La Rivoluzione della New Horizons su Plutone dal Cuore di Azoto Acqua e Metano

“La Terra ha l’occasione di dare una rapida occhiata a Plutone, la palla di roccia e ghiaccio che percorre l’orbita ai bordi più estremi del Sistema Solare” (Google). È la migliore tra le traiettorie al cardiopalma pianificate per l’incontro. Nel Cuore ferito del pianeta Plutone più rosso di sempre, sul piano ghiacciato con un’età di […]

“La Terra ha l’occasione di dare una rapida occhiata a Plutone, la palla di roccia e ghiaccio che percorre l’orbita ai bordi più estremi del Sistema Solare” (Google). È la migliore tra le traiettorie al cardiopalma pianificate per l’incontro. Nel Cuore ferito del pianeta Plutone più rosso di sempre, sul piano ghiacciato con un’età di appena 100 milioni di anni, batte la vita primordiale congelata per miliardi di anni tra ziliardi di altri oggetti strani, rimasti lì, uguali a loro stessi dalla nascita del Sistema Solare. Tanto da far ritenere il pianeta nano, finora non conteso da alcuna civiltà aliena extraterrestre, ancora in pieno sviluppo geologico. Si tratta di una piattaforma ghiacciata che la sonda nucleare New Horizons della Nasa svela già da una distanza di 77mila Km nella regione centro-occidentale del Cuore di Plutone, chiamata Sputnik Planum in onore di Clyde Tombaugh, lo scopritore del nono pianeta del Sistema Solare nel 1930. Plutone vanta un’atmosfera di Metano e di Azoto dove ogni tanto cadono fiocchi di neve di Metano! “Questa scoperta non è facile da spiegare – osserva Jeff Moore, a capo del team di Geologia, Geofisica e Imaging (GGI) della missione all’Ames Research Center della Nasa – la rilevazione di questa piattaforma totalmente piana e ancora giovane geologicamente va oltre le aspettative della missione”. Gli scienziati pensano a due possibili spiegazioni per la sua formazione: per la contrazione della superficie, un po’ come succede al fango quando si secca, ovvero per convenzione quando la crosta lavica si raffredda emergendo. Il piano ghiacciato di Plutone presenta dei crepacci scuri che vanno tutti nella stessa direzione e potrebbero essere stati prodotti dal vento che soffia sulla regione. Il 14 Luglio 2015, dopo un viaggio interplanetario di 3462 giorni, gli astronomi hanno realizzato un sogno che inseguono da decenni: visitare la Fascia di Kuiper e Plutone (raggio 1186 Km) con il suo sistema di lune grandi e piccolo, concludendo un capitolo fondamentale nell’esplorazione automatica del Sistema Solare molto più vasto del previsto e aprendone effettivamente un altro. Scoperto nel 1930 da Clyde Tombaugh all’Osservatorio Lowell in Arizona (Usa), Plutone è stato a lungo considerato il nono pianeta del Sistema Solare.  Al tempo del grande tour gravitazionale delle missioni Voyager, la sua posizione non era raggiungibile e l’inconveniente avevo fatto di Plutone l’unico dei corpi principali del Sistema Solare a non avere ancora ricevuto la visita dei terrestri. Non restava che programmare l’occasione che si è presentata nel 2006 con un allineamento favorevole tra Terra, Giove e Plutone. Ciò ha permesso di sfruttare anche una spinta gravitazionale da Giove per rendere la New Horizons (http://pluto.jhuapl.edu/) la sonda più veloce mai spedita per studiare i corpi esterni del Sistema Solare. Un’occasione unica per una sonda automatica priva di motori “warp”, che si ripeterà tra due secoli, vista l’orbita del lontano Plutone. È questa peculiarità ad aver salvato la New Horizons dalla scure dei tagli alle missioni spaziali, ma la battaglia non è stata certo facile: la missione, per sopravvivere, ha dovuto cambiare nome per ben tre volte. Senza contare che la malasorte non ha smesso di accanirsi perché, pochi mesi dopo il lancio, avvenuto il 19 Gennaio 2006, l’Unione Astronomica Internazionale, durante la sua Assemblea mondiale del 24 Agosto, ha declassato Plutone a pianeta nano, decretando l’esistenza di soli otto pianeti principali nel Sistema Solare. Giudizio che non è stato affatto apprezzato dalla Nasa. Non solo. La New Horizons è troppo veloce per potersi mettere in orbita intorno a Plutone. Non ha abbastanza carburante chimico per la frenata. Così il suo è stato un rapido “flyby”, cioè un passaggio ravvicinato a 14mila Km dal pianeta nano, relativamente breve, che gli scienziati stanno utilizzando al meglio per raccogliere quante più informazioni possibili sul mini pianeta e le sue lune. Tutto è stato deciso in anticipo perché i segnali impiegano 4,5 ore a raggiungere la Terra dal lontano Plutone ed è impossibile fare aggiustamenti dell’ultimo minuto. La sequenza delle operazioni è stata così pensata nei minimi dettagli perché non c’era una seconda possibilità. È una rivisitazione moderna dei mitici flyby delle due sonde Voyager che, tra il 1979 e 1989 del XX Secolo, hanno inanellato le visite di Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Ad ogni flyby nuove scoperte, ma anche nuovi stress per i gestori della missione che temporizzavano la loro vita privata per non avere impegni durante i voli ravvicinati: matrimoni, nascite, corsi di specializzazione, soggiorni all’estero sfruttavano i periodi di crociera interplanetaria delle Voyager, durante i quali le attività erano ridotte. Una simbiosi incredibile tra uomini, donne, calcoli e macchine che dura da mezzo secolo e viene raccontata nel libro “The Interstellar Age” di Jim Bell che al Jet Propulsion Laboratory (JPL), seguendo i Voyager, è cresciuto ed è ora un famoso scienziato.  Sono cresciuti anche gli studenti che hanno costruito il rivelatore di polveri a bordo della New Horizons: il sensore SDC (Student Dust Counter) e la curiosità sui risultati, hanno già richiamato gli ex studenti che, pur avendo carriere in altri campi, non hanno resistito al trionfo del loro strumento. Cambiano le sonde e la potenza dei calcolatori utilizzati ma la meticolosità della preparazione rimane sempre la stessa: bisogna decidere dove, e per quanto tempo, puntare ognuno dei sette strumenti di bordo. Avranno provato la manovra e la sequenza delle operazioni centinaia di volte per trovare il mix giusto necessario nello studio di quella che sembra un’abulica adunanza nel regno dei morti declinato secondo la mitologia greco-romana. Infatti, ad orbitare attorno a Plutone, troviamo la maxi luna Caronte, scoperta nel 1978, insieme alle piccole Stige, Idra, Cerbero e Notte, svelate dall’Hubble Space Telescope nell’ultimo decennio. Dopo il flyby, la New Horizons continua il suo viaggio verso la Fascia di Kuiper, il serbatoio di asteroidi e comete primordiali del Sistema Solare, alla ricerca di qualche nuovo oggetto da esplorare. Pur declassato nel 2006 a pianeta nano, Plutone non ha certamente perso interesse per gli astronomi e gli imprenditori dello spazio a caccia di terre rare e minerali preziosi. Anzi,  più si avvicinava il momento in cui gli occhi artificiali della New Horizons avrebbero scrutato da vicino la sua superficie gelata, più aumentava la frenesia nello sviluppo di ipotesi su come interpretare il vasto panorama alieno che la navicella spaziale ci ha permesso di godere. Una delle ultime idee in questo senso è che la collisione a cui presumibilmente si deve l’origine di Plutone e della sua luna maggiore Caronte, con la quale il rosso pianeta nano sembra formare in realtà un sistema binario, abbia riscaldato l’interno di Plutone in maniera sufficiente da permettere la formazione di un oceano sotterraneo di acqua. Un evento antico che pare abbia portato il piccolo corpo del Sistema Solare a possedere per un breve periodo un sistema di tettonica a placche forse simile a quello che si riscontra sulla Terra. Assente su Marte. “Riteniamo che quando New Horizons raggiungerà Plutone, ci mostrerà le prove di un’antica attività tettonica”, è la convinzione di Amy Barr, planetologa della Brown University e coautrice, assieme a Geoffrey Collins del Wheaton College, dello studio “Tectonic activity on Pluto after the Charon-forming impact” pubblicato sulla rivista Icarus. L’epoca antica a cui fanno riferimento Barr e Collins si riferisce al primo miliardo di anni nella storia evolutiva del Sistema Solare. I due ricercatori hanno modellizzato il sistema Plutone-Caronte basandosi sull’idea che l’iniziale collisione tra i due corpi celesti abbia generato abbastanza energia da fondere la parte interna di Plutone, dando origine ad un oceano. Una massa d’acqua che sarebbe rimasta in forma liquida sotto la crosta gelata per un tempo abbastanza lungo, grazie al fatto che, man mano che una parte dell’oceano si ricongelava, la parte ancora liquida si arricchiva di sali e ammoniaca, funzionando da anticongelante. Per capire da cosa sarebbe stata prodotta l’attività tettonica, i ricercatori sono partiti dall’assunto che, nell’evoluzione del sistema Plutone-Caronte, il momento angolare si debba essere conservato. Così hanno simulato un gran numero di scenari sull’ipotetica orbita di Caronte immediatamente dopo la collisione, riscontrando che in ogni caso l’orbita della luna compagna di Plutone migrava progressivamente verso l’esterno, come ha fatto e sta facendo la Luna attorno alla Terra. Quando Plutone e Caronte si trovavano vicini, ancora caldi a causa della collisione, esercitavano una grande forza l’uno sull’altra, con il risultato di assumere una forma ad uovo. Ma quando Caronte ha cominciato ad allontanarsi, Plutone è divenuto più sferico. Durante questa trasformazione, la superficie ghiacciata deve essersi fratturata creando delle faglie, i segni distintivi dell’attività tettonica effettivamente confermata dalal New Horizons. “Nei nostri scenari osserviamo che si sono generati sulla superficie stress in quantità più che sufficiente per dare luogo a una pletora di fenomeni tettonici”, osserva Barr. La New Horizons ha fotografato Plutone con una risoluzione di 100 metri per pixel, osservando le antiche faglie. Per Jeffrey Moore, a capo del team d’osservazione geologica e geofisica della New Horizons al centro ricerche Ames della Nasa, “sarebbe sorprendente se non osservassimo attività tettonica”. Tuttavia, c’era una potenziale complicazione: il clima di Plutone. Si è scoperto anni fa, infatti, che Plutone nei momenti di massimo avvicinamento al Sole possiede un’atmosfera che però si congela al suolo quando il pianeta nano percorre la parte più distante della sua orbita ellittica. L’intensità di questi cambiamenti regolari potrebbe essere tale da avere eroso la superficie di Plutone fino al punto di cancellare le tracce tettoniche. L’ottimismo di Moore è stato ripagato sulla base di riferimenti presi da altri mondi dove si verifica lo stesso fenomeno atmosferico, come Callisto, una delle lune di Giove. “Su Callisto, dove avviene la sublimazione e il deposito  dell’atmosfera, possiamo comunque osservare l’effetto dei fenomeni geologici”, precisa Moore. Correva il 18 Febbraio 1930 quando, attraverso il confronto di lastre fotografiche impressionate pochi giorni prima, il giovane astrofilo Clyde Tombaugh scopre Plutone all’Osservatorio Lowell di Flagstaff, in Arizona, dov’era stato assunto per la sua precoce perizia astronomica. Ottantacinque anni dopo, è un veicolo spaziale automatico a inquadrare Plutone, la New Horizons, che ci ha regalato anche le immagini delle piccole lune in orbita attorno al pianeta nano ghiacciato. Le lune Nix e Hydra sono visibili già in una serie di immagini scattate da New Horizons dal 27 Gennaio all’8 Febbraio 2015, a distanze che variano da circa 201 a 186 milioni chilometri da Plutone. Assemblate in un piccolo filmato, le riprese costituiscono la prima lunga occhiata della sonda su Hydra (identificata da un quadrato giallo) e il suo primo sguardo in assoluto su Nix (quadrato arancione). Il set di immagini era stato appositamente elaborato per rendere le piccole lune più facile da scorgere. “È emozionante vedere emergere i dettagli del sistema di Plutone man mano che ci avviciniamo alla fatidica data del 14 Luglio, quando il veicolo spaziale raggiungerà la sua meta – annuncia John Spencer del Southwest Research Institute, membro del team scientifico della New Horizons – questa buona prima visione di Nix e Hydra segna un altro importante traguardo, e un modo perfetto per celebrare l’anniversario della scoperta di Plutone”. Nix e Hydra sono state scoperte dai membri del team della New Horizons in immagini riprese nel 2005 dall’Hubble Space Telescope. Hydra, la luna più esterna del sistema di Plutone, orbita intorno al pianeta nano ogni 38 giorni a una distanza di circa 64.700 Km, mentre Nix fa un giro completo in 25 giorni da 48.700 Km. Altre due lune di Plutone, Styx e Kerberos, sono ancora più piccole. Clyde Tombaugh precorse i tempi. La sua scoperta, secondo Alan Stern fu “molto avanti rispetto al suo tempo, preannunciando la rilevazione della Fascia di Kuiper e di una nuova classe di pianeti”. Quel punto luminoso, lontano lontano, alla periferia del Sistema Solare, Plutone, oggi è qualcosa di più nel cielo. Infilarne esattamente l’orbita, non è stato affatto un gioco da ragazzi. “È il primo passo verso Plutone”, rivela Alan Stern. A 7,5 miliardi di chilometri dalla Terra. La sonda Nasa si era svegliata da un lungo letargo solo nel Dicembre 2014, poco prima di avvicinare le orbite dei cinque satelliti in orbita attorno al pianeta nano. Il 25 Gennaio 2015 la New Horizons inizia a raccogliere immagini grazie al Long-Range Reconnaissance Imager che rientra nel suo pacchetto strumenti. Immagazzinare fin da subito importanti informazioni sulla dinamica dei satelliti di Plutone è fondamentale, anche per ciò che concerne la stessa navigazione del veicolo spaziale negli ultimi 220 milioni di chilometri che mancano alla meta. Nel corso della prima fase di avvicinamento erano previste una serie di attività scientifiche supplementari, fra cui una raccolta dati sul cosiddetto Ambiente Interplanetario, una serie di misurazioni del flusso di particelle ad alta energia provenienti dal Sole e un’analisi delle polveri nella zona interna della Fascia di Kuiper. La regione esterna e, fino a poche settimane fa, inesplorata del Sistema Solare può nascondere migliaia di piccoli pianetini, comete e asteroidi rocciosi. Al di là di quelli che siamo abituati a considerare i confini del nostro “cortile di casa”, possono nascondersi nuove e interessanti scoperte. Per l’accensione delle telecamere e degli spettrometri di bordo bisognerà però attendere la Primavera AD 2015, quando New Horizons ci regala immagini a una risoluzione ancora oggi irraggiungibile con i telescopi da Terra. Due mondi ghiacciati che ruotano attorno al loro comune centro di Gravità, come due pattinatori che si tengono per mano in una figura artistica. Scattata dalla distanza di 6 milioni di chilometri, l’affascinante immagine raccolta dalla sonda New Horizons abbraccia con l’obiettivo Plutone e Caronte, nell’attesa dell’ormai prossimo flyby della sonda Nasa sul pianeta nano. Plutone e Caronte, che gli scienziati ritengono essersi formati dallo stesso blocco di materia, spezzata da una collisione cosmica miliardi di anni fa, non sembrano però mostrare legami di parentela. “Due estranei”, così li definisce la Nasa presentando la bella immagine raccolta dalla New Horizons. Plutone si presenta a chiazze chiare e scure su tutta la superficie. Su Caronte è solo la regione polare a interrompere un terreno grigio chiaro che ricopre in maniera uniforme tutto il territorio della luna ghiacciata. I materiali più riconoscibili in spettroscopia su Plutone, sembrano mancare del tutto su Caronte. E se Plutone è avvolto in un’atmosfera consistente, così non è per Caronte. Azoto ghiacciato, Metano e monossido di Carbonio per Plutone. Acqua e ammoniaca per Caronte. Interno presumibilmente roccioso per il primo. Parti uguali di roccia e ghiaccio per Caronte. Il diametro di Caronte è di circa 1200 chilometri, circa la metà di quello del pianeta nano. Questa caratteristica rende la luna di Plutone la più grande di tutto il Sistema Solare, per rapporto al pianeta attorno cui orbita. Il flyby del pianeta nano però non è certamente l’ultimo passo per portare a termine la sua lunga missione, grazie al cuore nucleare a radioisotopi della New Horizons che sta facendo un bel viaggio nella Fascia di Kuiper per inviare i dati a Terra. L’Agenzia spaziale statunitense guarda oltre. Affrontare lo spazio profondo alla ricerca di altri oggetti ghiacciati nel raggio del Sistema Solare e consegnare alle stelle un messaggio della Terra, per chi lo vorrà leggere. Promettenti sono le basi del dopo Plutone. Almeno una parte dei progetti è già in piedi grazie alla campagna “NASA New Horizons Message” (www.oneearthmessage.org/). Gli scienziati sono impegnati a stendere una lista accurata delle cose da fare, anche riguardo il Telescopio Spaziale Hubble. Alle 13:49 (ora italiana) del 14 Luglio 2015 possiamo dire ufficialmente di aver esplorato tutto il Sistema Solare, almeno tutti i pianeti, un’impresa iniziata più di 50 anni fa e che di certo non si conclude con questa missione. I primi a captare i dati provenienti dalla sonda non sono i tecnici della Nasa, bensì gli esperti che lavorano al Canberra Deep Space Communication Complex (CDSCC) del CSIRO, che poi mandano l’immagine direttamente al Jet Propulsion Laboratory (JPL). Dopo 3462 giorni di missione, grazie anche all’energia nucleare, il mondo può finalmente sapere com’è fatto Plutone, quanto è grande, com’è composta la sua atmosfera e come questa interagisce con il vento solare. Il tutto da 12500 chilometri dalla superficie del pianeta nano. La sonda della Nasa studia nel dettaglio anche il sistema delle cinque lune ghiacciate che orbitano attorno a “134340 Pluto”. Questo è il suo vero nome. La prima ad essere studiata è Caronte che è anche la più grande, formando un sistema binario col pianeta nano, di poco più piccola di Plutone. Seguono Idra e Notte, scoperte nel 2005 e di dimensioni pressoché simili. Infine anche Stige e Cerbero, i satelliti più piccoli di Plutone, ultimi ad essere stati scoperti. La New Horizons era ormai in silenzio radio dalle 5:15 (ora italiana), dopo aver inviato a Terra l’ultima comunicazione, la “E-Health 1”. La prossima volta che i tecnici avranno notizie dal satellite, gli orologi segneranno le 3 della mattina successiva, quando la sonda “parlerà” per 18 minuti senza però inviare alcuna foto. Per conoscere solo la sua posizione precisa e per essere sicuri che è sopravvissuta al flyby, anche se i rischi sono davvero pochi. Sono gli Australiani a salutare per primi Plutone. Quando le comunicazioni tornano a regime, i dati arrivano sulla Terra nel giro di 4 ore e mezza, elaborati dal CDSCC che è una delle tre stazioni di monitoraggio in tutto il mondo in grado di fornire il vitale contatto radio di “andata e ritorno” con sonde come la New Horizons a tali incredibili distanze dalla Terra. “Abbiamo monitorato New Horizons fin dal suo lancio nel Gennaio 2006 – confessa Ed Kruzins, il Direttore del CDSCC – attualmente stiamo ricevendo le ultime immagini e la telemetria dal veicolo spaziale che consente al team della missione di prendere decisioni in merito alle correzioni di rotta per iniziare le osservazioni scientifiche”. Visto il tempo necessario al segnale per raggiunge la Terra, i dati sono incredibilmente deboli, quasi piccoli sussurri cosmici artificiali che denunciano la presenza dell’Umanità sulla Terra e nel Sistema Solare. Tuttavia grazie all’elevata sensibilità della grande parabola del CDSCC, il segnale da Plutone arriva forte e chiaro. La New Horizons raccoglie così tanti dati che ci vorrà un anno per trasmetterli tutti e di conseguenza anche per elaborarli. Lewis Balls, a capo della “Astronomy and Space Science” al CSIRO, osserva che la missione New Horizons è stata una delle più grandi esplorazioni del nostro tempo. “C’è ancora tanto che non conosciamo, e non solo su Plutone ma anche su mondi simili – rivela Lewis Balls – raggiungere questa parte del Sistema Ssolare è stata una priorità per anni, perché custodisce i mattoni con cui è stato costruito il Sistema Solare, congelati per miliardi di anni”. Plutone è uno degli oggetti che può dire di più sulle origini del nostro sistema planetario. “CDSCC è stato coinvolto in molte esplorazioni dello spazio – dichiara lo scienziato – dalle immagini della prima passeggiata lunare alle viste mozzafiato dalla superficie di Marte, passando per i primi piani di Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Osservare Plutone è la chiave di volta di questa splendida avventura spaziale”. OSIRIS, la camera montata sulla sonda Rosetta dell’Esa, scatta tre immagini di Plutone ai confini del Sistema Solare. Più di tre ore di esposizione e un procedimento di elaborazione dati molto sofisticato sono necessari per realizzare tre foto, da una distanza di più di cinque miliardi di chilometri. Plutone è così il corpo più distante all’interno del Sistema Solare che Rosetta abbia mai guardato. Orbita ai margini del Sistema Solare, a miliardi di chilometri dalla Terra, quindi la luce solare è molto più debole di quella che riceviamo sul nostro mondo, ma non è completamente buio. In verità, solo per un momento tra il tramonto e l’alba di ogni giorno, l’illuminazione sulla Terra corrisponde a quella che potremmo vedere a mezzogiorno su Plutone: questo è il momento ribattezzato Pluto Time, e la Nasa ha chiesto a tutti gli appassionati di inviare le proprie foto sui social media con il tag #PlutoTime. “Le immagini dell’incontro ravvicinato con Plutone arrivano esattamente mezzo secolo dopo la prima foto da Marte, presa dal Mariner 4, nel Luglio 1965 – osserva Giovanni Bignami, Presidente dell’Inaf – mezzo secolo per passare vicino a (o toccare) tutti i pianeti, più un assortimento di corpi minori: satelliti, asteroidi e comete. L’Homo sapiens planetarius ha completato l’esplorazione in situ del Sistema Solare in poco più di una generazione. È un successo incredibile, al quale prestiamo troppo poca attenzione. Per ottenerlo, la Nasa e le altre agenzie spaziali hanno usato un capitale umano paragonabile a quello per le grandi Piramidi d’Egitto, su un tempo di scala probabilmente simile. Ma con una grande differenza. Alla fine della costruzione delle Piramidi (e per molti secoli dopo), la tecnologia era sempre la stessa: pala, piccone e ruota. Invece, le foto di New Horizons da Plutone contengono 5.000 volte più dati di quelli nelle foto del Mariner 4, pur mandate da Marte, la cui orbita è cento volte più vicina alla Terra. Un enorme balzo tecnologico, in mezzo secolo, direttamente ricaduto nell’avanzamento ormai irreversibile della qualità della nostra vita di tutti i giorni: se facciamo le foto con uno smartphone, se le spediamo e gestiamo senza pensarci, ma anche se il computer di oggi batte il campione mondiale di scacchi, molto deriva dalla tecnologia e dalle sfide spaziali. In più – rivela Giovanni Bignami – per fortuna siamo sempre meno ignoranti sull’Universo che ci circonda. Nel nostro Sistema Solare, Plutone era l’ultimo grande problema, un oggetto praticamente sconosciuto. Grazie a New Horizons, già sappiamo che è fatto di due terzi di sasso e un terzo di ghiaccio, che ha una sottile atmosfera di Metano e di Azoto, dove ogni tanto cadono fiocchi di neve di Metano (o altro, vedremo). Prima di capire meglio Plutone, Caronte e gli altri quattro satelliti (tutti con nomi da mitologia funebre) passerà un po’ di tempo. Dopo dieci anni di viaggio, il bello della missione di New Horizons è concentrato in due ore e mezzo: la durata del fly-by. Vengono prese immagini e dati in quantità maggiori di quanto la sonda possa inviare in tempo reale. Memorizzata, l’informazione ci arriverà ai ritmi imposti dalla potenza di bordo e dalla distanza. Continueremo a ricevere immagini sempre nuove, per noi, per più di un anno e mezzo”. E dopo il fly-by? “La sonda passa e non può fermarsi – ricorda Giovanni Bignami – non avrebbe abbastanza carburante per frenare. Al di là di Plutone si apre la grande, sconosciuta “terza zona” del Sistema Solare, che viene dopo la zona interna dei quattro pianeti rocciosi e la successiva dei quattro gassosi. Quello che era il nono pianeta, e che adesso è un nanopianeta, sta sulla soglia della grande Fascia esterna, una specie di freezer pieno di ziliardi di oggetti strani, rimasti lì, uguali a loro stessi dalla nascita del Sistema Solare, quasi cinque miliardi di anni fa. La New Horizons è il quinto oggetto fatto dall’Uomo a uscire dal Sistema Solare, ma prima dovrà passare per la sua misteriosa e antica periferia e sarà anche l’unico a poterla studiare”. È come se fossimo lì, a quasi cinque miliardi di chilometri dalla Terra. Davanti ai nostri computer, tv, pad e smartphone riconosciamo di avere lo storico privilegio di poter ammirare Plutone e i suoi satelliti come mai nessuno aveva potuto fare prima, esplorando il territorio oscuro del nostro sistema interplanetario. La prima immagine presa il 13 Luglio 2015 dal Long Range Reconnaissance Imager (LORRI) mostra Plutone alla distanza di 768mila Km dalla sonda New Horizons. È l’ultima e più dettagliata ripresa del corpo celeste inviata a Terra prima del flyby del 14 Luglio. Anche Plutone ha le sue montagne. Eccole emergere fino a un’altitudine di 3.500 metri in un incredibile dettaglio preso in prossimità della regione equatoriale del pianeta nano. Probabilmente queste catene montuose si sono formate circa 100 milioni di anni fa. Un’inezia rispetto all’età del Sistema Solare, stimata in 4,56 miliardi di anni. “L’immagine ad alta risoluzione di Plutone mostra due aspetti estremamente significativi – rivela Fabrizio Capaccioni, ricercatore dell’INAF-IAPS – l’assenza di crateri e montagne piuttosto elevate. Nel primo caso la mancanza di crateri indica una superficie giovane, almeno più giovane di 100 milioni di anni. Non ci sono fenomeni mareali su Plutone che possano giustificare un’attività interna, quindi dobbiamo aspettarci che il calore sia generato da elementi radioattivi nel nucleo e mantello. Da questo si ricava che l’attività interna dev’essere intensa e causa un ringiovanimento della superficie attraverso la presenza di vulcani. Viste le temperature cosi basse (40 Kelvin o meno) questi non sono vulcani come li immaginiamo, ma criovulcani, ovvero una sorta di geyser che, a causa della sublimazione dei gas nella crosta interna (o mantello), producono eruzioni di elementi volatili (molecole di Azoto, Metano, monossido di Carbonio) che poi si ridepositano sulla superficie, formando una crosta sottile, o si disperdono nell’atmosfera. Questo ci porta al secondo aspetto interessante, la presenza di montagne di 4000 metri può essere sostenuta soltanto da un materiale più consistente di ghiaccio di Metano o Azoto, ovvero ghiaccio d’acqua. Questo fa intuire che la crosta di materiali volatili può essere soltanto una crosta sottile che ricopre una crosta con abbondanza di ghiaccio d’acqua”. La ripresa di Caronte, la luna maggiore del sistema di Plutone,  sempre ottenuta da LORRI, il 13 Luglio 2015, da una distanza di 466mila Km, mostra una serie di fratture sulla crosta del corpo celeste che si estendono per centinaia di chilometri, formando profondi canyon. Nonostante il livello di dettaglio, che permette di osservare strutture delle dimensioni di 5 chilometri, l’immagine è molto compressa. Quella a piena risoluzione verrà inviata a Terra in un secondo momento. Altre informazioni arrivano dallo strumento Ralph che inizia a tracciare una mappa della distribuzione del Metano ghiacciato sulla superficie di Plutone (risulta alquanto diseguale tra le regioni polari e quelle equatoriali) e un’immagine della piccola luna Idra. Seppure apparentemente sgranata, è la più dettagliata ripresa del corpo celeste che misura appena 43 per 33 Km. Questo è solo il primo assaggio dei moltissimi dati scientifici e immagini che New Horizons inizia a inviare. Grande è la soddisfazione del team Nasa. Alcuni dei dati più recenti rivelano numerose e dettagliate caratteristiche della superficie di Plutone e un’atmosfera dominata da Azoto gassoso (N2). Tuttavia, la massa di Plutone è molto piccola e questo fa sì che centinaia di tonnellate di Azoto atmosferico vengano rilasciate nello spazio ogni ora. Da dove proviene tutto questo Azoto? Kelsi N. Singer, ricercatrice post-dottorato al Southwest Research Institute (SwRI) di Boulder (Colorado, Usa) e il suo mentore S. Alan Stern, vice presidente del SwRI e membro del team scientifico della New Horizons, hanno indicato alcune delle possibili fonti nell’articolo “On the Provenance of Pluto’s Nitrogen” per la rivista “The Astrophysical Journal Letters”, il giorno dopo l’incontro ravvicinato della sonda con il pianeta nano rosso. “Deve esserci una ricca fonte per rifornire sia l’Azoto ghiacciato che si muove sulla superficie di Plutone nei suoi cicli stagionali, sia quello che sta fuggendo dagli strati più alti della sua atmosfera a causa del riscaldamento prodotto dalla luce ultravioletta del Sole”, spiega Singer. I due scienziati si sono chiesti se le comete potessero fornire Azoto sufficiente per la superficie di Plutone. Hanno inoltre considerato l’ipotesi che i crateri da impatto dovuti alle comete potessero scavare abbastanza Azoto dalla superficie, ma questo richiederebbe un profondo strato di Azoto ghiacciato. Il team ha anche valutato se i crateri potessero esporre una porzione maggiore di superficie, estraendo materiali che si sarebbero accumulati nel corso del tempo. “Abbiamo scoperto che tutti questi effetti, quelli principali legati alla craterizzazione, non garantiscono Azoto sufficiente a giustificare l’emissione osservata – rileva Singer – se da un lato è possibile che il tasso di fuga fosse più basso in passato, dall’altro riteniamo che l’attività geologica debba avere un ruolo chiave nel trasporto dell’Azoto dagli strati più profondi di Plutone alla sua superficie”. Quando è stato scritto l’articolo in questione, i dati della New Horizons non erano ancora stati raccolti e inviati a Terra. Ma le immagini recenti di Plutone mostrano strutture che suggeriscono la presenza di calore in risalita verso la superficie, con avvallamenti di materia scura che si accumula o trabocca dalle fratture della crosta. Plutone è vivo e vegeto. “La nostra previsione, precedente al fly-by di New Horizons, è che molto probabilmente Plutone stia estraendo Azoto dal suo interno, e questo implica la presenza di geyser o criovulcanismo – conferma Stern – con l’arrivo dei dati raccolti da New Horizons sarà molto interessante verificare se questa previsione sia corretta”. Se Caronte ha già mostrato le sue variegate fattezze, due delle lune più piccole e meno conosciute di Plutone, Nix e Hydra, cominciano a mettersi in mostra nelle nuove immagini provenienti dalla sonda spaziale New Horizons. Nix e Hydra sono due corpi approssimativamente delle stesse dimensioni, ma le loro somiglianze terminano qui. La prima immagine a colori di Nix ripresa dalla New Horizons, i cui colori amplificati fanno assomigliare la piccola luna ad una caramella di gelatina, rivela un’interessante regione rossastra sulla sua superficie, che gli scienziati ritengono possa essere un cratere. “Ulteriori dati relativi alla composizione sono già stati ottenuti da Nix. Altri ci sveleranno perché questa regione risulta più rossa rispetto ai suoi dintorni”, osserva lo scienziato di missione Carly Howett, del Southwest Research Institute, a Boulder in Colorado. Nel frattempo, l’immagine più nitida di Hydra ricevuta da New Horizons mette bene in evidenza la sua forma irregolare. Lo scatto realizzato dal Long Range Reconnaissance Imager (LORRI) il 14 Luglio 2015, da una distanza di 231mila Km, permette di distinguere dettagli di dimensioni poco superiori al chilometro. Sembra che sulla superficie si trovino almeno due grandi crateri, uno dei quali è per lo più in ombra. La porzione superiore di Hydra appare più scura del resto, suggerendo un’eventuale differenza di composizione superficiale. Dall’immagine gli scienziati hanno stimato le dimensioni di Hydra: 55 Km di lunghezza e 40 Km di larghezza. “Prima della scorsa settimana, Hydra era solo un debole punto di luce – rivela il collaboratore scientifico alla missione, Ted Stryk, del Roane State Community College in Tennessee – ora è quasi incredibile vederla diventare un luogo reale, man mano che se ne delineano le forme e se ne distinguono le caratteristiche superficiali per la prima volta. Per le altre lune di Plutone scoperte di recente, Styx and Kerberos, gli scienziati si attendono di scaricare dalla memoria della New Horizons le relative immagini, ottenute durante il flyby del 14 Luglio 2015, non più tardi del prossimo Ottobre. Anche Brian May, chitarrista dei Queen, decide di tornare al suo amore di sempre, l’Astrofisica. Charlie Bolden, amministratore delegato della Nasa lo ha appena arruolato fra i consulenti scientifici della missione New Horizons per lo studio dei preziosi dati raccolti dalla sonda dell’Agenzia spaziale statunitense, all’indomani dello storico fly-by sul pianeta nano Plutone. Che a Brian May intrigasse l’esplorazione del Sistema Solare si era già capito. In Giugno, sul palco dei Metal Hammer Golden Gods 2015 di Londra, si era speso in una lunga e dettagliata prolusione sulla missione Rosetta dell’Esa, per poi premiare Matt Taylor, project scientist della missione, meritevole di aver portato lontano come nessuno aveva fatto prima un grosso pezzo di metallo: il lander della sonda, Philae. Pur senza fare centro come previsto! Nel 2007 May conclude all’età di 60 anni la sua tesi di dottorato in Astrofisica con uno studio sulle proprietà della Polvere Zodiacale. Per questo lavoro si è servito ampiamente dei dati raccolti al Telescopio Nazionale Galileo, il più grande strumento italiano, di proprietà dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, con sede a La Palma, nelle Isole Canarie, presso la cima di Roque de los Muchachos, ad una quota di 2360 metri. Ora per May è arrivato il momento di dedicarsi ai dati della New Horizons, tra una nota e l’altra. A presentarlo a una platea di ricercatori e giornalisti sbigottiti, nientemeno che il responsabile scientifico della missione, Alan Stern. “Vorrei ora presentarvi un nuovo collaboratore scientifico che entrerà a far parte del nostro team – annuncia lo scienziato – è arrivato dall’Europa per darci una mano con i dati raccolti dalla sonda, può darsi che qualcuno di voi lo conosca”. Per la serie: non è mai troppo tardi. Altrettanto divertente la risposta della Rock Star. “Sono uno di quelli che in Europa sta incollato al computer e alla Tv per seguire ogni vostra mossa. Che risultato straordinario: avete ispirato il mondo. Grazie”. Timido ed emozionato per la grande possibilità concessagli di visionare in anteprima immagini e dati raccolte dalla sonda New Horizons durante la transizione nel sistema di Plutone, Brian May ha trascorso tre giorni a stretto contatto con il team della missione. “Giorni indimenticabili – scrive il chitarrista dei Queen – Alan Stern si è assicurato personalmente che venissi trattato come uno di famiglia e mi sono sentito davvero privilegiato per il privilegio che mi è stato concesso”. Anche Google celebra l’evento. Ogni 14 Luglio, ogni singolo 14 Luglio di ogni anno, un “doodle” per la Rivoluzione, quella Francese con la presa della Bastiglia, quella popolare fra ghigliottine, fratellanza, uguaglianza e democrazia. Una consuetudine che però rischia di scivolare inesorabilmente verso l’oblio, visto e considerato lo scenario mondiale di guerra con ben altre decapitazioni in scena, se il 14 Luglio diventa ricordo scientifico di un pacifico appuntamento con la Storia. La Rivoluzione di New Horizons che incontra Plutone. È la mattina di Martedì 14 Luglio 1789 quando un gruppo di insorti attaccano l’Hôtel des Invalides a Parigi con l’obiettivo di procurarsi delle armi. Si impossessano di circa 28mila fucili e qualche cannone. Ma non trovano polvere da sparo. Decidono quindi di assalire la prigione-fortezza della Bastiglia, simbolo del potere monarchico, per far man bassa di munizioni. Il fatto di per sé ha poca importanza sul piano tattico pratico, ma assume un enorme significato simbolico a tal punto da essere considerato, nei secoli a venire, l’inizio della Rivoluzione Francese. Da quest’anno, dal 14 Luglio, la data potrebbe venire ricordata per un altro evento storico, più significativo per le giovani generazioni e più pacifico: il giorno in cui la sonda New Horizons ha raggiunto Plutone, il pianeta nano ai confini del Sistema Solare, arricchendo un’avventura tecnologica iniziata cinquant’anni fa. Un successo straordinario. “La Terra ha l’occasione di dare una rapida occhiata a Plutone, la palla di roccia e ghiaccio che percorre l’orbita ai bordi più estremi del Sistema Solare”, scrivono gli autori del “browser” più famoso e ricco sulla Terra, nella sezione dedicata al “Doodle” di New Horizons. “Una gita interstellare durata più di 9 anni e in cui la sonda spaziale ha percorso 7,5 miliardi chilometri. Le immagini raccolte e inviate a Terra saranno le prime nel loro genere e aiuteranno gli scienziati a farsi un’idea un po’ più chiara di questo lontanissimo pianeta nano. Grazie alle loro scoperte saremo in grado di immaginare la prossima tappa del viaggio dell’Umanità nell’Universo che ci circonda”. All clear! Tutto libero sulla rotta della sonda New Horizons. Dopo sette settimane di attente ricerche per eventuali nugoli o anelli di polvere, piccole lune o altri potenziali rischi che potessero danneggiare la navicella, per la quale, vista la velocità superiore ai 50mila Km orari, una singola particella grande quanto un chicco di riso potrebbe essere letale, il team della sonda Nasa decide che non è necessario deviare la traiettoria già prevista per raggiungere Plutone e le sue lune, da cui la sonda dista soli 15 milioni di Km. “Per la maggior parte di noi, non avere trovato nuove lune o anelli di polvere è stata un po’ una sorpresa dal punto di vista scientifico – dichiara Alan Stern – comunque c’è di buono che non abbiamo dovuto accendere i motori per stare alla larga da potenziali pericoli, ricevendo dalla Nasa il Go alla migliore tra le traiettorie pianificate per l’incontro con Plutone”. Stabilmente avviato verso la sua meta grazie a un’ultima breve accensione dei piccoli propulsori chimici di assetto (che non possono assolutamente essere confusi con veri motori interstellari!), ordinata dal centro di controllo il 28 Giugno, questo proiettile scientifico vivrà il suo Mezzogiorno di Fuoco. Nelle immagini valutate, ottenute con la fotocamera telescopica LORRI, sono visibili Plutone e tutte le sue cinque lune conosciute, ma nessun anello, nessun corpo potenzialmente pericoloso. Se da una parte gli scienziati tirano un sospiro di sollievo, dall’altra rimane una punta di rammarico per non avere scoperto nessuna nuova luna plutoniana. “Pazienza, New Horizons ha già sei meravigliosi oggetti da analizzare in questo incredibile sistema”, osserva John Spencer del Southwest Research Institute, a capo del gruppo di valutazione rischi della New Horizons. Il Sistema di Plutone diventa sempre più chiaro. In nuove immagini, ottenute dalla combinazione di immagini in bianco e nero con altre riprese a colori di più bassa risoluzione, il misterioso pianeta nano mostra di avere due facce piuttosto differenti. Una faccia presenta alcune interessanti macchie scure, del diametro di circa 500 Km, uniformemente distribuite lungo la linea equatoriale. Questi “spot” hanno attirato la curiosità degli scienziati soprattutto a causa della loro apparente regolarità in quanto a dimensioni e spaziatura. “Non abbiamo idea di cosa siano queste macchie. Naturalmente, non vediamo l’ora di scoprirlo – confessa Alan Stern – un altro fatto misterioso è la perdurante e considerevole differenza nei colori e nell’aspetto di Plutone rispetto alla sua più scura e più grigia luna, Caronte”. Le nuove immagini a colori, che raffigurano complessivamente circa la metà della superficie di Plutone, sono molto vicine a ciò che vedrebbero gli occhi di un ipotetico passeggero terrestre a bordo di un’astronave interstellare, alimentata dal Carlo Rubbia Nuclear Warp Engine, come l’Hermes del colossal The Martian. Il naso elettronico del Tricorder scientifico dello stesso passeggero comincerebbe invece a sentire “odore” di Metano, ma solo ed esclusivamente affidandosi a narici tecnologiche degne di Ralph, lo spettrometro infrarosso di cui è equipaggiata la sonda New Horizons. Proprio in quei giorni, infatti, Ralph ha rilevato la presenza di Metano ghiacciato sulla superficie di Plutone. Al contrario di quello terrestre, si tratta di un Metano primordiale, abiotico, proveniente dalla nube attorno al Sole da cui sono emersi i corpi del Sistema Solare, circa 4,56 miliardi di anni fa. “Sapevamo che doveva esserci Metano su Plutone, ma questo è il nostro primo vero rilevamento – spiega Will Grundy del Lowell Observatory di Flagstaff – presto sapremo se ci sono differenze nella presenza di ghiaccio di Metano tra una parte e l’altra di Plutone”. Una delle soddisfazioni maggiori per gli scienziati della New Horizons è sempre quella di vedere l’alba aliena su un altro mondo. O, meglio, la luce solare che filtra attraverso l’atmosfera di Plutone. Serve per determinare la composizione atmosferica del pianeta nano. “È come se dietro Plutone fosse piazzata una lampada da un milione di miliardi di Watt”, rivela Randy Gladstone del Southwest Research Institute. Per prepararsi a questa unica, irripetibile scena madre in controluce, la più romantica e desiderata da scrittori e registi di Fantascienza, gli scienziati responsabili di Alice, lo spettrografo ultravioletto a immagini, a bordo della New Horizons che effettua l’osservazione, hanno puntato il loro strumento verso il remotissimo Sole. Il diagramma ottenuto serve come metro di misura, per studiare quali elementi presenti nell’atmosfera di Plutone si interpongano nel flusso dei fotoni solari. Gli astronomi non hanno mai diminuito il loro interesse per il cugino più distante della Terra e per la sua manciata di lune. Una pubblicazione sulla rivista Nature, frutto di un’analisi completa dei dati ottenuti con il Telescopio Spaziale Hubble, rivela i dettagli dei modelli orbitali e rotazionali di quel nugolo un po’ anomalo costituito da Plutone e dalle sue cinque lune conosciute. Lo studio descrive un sistema dominato da Plutone e dalla sua luna più grande, Caronte, che assieme costituiscono ciò che può essere considerato un pianeta binario, attorno al quale orbitano quattro lune più piccole. Oltre a riportare le tecniche utilizzate per scoprire in anni recentissimi le due lune minori, Kerberos e Styx (Cerbero e Stige), la ricerca fornisce anche una descrizione dettagliata degli strani e imprevedibili stati di rotazione delle due lune un po’ più grandi Nix e Hydra (Notte e Idra) scoperte nel 2005. “Come bravi bambini, le lune generalmente tengono il viso attentamente rivolto sul loro pianeta madre, mostrando, come fa la nostra Luna, sempre lo stesso lato – dichiara Douglas Hamilton, professore di Astronomia all’Università del Maryland e co-autore della ricerca – quello che abbiamo imparato è che le lune di Plutone appaiono piuttosto come adolescenti scontrosi che si rifiutano di seguire le regole”. Il campo gravitazionale, squilibrato e dinamicamente instabile, creato da Plutone e Caronte, costringe le lune più piccole a caracollare in modo imprevedibile. L’effetto è amplificato dal fatto che i satelliti hanno approssimativamente la forma di un pallone da rugby, piuttosto che da calcio. In contrasto con questi moti rotatori apparentemente casuali, le lune seguono un modello sorprendentemente prevedibile mentre orbitano attorno al pianeta binario formato da Plutone e Caronte. Tre di loro (Nix, Styx e Hydra) sono collegate da una risonanza orbitale, esercitando una reciproca e regolare influenza gravitazionale che stabilizza le relative orbite. Il medesimo effetto, denominato Risonanza di Laplace, può essere osservato nelle tre grandi lune gioviane: Io, Europa e Ganimede. “Il rapporto di risonanza tra Nix, Styx e Hydra rende le loro orbite più regolari e prevedibili, impedendo che vadano a sbattere l’una contro l’altra – osserva Hamilton – questo è uno dei motivi per cui il piccolo Plutone è in grado di avere così tante lune”. Lo studio rivela che Kerberos è scura come il carbone, mentre le altre lune sono brillanti come sabbia bianca. “Questo è un risultato molto stimolante”, rileva Mark Showalter dell’Istituto SETI, co-autore della ricerca. Secondo le previsioni degli astronomi, infatti, la polvere creata da impatti meteorici dovrebbe rivestire tutte le lune in modo uniforme, rendendo le loro superfici simili d’aspetto. “Prima delle osservazioni di Hubble, nessuno ha apprezzato a dovere le dinamiche complesse del sistema di Plutone”, dichiara Showalter. I dati del sorvolo ravvicinato della New Horizons aiuteranno a risolvere il mistero della superficie scura di Kerberos, e certamente permetteranno di raffinare la comprensione degli stravaganti modelli orbitali e di rotazione scoperti grazie al Telescopio Spaziale Hubble. Il team della New Horizons sta già usando queste ultime scoperte per ottimizzare l’indagine scientifica. I ricercatori ritengono, infatti, che uno studio più approfondito del caotico sistema Plutone-Caronte è utile per raffigurarsi come si comportino i pianeti intorno a una stella binaria. In effetti, anche se sono stati rintracciati molti pianeti alieni extrasolari nelle vicinanze di stelle binarie, questi sistemi stellari sono comunque troppo lontani per poter dedurre i loro modelli di rotazione con la tecnologia esistente. “Stiamo imparando che il caos può essere una caratteristica comune dei sistemi binari – rivela Hamilton – questo potrebbe anche avere conseguenze per l’eventuale sviluppo della vita su pianeti orbitanti attorno a coppie di stelle”. Dopo la prime istantanee a colori di Plutone e Caronte, il 9 Aprile 2015, già nelle immagini scattate da una distanza di 113 milioni di chilometri si cominciano a intravedere le asperità della superficie ghiacciata di Plutone nel suo inesorabile disverlarsi. Si tratta ancora di macchie, alcune più chiare e altre più scure, ma già sufficienti agli scienziati per lanciarsi in interpretazioni, dopo averle ripulite e abbellite con la tecnica della “deconvoluzione”. Nel team scientifico della New Horizons si scommette se una zona più luminosa possa essere o meno una calotta polare! “Man mano che ci avviciniamo al sistema di Plutone cominciamo a vedere delle caratteristiche interessanti – confessa John Grunsfeld – come una regione brillante vicino al polo visibile di Plutone. Questo segna veramente l’inizio della grande avventura scientifica per capire quest’oggetto celeste enigmatico”. Nelle immagini viene catturato anche Caronte che ruota assieme a Plutone in 6,4 giorni. Il tempo di esposizione di un decimo di secondo, utilizzato per creare ciascuna immagine della sequenza, era troppo corto per rilevare le lune molto più piccole e deboli che non risultano quindi visibili benché siano nel campo di vista. “Dopo aver atteso per nove anni durante i quali la sonda ha attraverso lo spazio – rileva Alan Stern – è ora stupefacente vedere Plutone prendere consistenza sotto i nostri occhi, trasformandosi da mero puntino luminoso fino a diventare una vera e propria terra da esplorare. Queste immagini incredibili sono le prime in cui possiamo cominciare a scorgere dettagli su Plutone e ci stanno già mostrando che ha una superficie complessa”. Le immagini che la sonda spaziale invia a Terra miglioreranno notevolmente man mano che i dati della New Horizons saranno analizzati. “Possiamo solo immaginare quali sorprese ci attendono quando New Horizons passerà a circa 12500 chilometri sopra la superficie di Plutone”, aveva dichiarato Hal Weaver, progettista della missione alla Johns Hopkins University. Il faccia a faccia con Plutone coinvolge decine di milioni di appassionati in tutto il mondo, sempre più coinvolti in questa straordinaria missione ai confini del Sistema Solare, degna del film “Star Trek VI: The Undiscovered Country”. La International Astronomical Union, il SETI Institute e l’Agenzia spaziale statunitense hanno chiesto ad amatori, studenti ed esperti di aiutarli a trovare dei nomi per le nuove terre osservate sul pianeta nano. Le mappe di Plutone verranno realizzate con l’aiuto di tutti i terrestri, ovviamente senza poter vantare diritti di proprietà! La scadenza del “contest” era prevista per il 7 Aprile, ma la Nasa ha deciso di concedere qualche giorno in più, vista l’enorme risposta del pubblico: oltre 40mila proposte. La “deadline” è stata così spostata al 24 Aprile. La compilazione è in corso. Su Plutone troviamo anche il Simonelli Crater. “Visto il crescente interesse e il numero di partecipanti, era chiaro che ci serviva estendere la data del contest – dichiara Jim Green, direttore della Planetary Science Division della Nasa – questa campagna non solo rivela l’interesse del pubblico sulla missione, ma aiuta i ricercatori, i quali non avranno tempo di trovare dei nomi proprio durante i giorni del flyby”. Avere una libreria già pronta di nomi, presentata ufficialmente alla IAU, è di grande aiuto. È proprio l’Unione Astronomica Internazionale che si occupa di assegnare ufficialmente i nomi convenzionali ai diversi corpi celesti del “nostro” Universo, man mano che vengono scoperti, senza alcuna offesa o pretesa nei confronti di altre Civiltà Extraterrestri. Il tutto segue un complesso dedalo di regole e linee guida. Il team della sonda New Horizons vaglia la lista di nomi da raccomandare alla IAU che dovrà esprimersi ufficialmente per confermare le mappe di Plutone. La campagna per la nomenclatura era aperta a tutti. Il pubblico decide della costruenda cartografia plutoniana: sul sito http://ourpluto.seti.org (dove vengono pubblicati i nomi ufficiali) era possibile esercitare il proprio diritto voto, sulla base di un elenco proposto a cui, tuttavia, era possibile fare aggiunte ad hoc, nel rispetto dei criteri di nomenclatura internazionali che contemplano mitologia, letteratura e storia dell’esplorazione spaziale. C’era da rispolverare tutta la mitologia classica del mondo sommerso, abitata da dei, dee, eroi, esploratori. C’erano i nomi dei letterati associati a Plutone e alla Fascia di Kuiper. E valevano anche i nomi di scienziati e ingegneri. Per Caronte e le lune di Plutone l’anagrafe dei nomi si allarga a destinazioni e mete spaziali più e meno immaginarie dei romanzi di Fantascienza, ai racconti di esplorazione della mitologia, alle divinità notturne. A Kerberos, com’è naturale, è associato tutto il mondo canino: valevano tutti i migliori amici dell’uomo reperibili in letteratura, mitologia e storia. Per Hydra, erano più appropriati i serpenti e i draghi leggendari. C’era anche il capitolo delle missioni spaziali: qui la scelta ricadeva su autori, artisti, registi ed esploratori di terra, aria e mare. La International Astronomical Union avrà sempre l’ultima parola sulla classifica generale. Quando la sonda della Nasa aveva già percorso oltre 4,7 miliardi di chilometri, incontrando nel frattempo molti pianeti del nostro Sistema, da Marte a Nettuno, la New Horizons inizia a raccogliere immagini grazie al Long-Range Reconnaissance Imager.  La missione è unica nel suo genere perché gli scienziati potranno analizzare per la prima volta dati sulla polvere plutoniana così come gli effetti dei venti solari su zone così remote del nostro Sistema Solare ed effettuare misurazioni e osservazioni sull’ambiente circostante il pianeta nano. Plutone è a circa 39 Unità Astronomiche dalla Terra, il 14 Luglio 2015. Non proprio a un tiro di schioppo per centrare l’orbita del pianeta più affascinante e inesplorato di sempre. Non c’è pace oltre Nettuno! Nel senso che la regione più esterna del Sistema Solare è sempre più al centro dell’attenzione degli astronomi. Merito di questa spinta è l’impresa storica della New Horizons. Ma c’è anche l’oggettiva difficoltà di avere osservazioni estese e profonde degli oggetti che popolano la Fascia transnettuniana: sono i bizzarri comportamenti dinamici di alcuni di essi a stuzzicare l’interesse e la fantasia degli addetti ai lavori che esplorano tutte le vie possibili per spiegarli. Lo studio proposto dai fratelli Carlos e Raul de la Fuente Marcos, ricercatori all’Università Complutense di Madrid (Spagna) e da Sverre Aarseth dell’Università di Cambridge (Regno Unito) sembra suggerire che oltre l’orbita di Plutone potrebbe esserci più di un corpo celeste molto massiccio, di taglia comparabile a un pianeta, in grado di modellare in modo del tutto peculiare le orbite di alcuni oggetti transnettuniani. Tanto da spingere gli astronomi a classificarli come “estremi”. La lettera maiuscola “E” di ETNO sta proprio per “Extreme”, mentre TNO è la sigla di “Trans Neptunian Object”. La popolazione di questi corpi celesti oggi conosciuti è ancora limitata a una dozzina di componenti che si trovano ad orbitare a distanze dal Sole comprese tra 150 e 525 Unità Astronomiche. Una U.A. è la distanza media Terra-Sole, pari a circa 150 milioni di Km. “Questi oggetti che possiedono parametri orbitali inattesi ci fanno credere che alcune forze invisibili stiano modificando le traiettorie degli ETNO e riteniamo che la spiegazione più plausibile sia dovuta all’esistenza di altri pianeti sconosciuti oltre l’orbita di Plutone – spiega Carlos de la Fuente Marcos – non sappiamo con certezza il loro numero, poiché i dati che abbiamo utilizzato sono limitati, ma i nostri calcoli suggeriscono che devono esserci almeno due pianeti, forse più, verso i confini del nostro Sistema Solare”. Una tesi alquanto forte. I ricercatori sono giunti a queste conclusioni grazie a simulazioni al calcolatore che hanno ricostruito i parametri orbitali di alcuni ETNO contemplando gli effetti del fenomeno noto come “meccanismo di Kozai”. Questo processo descrive le perturbazioni gravitazionali che un oggetto celeste di grande massa esercita sull’orbita di un altro molto più piccolo e lontano, come nel caso della perturbazione dell’orbita della cometa 66P/Machholz1 prodotta da Giove. Riuscirà la New Horizons a svelare il mistero? Sono gli stessi autori dello studio pubblicato sulla rivista “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society”, ad essere cauti rispetto ai risultati proposti. In effetti, l’esistenza di questi perturbatori di taglia planetaria cozza infatti pesantemente contro le predizioni dei modelli di formazione del Sistema Solare, che indicano come non dovrebbero trovarsi pianeti in orbite circolari oltre Nettuno. Il numero dei 13 oggetti analizzati è ancora troppo limitato per poter trarre conclusioni definitive sul controverso argomento.  Insomma, dovremo aspettare nuove e approfondite indagini per capire se il classico sasso “provocatore” lanciato nello stagno gravitazionale del Sistema Solare da questa ricerca, si rivelerà o meno una ghiotta opportunità per la sonda New Horizons, ormai sempre più lontana da Plutone, lanciata verso nuovi oscuri affascinanti mondi alieni. L’ex nono protagonista del Sistema Solare nel frattempo sta sfornando una novità dietro l’altra. Non ultima in ordine di tempo, scoperta grazie alla rinnovata strumentazione del Telescopio Spaziale Hubble, è la probabile presenza di molecole organiche complesse sulla sua superficie: per la precisione, idrocarburi e composti a base d’Azoto, i Nitrili, evidentemente creati vicini al Sole e poi sparati così lontano per congelare. A svelarle è un eccesso anomalo nell’assorbimento della luce ultravioletta, registrato da Hubble grazie allo spettrografo Cosmic Origins. Da tempo gli astronomi erano a conoscenza che, sulla superficie di Plutone, sono presenti  ghiacci di Metano, monossido di Carbonio e Azoto. I composti chimici individuati e confermati potrebbero essere stati prodotti dall’interazione fra questi ghiacci, la luce solare e i raggi cosmici responsabili anche della naturale colorazione rossa di Plutone dove la ruggine di Marte è impossibile. A emozionare gli autori della scoperta, guidati da Alan Stern, è la possibilità che queste molecole siano almeno in parte responsabili del comportamento camaleontico di Plutone. Le osservazioni mostrano infatti che il pianeta nano sta cambiando colore. Negli ultimi decenni tende sempre più al rosso come dimostrato dalla New Horizons. Un mondo remoto dove il ciclo delle stagioni dura 248 anni. Un mondo dai colori pastellati e cangianti: dal bianco di quella che sembra essere una distesa ghiacciata di monossido di Carbonio, all’arancione scuro e al nero del Metano che reagisce all’irradiazione ultravioletta del Sole. Sarà anche  “nano”, come stabilito nel 2006 l’Unione Astronomica Internazionale, ma Plutone, anche se ora si fa chiamare “pianetino”, non è come gli altri corpi celesti di piccole dimensioni ammassati al di là dell’orbita di Nettuno. È l’unico ad avere un’atmosfera. E non parliamo di un sottile strato d’atmosfera, ma di una colonna di gas che s’innalza per più di tremila chilometri. Una coltre tossica asfissiante. Lo conferma la New Horizons e ce lo annunciava una ricerca internazionale durata vent’anni, guidata da Jane Greaves della University of St. Andrews per la “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society”. Le osservazioni effettuate con il James Clerck Maxwell Telescope delle Hawaii, restituiscono un’immagine diversa di questo mondo remote. Il muro di atmosfera che sovrasta Plutone s’innalza oltre il doppio rispetto alle stime fatte da un altro gruppo di ricerca (nel 2000) utilizzando il telescopio IRAM. In più, si è scoperto che l’atmosfera, composta prevalentemente di Azoto, è impregnata anche di monossido di Carbonio, oltre che di Metano, l’altro gas che si sapeva già aleggiare sopra il pianeta nano.  “I cambiamenti nell’ultimo decennio sono sorprendenti – dichiara Jane Greaves – pensiamo che le dimensioni dell’atmosfera e l’abbondanza del monossido di Carbonio siano cresciute”. Probabilmente la gelida cappa di gas che avvolge Plutone (meno 220 gradi Celsius) è dovuta all’evaporazione della sua superficie ghiacciata nel più recente passaggio ravvicinato intorno al Sole. Su Plutone era l’Estate del 1989, l’ultimo Ferragosto che si ricordi in questo mondo. Man mano che Plutone procede lungo la sua orbita fortemente eccentrica, le rigide temperature scendono e l’atmosfera, probabilmente la più fragile del Sistema Solare, cambia, con gli strati più alti che si dissolvono nello spazio cosmico. A differenza dell’Anidride Carbonica (il Biossido di Carbonio) che sulla Terra è un gas ad effetto serra, il monossido di Carbonio agisce come un gas di raffreddamento. Al contrario, il Metano assorbe la luce solare e produce riscaldamento atmosferico come sulla Terra. L’equilibrio tra questi due gas è quindi cruciale per la sorte dell’atmosfera stessa di Plutone nell’evolversi delle lunghe stagioni. La scoperta di monossido di Carbonio potrebbe essere la chiave per rallentare la perdita dell’atmosfera, ma se l’effetto del raffreddamento dovesse essere troppo forte, rischierebbe di provocare nevicate di Azoto e tutti i gas ghiaccerebbero, cadendo al suolo. Insomma, Plutone sembra caratterizzato da cambiamenti climatici extraterrestri degni di nota. Altro che pianeta “nano”! Chissà come andrà su Plutone quando vi sbarcherà l’Uomo in carne e ossa. Per il momento ad aggiungere un tocco di umanità alla macchina New Horizons c’è un piccolo contenitore con una spolveratina delle ceneri di Clyde Tombaugh. È stato il primo umano a vedere Plutone e sarà sicuramente l’unico a passarci vicino se non riusciremo a liberalizzare la industria e la impresa spaziale privata, decretando il definitive trionfo della Cultura scientifica sulla Terra. Per la sopravvivenza del genere umano e della Terra, l’iniziativa spaziale privata è decisiva nella conquista del Cosmo come insegna il colossal “The Martian” di Ridley Scott.

© Nicola Facciolini

2 risposte a “La Rivoluzione della New Horizons su Plutone dal Cuore di Azoto Acqua e Metano”

  1. […] La Rivoluzione della New Horizons su Plutone dal Cuore di Azoto Acqua e Metano sembra essere il primo su L’Impronta […]

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