Taormina: alla Fondazione Mazzullo la mostra “Passione” di Michele Cannaò

Prosegue il tour artistico di “Passione”, personale di Michele Cannaò a cura di Giuseppe Morgana legata al tema della via crucis quale cifra della condizione umana, condannata a portare il peso delle proprie scelte di fronte a un destino invariabilmente minaccioso. La tappa milazzese, conclusasi domenica 12 Aprile presso l’ex Monastero delle Benedettine, ha ricevuto […]

passioneProsegue il tour artistico di “Passione”, personale di Michele Cannaò a cura di Giuseppe Morgana legata al tema della via crucis quale cifra della condizione umana, condannata a portare il peso delle proprie scelte di fronte a un destino invariabilmente minaccioso.
La tappa milazzese, conclusasi domenica 12 Aprile presso l’ex Monastero delle Benedettine, ha ricevuto un’ottima accoglienza dal pubblico del comprensorio, decretando, con le oltre tremila visite, l’apprezzamento tributato a un’opera carica di umanità, capace di coinvolgere lo spettatore nei sentimenti universali di dolore, amore e libertà di scelta e opinione, a dispetto di una realtà esterna impietosa e oppressiva.
La prossima sede ospitante sarà quella del Palazzo Duchi di S. Stefano di Taormina, sede della Fondazione Mazzullo, che inaugurerà “Passione” domenica 19 aprile alle ore 11.00, alla presenza dell’artista e del poeta Guido Oldani, l’influsso artistico del quale si è rivelato fondamentale nello sviluppo del tema legato alla Passione e al percorso di sofferenza che porta al Calvario; alle 11.30 il vernissage proseguirà con un excursus sulle opere, guidati dalla scrittrice Angela Manganaro, e con la presentazione di “Realismo Terminale”, movimento artistico-poetico creato da Oldani al quale Cannaò aderisce prontamente con “Requiem per una radice”. Il Realismo Terminale, illustrato nella sua pubblicazione omonima pubblicata da Mursia nel 2010, esprime una visione del mondo invasa dalle cose materiali che assediano la realtà fino ad annullare l’uomo; dalla predominanza dell’oggetto sul soggetto nasce quindi un nuovo modo di interpretare e raffigurare il mondo.
La personale, organizzata dall’Associazione culturale Siddharte con la collaborazione della Fondazione Mazzullo e l’Associazione “Arte & cultura a Taormina” e il patrocinio della città di Taormina e della Regione Sicilia – Assessorato ai Beni Culturali e all’Identità siciliana, sarà visitabile fino al 17 maggio 2015.

MICHELE CANNAÒ
Direttore e ideatore del Museo del Fango dall’ottobre del 2009, Michele Cannaò è un artista che da sempre si misura non solo col fare arte – da quasi quarant’anni – ma anche con l’organizzazione dell’arte, con la creazione e la direzione di eventi d’arte e di cultura tra Messina e Milano, dove vive dal 1981. A partire dalla creazione della Compagnia teatrale La Credenza (1987), alle due edizioni di Infesta (Milano 1988 e 1989), per passare alle nottate d’arte allo Studio la Credenza (Milano, 1991-1995), al Festival “Fiumi d’inchiostro” (Milano, 1988), alle cinque edizioni di Kaló Neró, il festival di teatro, musica, arte, danza e editoria creato e diretto nella provincia di Messina (Scaletta Zanclea, San Placido Calonerò e Santa Teresa 1996/2000). Dal 2007 al 2013 ha fatto parte del Consiglio di Amministrazione del Museo della Permanente di Milano.

Estratti dal catalogo “Passione”, alcune chiavi di lettura di questo percorso:
Marco Dentici (scenografo e regista cinematografico) per la chiave teatrale:
[…] Un tema forte, la passione, attrae e spaventa. Contrassegna il percorso di una vita. Compendia gesti e comportamenti profondamente segnati dalla consapevolezza, dalla granitica fermezza, dall’ estremo sacrificio di chi ne è volontariamente protagonista. Sacrificio non meno estremo, spesso eroico e tragico anche per chi voglia abiurare tale ruolo e, al contrario, avverta la disperazione di non poter evitare tutto l’orrore di esserne vittima.
Quando l’amico pittore Michele Cannaò mi accennò della Passione, tema che avrebbe voluto affrontare non solo con la sua pittura, percepii dall’elica accesa della sua dialettica, l’intenzione di volermi risucchiare dentro il vortice di quell’argomento. […]
Andrea Filloramo (Filosofo e teologo) per la chiave teologica:
Se osserviamo bene le tele di Cannaò richiamano e rinnovano le emozioni del celeberrimo e angosciante “Urlo” di Munch, che grida sofferenza e terrore, in cui il volto è addirittura deformato e il corpo è talmente flessuoso, da essere quasi privo di colonna vertebrale. Tutta l’angoscia racchiusa in uno spirito tormentato vuole esplodere in un grido liberatorio. Come Munch, Cannaò, fa sì che il dolore sprigioni dalla figura dell’uomo della Passione ed in particolare dalla bocca, che man mano che si procede nelle “Stazioni” della sua via della croce si fa sempre più orribilmente dolorosa, “cadaverica” e – perché non dirlo? – “animalesca”. Non è quest’ultima un’affermazione irriverente, perché irriverente non è lo sguardo rivolto alla sofferenza del mondo. La manifestazione è terribile, sconcertante; chi “assiste” viene investito dall’onda d’urto di quell’immane esplosione di dolore che i dipinti rappresentano.
Angela Manganaro (giornalista) per la chiave letteraria:
[…] Il Cristo di Cannaò è vicino al Cristo di Saramago molto più di quello che egli stesso voglia ammettere, almeno nel suo essere estraneo al suo padre terreno. Certo li distanzia il colore di fondo che come una colonna sonora avvolge i due percorsi: le terre in tutte le sue gradazioni fanno da sfondo al viaggio in Cirenaica del Nazareno di Saramago mentre il Cristo di Cannaò è immerso nel blu notte, nel grigio payne, nel ceruleo, nel cobalto, nel blu oltremare. Tutti i blu profondi della tavolozza mischiati tra loro fino a diventare una particolare gradazione di nero che – come sosteneva Savinio – serve a creare una zona nobile di reverenza e decoro in cui “chiudere le immagini della nostra religione”. […]

Antonio Moncada (musicista) per la chiave musicale:
“…sul legno della croce il corpo a cristo
vien teso come corda di violino
perché la morte canti la sua vena.” (G. Oldani)
È la parte più atroce della Passione. Le pelli percosse dei tamburi, ora tramano, affliggono con suoni cupi, tellurici, vibrazioni; ora tacciono… il silenzio, l’eloquente espressione dell’inesprimibile!
E poi, in un vorticoso crescendo di dolore in dolore, di ritmi destrutturati, di eccessi in eccessi, si giunge all’estremo di un’agonia in cui la morte lacera gli ultimi vincoli con il corpo, così come i suoni taglienti e stridenti dei metallofoni che un archetto fa vibrare sino allo stridore lacerante.
È la “Passione” in cui, come traspare dai dipinti di Michele Cannaò, si dibattono la natura umana e il divino compresenti nella tribolazione di un Cristo oppresso dal pesante legno e, come ogni condannato a morte, dalla dolorosa tristezza dell’abbandono e della solitudine. […]
Guido Oldani (poeta) per la chiave poetica:
[…] Il corpo del Nazareno è un’officina meccanica, un cantiere edile dove la manodopera del male infligge l’esercizio della sempre prezzolata intelligenza. Siamo di fronte al ferro, arroventato nella fucina e battuto alla forgia, sull’incudine. C’è tutta una prepotente acustica dei martelli sui chiodi, di questi nel legno. Ci sono i tonfi delle cadute, le tenaglie e l’attaccamento schifoso al denaro che sempre, ma proprio sempre genera la violentatrice violenza. Così se ne va questo capro espiatorio rovesciato. Il Nazareno infatti è vittima consenziente e perciò stesso la responsabilità dell’accaduto ricade sui protagonisti che non possono più avvalersi della violenza in provetta dell’ignaro capro stesso. […]

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