Un torbido mare di confusione e terrore

Tra le parole ed i fatti c’è un mare di mezzo, un mare simbolico di alleanze solo dichiarate ed ancora incerte ed un mare vero dove, ancora adesso, migliaia di profughi cercano una speranza in condizioni sempre più estreme e disperate. La tragedia di Parigi ci conferma che un continuo lavoro di intelligence non dovrebbe […]

Tra le parole ed i fatti c’è un mare di mezzo, un mare simbolico di alleanze solo dichiarate ed ancora incerte ed un mare vero dove, ancora adesso, migliaia di profughi cercano una speranza in condizioni sempre più estreme e disperate.

La tragedia di Parigi ci conferma che un continuo lavoro di intelligence non dovrebbe riguardare esclusivamente le necessarie misure antiterroristiche e per la sicurezza, ma andrebbe rivolto ad un continuo esercizio di intelligenza collettiva, che connetta l’impegno delle Istituzioni con l’impegno dell’associazionismo nelle sue varie forme.

Mentre i continui raid aerei della coalizione a guida Stati Uniti, a cui ora partecipa anche la Russia, non hanno neanche scalfito ciò che oggi chiamiamo Daesh, che continua a  presidiare il suo regno del terrore ed ordire attentati in tutto il mondo, vediamo anche che non basta che sul campo siano schierati curdi, esercito iracheno, pasdaran iraniani e i Hezbollah libanesi, perchè i loro i interessi sono divergenti e spesso conflittuali.

E’ inutile, giunti a questo punto, ricordare che è stato un errore estromettere i sunniti da ogni carica in Iraq, come un errore è stato l’intervento in Libia.

Su questi errori va riflettuto, ma, per ora, ciò che è importante è trovare alleanze certe ed ampie per dare una risposta ad un nemico che rappresenta un problema per tutti.

Bisogna coinvolgere in un impegno fermo, in primis i Paesi del golfo persico ricchi di petrolio e di petrodollari ed altrettanto certamente chiedere alla Turchia un atteggiamento più chiaro e diretto e alla Siria, non solo di promettere per il futuro, ma di fare a meno da subito di Assad e della sua politica.

E’ dal 7 gennaio scorso e dall’attentato, troppo presto dimenticato, a Charlie Hebdo, che l’Isis sta spargendo il terrore ovunque, mentre Europa, Nato ed Onu sono ancora a discutere su strategie da adottare.

La più in difficoltà è certamente l’Europa, perché se la crisi economica ha dimostrato che l’unità monetaria è soltanto una bufala, la crisi della sicurezza determinata dall’attacco a Parigi sta dimostrando che anche l’unione delle frontiere è una altrettanto, solenne, presa in giro.

Il risultato è paradossale: l’unica unione europea che esiste davvero è quella del terrore. A questo punto, come ha detto benissimo Jacques Sapir, intellettuale di sinistra , o si ha la forza di creare subito un’Europa federale, come gli Stati Uniti, con tutti i poteri al centro, oppure è meglio ritornare immediatamente indietro, riaffidando interamente le responsabilità della sicurezza agli Stati nazionali.

Sono d’accordo, con il ministro degli esteri Gentiloni che su Famiglia Cristiana ha dichiarato , che, in primo luogo, anche se come Paesi occidentali possiamo difenderci alzando i livelli di sicurezza e possiamo contrastare il terrorismo con coalizioni politico-militari; dobbiamo sapere che il suo sradicamento, nel medio periodo, dipende dall’isolamento e, quindi, dalla battaglia religiosa e culturale che, nei confronti del fondamentalismo terrorista, devono condurre e conducono le stesse comunità islamiche.

Occorre smetterla con trasmissioni radiofoniche e televisive e con interventi sui giornali che tendono a indurre nell’opinione pubblica l’idea che i musulmani siano terroristi, perché, in verità, l’islam è ostaggio dei terroristi ed abbiamo bisogno che la grande maggioranza della comunità politica e religiosa che fa riferimento all’islam, e che è il primo bersaglio dei terroristi, prosciughi il mare dove il terrorismo nuota.

Infatti, la caratteristica forse principale dell’attuale minaccia terroristica, è la persecuzione delle minoranze religiose in genere, con modalità diverse in Iraq, Pakistan, Africa e non è certo un caso che la prima uscita del Daesh in Libia sia stata la strage di cittadini egiziani di religione copta.

Il terrore vince se crea diffidenza, divisione, insicurezza e paura.  Ciò che va censurato è il promuovere nell’opinione pubblica una identificazione tra il terrorismo e migranti che fanno migliaia e migliaia di chilometri per sfuggire a situazioni di disperazione, di fame e di guerra.

Certo, abbiamo anche il rischio di utilizzo dei proventi di questo traffico a fini terroristici, ma la confusione tra terroristi e migranti è, nella migliore delle ipotesi, cattiva propaganda che aiuta l’Isis nella sua politica di destabilizzazione attraverso il terrore.

Carlo Di Stanislao

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