Associazionismo, volontariato, reddito minimo garantito, lotta alla povertà: i temi cari a Matteo Renzi

“Lo chiamano terzo settore, ma in realtà è il primo”. Associazionismo, volontariato, non profit, ma anche servizio civile, cinque per mille, reddito minimo garantito e moltissime altre espressioni chiave non mancano certo nel vocabolario che Matteo Renzi ha utilizzato negli ultimi anni nella sua personale ascesa politica verso Palazzo Chigi. C’è feeling fra il segretario […]

Renzi2“Lo chiamano terzo settore, ma in realtà è il primo”. Associazionismo, volontariato, non profit, ma anche servizio civile, cinque per mille, reddito minimo garantito e moltissime altre espressioni chiave non mancano certo nel vocabolario che Matteo Renzi ha utilizzato negli ultimi anni nella sua personale ascesa politica verso Palazzo Chigi. C’è feeling fra il segretario del Pd e alcuni dei temi più rilevanti per il mondo del terzo settore, un feeling che salta all’occhio e che proietta speranze sul suo prossimo governo.
“Terzo settore, anzi primo” è il titolo ad effetto di uno dei paragrafi del documento congressuale scritto a sostegno della candidatura di Matteo Renzi alle primarie dell’8 dicembre che lo hanno portato ad occupare il ruolo di segretario del Partito Democratico. Un paragrafo in verità molto breve, a pagina 13 di un documento di 18 pagine totali, e nel quale si legge: “Ci sono cinque milioni di italiani che ogni giorno fanno qualcosa per gli altri tramite l’associazionismo, il volontariato, il no profit. Lo chiamano terzo settore, ma in realtà è il primo. Perché dà il senso dei valori in cui crediamo: è il mondo del volontariato generoso, delle cooperative sociali, dell’assistenza solida e solidale. Occupa 1 milione di lavoratori, ma soprattutto aiuta il paese a non cadere nel vittimismo. Il Pd che faremo starà a fianco di questo mondo con entusiasmo e rispetto”.
Più volte il sindaco di Firenze ha argomentato che di fronte a questa realtà corre l’obbligo “almeno di non intralciarla” e ancora più di favorirla, in modo particolare con due misure: la stabilizzazione del 5 per mille e un servizio civile obbligatorio. La prima è una richiesta che da anni il mondo delle associazioni avanza, senza successo: il secondo è un tema su cui Renzi si è più volte espresso. “Io dico servizio civile universale, con cui far dedicare non un anno di tempo ma tre mesi, a delle ragazze e dei ragazzi quando hanno 18 anni per scoprire la bellezza del volontariato e dell’associazionismo”, ha recentemente affermato. Un’esperienza che dovrebbe essere compresa all’interno di un’ampia riforma della scuola, riducendo la durata di quest’ultima di un anno: “Noi abbiamo avuto in questa crisi l’idea che tutto sia soltanto commisurabile dal punto di vista economico, ma la crisi non è solo una crisi di valore economico, ma è una crisi di valori”. “E perché – domandava – non si può immaginare che per tre mesi di tempo un ragazzo di 18 anni passi il suo tempo alla Protezione Civile, alla Misericordia, alla Pubblica Assistenza o in biblioteca?”. Il tema del servizio civile è legato, per Renzi, a quello dell’Europa: più volte ha parlato dell’idea di un “servizio civile europeo e obbligatorio” che costituisca una delle basi per il nascere degli Stati Uniti d’Europa. “Il Pd – scriveva nel documento programmatico delle primarie – deve chiedere che i giovani europei possano sperimentare un servizio civile continentale”.
Il sindaco di Firenze ha speso parole di fuoco contro il reddito di cittadinanza proposto da Grillo (“è la negazione dell’articolo 1 della Costituzione”, disse nel marzo 2013 in occasione dell’Assemblea nazionale della Compagnia delle Opere a Firenze) ma ha sempre appoggiato l’idea di un reddito minimo garantito, “una cosa seria che c’è in tutta Europa”. E del resto nel suo “Jobs Act” c’è “un assegno universale, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro”. Un modo anche per arrestare la corsa della povertà: “I dati sull’aumento dei nuovi poveri fanno venire i brividi”, diceva cinque mesi fa davanti alle statistiche dell’Istat.
Il documento della corsa alle primarie parlava anche di immigrazione: “Il Pd deve chiedere all’Europa di considerare il Mediterraneo davvero il Mare Nostrum e dialogare con le sponde africane con un linguaggio nuovo di cooperazione ma anche di potenziale sviluppo: non puoi lasciare tutti i problemi sulle spalle dei sindaci coraggiosi o dei volontari della Caritas”. Il 3 ottobre, il giorno della strage di Lampedusa, così scriveva su twitter: “Giusto il lutto nazionale. Oggi le lacrime. Ma da domani via la Bossi Fini, caccia agli scafisti e l’Europa si svegli”.
CARCERE. Sul sovraffollamento carcerario, no all’indulto e all’amnistia. “Le carceri – diceva nell’ottobre 2013 di fronte al messaggio inviato da Napolitano alle Camere – sono in una situazione disumana e non affrontare questo tema è vergognoso, ma ritengo un clamoroso autogol riproporre nuovamente un provvedimento di emergenza” come fu l’indulto del 2006. “Riformiamo, una volta per tutte, un sistema della giustizia che in questi vent’anni è stato citato in ballo solo per norme ad personam e che ha urgente bisogno di intervento, concreto e non ideologico. E, se serve, costruiamo più carceri, come è accaduto in tutto il resto d’Europa. Ma l’idea che siccome le carceri sono piene, le svuotiamo per la seconda volta in sette anni con un indulto è inaccettabile”.
Da amministratore locale, più volte Renzi negli ultimi anni ha protestato per le scelte operate in campo nazionale, chiedendo “niente tagli in settori fondamentali quali sociale, cultura e scuola”. Dove si recuperano le risorse che servono? “Da tagli alla spesa: da amministratore ho toccato con mano quanto in Italia si faccia cattiva spesa pubblica. In tempi di difficoltà, qualunque azienda taglia le spese, anche lo Stato può e deve farlo”. E non si faceva pregare neppure per individuare dove destinare eventuali risorse aggiuntive: in un vecchio tweet del novembre 2012, riferendosi alle trattative con la Svizzera per un accordo sui capitali nascosti: “15 minuti di fila e faremo l’accordo con la Svizzera come hanno fatto i tedeschi. Recuperiamo 40 miliardi di euro per sociale e scuole”. Al di là dell’esempio concreto e della sua fattibilità (non più di due settimane fa il ministro Saccomanni è stato a Berna, e un accordo che affronti tutti i temi fiscali fra i due paesi potrebbe essere chiuso entro maggio), resta l’indicazione di istruzione e sociale come settori da potenziare e ai quali destinare nuove e consistenti risorse.

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