La guerra russo-ucraina può fare , tra tutte, anche una vittima eccellente, la transizione energetica. O meglio la retorica di una transizione energetica pensata come un percorso governabile in tempi brevi. Cosa accadrà della transizione energetica dopo la guerra russo- ucraina?
Il 24 febbraio 2022 è iniziato un nuovo secolo. Per quante riflessioni, analisi, dibattiti e studi si vogliano fare nell’immediato sarà la Storia che sicuramente ce ne darà la conferma. Perchè il 24 febbraio, il giorno in cui le truppe russe sono entrate in Ucraina , quello che doveva essere nelle previsioni dei russi ,a cominciare da Vladimir Putin , un raid per arrivare a Kiev, sostituire i governanti ed essere accolti dalla popolazione con fiori e bandiere , si è rivelato un flop. Ma soprattutto perchè ha rivelato una sorprendente capacità di “ resistenza” non solo dell’esercito ucraino ma anche della popolazione civile sottoposta a quello che da più parti viene definito un massacro. Che nelle giuste dimensioni e proporzioni ( rispetto a quello che la Storia ci ha fatto vedere nel recente passato in occasione di altri conflitti locali come area slava, medio oriente) lo si può ritenere tale . Anche se , come affermano alcuni analisti, al trentesimo giorno di guerra e davanti alle devastazioni di una città come Mariupol si tratta solo di un millesimo della reale potenza per così dire “ di fuoco” dell’esercito russo.
Un nuovo secolo dunque per l’assetto geopolitico mondiale che nascerà da questa guerra, una guerra dentro l’Europa che da settanta anni non aveva visto più muovere le armi nei suoi confini grazie al Trattato dell’Unione. Il n. 2/2022 della rivista Limes affronta questo cambiamento esaminando appunto da molti punti di vista le conseguenze del conflitto. Chi vuole leggendo i saggi e le riflessioni pubblicate in quel mensile può farsi un’idea. Voglio solo aggiungere che è particolarmente interessante riflettere sulle prospettive future partendo dal combinato di tre fenomeni che nella storia si presentano quasi sempre insieme, guerra, epidemia e carestia e che in fin dei conti si sommano. Uno scenario che vede infatti per primo la pandemia da Covid 19 rincrudelire per esempio in Cina dopo due anni di relativa tregua. A seguire la guerra Russia Ucraina che tra alterne vicende e per svariate motivazioni ha nel 2014 assunto la piega che altrettanti analisti definiscono come l’inizio dell’attuale conflitto ( la ricerca delle motivazioni a ritroso è impegnativa ma utile forse (?!) e che potrebbe durare per anni con strascichi impensati e conseguenze impensate. E infine una carestia non solo alimentare , ma anche di materie prime e risorse energetiche come per esempio la mancanza di concimi ( Russia e Ucraina ne sono i maggiori produttori del mondo ) per coltivare cereali e quindi la mancanza degli stessi i cui raccolti stanno andando perduti. Effetti che si sommano dunque e che alimentano preoccupazioni e reali condizioni non solo di disagio ma di insicurezza soprattutto dal punto di vista economico .Si pensi solo all’attuale inflazione o allla crescita mancata per non dire, per quanto riguarda l’Italia ,, per esempio, della necessità di riscrivere alcuni tratti del Pnrr.
E’ iniziato un secolo nuovo anche se il secolo breve in realtà, il Novecento, terminato con gli accordi di Yalta del 1945 dando un nuovo assetto al mondo, ha visto iniziare e terminare in modo fulmineo altri secoli come quello, in piena guerra fredda, ( che andava avanti dal 1947) iniziato con la caduta del muro di Berlino nel 1989, la riunificazione delle due Germanie, la dissoluzione dell’Unione sovietica, accelerata dal disastro della centrale nucleare di Cernobyl (26 aprile 1986 ). Secoli che hanno ridisegnato il volto del pianeta fino a quel contraccolpo devastante che fu l’attentato alle torri gemelle che determinò a catena le guerre americane Iraq, Afganistan Libia, e russe Siria, Cecenia, Crimea. Temi sui quali si potrà tornare su queste pagine ma che non sono argomento di questa riflessione che si occupa di transizione ecologica. La transizione ecologica dunque che potrebbe diventare un problema di lunga durata in considerazione del quadro che ho cercato di delineare come introduzione. Un quadro semplificato proprio per evidenziarne l’essenzialità senza intenti riduttivi nei suoi termini costitutivi perchè ritengo comunque la complessità la via maestra per affrontare l’analisi su questi temi .
Dunque,la guerra russo-ucraina può fare una vittima eccellente, la transizione energetica. O meglio la retorica di una transizione energetica pensata come un percorso governabile in tempi brevi.
La partita dell’energia va direttamente ad impattare sulle dinamiche future che le nazioni e i governi prenderanno in tema di approvvigionamenti e di investimenti strategici. Come dimostrato dalle prese di posizione del governo Draghi in Italia, la partita impatterà sull’agenda energetica delle principali economie imponendo scelte emergenziali per rendere i contesti interni più resilienti di fronte all’ipotesi di un blocco delle forniture di gas dalla Russia nel breve periodo. E nel medio periodo le economie potrebbero essere gravate da un crescente prezzo del petrolio. E’ per il lungo periodo che probabilmente occorre lavorare soprattutto in sede europea per cambiare radicalmente l’approccio a questo tema e quindi organizzare le azioni relative per concretizzare una vera transizione energetica , rispettosa delle esigenze di tutti i paesi e soprattutto rispettosa delle esigenze del pianeta .
Ma a che punto eravamo prima dell’inizio della guerra russo-ucraina?
Eravamo sicuramente a corto di tempo. Siamo a corto di tempo e tutto dipende da noi. Siamo ai tempi supplementari o meglio, per essere più precisi, ai rigori. Appunto nella fretta per il tempo che manca al finale di partita c’è una grande incertezza per come reagiranno gli uomini. Incertezza che significa scenari diversi. Opportunità e scelte diverse. A cominciare da scelte decisive come la messa al bando di carbone e combustibili fossili. Sto parlando del destino del clima terrestre e delle sue conseguenze sulla vita del pianeta e di chi lo abita. Controllo del riscaldamento non oltre 1,5° C del livello preindustriale ; esplorazione di nuovi combustibili;basse emissioni di carbonio ; controllo della CO2 nell’atmosfera e nella stratosfera oltre alle limitazioni del gas serra dovuto a combustibili fossili e deforestazione.
Dal 1990 ad oggi l’IPCC ( Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici ) per sei volte ha valutato lo stato del clima e proprio ai primi di agosto del 2021 ha pubblicato 3.000 pagine di rapporto su questo tema. Ad opera di 250 autori che hanno esaminato e riassunto 14 mila articoli scientifici pubblicati negli ultimi tre anni.
Tremila pagine approvate anche da 195 paesi che contengono un unico messaggio: siamo ormai a corto di tempo. Lo stato del clima sta rapidamente peggiorando e tale peggioramento è destinato ad accelerare se non si prenderanno alcune misure di contrasto. Probabilmente certi processi ormai avviati si possono considerare già irreversibili. Le misure che gli autori del rapporto considerano urgenti ed efficaci sicuramente consentiranno di controllare, per esempio, il riscaldamento che nell’atmosfera potrebbe essere fermato già nei prossimi decenni a 1,5°C, cosa diversa nell’atmosfera in cui la CO2 è più difficile da controllare. Per non arrivare alla fine del secolo ad un potenziale rapporto dell’attuale riscaldamento e anzi fino a 4,4°C che aprirebbe scenari dalle conseguenze imprevedibili.
Nella precedente valutazione del 2013 l’IPCC aveva affermato che gli esseri umani rappresentano la causa dominante del riscaldamento globale a partire dalla metà del Novecento. Tali considerazioni nel 2015 hanno favorito gli accordi di Parigi. Ora da qui a tre mesi ci sarà una conferenza sul clima a Glasgow ,la Cop 26. Questa conferenza dovrà prendere atto di quanto affermano gli scienziati ossia che l’attività umana sta cambiando il clima della Terra. Una attività senza precedenti che produce gas serra anche e soprattutto per la combustione di carbone, petrolio e gas naturale.
Un cambiamento che sta portando ad un aumento degli eventi meteorologici estremi che già caratterizzano appunto la condizione della vita sulla Terra. Fino ad arrivare a livelli catastrofici per la Terra a causa del riscaldamento dovuto, per esempio, allo scioglimento del permafrost artico e il deperimento delle foreste globali che porterebbero entro la fine del secolo ad un livello pari a 4,4°C ( al di sopra del livello preindustriale tra il 2081 e il 2100).
Allora secondo il rapporto IPCC la riduzione del gas serra deve cominciare entro questo decennio, 2020-2030, per impedire il collasso del clima. Abbiamo già cambiato il nostro pianeta. Con questi cambiamenti stiamo già facendo i conti. Dobbiamo adattarci ora a prevenire le possibili catastrofi. Cosa non facile, dura da accettare e difficile da sopportare.
Certo è difficile oggi, di fronte alle notizie che arrivano dal fronte dell’Ucraina alzare lo sguardo oltre soprattutto per l’Europa ma occorre farlo. E’ decisivo che l’Europa recuperi in questa situazione tutte le sue capacità di autonomia per procedere a rimodulare un rapporto con la Russia, tenendo conto si delle opinioni del suo alleato gli Stati Uniti d’America, ma indicando i suoi reali interessi che appunto attengono anche al cambiamento ecologico.
Per quello che riguarda invece il problema clima è inutile piangere sul latte versato. Occorre dunque chiedersi ed è per questo che tutto dipende da noi : quanti altri cambiamenti irreversibili vogliamo provocare al nostro pianeta? Vogliamo e possiamo evitare un percorso che ci porta sicuramente ad un futuro insostenibile? Limitare dunque i devastanti impatti del cambiamento climatico? Si può e si deve. Perché questo pianeta non è nostro, è soprattutto delle generazioni future a cui non può essere lasciato un bilancio catastrofico. Bisogna compiere delle scelte pra per confermare e realizzare gli obiettivi della della conferenza sul clima di Parigi e quindi mitigare il cambiamento del clima e mettere in atto azioni di adattamento.
Cosa fare dunque? Tre anni prima che Greta Thumberg sollevasse il sipario su uno scenario veramente inaccettabile e desse il via a quelle manifestazioni di confronto e di lotta per la saluta del clima sulla Terra, negli Stati Uniti un gruppo di ragazzini citavano in tribunale il loro paese per chiedere giustizia per i danni che erano stati arrecati al clima. Il caso si chiama “Juliana V.United States “ ossia Kelsey Giuliana contro gli Stati Uniti d’America. Una richiesta forte perché solleva nel 2015 da parte di un gruppo di ragazzini un dibattito sulle scelte dannose contro il clima effettuate dall’amministrazione americana ritenendole incostituzionali e soprattutto dannose per le future generazioni.
Nel 2015 quel gruppo di ragazzini dunque chiese giustizia, richiesta che oggi trova nel gruppo degli scienziati dell’IPCC i più efficaci sostenitori di quella battaglia perché a quei ragazzini danno scientificamente ragione ,indipendentemente da quello che sarà il verdetto del tribunale.
Che fare dunque di fronte non al cambiamento del clima ma di fronte ad un anomalo cambiamento . Il clima sulla Terra, per sua natura, è sempre cambiato. In questo momento però il riscaldamento ha un carattere globale che lo caratterizza. Tra l’altro si inverte la lenta e persistente tendenza al raffreddamento che è evidenziata appunto dalla temperatura della superficie terrestre che è una delle variabili del clima. Misurare la temperatura della superficie terrestre permette di capire il cambiamento climatico globale. Il riscaldamento in pratica però si sta registrando ovunque in modo uniforme rispetto ad oscillazioni di questo indicatore negli ultimi duemila anni. Negli ultimi 2 milioni di anni il clima ha oscillato tra periodi interglaciali e periodi più caldi fino ad arrivare a 12 milioni di anni fa quando ha avuto inizio l’Olocene,l’era così definita nella quale ci troviamo a vivere. Tra la precedente era glaciale e quella nella quale si troviamo, la temperatura della superficie terrestre è aumentata complessivamente di 5 centigradi per ogni miglisaia di anni.
Con questi dati appena riferiti potremmo dire che statisticamente siamo nella norma. L’aumento di 1,5°C prevedibile in un migliaio di anni si sta verificando nel giro di un secolo e potrebbe arrivare a 5 centigradi, ovvero l’aumento ammissibile per un periodo di migliaia di anni ,ovvero l’aumento che nel passato ha caratterizzato ere intermedie di milioni di anni.
Tutto nella norma dunque? No per nulla. L’attuale riscaldamento sta invertendo una tendenza di lungo periodo al raffreddamento. 6.500 anni fa c’è stato un picco in tal senso che poi è diminuito lentamente. Poi c’è stata alternanza tra secoli caldi e secoli freddi. Queste oscillazioni erano inferiori rispetto all’attuale costante e notevole innalzamento delle temperature. Le oscillazioni precedenti sono state causate da processi naturali verificatisi su larga scala.
Ecco allora il punto. L’uomo con la sua attività ha reso la Terra vulnerabile e dunque vulnerabile anche la sua stessa esistenza sulla Terra. Non è mai avvenuto prima e potrebbe dar corso ad una catastrofe. Bisogna salvarsi dunque? E per salvarsi non bisogna perdere tempo? Erroneamente noi parliamo di cambiamento climatico sottovalutando il valore del “cambiamento” che in sé ha aspetti potenzialmente psotivi.Per rappresentare ragionevolmente lo stato delle cose dovremmo definire l’attuale situazione una “ catastrofe” climatica. E dunque quando arriviamo a definire ka questione “ catastrofe” il dibattito si sposta e al centro della riflessione non c’è più solamente la diagnosi della “crisi climatica” ma anche le “ ipotesi di “cure “ per salvare il pianeta.
Parlando di proposte di cura dobbiamo però tener conto di alcune variabili tra cui principalmente le misure di prevenzione alcune delle quali ormai fuori tempo; le incertezze dei modelli previsionali ( ogni modello è diverso dall’altro a secondo dei parametri che si inseriscono); la defferenze sempre più accentuate tra scienza e tecnologia ( ossia la fiducia nella tecnologia oltre che nella scienza);le attitudini ad orientare lo sviluppo da parte delle multinazionali dei combustibili fossili. Tutte variabili che però vanno messe in relazione con il tempo. Quanto tempo abbiamo a disposizione?
Non è dunque uno scherzo considerare l’aspetto temporale dello sviluppo e del controllo delle ipotesi che ho in parte riferito e riassunto dalle varie letture che ho fatto su questo argomento . Si parla di ipotesi di cura del pianeta . E si deve parlare di decenni. Solo decenni , una frazione brevissima di tempo messa a confronto con milioni di anni che hanno caratterizzato e caratterizzano alcuni processi sulla Terra. Un periodo di tempo dunque irrilevante. Dunque urgenze. Urgenza di cambiare modelli di sviluppo e di consumo. Una operazione sicuramente complessa ma estremamente necessaria.
Probabilmente la guerra Russia Ucrania e il nuovo assetto che Vladimir Putin chiede alle potenze del mondo per rispettare la rinata potenza della Russia determinerà anche un cambiamento nelle strategie dell’approvvigionamento delle risorse energetiche fossili e quindi invertirà il cammino intrapreso. In una situazione complessa appunto. Complessa perché deve mettere assieme gli effetti sociali dello squilibrio degli ecosistema e gli sconvolgimenti climatici: favorire la crescita di una cultura scientifica; trovare sedi e luoghi adeguate per promuovere un dibattito e consenso. In un contesto in cui fatti incerti, valori in discussione,elevati interessi in gioco, decisioni urgenti da prendere compongono lo scenario di riferimento.
Abbiamo accennato alle cure. Nella città scozzese di Glasgow dal 1° al 12 novembre si è svolta la 26esima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite «COP26». Senza contromisure incisive a livello internazionale,( che la Conferenza dovrebbe proporre ed adottare ) stando alle Nazioni Unite il pianeta si vedrà confrontato con un aumento globale delle temperature di circa tre gradi entro la fine del nostro secolo. L’obiettivo dell’accordo di Parigi sul clima del 2015 verrebbe così disatteso. Nel quadro dell’accordo, 189 Stati e l’UE si erano impegnati a ridurre le proprie emissioni di gas serra. L’obiettivo è di ridurre globalmente l’aumento delle temperature medie a meno di 2 gradi centigradi rispetto ai valori del periodo preindustriale.
Ma come è terminata la Conferenza? Quali risultati si sono avuti e quali misure ha adottato?Erano 4 gli obiettivi principali della COP26, individuati dalla Presidenza:
- Mitigazione: azzerare le emissioni nette entro il 2050 e contenere l’aumento delle temperature non oltre 1,5 gradi, accelerando l’eliminazione del carbone, riducendo la deforestazione ed incrementando l’utilizzo di energie rinnovabili
- Adattamento: supportare i paesi più vulnerabili per mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici, per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali
- Finanza per il clima: mobilizzare i finanziamenti ai paesi in via di sviluppo, raggiungendo l’obiettivo di 100 miliardi USD annui
- Finalizzazione del “Paris Rulebook: rendere operativo l’Accordo di Parigi, con particolare riferimento a:
-trasparenza: l’insieme delle modalità per il reporting delle emissioni di gas serra ed il monitoraggio degli impegni assunti dai Paesi attraverso i contributi determinati a livello nazionale (NDC – Nationally Determined Contributions);
-meccanismi (Articolo 6 dell’Accordo di Parigi);
-Common timeframes (orizzonti temporali comuni per definizione NDC).
Per la prima volta viene riconosciuto che l’obiettivo delle politiche climatiche deve essere quello di mantenere la temperatura globale entro un aumento massimo di 1,5°C rispetto all’epoca preindustriale. Aver inserito un tale riferimento implica che le politiche climatiche, messe in atto dai diversi Paesi, dovranno essere aggiornate e rinforzate, visto che con quanto previsto ad oggi l’obiettivo di 1.5°C non verrà raggiunto. Si è deciso di raddoppiare i fondi internazionali per le azioni di adattamento, soprattutto nei paesi più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici. E’ stato inoltre approvato un programma di lavoro per definire il “Global Goal on Adaptation”, finalizzato a definire gli indicatori per monitorare le azioni di adattamento dei Paesi. L’obiettivo di raggiungere, entro il 2020, 100 miliardi di dollari annui per supportare i Paesi vulnerabili non è stato ancora raggiunto (nel 2019, si sono sfiorati gli 80 miliardi). Nell’ambito della COP26 sono stati tuttavia molteplici gli impegni da parte di diverse istituzioni finanziarie e dei Paesi per aumentare i propri contributi e far sì che tale obiettivo sia raggiunto il prima possibile. Secondo le stime dell’OCSE, si potrebbe raggiungere quota 100 miliardi annui entro il 2023, con la prospettiva di aumentare l’impegno gli anni seguenti. Per rendere pienamente operativo l’Accordo di Parigi, sono stati finalizzati i lavori su tre temi di natura tecnica: trasparenza, meccanismi (“Articolo 6”) e tempistiche comuni per gli NDC (“common timeframes”). Sono state finalmente adottate le tabelle e i formati per il reporting ai sensi del nuovo quadro di trasparenza (ETF) dell’Accordo di Parigi,che entrerà in vigore per tutti i Paesi, sviluppati e non, entro il 2024. Tra queste le tabelle comuni (CRT) da utilizzare per la rendicontazione dei dati dell’inventario delle emissioni e degli assorbimenti dei gas serra, i formati tabulari comuni (CTF) per il monitoraggio dei progressi nell’attuazione e nel raggiungimento degli NDC e gli indici di importanti rapporti di trasparenza che i Paesi dovranno redigere e trasmettere periodicamente all’UNFCCC. Per la finalizzazione di questo lavoro, è stato necessario un accordo su come tradurre all’interno delle tabelle e dei formati le specifiche opzioni di “flessibilità” a disposizione dei paesi in via di sviluppo in caso non riescano ad applicare appieno le regole stabilite in virtù di limiti di capacità nazionali. È stato raggiunto, inoltre, l’accordo sui meccanismi di mercato, relativo all’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, che riconosce la possibilità per i Paesi di utilizzare il mercato del carbonio internazionale per l’attuazione degli impegni determinati a livello nazionale per la riduzione delle emissioni (NDC). Questo include l’adozione di:
- linee guida per i cosiddetti “approcci cooperativi” che prevedano lo scambio di quote (Articolo 6.2 dell’Accordo di Parigi), incluse le informazioni da includere nell’ambito del nuovo quadro di trasparenza;
- regole, modalità e procedure per i “meccanismi di mercato” (Articolo 6.4);
- un programma di lavoro all’interno del quadro degli approcci “non di mercato” (Articolo 6.8), con avvio nel 2022.
Infine, è stato raggiunto un accordo per una (breve) decisione che incoraggia (dunque in maniera non vincolante) i Paesi a comunicare gli NDC su base quinquennale e con delle tempistiche comuni per la loro attuazione di 5 anni. ( 1 )
Scrive Andrea Muratore su Il giornale in un articolo dal titolo “Cosa accadrà veramente della transizione energetica dopo la guerra russo ucraina “: “ Il cambio di paradigma economico accelerato dal virus continua”, fa notare il politologo Lorenzo Castellani, sottolineando che questo consterà in “più spesa pubblica nazionale e sovranazionale, più protezionismo, accorciamento delle supply chain, tentativi di reshoring”, aggingendo che “diminuirà la foga sulla transizione ecologica a causa di inflazione e problema supply chain; alcuni paesi vireranno verso una semi-autarchia (Russia, Cina), altri verso aggregazioni regionali” e questo impatterà profondamente anche sui mercati energetici, dato che cambieranno drasticamente le direttrici politico-industriali e si rafforzerà la dinamica competitiva dei Paesi nel governare la transizione energetica. Incentivando di conseguenza una svolta pragmatica che porterà a difendere la presenza d per compenetrare le ragioni di sicurezza nazionale a quelle della transizione. Si chiude dunque ogni prospettiva di dibattito sulla presenza del gas nelle risorse-ponte per la transizione previste dalla tassonomia energetica dell’Unione Europea.
Lungo periodo: questo è il vero pomo della discordia. Nella “Grande Tempesta” globale fatta da rivalità geopolitiche, pandemia e crisi ambientale il programmare politiche strategiche di ampio respiro si fa sempre più complicato. Così come si fa sempre più difficile ipotizzare scenari al 2025, 2030 o addirittura 2050 che prevedano la rottamazione di interi comparti economici e cambiamenti sistemici sul fronte geopolitico. Specie se per l’Occidente ciò vuol dire prevedere una crescente dipendenza industriale, in campo di energia rinnovabile, da Paesi ritenuti strategicamente rivali: la Russia di oggi potrebbe diventare la Cina di domani.
Il conflitto russo-ucraino è uno di quegli eventi che cambiano paradigmi e sviluppano riflessioni sulla tenuta dei sistemi odierni. Il mercato energetico, sulla scia della geopolitica contemporanea, è volatile e competitivo. Ora più che mai. Prezzi alti, tensioni sistemiche, guerre economiche colpiscono le capacità dei sistemi-Paese di investire sulla transizione. L’insicurezza geopolitica fa il resto. Siamo entrati in una fase di alta volatilità. I tempi e i costi della rivoluzione energetica dovranno essere completamente riconsiderati a seguito di un grande shock come quello oggi in atto. E come il mondo, anche il contesto della transizione uscirà da questa crisi completamente mutato.(2)
Valter Marcone
Photo: NurPhoto.com
( 1) https://www.isprambiente.gov.it/it/archivio/notizie-e-novita-normative/notizie-ispra/2021/11/26a-conferenza-delle-parti-sul-cambiamento-climatico)
(2)https://www.ilgiornale.it/news/transizione-energetica/quale-transizione-energetica-crisi-ucraina-2014789.html
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