Aborto. Diritto a rischio in Occidente

“La manifestazione di oggi a Roma vuole dire a chiare lettere che in Occidente i diritti delle donne sono sotto attacco”. Jillian Taft parla con l’agenzia Dire a poche ore dall’inizio della protesta organizzata nella capitale da Women’s march Rome con la Casa internazionale delle Donne e Non una di meno, per denunciare la recente […]

“La manifestazione di oggi a Roma vuole dire a chiare lettere che in Occidente i diritti delle donne sono sotto attacco”. Jillian Taft parla con l’agenzia Dire a poche ore dall’inizio della protesta organizzata nella capitale da Women’s march Rome con la Casa internazionale delle Donne e Non una di meno, per denunciare la recente decisione della Corte suprema degli Stati Uniti di abolire il diritto costituzionalmente riconosciuto di interrompere la gravidanza.
Taft, residente in Italia da vari anni e con doppia cittadinanza statunitense-italiana, è tra le fondatrici della sezione romana di Women’s march, un movimento nato all’indomani dell’elezione del presidente Donald Trump: “Una donna lanciò la proposta di un corteo contro Trump- ricorda Taft- perché sembrava assurdo che un uomo misogino, sessista e privo di qualità fosse stato scelto per andare alla Casa Bianca. Aderirono così tante persone che da quell’iniziativa nacque un’organizzazione”.
Il movimento si è esteso in vari paesi e ovunque propugna gli stessi obiettivi: “I diritti delle donne e della comunità Lgbtqi+, dando voce a tutti senza distinzione di razza, classe sociale o nazionalità. Protiamo avanti poi le battaglie specifiche dei paesi in cui siamo”. In Italia, in tema di aborto, secondo Taft il problema “è la mancanza di informazione per le donne che intendono abortire e la presenza di medici obiettori.
Quelli non obiettori devono fare il massimo per garantire a tutti questa pratica”. Se però il diritto ad abortire legalmente è stato messo a rischio negli Stati Uniti, tra le principali democrazie del mondo, per Taft esiste “il rischio concreto che altri Paesi occidentali ne seguano l’esempio. Nel mondo di oggi- prosegue- ci sono vari autocrati al potere: lo vediamo con Putin in Russia, Lukashenko in Bielorussia, ma soprattutto Orban in Ungheria e quest’ultimo- continua Taft- è un caso emblematico perché si tratta di un Paese europeo e membro dell’Ue, che pure ha scelto un leader come Viktor Orban”.
Un altro esempio è dato dalla Polonia, “che ha criminalizzato l’aborto e oggi accoglie la maggior parte dei rifugiati ucraini, che sono per lo più donne”. La fondatrice di Women’s march Rome chiama in causa anche l’America Latina, dove ogni anno 760.000 donne vanno incontro a complicanze mediche per aver fatto ricorso ad aborti clandestini, stando a uno studio del Guttmacher Institute. “In molti paesi come Honduras, Ecuador, El Salvador o Guatemala la vita è così complessa a causa della criminalità organizzata o delle violenze legate al narcotraffico che il diritto all’aborto è quasi secondorio, e i movimenti sociali devono agire nell’ombra” dice Taft.
Eppure di recente, proprio in Paesi come Colombia e Argentina “dopo decenni di lotte si è finalmente raggiunto per legge questo diritto”, oppure il Cile, dove “è stato inserito nella Costituzione. Ora i movimenti latino-americani dovranno guardare a quei paesi- avverte l’attivista- e non più agli Stati Uniti, come modello di riferimento. La strada verso le leggi è lunga e bisogna essere perseveranti”.
L’appello dunque da Roma “è rivolto ai politici progressisti: ogni Costituzione liberale deve prevedere l’aborto per le donne, gli uomini trans dotati di utero e le persone non binarie. Va riconosciuto il diritto all’autodeterminazione, a compiere scelte riproduttive per il proprio futuro”. Perché il rischio, sostiene Taft ripensando al proprio paese, “è compromettere la vita delle giovani e delle donne. Negli Stati Uniti il congedo per maternità dura al massimo due settimane. Le visite mediche e poi il parto sono costosi così come l’asilo nido. Avere un figlio insomma implica avere dei soldi, ecco perché tante pianificano la vita in modo diverso”. E l’uomo? “La legge americana prevede l’obbligo per il padre di contribuire alle spese- dice l’attivista- ma se il minore non è riconosciuto, la donna dovrebbe denunciare il partner e portarlo in tribunale, e anche questo implica costi elevati. Quindi spesso ci rinuncia”.

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