E’ molto soddisfatto l’ad di Fiat Sergio Marchionne che, in un solo anno, ha salvato la Chrysler dalla bancarotta, gli ha fatto guadagnare il 22% del mercato brasiliano, incrementando le vendite interne del 25%, con un fatturato miliardario che sta dando nuova linfa ad una città, Detroit, che era a rischio chiusura.
Nella sua intervista dell’altro ieri al Wall Street Journal e durante il Salone dell’auto della principale città del Michigan, è tornato anche sul futuro del quartier generale del gruppo ed affermato, velenoso, che in Italia sono più i veti che i sostegni per chi vuole investire e fare impresa, dichiarando che, comunque, gli operai del Lingotto sono “specie protetta” e, pertanto, non sono in vista licenziamenti.
Esibendo una inedita barba sale e pepe, Marchionne continua lungo la linea della’imprenditore neoliberista, che ha in odio politica e sindacato e che dimentica gli aiuti che lo Stato, in una lunga storia, ha fornito largamente all’industria che rappresenta.
Oltre a ribadire che la fusione tra Torino e la Chrysler si realizzerà tra il 2013 e la fine del 2014 e che dopo il 2015 lui si farà da parte, ma senza indiscrezioni sul successore, il manager ha sottolineato: “Abbiamo creato un’azienda internazionale. Viaggiamo quotidianamente e facciamo vetture in tutto il mondo. Non mi interessa l’indirizzo fisico della Fiat. La decisione sulla sede del gruppo è difficile. Ma c’è una differenza tra il 2005 e oggi, ed è che oggi sta a Fiat decidere dove mettere il cuore”.
E quando i giornalisti italiani presenti gli chiedono a se certe decisioni si prendono anche col cuore, parte in quarta: “Se c’è un ‘cuore’, ovvero un quartier generale, migliore di Torino dobbiamo tenerne conto. Cosa può importare, a fronte del mantenimento degli stessi livelli occupazionali, se la testa si sposta da un’altra parte? Comunque ripeto, non ho ancora deciso. In ogni caso siamo stati bravi, ma vogliamo crescere ancora. A fronte dei due milioni di auto vendute nel 2011 prevediamo un 2012 dove lieviteranno a 2.400.000. Magari per effetto anche della Dodge Dart, con cui entriamo in un segmento dove finora non eravamo. Ma la vera sfida è quella del 2013, quando arriveranno nuovi modelli nel cuore del mercato: penso alla Jeep Liberty e all’erede della Chrysler 200, ma non solo”.
Marchionne è anche alla ricerca di nuovi partner e guarda all’America del Sud (soprattutto al Brasile) con particolare interesse.
Nulla da dire, lui fa il suo lavoro con cinica efficacia neoliberista e secondo un’ottica da titanismo alla “workaholic”, che lascia intravedere la paranoia di credersi indispensabile, nell’onnipresenza e nel lavoro “h24”.
Ha detto che resterà in carica fino al 2015, facendo così capire di avere la riconferma in tasca alla prossima assemblea sociale della primavera 2012: nessuno ne avrebbe dubitato, anche se forse sarebbe stato più elegante che a dirlo fosse stato John Elkann. Ma lui della’eleganza se ne frega, per lui contano le vendite ed fatturati.
Però, a ben guardare, anche se astuto, anzi diabolico imprenditore, anche in questo campo Marchionne sa nascondere le sue pecche. In effetti, nonostante le crescite di mercato, di Nuove 500 in America ne ha vendute 27.000, contro le 50.000 promesse e, pertanto, il suo è un successo per lo meno dimezzato.
Dovrebbero, Marchionne e la politica che non l’ha contrastato, ricordare e riflettere sul fatto che la scienza sociale vera, comincia dal concetto di diritto e fa tutt’uno con la certezza del diritto stesso. E che diritto certo universale, significa anzitutto e semplicemente che ogni nato ha la certezza giuridica potenziale che non sarà mai o senza lavoro o privo di un equo potere di acquisto.
Discutere per anni, per decenni, praticamente per sempre, sulla riducibilità della piaga della disoccupazione, ma anche del lavoro precario, è recitare buffonerie circensi perché dietro ad ogni disoccupato o lavoratore senza futuro c’è il dramma di un uomo e di una famiglia, c’è in potenza l’istigazione a delinquere, c’è un crimine (legale) del pubblico potere, che non fa il proprio dovere di garante del diritto e che solo per questo non può essere uno “Stato di diritto”.
Ora, sembra, che queste cose Monti ed i suo “tecnici”, chiamati a fare da “badante” ad un Italia allo sfascio a causa della incapacità politica, le sappiano. Ma da qui ad applicarle ne passa di strada.
Certo i richiami alla neoliberista spinta Merkel non mancano in vista dell’incontro a due di giovedì, ma non si può negare che la formazione culturale di Monti (e di Passera ed altri), sia appunto fortemente neoliberista.
Certo, l’ispirazione cristiana mitiga questo neoliberismo dei tecnici al governo, ma non vorremmo, alla fine, trionfasse una cultura tecnico-econimica capace di proiettare la barbarie del passato remoto del capitalismo, come possibili gloriose conquiste del futuro immediato, anzi del presente.
E fra i molti problemi, interni (concertazione con i sindacati e trattative per le liberalizzazioni) e generali (spread che sale e borse che scendono), c’è anche un fastidioso, imprevisto siluro, per il direttivo in sella.
Si tratta del caso del sottosegretario Carlo Malinconico, giunto ieri sul tavolo di Monti e relativo alle spese all’hotel Pellicano di Porto Ercole, nell’Argentario, pagate dall’imprenditore, amico di Balducci, Francesco De Vito Piscicelli.
Con trovata scaioliana, Malinconico dice di non conoscere detto imprenditore che: “avrebbe pagato di propria iniziativa e per ragioni a me del tutto ignote alcuni dei miei soggiorni presso la struttura alberghiere”.
Comunque, Malinconico si è dimesso, anche se l’onda d’urto del siluro, in ambito politico, si è tutt’altro che placata.
E mentre a difesa dell’ex-sottosegretario interviene Donato Bruno del Pdl, Francesco Boccia, del Pd, dichiara: “vale per er Malinconico quello che deve valere per chiunque ricopre incarichi pubblichi. Malinconico è una persona seria e sono convinto che in giornata chiarirà a Monti la vicenda”.
Una preoccupazioni in più mentre l’Italia dei sacrificati attende iniziative sui beni “occultati” all’estero, sulle transazioni, sulle rendite di posizione, sul lavoro e sul rilancio della’ economia e la Merkel attende di essere convinta sulla necessità di un fondo comune per salvare, assieme, l’Europa.
Carlo Di Stanislao
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