Caduta massi e frane: Adis, occorrono controlli su interventi

“Le continue notizie di cadute massi e frane di versante riportano di forte attualita’ il problema del dissesto idrogeologico e con esso la carenza degli interventi. E ci chiediamo soprattutto: come vengono eseguiti gli interventi di messa in sicurezza?”. Inizia cosi’ una nota di Carlo Frutti, presidente dell’Adsi, associazione nazionale difesa del suolo. “Nella caduta […]

“Le continue notizie di cadute massi e frane di versante riportano di forte attualita’ il problema del dissesto idrogeologico e con esso la carenza degli interventi. E ci chiediamo soprattutto: come vengono eseguiti gli interventi di messa in sicurezza?”. Inizia cosi’ una nota di Carlo Frutti, presidente dell’Adsi, associazione nazionale difesa del suolo. “Nella caduta massi, come per le frane, vanno esperite una serie di indagini e di studi preliminari del pendio a rischio prima di stabilire la tecnologia da adottare (barriere paramassi, reti, sistemi di difesa attivi e passivi, chiodature,…); in particolare – dice Frutti – riteniamo fondamentali studi di dettaglio: dal rilievo topografico, anche con l’uso di laser scanner, alla caratterizzazione fisico-meccanica delle rocce e dei terreni, lo stato di degrado, dallo studio dell’interazione masso-terreno-versante alla definizione delle traiettorie ed aree di distacco con conseguente stima delle energie potenziali; una analisi completa che serva a determinare le condizioni per ridurre al massimo il rischio (nessuno e’ in grado di dare garanzie assolute). Questo avviene, in particolar modo, (ma nella caduta massi e’ la generalita’ delle volte) quando si interviene con ‘somma urgenza’ sull’onda dell’emozione di un incidente, una caduta massi, o per giustificare finanziamenti a pioggia. Mentre una giusta ‘campagna’ di prevenzione, che ricordiamo costa generalmente alla collettivita’ 1/10 delle somme spese nell’emergenza, potrebbe essere realizzata in tempi giusti e con procedure di gara ‘normali’ e trasparenti”.

L’Adis sottolinea Nasce “l’esigenza del controllo, a volte carente e la necessita’ di monitorare le opere realizzate per verificarne l’efficacia nel tempo. Spesso il tecnico, incaricato della direzione lavori e/o del collaudo, non e’ in grado di ‘arrampicarsi’ su un pendio o ‘scalare’ una parete con tecniche alpinistiche (la maggior parte dei lavori e’ eseguito da imprese di rocciatori) e non puo’ certificare con assoluta precisione la qualita’ di un lavoro, dalla lunghezza degli ancoraggi e delle fondazioni alla perfetta posa del manufatto, e per questo, magari, si ‘confida’ sulla affidabilita’ dell’impresa e su quanto riferito dagli operatori, o affidandosi a un controllo col ‘binocolo’ (avviene anche questo). Siamo certi, o almeno speriamo, che queste siano eccezioni e non la generalita’ delle situazioni, ma il rischio di vite umane in gioco e’ altissimo . Ci chiediamo, pero’, se gli interventi realizzati fino ad oggi sono in grado di garantire la sicurezza delle strade, delle aree sulle quali sono stati investiti, solo in Abruzzo e negli ultimi dieci anni, centinaia di milioni di euro. Proponiamo – suggerisce Frutti – che si dia corso ad un monitoraggio completo (lo prevede anche la legge) e dettagliato delle opere di messa in sicurezza, almeno di quelle realizzate negli ultimi 10 anni, dalle barriere paramassi alle reti, dai pannelli in fune alle gabbionate, ai sistemi drenanti, verificando la rispondenza tra progetto ed esecuzione (qualita’ e quantita’ dei manufatti), la qualita’ dei materiali, la completezza dei progetti soprattutto per quanto attiene alle indagini, il rispetto delle alle normative vigenti, la reale efficacia anche alla luce delle nuove conoscenze e tecnologie. La spesa non sarebbe eccessiva e i risultati servirebbero sia a “tranquillizzare” i cittadini sulla reale sicurezza del territorio che a dare utili indicazioni per i futuri interventi. Puo’ anche questa essere intesa come una forma di ‘prevenzione’. Grave sarebbe dover registrare che un intervento costato magari centinaia di miglia di euro e’ stato inadeguato e soprattutto non in grado di salvare vite umane”, conclue il presidente dell’Adis.

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