’inevitabile collasso gravitazionale. Tale Limite vale circa 1,4 volte la massa del Sole, superato il quale, si esplode in Supernova. Le supernove Ia si verificano quando una nana bianca acquisisce massa in eccesso, per accrescimento da una stella compagna o per fusione con un’altra nana bianca. Quando la massa eccede il Limite di Chandrasekhar la stella non riesce più a sostenere quanticamente il proprio “peso” e, in pochi istanti, si contrae. Ciò fa aumentare la temperatura e si sviluppa una reazione nucleare incontrollata che fa a pezzi l’astro, irradiando nello spazio cosmico neutrini, fotoni, particelle ad alta energia e tutti gli elementi chimici noti che formeranno altre stelle e pianeti. L’equipe che ha stanato la coppia astrale massiccia, in realtà lavorava a un problema diverso. Gli astrofisici intendevano scoprire il modo in cui alcune stelle producono delle nebulose asimmetriche di forma strana verso la fine della loro vita. Uno degli oggetti studiati era la strana nebulosa planetaria conosciuta come Henize 2-428. Le nebulose planetarie non hanno nessun legame con i pianeti. Il nome fu dato loro nel XVIII Secolo poiché alcuni di questi oggetti, dalle ottiche di modesti telescopi, assomigliavano al disco di pianeti distanti. “Quando abbiamo osservato la stella centrale con il Very Large Telescope – rivela Henri Boffin – abbiamo trovato non una stella, ma una coppia di stelle nel cuore di questa deforme nube incandescente”. La scoperta dà credito alla teoria che una stella centrale doppia possa spiegare la forma inusuale di alcune di queste nebulose. Ma esiste un risultato ancora più interessante. “Ulteriori osservazioni effettuate con i telescopi dalle Isole Canarie – osserva Romano Corradi dell’Instituto de Astrofísica de Canarias a Tenerife – hanno permesso di determinare l’orbita delle due stelle per dedurne la massa e la separazione. E qui abbiamo avuto la sorpresa più grande”. Gli scienziati hanno scoperto che la massa di ciascun astro è poco più piccola di quella del Sole e che le orbite reciproche durano circa quattro ore. In pratica le due stelle sono sufficientemente vicine perché, sempre secondo la Teoria della Relatività Generale di Albert Einstein (1915), la loro distanza diminuisca sempre di più con un moto a spirale dovuto all’emissione di Onde Gravitazionali, prima di fondersi in un singolo astro entro i prossimi 700 milioni di anni. La stella risultante sarà così massiccia che nulla potrà impedirne il collasso e la successiva esplosione in Supernova. “Finora la formazione di Supernove di tipo Ia, a causa della fusione di due nane bianche, era solo una previsione teorica – spiega David Jones, co-autore dell’articolo e Fellow dell’ESO – la coppia di stelle in Henize 2-428 è invece reale!”. Chi vivrà, vedrà, come recita un famoso proverbio vulcaniano. “È un sistema veramente enigmatico – sottolinea Santander-García – avrà ripercussioni importanti sullo studio delle Supernove di tipo Ia, usate diffusamente per misurare le distanze cosmologiche e chiave della scoperta che l’espansione dell’Universo sta accelerando a causa dell’Energia Oscura” antigravitazionale. Le potenzialità dell’ESO non si fermano qui. La nuova immagine ottenuta con VISTA, il telescopio per “survey”, rivela la famosa Nebulosa Trifida in una nuova spettrale luce: osservandola all’infrarosso, gli astronomi possono vedere attraverso le parti centrali della Via Lattea piene di polvere, per scovare molti oggetti prima nascosti. In una piccolissima sezione delle survey di VISTA, gli astronomi hanno rivelato la presenza di due stelle variabili di tipo Cefeide molto distanti e precedentemente ignote, che si trovano quasi esattamente dietro alla Nebulosa Trifida, resa celebre anche dalla mitica Serie Classica di Star Trek con il compianto Leonard Nimoy nei panni di Mr. Spock. Sono le prime stelle di questo tipo, scoperte nel piano della nostra Galassia, al di là del rigonfiamento centrale. La survey effettuata dal telescopio VISTA all’Osservatorio ESO sul Paranal in Cile, una delle principali scansioni del Cielo Sud, mappa tutte le regioni centrali della Via Lattea in luce infrarossa alla ricerca di nuovi oggetti nascosti. Questa ricerca, chiamata VVV (VISTA Variables in the Via Lactea, ossia “Variabili nella Via Lattea osservate con VISTA”) esplora più volte la stessa porzione di spaziotempo per individuare gli oggetti variabili in luminosità. Una minuscola parte di questa massiccia mole di dati VVV, viene usata per creare suggestive immagini di oggetti famosi come la regione di formazione stellare Messier 20, normalmente chiamata la Nebulosa Trifida a causa delle spettrali scie di polvere che la dividono in tre parti, visibili con un telescopio e immortalate da Star Trek, l’avventura cinematografica pre-scientifica di Gene Roddenberry, ispiratrice di generazioni di scienziati. La Nebulosa Trifida si trova a circa 5200 anni luce dalla Terra. Il centro della Via Lattea è a circa 27mila anni luce, quasi nella stessa direzione, mentre le Cefeidi appena scoperte sono a una distanza di circa 37mila anni luce. Dunque, al di là della Grande Barriera! Le immagini familiari della Trifida, la mostrano in luce visibile, dove risplende sia l’emissione rosata dell’Idrogeno ionizzato sia la tinta blu della luce irradiata dalle stelle giovani e calde, tra imponenti ed enormi nubi di polvere che assorbono i fotoni. Ma la fotografia in luce infrarossa scattata da VISTA è molto diversa. La nebulosa è appena un fantasma nella sua solita immagine in luce visibile. Le nubi di polvere sono molto meno evidenti, il bagliore delle nubi di Idrogeno si osserva appena e la struttura tripartita è quasi invisibile. I risultati sono presentati nell’articolo “Discovery of a Pair of Classical Cepheids in an Invisible Cluster Beyond the Galactic Bulge”, di I. Dekany et al., pubblicato sulla rivista Astrophysical Journal Letters dal team composto dagli astrofisi I. Dékány (Millennium Institute of Astrophysics, Santiago, Cile; Universidad Católica de Chile, Santiago, Cile), D. Minniti (Universidad Andres Bello, Santiago, Cile; Millennium Institute of Astrophysics; Center for Astrophysics and Associated Technologies; Osservatorio Vaticano, Città del Vaticano), G. Hajdu (Universidad Católica de Chile; Millennium Institute of Astrophysics), J. Alonso-García (Universidad Católica de Chile; Millennium Institute of Astrophysics), M. Hempel (Universidad Católica de Chile), T. Palma (Millennium Institute of Astrophysics; Universidad Católica de Chile), M. Catelan (Universidad Católica de Chile; Millennium Institute of Astrophysics), W. Gieren (Millennium Institute of Astrophysics; Universidad de Concepción, Cile) e D. Majaes (Saint Mary’s University, Halifax, Canada; Mount Saint Vincent University, Halifax, Canada). Nella nuova immagine, come per compensare le forme della nebulosa sbiadita, appare un nuovo panorama spettacolare. Le dense nubi di polvere nel disco della nostra Galassia che assorbono la luce visibile, lasciano passare invece la maggior parte della luce infrarossa che VISTA può osservare. Invece che avere lo sguardo bloccato, VISTA può vedere ben oltre la Trifida per scovare oggetti mai visti prima sull’altro lato della Galassia. Solo per caso la fotografia pubblicata dall’ESO mostra un perfetto esempio delle sorprese che si possono avere osservando nell’infrarosso. Apparentemente vicine in cielo alla Nebulosa Trifida, ma in realtà circa sette volte più lontane, appare una coppia di stelle variabili appena scoperte che fa mostra di sé grazie a VISTA. Sono variabili di tipo Cefeide, un tipo astrale brillante e instabile che lentamente diventa più luminoso e più debole nel corso del tempo. Questa coppia di stelle, che gli astronomi ritengono essere i membri più nobili di un ammasso stellare, sono le uniche variabili Cefeidi rivelate finora, vicine al piano della Galassia ma nel suo lato più lontano. Variano in luminosità con un preciso periodo di circa undici anni. Tutto questo mentre il VLT fotografa il Globulo Cometario CG4, prolungando la nostra cavalcata tra le stelle. Come fauci spalancate di una gigantesca creatura celeste, il globulo cometario CG4 risplende minaccioso nella nuova immagine presa dal Very Large Telescope. Anche se sembra grande e luminosa, è in realtà una nebulosa piuttosto debole. La vera natura di CG4 rimane ancora incognita. Degna di un’esplorazione umana diretta, magari a bordo di un vascello interstellare degno di Star Trek. Nel 1976 vennero scoperti numerosi oggetti allungati, simili a comete, nelle immagini ottenute con il telescopio Schmidt del Regno Unito, in Australia. A causa del loro aspetto divennero noti come “globuli cometari” anche se non hanno nulla in comune con le comete. Si trovano tutti in una grande zona di gas incandescente, nota come Nebulosa di Gum, caratterizzati da una “testa” scura, densa e polverosa e una “coda” lunga e debole, di solito rivolta in direzione opposta rispetto al resto di Supernova delle Vele, al centro della Nebulosa di Gum. Anche se questi oggetti sono relativamente vicini, non è stato facile per gli astronomi rivelarli. L’oggetto CG4 chiamato talvolta anche “La Mano di Dio” (cf. film “Dominati da Apollo” in Star Trek Serie Classica) è uno di questi globuli cometari. Si trova a circa 1300 anni luce dalla Terra, nella costellazione della Poppa. La “testa” di CG4, visibile nella nuova immagine pubblicata dall’ESO, sembra quella di un mostro gigante con un diametro di 1,5 anni luce. La “coda” del globulo, che si estende verso il basso, è lunga circa 8 anni luce. Su scala astronomica è una nube abbastanza piccola. Una passeggiata di poche ore a velocità di Curvatura! Le modeste dimensioni sono una caratteristica comune dei globuli cometari. Tutti quelli finora trovati sono nubi relativamente piccole e isolate di gas neutro e polvere all’interno della Via Lattea, circondate da materiale caldo e ionizzato. La regione apicale di CG4 è una densa nube di gas e polvere, visibile solo perché illuminata dalla luce delle stelle vicine. La radiazione emessa da questi astri sta gradualmente distruggendo la “testa” del globulo erodendo le minuscole particelle che diffondono la luce astrale. Ma la nube di CG4 contiene ancora abbastanza gas per formare numerose stelle simili al nostro Sole. In effetti CG4 sta proprio formando nuovi astri innescati dalla radiazione di altre stelle che forniscono energia alla Nebulosa di Gum. Perché CG4 e altri globuli cometari abbiano questa forma, è ancora oggetto di dibattito tra gli astronomi. Si sono sviluppate due diverse teorie. I globuli cometari, e perciò anche CG4, potrebbero essere stati in origine delle nebulose sferiche, distorte da un’esplosione di Supernova abbastanza vicina da aver dato loro questa forma nuova e strana. Altri scienziati suggeriscono invece che i globuli cometari siano modellati dai potenti venti stellari e dalla radiazione ionizzante di stelle calde e massicce di tipo OB. Questi effetti potrebbero portare inizialmente alle formazioni dal nome bizzarro, ma appropriato, di proboscidi di elefante. E quindi ai globuli cometari. Per capirne di più, gli astronomi devono determinare la massa, la densità, la temperatura e la velocità del materiale che forma i globuli. Questi parametri possono essere calcolati dalle misure delle righe spettrali molecolari accessibili a lunghezze d’onda millimetriche, proprio quelle a cui operano i 66 telescopi dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array. L’immagine è stata ottenuta nel corso del Programma Gemme Cosmiche dell’ESO, un’iniziativa tesa a produrre foto di oggetti astronomici interessanti o anche semplicemente belli, utilizzando i telescopi europei australi per l’istruzione e la divulgazione. Il Programma sfrutta il tempo in “stand-by” del Telescopio non attivo per osservazioni scientifiche ufficiali. Ma tutti i dati raccolti possono comunque essere usati per finalità scientifiche e sono disponibili agli astronomi tramite l’Archivio dell’ESO. Senza Star Trek e Leonard Nimoy, la Scienza non avrebbe potuto assaporare il gusto dell’esplorazione esoplanetaria di massa, un’avventura scientifica e tecnologica già incredibile sulla Terra, per arrivare là dove nessun Uomo è mai giunto prima. Il Next-Generation Transit Survey (NGTS), meglio noto come Strumento per Survey di Transito di Nuova Generazione, ha così conseguito la Prima Luce all’Osservatorio ESO del Paranal nel Cile settentrionale. Questo Progetto cercherà transiti di pianeti extrasolari alieni come Vulcano, che eclissano la propria stella madre e di conseguenza producono una lieve attenuazione della luce astrale. Un effetto che può essere osservato da strumenti molto sensibili. I telescopi ESO si concentreranno nella ricerca di pianeti alieni delle dimensioni di Nettuno e di più piccoli, con diametro tra due e otto volte quello della Terra. A caccia delle sovrabbondanti super-Terre in grado di ospitare la Vita nella Zona Verde Abitabile “Riccioli d’Oro” della nostra Galassia. L’NGTS è infatti un Sistema Osservativo a Grande Campo, composto da una schiera di dodici telescopi, ciascuno con un’apertura di 20 centimetri, versioni modificate di piccoli telescopi commerciali di alta qualità costruiti da Astro Systeme Austria (ASA). Le telecamere dell’NGTS sono modificate “ikon-L” di Andor Technology Ltd, costruite intorno a sensori CCD “deep-depletion” sensibili al rosso. Questa nuova struttura, costruita da un consorzio britannico, svizzero e germanico, sfrutta le superbe condizioni osservative e le ottime strutture di supporto disponibili. “Eravamo alla ricerca di un sito in cui le notti serene fossero tante e l’aria limpida e secca – rivela Don Pollacco dell’Università di Warwick nel Regno Unito, uno dei dirigenti del Progetto NGTS – in modo da poter fare misure molto accurate e il più spesso possibile: il Paranal era di gran lunga la scelta migliore”. NGTS è progettato per funzionare in remoto e terrà sotto controllo in modo continuo la luminosità di centinaia di migliaia di stelle relativamente brillanti nel cielo meridionale: cercando gli esopianeti alieni in transito, NGTS raggiungerà un livello di accuratezza nella misura della luminosità delle stelle, di una parte su mille, mai raggiunta prima da uno strumento per survey a grande campo che opera dalla Terra. La missione orbitale Kepler della Nasa ha un’accuratezza maggiore sulla misura della luminosità delle stelle ma esplora una regione più piccola di Cielo rispetto a NGTS. La ricerca di NGTS su un’area più grande permetterà di trovare casi più brillanti di esopianeti piccoli, più adatti per i successivi studi particolareggiati. Magari un giorno la versione potenziata di NGTS verrà spedita nello spazio orbitale lagrangiano! Questa grande accuratezza nella misura delle luminosità, su un campo molto grande, è tecnicamente molto impegnativa, ma tutte la tecnologie chiave necessarie per l’NGTS erano già stata dimostrate come fattibili su un prototipo più piccolo, in funzione a La Palma, nelle isole Canarie, tra il 2009 e il 2010. Il Consorzio NGTS è composto dall’Università di Warwick, dalla Queen’s University di Belfast, dall’Università di Leicester, dall’Università di Cambridge (Regno Unito); dall’Università di Ginevra (Svizzera) e da DLR di Berlino (Germania). L’NGTS si basa anche sul successo dell’esperimento SuperWASP che finora guida la classifica della rilevazione dei grandi pianeti gassosi. Le scoperte dell’NGTS verranno ulteriormente approfondite con altri telescopi più grandi, tra cui il Very Large Telescope. Uno degli obiettivi è di trovare esopianeti piccoli che siano sufficientemente brillanti per misurarne la massa planetaria. Di conseguenza si potranno stimare le densità dei pianeti alieni per derivare indizi sulla loro esatta composizione. Sarà anche possibile sondare l’atmosfera aliena dei pianeti extramondo durante il loro transito: quando infatti una parte della luce della stella attraversa l’atmosfera dell’esopianeta, se presente, lascia una traccia piccola ma identificabile. E sulla Terra conosciamo le molecole della Tecnologia! Finora sono state portate a termine solo poche osservazioni simili così delicate, ma l’NGTS fornirà molti obiettivi potenziali. Questo è il primo Progetto di telescopio “Trekker” ospitato, ma non gestito, dall’ESO al Paranal. Altri strumenti che operano con accordi simili si trovano al sito storico dell’Osservatorio di La Silla. I dati dell’NGTS confluiranno nel Sistema di Archiviazione dell’ESO e saranno disponibili agli astronomi di tutto il Mondo per sempre. “Siamo entusiasti di iniziare la nostra ricerca dei piccoli pianeti intorno alle stelle vicine – osserva Peter Wheatley, uno dei capi-progetto all’Università di Warwick – le scoperte dell’NGTS e le osservazioni di approfondimento dei telescopi da terra e dallo spazio, saranno passi importanti per la nostra ricerca sull’atmosfera e la composizione degli esopianeti piccoli come la Terra”. Dove sono finite tutte le stelle di Star Trek? Una nube oscura, quanto la disinformazione scientifica, giuridica e politica imposta dai Warlords sulla Terra, le nasconde a centinaia. Non soltanto metaforicamente. Sembra infatti che manchino alcune stelle anche nella nuova e affascinante immagine trasmessa dall’ESO. La macchia nera nel campo luccicante di astri, non è in realtà un vuoto, ma piuttosto una regione di spazio ostruita da gas e polveri. Questa nube oscura, nota come LDN483 (Lynds Dark Nebula o Nebulosa Oscura di Lynds) simile a molte altre, è il luogo di formazione e nascita delle future stelle. Lo strumento Wide Field Imager, montato sul telescopio da 2,2 metri dell’MPG/ESO all’Osservatorio ESO di La Silla in Cile, ha catturato la nuova immagine di LDN483 che si trova a circa 700 anni luce dalla Terra nella Costellazione del Serpente. Il Catalogo delle Nebulose Oscure di Lynds, è stato compilato dall’astronoma americana Beverly Turner Lynds, pubblicato nel 1962. Queste Nebulose Oscure sono state trovate attraverso un esame visivo delle lastre fotografiche della survey del cielo dell’Osservatorio di Palomar. La nube in questione contiene polvere in quantità sufficiente da bloccare completamente la luce visibile emessa dalle stelle di fondo. Le nubi molecolari particola

mente dense, come LDN483, si definiscono appunto Nubi Oscure per questa proprietà di oscuramento, simile a quella dei Falchi da guerra Romulani e di quanti allontanano i giovanissimi dallo studio delle Scienze. Per fortuna ci sono Star Trek e Interstellar, scintille delle menti fertili, affamate e pronte. La natura di LDN483, priva di stelle, e la sua connotazione sembrano logicamente suggerire che siano proprio i luoghi in cui le stelle non possono radicarsi e crescere. Ma, in realtà, è vero proprio l’opposto. Le Nebulose Oscure offrono uno degli ambienti più fertili per la formazione stellare! Gli astronomi che studiano la formazione stellare in LDN483 hanno scoperto alcuni dei più giovani baby-astri osservabili, proprio nascosti nell’interno di LDN483. Si può pensare a queste stelle in gestazione come se fossero ancora nel grembo materno, cioè astri non completi o immaturi. In questa prima fase dello sviluppo stellare, la futura stella è solo una palla di gas e polvere che si contrae a causa della Forza di Gravità (che ha molto a che fare con Interstellar e Kip Thorne) all’interno della nube molecolare circostante. La protostella è ancora abbastanza fredda, sviluppa una temperatura di appena meno 250 gradi Celsius, e risplende solo in luce sub-millimetrica a grandi lunghezze d’onda. ALMA, gestito in parte dall’ESO, osserva in luce millimetrica e sub-millimetrica ed è lo strumento ideale per lo studio di queste stelle così giovani nelle nubi molecolari. Eppure la temperatura e la pressione iniziali sono destinate ad aumentare nel nucleo della stella nascente. Questo periodo della crescita dura appena un migliaio di anni, un tempo incredibilmente breve su scala astronomica, dato che le stelle di solito vivono per milioni e miliardi di anni. Nelle fasi successive, nel corso di milioni di anni, la protostella diventerà sempre più calda e più densa. La sua emissione nel frattempo aumenterà in energia, gradualmente da luce fredda del lontano infrarosso fino al vicino infrarosso e poi in luce visibile. La protostella, una volta debole, sarà allora diventata una vera stella luminosa, in grado di sostenere la vita sugli altri Mondi. Così sempre più stelle emergeranno dalle profondità scure di LDN483 e la Nebulosa prima Oscura si disperderà ulteriormente perdendo la sua opacità. Le stelle mancanti, quelle al momento nascoste alla nostra vista, diventeranno visibili. Ma solo tra qualche milione di anni. E saranno a questo punto offuscate dalla luce brillante delle giovani stelle cresciute nella Nebulosa. In questa cavalcata interstellare degna di Star Trek, in onore di Leonard Nimoy, non poteva mancare l’immagine spettacolare del giovane ammasso stellare Messier47, ottenuta sempre con la camera WFI dell’ESO. L’ammasso aperto è dominato da una spolverata di brillanti stelle blu e da alcuni astri molto diversi, rossi e giganti. Messier47 si trova a circa 1600 anni luce dalla Terra, nella Costellazione della Poppa, resa celebre dalla mitica nave Argo, molto tempo prima dell’Enterprise. Messier47 fu notato per la prima volta poco prima del 1664 dall’astronomo italiano Giovanni Battista Hodierna e successivamente riscoperto indipendentemente da Charles Messier. Anche se è brillante e facile da vedere, Messier47 è uno degli ammassi aperti meno densamente popolato. Sono visibili solo una cinquantina di stelle in una regione di circa 12 anni luce, a confronto con altri oggetti simili che possono contenere migliaia di stelle. Messier47 non è sempre stato facile da identificare. Per anni è stato dato per “disperso” come i difensori della Costituzione della Repubblica Italiana oggi sotto assedio, poiché Messier aveva registrato le coordinate in modo non corretto. L’ammasso fu riscoperto successivamente e ottenne una diversa designazione di Catalogo, ossia NGC2422. La natura dell’errore di Messier e la conclusione definitiva che Messier47 e NGC2422 fossero in realtà lo stesso oggetto, sono state stabilite solo nel 1959 dall’astronomo canadese T.F. Morris. Il colore bianco-blu brillante di queste stelle è un’indicazione della loro temperatura, con gli astri più caldi che appaiono blu e quelli più freddi che appaiono rossi. La relazione tra Colore, Luminosità e Temperatura si può visualizzare mediante la Curva di Planck, ma lo studio più dettagliato dei colori delle stelle attraverso la Spettroscopia racconta agli astronomi molte più cose, tra cui la velocità di rotazione delle stelle e la loro composizione chimica che poi caratterizza i loro sistemi solari. Con o senza le civiltà aliene ospiti, esplorate in Star Trek. Nell’immagine pubblicata dall’ESO ci sono anche alcune stelle rosse e luminose: sono giganti rosse più avanti nel loro breve ciclo di vita rispetto alle più leggere e longeve stelle blu. La durata della vita di una stella dipende soprattutto dalla sua massa. Le stelle massicce, che contengono molte volte il materiale che compone il Sole, vivono vite brevi, misurate in milioni di anni; invece le stelle molto meno massicce possono continuare a brillare per molti miliardi di anni, anche superando l’età attuale dell’Universo. In un ammasso, le stelle sono tutte più o meno della stessa età e con la stessa composizione chimica iniziale. Perciò le stelle massicce e brillanti evolvono più in fretta, diventano prima giganti rosse e terminano prima la loro vita, lasciando le stelle meno massicce e più fredde a sopravvivere più a lungo. L’Universo del futuro si tingerà di rosso! Forse solo per caso Messier47 appare in cielo apparentemente vicino a un altro ammasso stellare molto diverso, Messier46. Se Messier47 è relativamente vicino, a circa 1500 anni luce dalla Terra, l’altro Messier46 si trova a circa 5500 anni luce di distanza e contiene molte più stelle. Almeno 500. Nonostante ne contenga molte di più, appare significativamente più debole a causa della sua maggiore distanza. Messier46 potrebbe essere considerato il fratello maggiore di Messier47, con i suoi circa 300 milioni di anni rispetto ai 78 milioni di quest’ultimo. Di conseguenza, molte delle stelle più massicce e brillanti in Messier46 hanno già trascorso la loro breve vita e non sono più visibili. Così molte delle stelle di questo ammasso più vecchio sono rosse e fredde, forse come l’Universo del futuro. I paesaggi alieni esplorati dal Signor Spock in Star Trek sono molto simili a quelli fotografati da Babak Tafreshi, uno degli Ambasciatori ESO che ha catturato un curioso fenomeno sull’altopiano del Chajnantor, casa di ALMA. Si tratta delle più strane formazioni di ghiaccio e neve sulla Terra, meglio conosciute come “I Penitenti”, illuminate dalla luce della Luna mentre alte nel cielo si possono vedere la Grande e la Piccola Nube di Magellano, con la rossastra Carina Nebula appena sopra l’orizzonte. I Penitenti sono sottili alte lame di neve indurita e ghiaccio, meraviglie naturali che si possono trovare in regioni di alta quota, come le Ande cilene, le quali in media superano i 4000 metri sul livello del mare. I Penitenti solitamente si formano in grossi gruppi e puntano al Sole. Raggiungono altezze che variano da pochi centimetri, ricordando l’erba bassa, ai cinque metri, dando l’impressione di una foresta di ghiaccio in mezzo al deserto. Immortalati anche in alcune celebri pellicole cinematografiche come “Quantum of Solace” nella saga di James Bond 007 con Daniel Craig. I dettagli precisi del meccanismo con cui si formano I Penitenti cileni sono ancora misteriosi come i Mondi alieni visitati da Spock. Per anni le popolazioni andine hanno creduto che I Penitenti fossero il risultato dei forti venti che spazzano la zona. Ma i venti giocano solo una piccola parte nella formazione di questi pinnacoli ghiacciati degni di Star Trek. Oggigiorno è ritenuto che siano la combinazione di vari fenomeni fisici. Il processo inizia quando la luce del Sole irradia la superficie della neve. A causa delle aride condizioni climatiche in questi luoghi desertici, il ghiaccio sublima anziché sciogliersi, passa cioè da solido a gas direttamente. I solchi nella superficie del ghiaccio catturano la luce solare riflessa, causando la sublimazione anche nelle parti più profonde. Senza questa sublimazione la temperatura e l’umidità non farebbero che aumentare, provocandone lo scioglimento. Questo fattore positivo accelera la crescita di queste caratteristiche strutture cilene. Le statue ghiacciate così prendono il nome dai cappelli appuntiti dei Nazarenos, i membri di una fratellanza che nel periodo della Santa Pasqua cristiana partecipano ad una processione attorno al Mondo. Non è difficile immaginare queste strutture come un’adunanza di monaci radunati sotto la luce lunare. Lo stupendo panorama mostra il vulcano Licancabur che domina l’altipiano Chajnantor, vicino al sito di ALMA. I puntini bianchi nel cielo, che potrebbero essere confusi con fiocchi di neve, sono in realtà stelle. Il Licancabur si trova ad un altitudine di 5920 metri, sul confine tra il Cile e la Bolivia, che attraversa i pendii nord-orientali del vulcano. Il che significa che i due terzi inferiori di questo pendio di fatto appartengono alla Bolivia. E Star Trek sarà anche il viaggio che molto presto tutti potranno fare nella sede dell’ESO a Garching di Monaco di Baviera, in Germania, quando aprirà i battenti l’ESO Supernova Planetarium & Visitor Centre. La posa della prima pietra nel Febbraio 2015 segna l’incipit della principale fase di costruzione della struttura. L’ESO Supernova sarà una magnifica vetrina per la divulgazione dell’Astronomia e dello Spazio.  Reso possibile grazie alla collaborazione tra l’Istituto per gli studi teorici di Heidelberg (HITS), l’ESO e la Klaus Tschira Stiftung (KTS), una fondazione tedesca che sostiene le scienze naturali, matematiche e informatiche, e finanzia interamente la costruzione. L’ESO provvederà alla gestione della struttura. Il suggestivo edificio è stato progettato dagli Architetti Bernhardt+Partner. L’ESO Supernova Planetarium & Visitor Centre offrirà ai visitatori un’esperienza coinvolgente di Astronomia sui risultati scientifici, sui progetti e sulle innovazioni tecnologiche dell’ESO in perfetto stile “Trekker”. La struttura avveniristica europea includerà un Planetario a cupola completa e più di 2000 metri quadrati di esposizioni permanenti e temporanee. Saranno a disposizione sale congressi per ospitare numerose lezioni, workshop e conferenze. Tutti i contenuti saranno forniti in Inglese e Tedesco, in collaborazione con il Garching Science Campus e la Technische Universität München. Entusiasta è il Direttore Generale dell’ESO, Tim de Zeeuw. La nuova struttura sarà terminata nei primi mesi dell’Anno Domini 2017, per aprire al pubblico subito dopo. È stato lanciato il sito internet del Supernova Planetarium (http://supernova.eso.org/) che permette ai potenziali visitatori, giornalisti, insegnanti, partner e anche ad altri Planetari europei, di esplorare le attività previste dall’ESO Supernova, comprese le esposizioni a tema, le attività didattiche, gli spettacoli e le visite guidate. La pagina web elenca inoltre le opportunità disponibili per far parte del team dell’ESO Supernova sia come volontario e stagista sia come membro del personale. Vengono proposti diversi tipi di collaborazione, con i corrispondenti livelli di prestazioni, per le aziende, gli istituti o i singoli donatori che desiderano sostenere l’ESO Supernova Team. In pieno spirito “Trekker” degno del Signor Spock, come conferma l’ESO nell’accogliere con grande piacere il suo 100000esimo Amico di Facebook, ringraziando tutti quelli che sono diventati Amici di questa pacifica Federazione dei Pianeti Uniti. Decisamente ante-litteram. Magari per aiutare a diffondere l’interesse per l’Astronomia, lo Spazio e le Conquiste pioneristiche che tutti, all’ESO come a bordo di Star Trek, stanno cercando di conseguire con un duro lavoro per il bene dell’Umanità. Ogni “mi piace”, ogni condivisione, ogni richiamo all’ESO, serve per aumentare il numero di quanti possono apprezzare le meraviglie dell’Universo per il bene di tutti. L’European Southern Observatory è la principale organizzazione intergovernativa di Astronomia in Europa e l’Osservatorio astronomico più produttivo al Mondo. È sostenuto finora da 16 Paesi, in attesa dell’ingresso ufficiale della Russia come Stato membro: Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia, e Svizzera, oltre al Paese ospitante, il Cile. L’ESO svolge un ambizioso Programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strumenti astronomici da terra che consentano agli astronomi di realizzare importanti scoperte scientifiche e tecnologiche. Volte, tra l’altro, alla scoperta ufficiale degli Extraterrestri. L’ESO ha anche un ruolo di punta nel promuovere e organizzare la cooperazione nella ricerca astronomica. Gestisce tre siti osservativi unici al Mondo in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. Sul Paranal, il Very Large Telescope, l’Osservatorio astronomico d’avanguardia nella banda visibile e due telescopi per scansioni cosmiche: VISTA, il più grande Telescopio per survey al Mondo, lavora nella banda infrarossa mentre il VST (VLT Survey Telescope) è il più grande Telescopio progettato appositamente per produrre survey del cielo in luce visibile. L’ESO è il partner principale di ALMA, il più grande progetto astronomico esistente. E sul Cerro Armazones, vicino al Paranal, sta costruendo l’European Extremely Large Telescope (E-ELT), ossia il Telescopio Europeo Estremamente Grande, una cattedrale ottica da 39 metri di apertura che diventerà il più grande Occhio del Mondo rivolto al Cielo. Tutto questo richiede l’interesse dei contribuenti e la pace mondiale. I crimini e massacri perpetrati in Ucraina  contro donne, anziani e bambini connazionali russo-ucraini innocenti, fin dal Febbraio 2014, certamente non appartengono ai valori della comunità scientifica internazionale né al mondo della Scienza e dell’Astronomia né a Star Trek. Bensì alle chiare responsabilità politiche e giuridiche di donne e uomini con nome e cognome, autori di delitti atroci, da assicurare alla Giustizia delle Nazioni Unite per il giusto processo al Tribunale Internazionale per i Crimini contro l’Umanità. Valori giuridici peraltro già celebrati da Star Trek. Simili e altri orrori come quelli compiuti in Africa e Asia contro il proprio popolo, non possono essere più tollerati sulla Terra. Chi bombarda il proprio popolo, magari legittimato da un’irriconoscibile banda di predoni burocrati oligarchi della guerra (Warlords) anche in una Europa sempre più disinformata, irriconoscibile, atea e nazionalista, non merita di appartenere alla grande pacifica Famiglia scientifica dell’ESO e di Star Trek. Lo affermiamo categoricamente in memoria del fotografo italiano Andrea Rocchelli, ucciso in Ucraina nel Maggio 2014. Se la Ragione senza la Fede, è nulla, come dimostrano i milioni di messaggi di cordoglio inviati da tutto il Mondo e la rivoluzione globale nei palinsesti televisivi per riproporre tutti i film di Star Trek, allora dobbiamo sperare, come insegna il buon Spock, nell’armonico sviluppo dell’Universo, cioè delle sue Civiltà, nonostante la violenza della Natura cerchi di creare e distruggere la Vita. In quanto la Ragione è soltanto la premessa, non il fine dell’Universo. Allora, date più spazio a Spock! Chissà, i Vulcaniani esistono davvero. Capitano, prima stella a destra, poi dritti fino al mattino. Arrivederci, Signor Spock!

© Nicola Facciolini

2 risposte a “Lunga Vita e Prosperità Leonard Nimoy, Primo Ufficiale Scientifico della Stazione Spaziale Internazionale”

  1. bal78 ha detto:

    Non male la programmazione di Agon
    Channel: ho appena scoperto che ogni lunedì alle 21 va in onda “Lei
    non sa chi sono io”, programma condotto da Luisella Costamagna
    che ogni settimana intervista un politico

  2. Nicola Facciolini ha detto:

    Non male le autentiche fonti vere di informazione non soggette alle oligarchie statunitensi. Viva la Libertà! Giusto per evitare la Quarta Guerra Mondiale.
    http://eng.kremlin.ru/news/23641

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