MO. Mezzaluna rossa palestinese: “In 18 anni uccisi 200 operatori”

Ben 84 membri di Mezzaluna rossa palestinese tra staff e volontari sono stati feriti da marzo 2018, mentre 54 sono le ambulanze distrutte. Questi i dati diffusi da Yunis Kathib, presidente Mezzaluna Rossa palestinese, relativi agli scontri avvenuti durante la Marcia del ritorno, la protesta che i civili palestinesi inscenano alla frontiera tra Striscia di […]

Ben 84 membri di Mezzaluna rossa palestinese tra staff e volontari sono stati feriti da marzo 2018, mentre 54 sono le ambulanze distrutte. Questi i dati diffusi da Yunis Kathib, presidente Mezzaluna Rossa palestinese, relativi agli scontri avvenuti durante la Marcia del ritorno, la protesta che i civili palestinesi inscenano alla frontiera tra Striscia di Gaza e Israele ogni venerdi’ dal marzo 2018. Oltre 200 invece gli operatori rimasti uccisi dal 2000 ad oggi nei Territori palestinesi. I numeri sono stati diffusi nel corso di un convegno a Roma, per rilanciare a livello italiano la campagna di sensibilizzazione ‘Non sono un bersaglio’ sul tema degli attacchi al personale sanitario, in crescita sia in Italia che a livello internazionale. Khatib non ha snocciolato solo numeri, ma ricordato anche storie e incidenti avvenuti nei pressi della barriera di separazione tra l’enclave palestinese e Israele, dove l’esercito e’ stato accusato da piu’ parti di sparare anche contro manifestanti pacifici, giornalisti e operatori. Ha raccontato il presidente: “Uno dei medici della Mezzaluna rossa mi ha raccontato: ‘Prima di andare, mi prendo un momento con la mia famiglia per parlare, ridere, stare insieme. Perche’ so che potrei non tornare. Tuttavia credo nella nobilta’ della missione umanitaria che compiamo’. Un altro invece si e’ arrabbiato: ‘Ci avete ingannato’, mi ha detto. Perche’ anche chi indossa le pettorine con i simboli ben riconoscibili di Mezzaluna rossa viene comunque colpito dalle forze di sicurezza israeliane”.

Els Debuf, vicecapo di delegazione del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), responsabile della delegazione regionale a Parigi, ha aggiunto: “Sappiamo come risolvere il problema, il punto e’ il gap tra cio’ che vediamo accadere sul campo e il reale impegno delle parti in gioco”. Debuf ha denunciato anche un altro fenomeno: “Cresce l’idea che il bombardamento degli ospedali sia una conseguenza della guerra, un effetto collaterale, ma non puo’ essere cosi’, e’ vietato dalle convenzioni internazionali e dal diritto umanitario”. Sempre piu’ spesso, inoltre, si osservano restrizioni alla possibilita’ di movimento delle popolazioni o del personale umanitario, cruciale nei contesti di conflitto, cosi’ come il blocco all’accesso di cibo, acqua potabile o medicine, fatti che rendono insopportabile la vita dei civili intrappolati dalla guerra. Questa situazione impedisce ai feriti di ricevere cure e alimenta altri problemi, tra cui le epidemie. Un esempio: l’ondata di colera che si e’ registrata in Yemen nel 2018. Anche questo Paese dal 2015 e’ diventato tristemente noto per gli attacchi a ospedali, ambulanze, medici e infermiere. Tre le vittime registrate tra gli operatori della Mezzaluna yemenita, ha detto Raquel Codesido, delegata medico del Cicr in Yemen. “Il 75 per cento della popolazione ha bisogno di aiuti umanitari” ha sottolineato la responsabile. “Sono circa 2,9 milioni i bambini malnutriti. Quasi 3 milioni gli sfollati interni”. Senza contare che, secondo Codesido, il diffuso e perdurante senso di insicurezza “scoraggia le persone dal recarsi negli ospedali, perche’ temono che saranno bombardati”. Proprio cio’ che e’ accaduto in sei degli 11 centri sanitari con cui la Mezzaluna yemenita collabora.

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