Due morti ed un arrivo

E’ morto a Roma all’età di 68 anni il poeta Valentino Zeichen, che appena diciottenne, influenzato dai grandi del surrealismo, pubblica poesie fra le più significative del ‘900. Ad aprile, dopo essere stato colpito da un ictus, era stato al centro di una mobilitazione di amici, intellettuali e politici, che chiedevano che gli fosse attribuita […]

E’ morto a Roma all’età di 68 anni il poeta Valentino Zeichen, che appena diciottenne, influenzato dai grandi del surrealismo, pubblica poesie fra le più significative del ‘900.

Ad aprile, dopo essere stato colpito da un ictus, era stato al centro di una mobilitazione di amici, intellettuali e politici, che chiedevano che gli fosse attribuita la pensione prevista dalla legge Bacchelli per cittadini illustri in difficoltà economiche. Nonostante Zeichen non lo volesse, a maggio era arrivato il benestare dal consiglio dei ministri per il vitalizio. Ma lui, fino alla malattia (un ictus), aveva continuato a vivere nella sua casa-baracca di Borghetto Flaminio in riva al Tevere.

Nato a Fiume, orfano di madre, a soli sette anni, alla fine della seconda guerra mondiale, quando la città diventa jugoslava, arriva con la famiglia nella penisola assieme ai tanti profughi istriani di origine italiana. Prima Parma, poi approda a Roma, dove il padre fa il giardiniere a Villa Borghese.

Il suo primo libro di versi, pubblicato nel 1974, si intitola Area di rigore ed il suo ultimo romanzo, un affresco in prosa della Capitale, si intitola La sumera, pubblicato da Fazi nel 2015, la rappresentazione di quella nobile lotta in cui: i critici d’arte si mostrano pronti a lodare o a rinnegare uno stile pur di accedere al buffet; brillanti altamente carati si ungono del burro di romanissime tartine afferrate tra le dita; le scarpe tentano di seminare i chewing gum che le tallonano e le famigliole cattive di benpensanti ridono degli alienati mentali.
Ad alcuni è sembrato un apax di anni lontani, ma è invece la disperata nostalgia di un fantasma che insegue una onestà ed una purezza ormai perdute per sempre.

Nello stesso giorno è morto un altro grande poeta, che si è espresso con altro mezzo: le immagini, Abbas Kiarostami, regista iraniano carico di levità e potenza, attaccato alla vita con un continuo, commosso sguardo sui bambini, illustratore di un’idea di morte incombente rimandata di continuo.

Kiarostami di anni ne aveva 76 ed era considerato un “mistico moderno” (la definizione è di Godard) un’icona europea e mondiale di quel cinema d’essai, velatamente progressista, screziato di un neorealismo necessario e dovuto, che nel suo caso riguardo la propria terra iraniana, colta nel succedersi dei regimi degli ayatollah post rivoluzione del 1979.
Occhio da fine documentarista ma mai da moralizzatore o accusatore, Kiarostami nella sua carriera durata quasi 40 anni, ha voluto estremizzare l’uso della metafora per poter produrre il suo cinema all’interno del draconiano Iran.
Palma D’Oro a Cannes nel 1997 con Il sapore della cigliegia, Kiarostami è stato amato da tanti (Godard, Moretti, Scorsese) e odiato da altrettanti; eppure non si è mai stancato di seguire la sua visione autoriale e il suo essere universalmente artista.

Oggi, in due parti diverse del mondo, se ne sono andati due poeti, accumunati dalla capacità di scavare la distanza e la profondità delle piccole, grandi cose, con la comune scelta, visiva o lessicale, di una sorta di distanziamento dove l’azione si compie fissa e lontana, come se si stesse osservando un formicaio di anime.

L’arrivo, invece, di cui vogliamo parlare è gioioso, avvenuto anch’esso oggi, dopo 5 anni di un lunghissimo viaggio.
L’impresa l’ha compiuta la sonda Juno, con una manovra perfetta ed una frenata da brividi durata 35 minuti, che ha ridotto a sufficienza la strabiliante velocità di 200mila chilometri orari per agganciarsi all’orbita di Giove e iniziare così la parte più importante della missione: decifrare il nucleo formativo del re del sistema solare e capire, alla fine, come tale sistema si è formato.

Intorno a Giove orbitano quattro grandi lune e molti satelliti più piccoli, formando un proprio sistema solare in miniatura. Effettivamente, per la sua composizione assomiglia ad una stella, e se fosse stato circa 80 volte più massiccio, lo sarebbe diventato. Per questo è spesso considerato una “stella fallita”.
Come dicevamo, la motivazione principale per la missione Juno è quella di migliorare la nostra comprensione della storia del nostro Sistema Solare.

Giove, infatti, é il primo dei pianeti a essersi formato intorno al nostro Sole perché contiene molti degli stessi gas leggeri di cui la nostra stella è fatta.
Dopo i primi milioni di anni della vita del Sole, si generò un intenso vento solare che spazzò via la maggior parte dei gas leggeri rimanenti dal vivaio stellare originale.

Poiché Giove è composto principalmente da idrogeno ed elio, deve essersi formato mentre c’erano ancora molti di quei gas leggeri intorno, ossia quando il sistema solare era giovane.
Dal momento che Giove è principalmente fatto dello stesso materiale della nebulosa solare originaria, il gigante gassoso potrebbe contenere indizi sulla storia remota del sistema solare.
Abbiamo accostato questi tre avvenimenti perché ci sono parsi egualmente poetici ed emblematici e non causalmente legati solo cronologicamente perché avvenuti il 5 luglio.
Juno, in effetti, non solo il frutto della tecnologia (per altro, lo diciamo con orgoglio, anche italiana), ma soprattutto di quella voglia di esplorare e sognare che Zeichen e Kiorostami hanno espresso in modo diverso nei loro lavori.

Carlo Di Stanislao

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