Terremoto, Coldiretti: “Dopo un anno -20% lenticchie e -15% ciauscolo”

Nelle aree colpite dal terremoto crolla del 15% il raccolto di grano per effetto congiunto delle condizioni climatiche e della riduzione dei terreni seminati dopo le scosse mentre la produzione di latte e’ calata addirittura del 20% anche per stress, decessi e chiusura delle stalle crollate. E’ quanto stima la Coldiretti nel fare un bilancio […]

Nelle aree colpite dal terremoto crolla del 15% il raccolto di grano per effetto congiunto delle condizioni climatiche e della riduzione dei terreni seminati dopo le scosse mentre la produzione di latte e’ calata addirittura del 20% anche per stress, decessi e chiusura delle stalle crollate. E’ quanto stima la Coldiretti nel fare un bilancio della situazione nelle campagne a distanza di un anno dalla prime scosse. Le difficolta’- sottolinea la Coldiretti- non ha pero’ scoraggiato agricoltori e allevatori i quali, al prezzo di mille difficolta’ e sacrifici, non hanno abbandonato il territorio ferito e sono riusciti a garantire la produzione della maggior parte delle tipicita’ delle zone terremotate. Il caldo e la siccita’ hanno tagliato del 20% la produzione della lenticchia di Castelluccio seminata dopo le scosse che, salvata dalle difficolta’ provocate dal terremoto, ha dovuto fare i conti con le bizzarrie del clima secondo la Coldiretti che stima, tuttavia, una produzione di ottima qualita’ per un totale stimato in circa 3.000 quintali. E sulle tavole rimane anche il ciauscolo, il caratteristico salame spalmabile marchigiano, seppur con un calo di produzione stimato nel 15%, a causa del crollo dei laboratori di trasformazione. Lo stesso discorso vale per il pecorino dei Sibillini, per il quale le quantita’ sono ridotte del 10-15% a causa soprattutto della diminuzione nella produzione di latte determinata dallo stress al quale sono stati sottoposti gli animali rimasti per lunghi mesi all’aperto. Ma non mancano all’appello neppure altre specialita’, come la patata rossa di Colfiorito, lo zafferano, il tartufo, il prosciutto di Norcia Igp o la cicerchia.
 

Sono 292mila ettari i terreni agricoli coltivati nei 131 comuni terremotati di Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo, soprattutto a seminativi e prati e pascoli, da imprese per la quasi totalita’ a gestione familiare (96,5%), secondo le elaborazioni Coldiretti sull’ultimo censimento Istat. Quasi la meta’ del terreno agricolo per un totale di circa 140mila ettari e’ coltivato – precisa la Coldiretti – a seminativi, dal grano duro per la pasta all’orzo per la birra artigianale, dal farro all’avena, dai girasoli alle lenticchie e agli altri legumi. Significativa la presenza di allevamenti con quasi 65 mila bovini, 40mila pecore e oltre 11mila maiali dai quali scaturisce anche un fiorente indotto agroindustriale con caseifici, salumifici e frantoi che garantiscono specialita’ di pregio famose in tutto il mondo. Il crollo di stalle, fienili, caseifici e la strage di animali hanno limitato l’attivita’ produttiva nelle campagne, ma a pesare sono anche le difficolta’ di mercato. L’abbandono forzato delle popolazioni, trasferite sulla costa, e la fuga dei turisti – spiega la Coldiretti – hanno fatto venir meno la clientela, mettendo in grave difficolta’ le aziende agricole che non hanno piu’ un mercato locale per i propri prodotti. Un aiuto determinante per la commercializzazione – continua la Coldiretti – e’ garantito dalla piu’ grande rete di vendita diretta dell’Unione Europea realizzata dagli agricoltori di Campagna Amica che ospita nei mercati, dalla Capitale a tutta la Penisola, i prodotti degli agricoltori terremotati rimasti senza possibilita’ di vendita, garantendo l’originalita’ dell’offerta e il rapporto diretto tra produttore e consumatore. Occorre accelerare nel completamento delle strutture provvisorie necessarie alla sopravvivenza delle aziende e al ritorno della popolazione per ricostruire le comunita’ locali”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare l’esigenza che “la ricostruzione vada di pari passo con la ripresa dell’economia che in queste zone significa soprattutto cibo e turismo”.

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