Racconti in quarantena – Amore da paura di Mario Narducci

“Forse gli uomini hanno paura delle donne che scrivono poesie d’amore, per questo se ne vanno”, disse lei sconsolata, disperata no, perché nonostante tutto l’amore lo cercava e lo aspettava ancora. Lei era una poetessa che sapeva tradurre in versi i meandri del cuore di una donna, anche i sospiri diventavano versi, anche gli occhi […]

“Forse gli uomini hanno paura delle donne che scrivono poesie d’amore, per questo se ne vanno”, disse lei sconsolata, disperata no, perché nonostante tutto l’amore lo cercava e lo aspettava ancora. Lei era una poetessa che sapeva tradurre in versi i meandri del cuore di una donna, anche i sospiri diventavano versi, anche gli occhi che s’addolcivano di trasparenza di miele, e la bocca triste che s’ammischiava a sorrisi anche rassegnati a volte, quando s’ avvedeva che il tempo le volava addosso lasciando segni di canizie precoce, come fossero una carezza lieve. Il vecchio confidente le rispose che no, che l’amore è come un frutto maturo che si stacca da solo dall’albero, mai prima del tempo giusto, per quanti sforzi possiamo fare per coglierlo nei giorni acerbi. “E anche ci si riuscisse, aggiunse nella sua saggezza, a che cosa servirebbe un amore verde? Una mandorla che si addenta e lascia brividi passeggeri, lampi di scotimento tra i denti; ma l’amore è oltre i lampi solitari, là dove s’accende e s’acquieta, in un alternarsi di luci e d’ombre, tra sentieri piani e scoscesi, nella conca del cuore dove tutto si riconduce e diventa vita”. Lei annuiva bella e scarmigliata dalla notte insonne, accarezzando i cavalli della sua tenuta. Aveva gli occhi gonfi per le lunghe veglie e le lacrime solitarie. E in queste veglie scriveva poesie da strazio, anche se delicate come fiordalisi e papaveri dal respiro breve. Erano per l’uomo che non c’era e che aspettava. Ma c’era troppa malinconia tra i versi, troppo pianto. E quando un uomo s’accostava al suo fianco, stava un po’ e poi spariva, nuvola di vento che non aveva trovato appigli per restare. Perché c’è differenza profonda tra un uomo che ama e una donna che ama. E se anche l’uomo ama davvero, spesso lo fa per avere, raramente per dare. La donna che ama, lo fa in gratuità, regalando pezzi d’anima e di pelle e pur senza rinunciare ad essere se stessa, sa perdersi sempre nell’amato per ritrovarsi immensa. L’uomo, invece, si sente già immenso, e quando ama lo fa per dimostrarlo. “Ti pentirai di tutto fuorché d’essere venuta da me” si vantava D’Annunzio con l’amante di turno. E assai prima di lui c’era Catullo a pretendere baci, mille e poi cento, e poi ancora mille e cento, senza soluzione di continuità. Lei era diversa e aveva fatto suoi i versi di una poetessa inglese che le era entrata nell’anima e che anche dall’amato pretendeva gratuità: “Se devi amarmi per null’altro sia, se non che per amore”. Nella sua casa di campagna il vecchio confidente sbrogliò la cartella di poesie e le lesse d’un sorso. Erano belle come un campo di margherite con tutto quell’amore profuso a piene mani; ma erano compiaciute di pianto. Un godimento sottile nel crogiolo doloroso, un senso di ingiustizia gridato al cielo e alla terra. La consapevolezza d’avere un cuore grande e talmente colmo d’amore da non essere compresa e fors’anche derisa. “Sono molto belle, le disse il vecchio confidente restituendole il plico. Ma ho capito perché gli uomini si allontanino da te dopo averle lette”. Lei si avviò i capelli con gesti misurati e attese rassegnata la sentenza, seduta per assorbirla senza traumi. “Credevi che il tuo amore fosse gratuito, ma in realtà non lo è. Non è gratuito l’amore quando è intriso di pianto. Le tue poesie non sono venate di lacrime liberatorie, ma di rammarico. Non è vero che il dolore, la delusione, prendano di mira solo te. Finché la tua poesia d’amore sarà poesia di pianto, neanche il tuo amore, per quanto grande possa essere, avrà mai il dono della gratuità”.
L’estate rammucchiava gente sul litorale, rastrellata chissà dove, per distenderla sulla sabbia rovente, tra ombrelloni e tormentoni musicali che riempivano il giorno. Il vecchio confidente respirava il tempo a sorsi lunghi, quasi volesse rubare il mare che gli scioglieva in gola residui di tosse da fumo. Disteso sulla sdraio leggeva un libro di poesie d’amore che, seppure in qualche passaggio addolorate, spargevano speranza a piene mani, come semente gioiosa e benedetta. “Vedo che mi legge, disse lei posandogli una mano sulla spalla, posso presentarle mio marito?”

Mario Narducci

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *