Per un pugno di raggi X

È forse l’esame meno fastidioso in assoluto, ma quando si tratta di farlo, nessuno è entusiasta: una lastra crea – giustamente – sempre un po’ di apprensione in chi deve farla. C’è infatti il problema che ad attraversare il nostro corpo, per quanto in dosi ridotte, ci sono i raggi X, radiazioni ionizzanti che interagiscono […]

È forse l’esame meno fastidioso in assoluto, ma quando si tratta di farlo, nessuno è entusiasta: una lastra crea – giustamente – sempre un po’ di apprensione in chi deve farla. C’è infatti il problema che ad attraversare il nostro corpo, per quanto in dosi ridotte, ci sono i raggi X, radiazioni ionizzanti che interagiscono con i nostri tessuti biologici. Ma quanti sono esattamente quelli che ci investono durante una lastra? In quali zone del nostro corpo vengono assorbiti di più? E ancora: quale è il dosaggio minimo indispensabile per una radiografia? Conoscere con precisione tutte la caratteristiche fisiche di un fascio diagnostico di raggi X è fondamentale per ottimizzare i protocolli degli esami: non solo per ridurre la dose somministrata al paziente, ma anche per migliorare la qualità delle immagini. È ciò che riesce a fare il sistema SSRX: sviluppato dagli astrofisici per mettere a punto i rivelatori delle missioni spaziali ad alta energia, permette la misura in tempo reale dei parametri di funzionamento di un tubo RX, nonché una valutazione integrale del fascio emesso. Garantendo così ulteriori margini di sicurezza alla tecnica diagnostica che più d’ogni altra ha rivoluzionato la storia della medicina.

“Questo sistema nasce dalle competenze sugli strumenti per la misura di radiazione di alta energia a bordo di satelliti per astrofisica acquisite negli ultimi decenni anche grazie all’importante contributo italiano e oggi portate avanti da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica”, dice Claudio Labanti, dell’INAF-IASF di Bologna, responsabile del progetto SSRX. “In fondo abbiamo risposto a una domanda posta da colleghi del Dipartimento di Fisica dell’Università di Bologna e del personale tecnico e sanitario del Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna, che si chiedevano come monitorare la produzione dei raggi X nel processo di realizzazione delle lastre mediche. Questo per capire se e come intervenire per ottenere una lastra di qualità ottimale con il minimo dell’assorbimento di radiazione, senza dover magari ripetere l’esame”.

Grazie a questo processo di monitoraggio è possibile seguire tutte le fasi di produzione, emissione e assorbimento dei raggi X da parte dei tessuti biologici del paziente e verificare in tempo reale le loro caratteristiche di intensità, energia e distribuzione durante il tempo dell’esame. Avendo un quadro così accurato è possibile comprendere se e come modificare l’invio dei raggi X, spegnendo il generatore non appena è stata raggiunta la dose ottimale di radiazione per impressionare la lastra.

“Le sfide tecnologiche per realizzare l’elettronica di controllo del rivelatore di raggi X sono state davvero estreme”,prosegue Labanti. Basta pensare che dovevamo disporre di un sensore che fosse in grado di misurare con uguale sensibilità e precisione il passaggio di un fotone X o di 50.000 fotoni X nella stessa frazione di secondo: quello che viene definito range dinamico pari a 50.000. Una richiesta di almeno 50 volte maggiore rispetto ai sistemi di rivelazione convenzionali oggi sul mercato”.

Con SSRX installato nei reparti di radioterapia le lastre saranno quindi meno “invasive” e più nitide, a tutto vantaggio della salute dei pazienti e del raggiungimento del massimo rendimento di questo basilare sistema di diagnostica medica.

Marco Galliani- Inaf

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