Tre nuovi film (ed una memoria) per L’Aquila

Dopo “La città invisibile”, L’Aquila racconta il suo terremoto con altri tre film, due di finzione ed un documentario: “Miracolo Aquilano” di Stefano Mutolo e Marco Iannini, “Into the Blue” di Emiliano Dante che, oggi, in occasione del secondo anniversario del sisma costato 309 vite e la distruzione di una città con sette secoli di […]

Dopo “La città invisibile”, L’Aquila racconta il suo terremoto con altri tre film, due di finzione ed un documentario: “Miracolo Aquilano” di Stefano Mutolo e Marco Iannini, “Into the Blue” di Emiliano Dante che, oggi, in occasione del secondo anniversario del sisma costato 309 vite e la distruzione di una città con sette secoli di storia, sarà proiettato in anteprima al Kino, in via Perugia di Pigneto (Roma), con inizio alle 21 ed il documentario “Ju Tarramutu”, di Paolo Pisanelli, che esce, anche lui oggi,  in diverse sale italiane. Il primo dei tre lavori, prodotto dalla Berta Film, racconta, in 14 intensissimi minuti, la vicenda, ambienta a L’Aquila nel settembre del 2009, di uno sciacallo che, travestito da prete,  benedice i moduli abitativi consegnati alla popolazione dopo il terremoto, per intascarsi i soldi delle donazioni e rubare i beni di valore rimasti nelle macerie della città fantasma. Presentato nei giorni scorsi al Quirino di Roma, il film sarà distribuito presto nei vari cinema italiani ed è stato invitato a vari festival internazionali. Con uno stile asciutto ed una eccellente capacità di racconto, descrive bene una condizione vissuta, fra le altre, dai terremotati: quella di essere frodati dietro ad una apparenza di sostegno e di aiuto. Non meno amaro “Into the Blue”, in cui si narra di un gruppo di giovani, nella tendopoli di Collemmaggio, che si raccontano sensazioni e sogni e con loro storie reali, mescolate ad altre immaginate, reinventano rapporti e relazioni, nonostante la vita in tenda abbia eliminato ogni genere di intimità e nonostante i drammi delle persone che vivono al loro fianco li riportino costantemente a quella tragica notte. Intanto,  il mondo di fuori, i media innanzitutto, assegnano loro, voyeuristicamente, dei precisi ruoli, per vendere emozioni attraverso il piccolo schermo. Quanto al documentario “Ju Terramutu” di Pisanelli, vuole raccontare e rivivere quello che è accaduto quella notte di due anni fa,  quando il terremoto  ha devastato una delle più belle città italiane. Dopo quella notte L’Aquila è divenuta teatro della politica sia nazionale che internazionale. Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha deciso di spostare il summit del G8 nel capoluogo abruzzese per captare l’attenzione e ottenere aiuti internazionali.  L’opera,  sottolinea come nel capoluogo, alla violenza naturale del terremoto si è sovrapposta la voracità degli interessi, la velocità delle urbanizzazioni, l’impatto violento del Progetto C.A.S.E., che ha sconvolto senza pianificazione un territorio bellissimo. Nel suo lavoro Pisanelli, fotografo e regista impegnato dal 1996 nella realizzazione di documentari, ha raccolto e intrecciato tra loro tante storie di persone, luoghi, cantieri, voci e risate di sciacalli che hanno scatenato la protesta delle carriole, quando ormai il terremoto non faceva più notizia. In tutti e tre i lavori è evidente una ricerca narrativa e stilistica asciutta ed efficace, conscia, soprattutto, delle grandi lezioni di Bunuel, con una violenza delle immagini che vogliono essere soprattutto diretta trascrizione della realtà, con un terremoto che ha sfasciato case, riferimenti e vite ed un mondo esterno che fatica davvero a capire. In tutti, con grande perizia narrativa e stilistica, gli Autori realizzano film con aspetti e risvolti scelti e collegati per  veicolare informazioni che attengono alla realtà anche emotiva di una intera popolazione e,  come era già accaduto con Tondoi e il suo “La città invisibile”, ci si trova di fronte  a validi strumenti di memoria collettiva, veri e propri documenti capaci di fornire informazioni e di organizzarle precipuamente, in modo da farle risaltare maggiormente nei ricordi. Le tre nuove opere, diversamente dal “Draquila” della Guzzanti o del film di Tondoi, comunque,  vi una impegno per testimoniare che l’Aquila intende lottare per non diventare una “città invisibile”, come quella  “descritta da Marco Polo a Kublai Kan,  nel romanzo di Calvino. Sull’onda del coinvolgimento emotivo personale, dell’urgenza, dell’entusiasmo, ma bemn controllati da una grande perizia professionale, gli Autori non rinunciano agli approfondimenti, né smussano gli angoli dei dissapori, riproducendo una realtà tragica e complessa, mai ridotta a retorico, stilizzato teatrino di caratteri. Guardando a questi lavori, si rammenta  che il cinema ha una valenza modellizzante, offre temi di grande rilevanza identificativa e di comportamento, ha la capacità di articolare una serie di tracce sviluppando pensieri ed emozioni e che, soprattutto, offre una testimonianza diretta che, non garantisce soltanto di mostrare come si sono svolti gli avvenimenti, ma suggerisce emozioni sulle situazioni rappresentate. Il cinema diviene così  memoria collettiva che,  recuperando storie d’identità sociale, ricostruisce e crea contenuti nuovi,  implementando il patrimonio simbolico, il luogo della rappresentazione della memoria, che interagisce con la memoria sociale, coinvolgendo lo spettatore come individuo, scandendone gli eventi della vita e attivando percorsi personali. In effetti il cinema è un campo d’indagine molto interessante per la memoria, poichè permette di scorrere da una memoria personale ad una memoria collettiva, di rendere il passato presente e di inglobare il futuro nel presente. E nella memoria,  luogo oscuro e difficile da penetrare, luogo non reale ed inverosimile, dove la memoria individuale è il deposito della memoria collettiva, risiede sia la verità che la menzogna. Per questo le immagini suggeriscono il dipanarsi del dubbio ed il dispiegarsi della realtà. I tre film, con coloriture ed accenti diversi, sottolineano che la memoria consente, più di ogni altra capacità umana, di attribuire alla nostra esistenza una valenza esperienziale, in modo tale che il nostro bagaglio non sia fatto solo di ricordi da conservare come fotografie in un album, ma sia ciò che sostanzia l’essere umano; ecco perché si deve manifestare il diritto/dovere di non dimenticare.

Carlo Di Stanislao

 

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