Saltano, uno dopo l’altro, come birilli, il taglio dei costi delle Regioni, quelli alla sanità e la tassa sui ricchi per gli esodati, con il governo costretto a rivedere tutto per lasciare invariati i totali della Legge di Stabilità, che comunque dovrà valere 10 miliardi
Da ieri i vitalizi in forse ritornano, a seguito del “parere contrario” dato dalla Commissione Affari regionali al testo del decreto legge, che li prendeva di mira all’interno dei tagli a difesa della Legge di Stabilità, varato dal governo dopo gli scandali nel Lazio e in Lombardia.
La commissione bicamerale pur ritenendo “apprezzabili” le misure “tese a determinare una riduzione dei costi della politica nelle Regioni” e condividendo “l’opportunità di un rafforzamento della leale collaborazione tra Stato e autonomie territoriali in merito al contenimento delle spese”, ritiene tuttavia “insufficiente l’impianto complessivo del provvedimento e di non piena compatibilità con le prescrizioni del Titolo V della Costituzione”.
Secondo i parlamentari, le norme del decreto rischiano di confliggere con l’autonomia costituzionale poiché “incidono fortemente sull’autonomia organizzativa e gestionale degli enti locali”. Insomma la corsa ad ostacoli del decreto Monti taglia-sprechi o meglio “salva decenza” messo a punto con lo scopo di ostacolare privilegi alla casta locale, si arresta al primo scoglio.
Bisogna vedere come viene cambiato, rispetto alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del 10 ottobre, nell’iter di conversione parlamentare e infine nel necessario passaggio di recepimento da parte della Regioni.
Insomma, come scrive amaramente Cesare Balbo sul Sole 24 Ore oggi in edicola, tornano a sperare nel vitalizio, ad esempio, quei quaranta, numero “emblematico”, consiglieri lombardi che lo vedevano allontanarsi nel tempo.
Infatti, mentre col decreto legislativo 174 del 10 ottobre 2012, nessuno avrebbe avuto diritto al vitalizio prima dei 66 anni di età e del compimento di almeno 10 anni di attività in consiglio adesso, invece di un giro di vite, le cose vanno molto meglio.
E con un’altra ed ennesima alleanza bipartizan di partiti e istituzioni, salta la tassa proposta sui redditi eccedenti ai 150.000 euro, che Confintustria non aveva gradito, ma era piaciuta sia a Bonanni che alla molto più dura Camusso.
E visto che la stessa scomodava i poteri forti, fin da ieri anche Bersani aveva dichiarato che “ci possono essere altre soluzioni”, dal momento che non perdere neanche un appiglio nella difficile lotta contro Renzi, arrivando al punto di far pubblicare, su vari giornali, la sua foto da giovane, quando era capelluto e aitante e pareva un attore.
Insomma, gli stop arriva dalla Camera e dai partiti prima ancora che l’esame ufficiale abbia avuto inizio, con un fiorire di proposte che arriva dalle diverse commissioni della Camera e che trova la disponibilità del governo.
Per quanto concerne la sanità gli esperti delle commissioni parlamentari, con il consenso implicito del ministro Balduzzi, hanno cominciato a smontare la parte che intende sottrarre ben 600 milioni di euro e a lavorare su alternative che spalmano la sforbiciata il su tutti i ministeri. Operazione che, comunque, occorrerà vedere come verrà accolta dal resto della compagine di governo.
Intanto saltano molte altre cose in un paese sempre alle prese con i terremoti (non solo geologici) ed i cambiamenti dell’ultimora.
Salta in parte e perde qualche pezzo (Oscar Giannino e la Marcegaglia) il “contenitore” di Montezemolo che, insieme con il ministro per la Cooperazione internazionale Andrea Riccardi (fondatore della Comunità di Sant’Egidio), il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, il presidente delle Acli Andrea Olivero, il presidente della provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai, lancia un manifesto che tenga insieme “la società civile e il rinnovamento della politica” e che intende essere la base per una nuova stagione di riforme, in continuità con quanto di meglio ha realizzato il governo guidato da Mario Monti che, dice, “ha avuto il merito di rasserenare il clima di intollerabile antagonismo della politica italiana e di restituire prestigio e credibilità all’Italia”. Una serie di riforme che “non possono arrivare dai partiti politici così come li conosciamo, ma da una presa di responsabilità corale di forze sociali, culture civiche e realtà associative”.
E salta, definitivamente, l’idea di un Monti bis, che piace a Casini ma è oggi negata in modo chiaro da Bersani, che però dice, ci si potrà e dovrà avvalere del suo operato tecnico e delle sue capacità, anche se non da primo ministro.
D’altra parte le parole con cui Oscar Giannino si è differenziato dal Manifesto di Montezemolo & Co., la dicono lunga sul fatto che Monti possa ancora guidare la Nazione.
Ha detto il giornalista e animatore di “Fermare il declino”, che in teoria, avrebbe dovuto essere tra i firmatari del documento e fra gli organizzatori dell’evento di presentazione previsto ai primi di novembre: “Non abbiamo firmato il manifesto perché, seppur a sommi capi, avevamo chiesto una tabella di marcia sulle cose da fare; mentre nello stesso non si parla di privatizzazioni, dismissioni, introduzione del merito nella pubblica amministrazione”. Ed aggiunto, chiaro e netto: “Pensiamo che si debba scartare rispetto all’agenda Monti”.
Ma vi sono anche salti peggiori e più drammatici in questa Italia che non esce dal tunnel della crisi (economica e morale) altro che a parole.
Ad esempio, 2.000 posti di lavoro che si perdono al giorno, come ha detto nel suo discorso di apertura al convegno di Capri, Jacopo Morelli, leader di Confindustria giovani.
E mentre la Fornero continua ad amareggiarsi perché non è compresa (mentre è sensibilissima) e si augura che con una maggiore adattabilità i posti spuntino miracolosamente come funghi (ma anche questi hanno bisogno di pioggia), la Bce, nel suo Bollettino mensile, sottolinea che si sono persi, dal 2008 ad oggi, 4 milioni di posti di lavoro in Europa e che l’Italia è uno dei Paesi con gli indici peggiori.
Ed i numeri totali sono così allarmanti che si capisce perché, nei vari discorsi e nei tre faccia a faccia, solo una volta i due sfidanti per la Casa Bianca abbiano parlato di Europa, considerata decrepita ed ormai in crisi senza uscita e non una sola volta del nostro Paese.
Così salta anche la convinzione europeista di alcuni di noi, che riflettono sul fatto che le perdite dei posti di lavoro sono tutte localizzate nei paesi che hanno aderito alla moneta unica: l’Irlanda , la Spagna, il Portogallo, che avevano un indebitamento enormemente inferiore a quello del Regno Unito, ora continuano, insieme all’Italia, a perdere di competitività e, di conseguenza, posti di lavoro.
L’unica cosa che cresce da noi è l’invadenza e la spudorata avidità della politica.
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