Marmato, piccolo centro minerario nel dipartimento di Caldas, è da sempre ancorato alla tradizione dell’estrazione dell’oro. In questa comunità di meno di diecimila anime, ereditare la fatica dei padri sotto terra sembrava destino inevitabile per molti giovani, incluso Nelson Deossa. Oggi quel ragazzo, che un tempo si muoveva fra i cunicoli alla ricerca di filoni auriferi, è diventato un centrocampista box to box di prospettiva internazionale, appena acquistato dal Betis Siviglia per undici milioni e mezzo di euro.
Le prime prove di Deossa sui campi di calcio, però, non furono affatto lineari. Pur mettendosi in luce nei provini con diverse squadre colombiane – da Cali a Envigado fino all’Atlético Nacional – il suo carattere ribelle e la scarsa attitudine al gioco di squadra lo resero spesso un rischio per i club professionisti. In quel periodo Nelson si vedeva già dietro al bancone di un bar vicino alla miniera, invece che circondato dalle luci degli stadi.
La svolta arrivò grazie a Dayron Pérez, allora allenatore dell’Atlético Huila, che lo aveva incontrato per la prima volta nelle giovanili dell’Once Caldas. Fu la zia di Deossa a riaprire il dialogo, chiedendo a sua moglie di intercedere. Pérez decise di assistere a una delle partite post–lavoro del diciannovenne nei campetti polverosi del barrio. Colpito dal talento grezzo, lo prese in prova con la formazione Under 20. Riguardo a quei mesi, ha raccontato:
“Si è allenato con me per sette mesi, giocando nell’Huila Under 20. Era un giocatore molto poco associativo, non condivideva mai la palla. Abbiamo avuto molti battibecchi. A un certo punto, se n’è persino andato. Quando mi hanno assegnato la prima squadra però lo volevo e ho dovuto convincerlo a tornare. Fortunatamente, ci sono riuscito. Da quel momento in poi ha lavorato duramente sugli aspetti tattici, tecnici e mentali”.
Dopo un breve e poco fortunato passaggio all’Estudiantes in Argentina, Deossa fece ritorno in Colombia con Atletico Junior e poi con l’Atlético Nacional, ma questioni disciplinari e contrasti con lo staff tecnico – in particolare con l’allenatore Jhon Bodmer – ne limitarono l’affermazione. A Pachuca, in Messico, avvenne il definitivo salto di qualità: acquistato per 1,5 milioni di dollari, contribuì alla vittoria della Concacaf Champions League e alla partecipazione al Mondiale per Club del 2024. Pérez commenta così quel periodo:
“Lì ha capito che doveva giocare di squadra. Oggi è più serio, più coinvolto e ha una migliore comprensione del gioco”.
Il rendimento in Messico vale a Deossa la prima convocazione in Nazionale da parte del ct Nestor Lorenzo e un trasferimento al Monterrey, valutato sette milioni di dollari. Con Los Rayados, inserito in un girone difficile al Mondiale per Club contro Inter, River Plate e Urawa Reds, il colombiano si è messo in luce soprattutto nella sfida con i giapponesi, firmando un gol di potenza dalla distanza che gli è valso un posto nella top 11 del torneo secondo WhoScored. Su quella giocata, Pérez osserva:
“Quando si rende conto che l’avversario non sta saltando per evitare il suo dribbling, visualizza già il gol. Si posiziona e tira bene”.
Ora al Betis Siviglia, Nelson Deossa è il quarto colombiano a vestire il biancoverde dopo Juanjo Narváez, Dorlan Pabón e il connazionale Chucho Hernández. Convinto da Manuel Pellegrini della fiducia a lui riservata, il centrocampista ha sintetizzato così il suo cammino:
“Ho studiato e lavorato. Ho visto il mio sogno infrangersi perché a 19 anni lavoravo; non stavo seguendo la strada che si dovrebbe seguire come calciatore. Mi sono sentito frustrato per molto tempo, ma non ho mai rinunciato a quel sogno e ho sfruttato le opportunità che mi si sono presentate”.
Dal nucleo di una miniera alle porte di Siviglia, Deossa racconta una traiettoria fatta di ostacoli superati con caparbietà e di un talento che, una volta canalizzato, ha cambiato per sempre il corso della sua vita.