Coronavirus. Kawasaki, l’esperto: “In occidente sindrome attuale atipica”

La sindrome di Kawasaki e’ “sempre stata un piccolo mistero” e va chiarito che quella “segnalata a Bergamo o piu’ recentemente, e con maggiore evidenza, in Gran Bretagna, e’ una forma atipica” che potremo definire ‘Covid-Kawasaki’. “La sindrome tipica difatti colpisce essenzialmente i bambini attorno a un anno e mezzo, due anni. È raro che […]

La sindrome di Kawasaki e’ “sempre stata un piccolo mistero” e va chiarito che quella “segnalata a Bergamo o piu’ recentemente, e con maggiore evidenza, in Gran Bretagna, e’ una forma atipica” che potremo definire ‘Covid-Kawasaki’. “La sindrome tipica difatti colpisce essenzialmente i bambini attorno a un anno e mezzo, due anni. È raro che ci siano forme in bambini piu’ grandi, adolescenti o addirittura adulti”. Ultimamente, invece, “sono stati segnalati casi anche negli adolescenti e questo dimostra che la situazione attuale va studiata piu’ a fondo: sia per meglio comprendere i bambini che presantono il problema, sia per meglio comprendere quello che e’ stato definito il ‘Mistero Kawasaki'”. A suggerirlo e’ Ernesto Burgio, pediatra membro del comitato scientifico dell’Istituto europeo di ricerca su cancro e ambiente (Eceri), e attualmente parte del gruppo di specialisti per la Covid-19 nella Societa’ italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps), intervistato dalla Dire. La connessione tra Covid-19 equesta sindrome sicuramente “e’ interessante, e il collegamento e’ corretto”. Del resto gia’ in passato, poco dopo l’epidemia di SARS, “i Coronavirus sono stati ipotizzati tra i possibili agenti ‘trigger’ della Kawasaki. Ma si era parlato anche di super-antigeni stafilo o streptococcici e persino di spore fungine aereo-trasportate dalla Cina al Giappone”. Insomma, “il Sars-Cov-2 potrebbe anche aiutarci a capire qualcosa in piu’ della Kawasaki, perche’ evidentemente se un nuovo virus puo’ innescarla vuol dire che non e’ sempre lo stesso agente a causarla”. La sindrome di Kawasaki e’ stata “scoperta e descritta per la prima volta nel 1967 da un medico giapponese, Tomisaku Kawasaki che ha anche riconosciuto i sintomi piu’ gravi, quelli cardiaci”. Cio’ che sappiamo e’ che prima di quella data “non figurano in nessuna cartella medica del mondo- spiega Burgio- casi simili”. Da cio’ si comprese che “la Kawasaki non esisteva prima degli Anni 60, e questo fece subito ipotizzare che alla sua origine vi fossero appunto un nuovo agente virale o un fattore ambientale specifico che prima non c’era”. La sindrome di Kawasaki, inoltre, registra “notevoli differenze epidemiologiche tra Occidente e Oriente”: in Europa e in Italia “vengono colpiti in media 14-15 bambini su 100.000 ogni anno, il che significa- continua l’esperto- che e’ una malattia rara”. In Giappone, la situazione e’ completamente differente, “la malattia e’ endemica ma si presenta con outbreak epidemici periodici significativi. Dal 1999 al 2002, per esempio, nel solo Giappone si sono registrati piu’ di 32.000 casi”. Il fattore ambientale, dunque, ancora una volta si rivela importante. Lo stesso discorso vale probabilmente anche per la Covid, “non tanto perche’, come sostenuto da alcuni, il particolato potrebbe agire da vettore del virus. Quanto piuttosto perche’ le arterie nei soggetti che sono a lungo esposti all’inquinamento- puntualizza il pediatra- sono le prime vittime della patologia”. Anziani, grandi fumatori, persone esposte a malattie croniche sono infatti piu’ sensibili al virus, “perche’ in loro c’e’ gia’ una disfunzione endoteliale, cioe’ un’infiammazione cronica delle arterie”. Inizialmente si e’ parlato della Covid-19 come di “una polmonite grave. Questo e’ vero. E del resto i Coronavirus sono tipici virus delle vie respiratorie”. Negli ultimi due mesi, pero’, “il virus ha dimostrato di avere purtroppo anche un alto tropismo verso gli endoteli”. Difatti, “nei casi gravi, e soprattutto in quelli piu’ critici che- ricorda Burgio- interessano il 2-3% dei malati, il virus dilaga nell’organismo”. Ecco, in questi casi “e’ stato dimostrato che il virus si aggancia alle parenti delle arterie provocando una forma di endotelite sistemica che puo’ sfociare in coagulazione intravascolare disseminata, e in tempeste di citochine”. Perche’ questo e’ importante? “Perche’ i casi segnalati di Kawasaki attestano che il virus potrebbe avere questo tropismo per gli endoteli anche nei bambini- risponde Burgio- cosa che finora era stata sottovalutata”.

Infine, approfondendo la sintomatologia espressa in queste sindromi ‘Kawasaki-like’, lo specialista avverte: “I sintomi sono molto simili a quelli provocati dal Sars-Cov-2, ma piu’ intensi”. Il bambino presenta “una febbre piu’ alta e piu’ persistente e una linfoadenite laterocervicale dolente. Inoltre, la febbre dura non per una settimana, dieci giorni, ma di solito per settimane”. È una febbre “molto alta, mentre nella Covid- continua il pediatra- finora abbiamo visto che la febbre e’ moderata. C’e’ poi uno stato settico, tossico, il bambino e’ irritabile e molto sofferente. Presenta anche glossite (infiammazione della lingua, ndr), congiuntivite in forma molto simile alla Covid, e lesioni cutanee su cui si e’ discusso”, che vengono comunemente chiamate ‘geloni’. In realta’ “si tratta probabilmente di edemi periferici, soprattutto a carico degli arti inferiori, che potrebbero essere il prodotto di tromboembolie e quindi di crioglobuline, di immunocomplessi”. Ancora, da notare, e’ che “questi edemi non avvengono nella fase acuta ma in quella tardiva, quando il bambino e’ gia’ tampone-negativo”. Il consiglio dell’esperto Covid per la Sipps, dunque, e’ di cercare, tra i casi sospetti “al livello cardiaco, quello che e’ il sintomo piu’ tipico della Kawasaki: l’arteriolite, soprattutto a carico delle arterie coronariche”. Occorrera’ quindi fare “un ecocardiogramma e nei casi sospetti un’angiografia”. L’importante, in sostanza, “sara’ monitorare attentamente questi bambini e distinguere i casi Covid-Kawasaki dalle forme piu’ comuni”. Se la connessione Covid-Kawasaki sara’ confermata, “bisognera’ decidere- conclude Burgio- se la terapia standard con immunoglobuline in vena e’ la migliore per evitare sequele gravi, e in particolare gli aneurismi, o se sara’ piu’ corretta e sicura la terapia col plasma dei guariti, gia’ utilizzata con successo sia in Cina, sia in Europa nei pazienti affetti da Covid”.

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