Intervista al professor Marco Anzidei

Alla Vigilia del Santo Natale 2009, la terra continua a tremare in Abruzzo, in Italia e nel mondo (www.emsc-csem.org), e l’occhio è sconcertato alla vista di una città come L’Aquila (distrutta il 6 aprile 2009, da un sisma di magnitudo Mw=6.3) diventata un cumulo di macerie, parafrasando Robert Mallet (1862). La città capoluogo della Regione […]

faglie attive sismogenetiche illuminate dai recenti terremotiAlla Vigilia del Santo Natale 2009, la terra continua a tremare in Abruzzo, in Italia e nel mondo (www.emsc-csem.org), e l’occhio è sconcertato alla vista di una città come L’Aquila (distrutta il 6 aprile 2009, da un sisma di magnitudo Mw=6.3) diventata un cumulo di macerie, parafrasando Robert Mallet (1862). La città capoluogo della Regione Abruzzo (se il Big One fosse accaduto in California, mi si consenta il poco felice accostamento, è come se fosse venuta giù la capitale Sacramento) non c’è più, bisogna ricostruirla per tornarci a vivere. Se gli amici californiani sono già pronti al peggio, noi abbiamo dimostrato al mondo il contrario. Salvo poi rivelare la nostra bravura nei soccorsi e, speriamo, nella delicata fase della ricostruzione e del decollo della nuova e più bella L’Aquila. Cosa dobbiamo più temere, le forze della Natura o la natura dell’Homo Sapiens Sapiens? Continua la nostra ricerca della verità sul più “aspettato” evento sismico di inizio XXI Secolo. E abbiamo chiesto al professor Marco Anzidei Primo Ricercatore di ruolo presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Sezione Centro Nazionale Terremoti) di Roma che ringraziamo vivamente, di illustrare lo stato delle conoscenze finora acquisite sull’evento sismico aquilano, anche alla luce dell’ultimo convegno dell’American Geophysical Union (Agu Fall Meeting 2009) di scienze della Terra, svoltosi a San Francisco (California, Usa) dal 14 al 18 dicembre 2009. La sessione sul terremoto di L’Aquila è stata molto interessante. L’analisi dei dati presentati dai nostri ricercatori alla comunità scientifica internazionale, è in corso.

Professor Marco Anzidei, l’Appennino centrale – nella zona compresa tra Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo – si sposta con un tasso medio di circa 1 – 3 mm l’anno con un movimento orientato Nord Est – Sud Ovest. I risultati relativi alla dinamica della crosta terrestre nell’Italia centrale, sono stati conseguiti grazie a una fitta rete Gps realizzata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, consistente in  alcune stazioni in monitoraggio continuo, integrate da altre 125 stazioni discontinue, distanti tra loro dai 3 ai 5 chilometri. La rete geodetica è in grado di rilevare con precisioni millimetriche i movimenti della crosta terrestre sia durante la fase intersismica  (cioè nell’intervallo di tempo tra il verificarsi di due terremoti) sia durante la fase cosismica (cioè durante il terremoto stesso). Poiché tra il 1999 e il 2003, non si sono avuti importanti fenomeni  sismici sull’Appennino: la rete Gps avrebbe però messo in evidenza i  movimenti crostali di origine non sismica, che avvengono a causa dei lenti movimenti delle placche terrestri. E’ vero?

“Si, è vero. Tra il 1999 e il 2008 la rete GPS nell’Appennino indica che esiste una deformazione continua della catena con moto estensionale orientato sudovest-nordest rispetto al suo asse. Durante questo periodo, la deformazione è avvenuta in assenza di terremoti. Ciò significa che questa è stata elastica e asismica fino ai terremoti del 6 aprile che hanno causato una improvvisa estensione dell’Appennino attraverso la conca aquilana, che si è poi propagata verso tutto l’Appennino centrale, dall’Adriatico al Tirreno”.

I satelliti sensibili alle più piccole fluttuazioni di calore nel sottosuolo, possono aver visto qualcosa durante il sisma di L’Aquila?

“Durante l’ultimo convegno dell’American Geophysical Union a San Francisco, sono stati mostrati dati di satelliti che rilevano la temperatura al suolo. Questi hanno individuato un aumento della temperatura nella zona dell’Aquila nei giorni vicini al terremoto. Si deve però ancora comprendere il significato fisico di questa osservazione che potrebbe non essere legata direttamente al terremoto.”

La faglia che ha scatenato il terremoto a L’Aquila il 6-7-9 Aprile 2009 sarebbe stata quella tra le più pericolose presenti nella zona. Il sistema montuoso del Gran Sasso d’Italia, è attraversato da una serie di grandi faglie, alcune note e più superficiali, altre definite “cieche”. In corrispondenza della faglia di Paganica gli studiosi avrebbero rilevato un affondamento del terreno di 25cm da un lato con un corrispondente innalzamento del terreno al lato opposto.

“Le faglie dell’Appennino non si possono considerare “grandi” in termini assoluti, perché sono lunghe al massimo qualche decina di km. Le faglie che si possono definire “grandi” sono ad esempio quella di San Andreas in California, lunga circa 1000 km o per rimanere in nell’ambito del Mediterraneo, quella Nord Anatolica, in Turchia. Ciò ovviamente non significa che le faglie appenniniche non siano pericolose, anche perché sono spesso localizzate presso zone abitate, come per l’appunto a L’Aquila”.

La faglia di Paganica, secondo gli studiosi, avrebbe causato un abbassamento del terreno di circa 25 cm da un lato e un innalzamento dal lato opposto. E’ Vero ?

“Durante il terremoto, la superficie del suolo, quella dove noi camminiamo, si è abbassata di circa 25 cm nella valle di L’Aquila e alzata di circa 3 cm sul suo versante orientale”.

L’Abruzzo ha superato la crisi sismica?

“Ancora non completamente”.

Cosa possiamo dire con certezza scientifica? Cosa avete scoperto dalla terribile sequenza sismica aquilana, dal 14 dicembre 2008 in poi? Quali sono stati i risultati scientifici e le scoperte più significativi? I vostri strumenti cosa hanno osservato? Quale è stata la causa del sisma del 6-7-9 aprile 2009? I terremoti lenti registrati dall’Ingv-Infn sotto il Gran Sasso, prima dell’evento principale, cosa possono dirci sull’attivazione delle faglie responsabili del disastro? Ci sono stati “precursori” prima del terremoto grazie ai quali si poteva prevedere il sisma di L’Aquila?

“Le scoperte importanti sono state numerose perché ogni terremoto porta a nuovi avanzamenti scientifici. Credo che tra le più significative ci siano quelle che provengono dalla rete GPS dell’INGV e dai dati satellitari SAR. Queste riguardano la misura molto precisa delle deformazioni del suolo e la individuazione delle faglie che hanno causato i terremoti della sequenza sismica. In particolare di quelle di Paganica e di Campotosto (Monti della Laga). Grazie a questo tipo di dati, oggi ne conosciamo le dimensioni, quanto si sono mosse in profondità e in superficie durante e dopo le scosse principali. Altri dati importanti sono quelli ottenuti dal professor Luca Crescentini con gli interferometri posti al di sotto del Gran Sasso che hanno osservato anomalie prima e dopo l’evento sismico. Ovviamente anche i dati sismici sono stati fondamentali e indicano le orientazioni e le estensioni dei piani di faglia in profondità, grazie alle localizzazioni molto precise degli ipocentri dei terremoti fornite dalla rete sismica dell’INGV. Sono stati poi avviati molti studi. Alcuni di questi stanno portando a nuove conoscenze sulla storia sismica di quest’area. Sono stati osservati alcuni segnali che potrebbero essere riconducibili a precursori, ma che devono essere attentamente studiati e compresi prima di poterli classificare come tali”.

Qual è la distribuzione delle repliche? C’è stata “migrazione sismica”? La sequenza prima e dopo il 6 aprile 2009, possiamo definirla correttamente “sciame sismico”? Il terremoto del 6 aprile ha aumentato lo stress sulle faglie circostanti? Poteva andare peggio? Avete calcolato l’aumento di probabilità sismica per L’Aquilano e il Teramano? Vi sono state previsioni sismiche “sincrone” al terremoto di L’Aquila ?

“La distribuzione delle repliche segue l’andamento delle faglie che si sono attivate. I terremoti si allineano prevalentemente in direzione nord ovest – sud est e in parte nord-sud. Personalmente non amo il termine “migrazione sismica”, direi piuttosto che la sismicità si è distribuita sulle strutture tettoniche note nelle zone vicine a L’Aquila, come ad esempio quella dei Monti Reatini. La sismicità storica e la paleo sismologia della regione, ci indicano che in passato possono essersi verificati eventi sismici di Magnitudo circa 7, quindi più forti di quelli del 6 aprile 2009. La sequenza aquilana, è iniziata come uno sciame sismico che, dopo alcuni mesi, ha poi raggiunto picchi di magnitudo 6.3. Si può stimare che la scossa del 6 aprile ha aumentato lo stress nelle aree circostanti, che comprende anche altre faglie”.

Il terremoto del 6 aprile 2009, nel quadro delle conoscenze sulla sismicità delle faglie attive nell’Abruzzo Appenninico, come può essere definito? Descriviamo cosa è successo. Quali convegni, congressi e pubblicazioni scientifiche nazionali e internazionali sono stati dedicati al terremoto di L’Aquila? Cosa ha causato i maggiori danni all’epicentro del sisma? Qualcuno all’Ingv ha previsto anche solo statisticamente il terremoto del 6 Aprile 2009 in Abruzzo? I ricercatori Ingv hanno già presentato modelli di previsione probabilistica?

“Il terremoto del 6 aprile si può definire come aspettato ma non prevedibile (cioè la scienza non è in grado di poter indicare luogo, giorno, ora e magnitudo di un terremoto). A questo terremoto sono stati dedicati diverse giornate congressuali. La prima è stata fatta a Roma a poca distanza del terremoto, all’INGV, poi a Chieti, Trieste e infine a San Francisco, nell’ambito del prestigioso congresso dell’American Geophysical Union. In quest’ultima sede c’è stata una grande partecipazione di ricercatori italiani e stranieri e sono state presentati numerosi studi che mostrano che per questo terremoto la qualità dei dati acquisiti e il livello delle conoscenze scientifiche al momento raggiunto è senza precedenti per l’area italiana e decisamente all’avanguardia in campo internazionale. I maggiori danni causati dal sisma sono imputabili alla bassa qualità costruttiva degli immobili, complicati da una geologia di superficie che in certe aree ha prodotto una amplificazione delle onde sismiche e dei loro effetti superficiali. Sulla base delle attuali conoscenze, il terremoto del 6 aprile non poteva essere previsto. Tuttavia la zona di L’Aquila era da tempo indicata come tra quelle a maggiore rischio sismico. Il dr. Warner Marzocchi insieme ad altri ricercatori dell’INGV hanno realizzato dei modelli di previsione probabilistica durante la sequenza che si sono rivelati molto interessanti e che potranno rivelarsi utili in futuro”.

Nella storia abbiamo una ricorrenza di terremoti simili in queste aree? E’ un’anomalia rispetto ad altre zone appenniniche? Il sisma del 1703 a L’Aquila e Teramo in cosa è diverso dal terremoto del 6 aprile 2009? La città di L’Aquila era compresa tra le aree a rischio sulla base delle previsioni probabilistiche? Esistono modelli che utilizzano la sismicità pre-evento per delle previsioni “deterministiche”? Come funzionano?

“Le stime di ricorrenza dei terremoti dipendono principalmente dalla completezza dei cataloghi sismici. Per quello che sappiamo, negli ultimi 500 anni circa, la zona ha subito i più forti terremoti nel 1349, 1461, 1703 e infine nel 2009, cioè a distanza di circa 250-300 anni l’uno dall’altro, ma intervallati da terremoti minori. Tentativi di stima di ricorrenza per periodi più lunghi si possono effettuare su altri tipi di dati come quelli paleo sismologici. Ultimamente sono state tentate stime anche attraverso i dati geodetici: a partire dalla deformazione osservata in superficie nell’Appennino negli anni precedenti il terremoto e da quella che si è prodotta il 6 aprile, è stata stimata una ricorrenza di circa 100-150 anni per terremoti di Magnitudo circa 6. Su basi statistiche, la zona di L’Aquila era indicata da anni tra quelle più probabili di accadimento di un terremoto”.

Parliamo del sistema di faglie e fagliette sismogenetiche che attraversano l’Appennino abruzzese: quali sono e dove sono collocate? La scienza oggi è in grado di calcolare, per ognuna di esse, la probabilità di produrre eventi sismici? Esiste correlazione statistica tra il gas radon e i terremoti?

“Al momento non esiste un catalogo delle faglie così completo da elencarle tutte. Quelle conosciute sono collocate principalmente nelle formazioni calcaree dell’Appennino. L’Italia tuttavia, mostra faglie praticamente ovunque. Una parte è affiorante e si vede in superficie, un’altra invece è sepolta. Una parte di queste ultime si possono individuare indirettamente grazie ai terremoti o a esplorazioni geofisiche. Molte altre non sono ancora conosciute. Al momento la scienza non può calcolare per ognuna di esse la probabilità di produrre eventi sismici. Anche se la letteratura scientifica riporta di osservazioni avvenute in più occasioni di aumento di radon in periodi vicini ai terremoti, non esiste ancora una chiara correlazione spaziale e temporale tra emissione di radon ed eventi sismici. Anche perché mancano studi sistematici con dati utili per essere analizzati con metodi statistici”.

Quali sono le faglie attive potenzialmente responsabili di eventi di magnitudo superiore a 6-7 gradi Richter?

“In Italia, le faglie note, responsabili di terremoti di superiori a circa Magnitudo 7, sono quella dello Stretto di Messina e del Fucino. Per altre, a parte quella dell’Irpinia, si possono fare ipotesi su base non strumentale”.

Come lavorate e con quali strumenti? Siete in grado di individuare e visualizzare nuove faglie tettoniche? L’Ingv collabora con progetti e ricerche di altri scienziati nel mondo? La società civile e la comunità scientifica italiana cosa possono fare per accrescere la cultura fisica sul terremoto fin dalla scuola dell’infanzia?

“Le faglie si studiano su base strumentale e geologica. Tra le varie tecniche utilizzate, negli ultimi anni si studiano anche con le reti GPS e i dati di telerilevamento da satellite. L’INGV è impegnato in molti progetti di ricerca nazionali e internazionali che usano queste tecniche, anche integrate con altri tipi di dati. I recenti risultati di questi studi hanno portato a nuove scoperte e ad avanzamenti significativi nella conoscenza delle caratteristiche di strutture tettoniche, non solo per l’area italiana. La cultura scientifica, purtroppo, è ancora molto carente nella nostra società anche perché nella scuola italiana viene ancora vista come una materia difficile e astratta. In realtà si è visto che i ragazzi sono molto interessati e affascinati dalla scienza quando questa viene spiegata attraverso esempi pratici e quotidiani. La sua presentazione in modo piacevole e divertente riscuote infatti successo quando riesce a raccontare in modo semplice concetti difficili e invoglia così a “catturare” nuovi scienziati di cui abbiamo molto bisogno nel nostro Paese. Oggi ad esempio gli audiovisivi e le mostre contribuiscono molto alla diffusione della scienza. L’INGV si impegna da anni in questo settore di disseminazione scientifica verso la società ospitando scuole, realizzando spazi museali e producendo materiale divulgativo. Oltre a questo è però fondamentale il ruolo che devono svolgere i mass media, stimolando l’attenzione del pubblico e raccontando la scienza in modo rigoroso e comprensibile. Ma, soprattutto, di insegnare che si può convivere con i fenomeni naturali se impariamo a conoscerli. Qui poi si pone un problema fondamentale. Purtroppo la ricerca in Italia, come tristemente noto, non è adeguatamente supportata e le risorse dedicate sono sempre molto scarse. Se i nostri governi non aumenteranno l’attenzione su questo settore, investendo in ricerca, che è alla base dello sviluppo dei paesi civilizzati, le cose non potranno che peggiorare in futuro. Gli altri Paesi che faranno investimenti adeguati saranno sempre più avanzati mentre l’Italia rimarrà sempre più indietro, con conseguenze gravi per la nostra società ed economia”.

Cosa sta facendo e cosa ha fatto l’Ingv nel campo della previsione-prevenzione dei terremoti? Grazie ai vostri studi, sarà mai possibile un giorno predisporre tecnologie in grado di “prevedere” i terremoti in tempi e luoghi utili e certi, rivoluzionando così la cultura della “prevenzione” del rischio sismico in Italia, come hanno già capito in California e in Giappone?

“L’INGV ha prodotto dati fondamentali per la realizzazione della classificazione sismica del territorio nazionale. Questa fornisce informazioni fondamentali per la pianificazione territoriale. Gli scienziati di tutto il mondo che studiano i terremoti lavorano anche con la speranza di riuscire un giorno ad essere capaci di scoprire la chiave di lettura di segnali geofisici utili per fare previsioni sismiche. Al momento siamo ancora lontani da questo obiettivo anche se in Giappone sono stati fatti i migliori avanzamenti. Tuttavia la sempre maggiore capacità di rivelare segnali fisici in aree sismiche (e vulcaniche) grazie alla continua evoluzione e sviluppo di sensori terrestri e satellitare, in futuro potrà farci avvicinare a questo obiettivo ambizioso. Nel frattempo è fondamentale fare opera di prevenzione, al pari di quei Paesi come Giappone e California, che sono i più avanzati in questo campo”.

L’Antenna Sismica Sotterranea del Gran Sasso, l’UnderSeis (UNDERground SEISmic array) e l’interferometro laser Gigs, in grado di monitorare la radiazione sismica con elevata sensibilità, quale contributo possono offrire alle vostre ricerche?

“I dati prodotti da questi strumenti sono importanti e devono essere ulteriormente studiati”.

Non pensa che l’Abruzzo meriti di far sua l’esperienza scientifica, didattica, sociale e culturale dei californiani e dei giapponesi che sanno convivere con il terremoto?

“Il terremoto di L’Aquila ci ha insegnato molte cose sia sotto l’aspetto scientifico che sociale. Mi auguro che la classe politica si sia pertanto sensibilizzata ai vari problemi che ci ha posto questo terremoto, anche per rispetto verso le vittime di questo e di tutti i terremoti passati”.

Nicola Facciolini

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