Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump raggiungerà Gerusalemme per una tappa di circa quattro ore, durante le quali terrà il suo intervento principale alla Knesset. Accanto al programma ufficiale, fonti locali segnalano due possibili “fuori programma”: una visita in ospedale agli ostaggi recentemente liberati o una breve sosta al Muro del Pianto, il sito sacro per l’ebraismo che conserva i resti dell’antico Tempio.
Nel 2017 Trump aveva già sostato al Muro del Pianto durante il suo primo mandato. In questa occasione, invece, a precederlo sono stati Ivanka Trump, il marito Jared Kushner e il mediatore Steve Witkoff. Il gesto di poggiare la mano contro le pietre del muro, con il capo chino, restituirebbe un’immagine dal forte valore simbolico, riflettendo il peso storico del suo viaggio.
Sul fronte palestinese, l’attenzione si concentra su Abu Mazen, spesso descritto come un capo fragile e privo di controllo effettivo sull’Autorità nazionale palestinese, ma al tempo stesso tra i pochi interlocutori palestinesi “presentabili” nel panorama diplomatico. Lo scorso 21 luglio Abu Mazen ha avuto un colloquio telefonico con papa Leone, al termine del quale entrambi hanno lanciato un appello congiunto per accelerare l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza. Parallelamente, la leadership palestinese sta lavorando per organizzare un incontro in presenza tra il presidente dell’Anp e il pontefice.
Il consolidamento della linea di Washington, favorita dall’intesa di Trump con gli Stati arabi della regione, riapre tuttavia la questione della guida politica a Gaza. Di fronte al rischio di un vuoto di rappresentanza per i residenti della Striscia, anche la comunità cristiana locale si sta mobilitando per rafforzare la figura di Abu Mazen e garantire così un referente non solo formale, ma in grado di difendere gli interessi del popolo palestinese nelle sedi internazionali.