Monsignor Molinari: C’è chi rema contro

Riportiamo di seguito l’intervista che Monsignor Giuseppe Molinari ha rilasciato al nostro direttore Antonio Del Giudice sui temi della ricostruzione e della rinascita dell’Aquila. L’intervista è contenuta nel numero in edicola de “La Domenica d’Abruzzo”. Monsignor Giuseppe Molinari è un aquilano poco loquace, ma schietto. Il suo aspetto da buon prete di campagna cela un’anima […]

Riportiamo di seguito l’intervista che Monsignor Giuseppe Molinari ha rilasciato al nostro direttore Antonio Del Giudice sui temi della ricostruzione e della rinascita dell’Aquila. L’intervista è contenuta nel numero in edicola de “La Domenica d’Abruzzo”.

Monsignor Giuseppe Molinari è un aquilano poco loquace, ma schietto. Il suo aspetto da buon prete di campagna cela un’anima di ferro e un’intelligenza ironica. Ne vede e ne sente di tutti i colori, ma ha il perdono pronto per tutti. Anche per me, che lo inseguo da settimane per parlare con lui dell’Aquila e del resto. Mi aspetta nella sua casa di Coppito, le suore pronte con un buon caffè. Fuori c’è la calura della controra, il sole squaglia le automobili.
Sono venuto a cercare l’arcivescovo per parlare di ricostruzione. Perché lui e non un ingegnere? Perché la Chiesa aquilana è proprietaria di un migliaio di immobili danneggiati dal terremoto del 6 aprile di due anni fa. Le chiese sono 600, parrocchie 147. Le case canoniche sono 350. I beni artistici sono oltre 16mila, 4mila seriamente danneggiati, dai quadri d’autore ai paramenti sacri accumulatisi in 5-600 anni. Una cinquantina di chiese è stata recuperata, una trentina è già inserita nel decreto dello scorso novembre. Per l’intero recupero, serviranno almeno 3 miliardi di euro nei prossimi dieci anni.
Monsignore fa una premessa: “Parlo volentieri con lei, ma non mi trascini in sterili polemiche”.
Sterili no, monsignore, ma qualche polemica c’è già stata. I suoi appelli all’unità della Chiesa sono sembrati denunciare qualche divisione. Sbaglio?
“Lei conoscerà la storia del gran fracasso dell’albero che cade e del silenzio della foresta che cresce. Bene, la Chiesa dell’Aquila è unita in mille cose positive. Ma se il vescovo nota segnali di disunità ha il dovere del richiamo. Noi mangiamo un solo pane del Cristo che è un solo corpo. Di unità, e mi riferivo alla politica allora, ho parlato anche durante la visita del Papa, in occasione del terremoto”.
C’è qualcuno che rema contro, e chi sarebbe?
“Diciamo che non tutti remano nella stessa direzione, e questo rallenta i tempi della ricostruzione. Non mi chieda chi è, non lo so con precisione, lo vedo dalle conseguenze”.
Quali conseguenze? Mi faccia capire.
“La Curia dell’Aquila, già sei mesi dopo la catastrofe, aveva pronto il piano della possibile ricostruzione del centro storico. Avevamo da subito organizzato un Master con trecento fra architetti, ingegneri e tecnici venuti da ogni dove. Dallo scorso novembre, eravamo pronti, ma qui non succede ancora nulla. Quale sarà la ragione?”
Non lo so, me lo dica lei.
“Diciamo la burocrazia. Leggi regionali, leggi italiane, leggi europee…”
Monsignore, non sarà troppo pletorica la tolda di comando fra commissari, subcommissari, vice, trice…
“Beh, il numero non è un problema, se remano tutti nella stessa direzione…”
Cosa che, evidentemente, non avviene. Giusto? Che rapporti ha lei con Chiodi, Cialente, Marchetti, Cicchetti…
“Si fermi. C’è sintonia con tutte le istituzioni, alcuni li conosco personalmente da quando erano ragazzi. C’è uno stallo che non nasce da noi”.
Non avrà dato fastidio a qualcuno il protagonismo della Curia?
“E perché mai avrebbe dovuto? La Chiesa possiede un terzo dell’intero patrimonio del centro storico, e si comporta come qualsiasi altro proprietario. Difende i propri diritti e lo fa attraverso il suo vescovo, non c’è bisogno di supplenze. La Chiesa ha questo patrimonio da un millennio, è forse un abuso avercelo?”
Forse qualcuno vi rimprovera di pensare a voi, più che alla città.
“Prego, guardi fuori da quella porta. Quella è la casa dello studente ricostruita, punto di raccolta dei giovani che oggi studiano all’Aquila. L’ha costruita la Regione Lombardia, con un terreno donato dalla Curia dell’Aquila. Avevamo chiesto un terreno, non ce l’aveva né la Regione, né la Provincia né il Comune. Poi tutti a criticare che avevamo chiesto di seguire l’educazione dei giovani. Che male c’è? Facciamo il nostro mestiere. L’università è un patrimonio umano, sociale ed economico per la città. Non possiamo permetterci di perderlo o di depauperarlo. Ma si rendono conto di questo, o no? Non siamo noi che pensiamo agli affari nostri, si fidi”.
Mi sembra acqua passata. Adesso i soldi stanno arrivando, si potrà cominciare a ricostruire.
“Sento dire, ma non so esattamente quanti sono e non li vedo…”
A proposito di soldi, non crede che sia stato uno spreco spendere 180 milioni di euro per puntellare anche gli edifici crollati?
“E’ un dubbio che ho posto. Mi è stato risposto che era necessario per evitare danni peggiori…”
Monsignore, lei appartiene agli aquilani che rivorrebbero la città così com’era prima del terremoto?
“Guardi che neanche dopo il terremoto del Settecento fu ricostruito tutto come prima. Gli edifici di pregio sono un conto, le catapecchie sono un altro conto. Io penso così, ma non voglio sostituirmi agli architetti”.
Secondo lei, quanto tempo ci vorrà per rimettere in piedi la città?
“Ricordo che il presidente Fini, quando venne subito dopo il sisma, girando per la città parlava di dieci anni. Ma qui siamo all’inizio ancora”.
Avrà seguito la polemica sul polo industriale di Pile, sollevata da Luciano Ardingo. La zona è a rischio esondazione, secondo le contraddittorie carte della burocrazia. Come si farà allora con il lavoro?
“Mi lasci dire che è una storia assurda, scandalosa. Una città che deve rinascere non ha il luogo dove sviluppare l’impresa. Ho seguito il caso di Ardingo. è tutto un controsenso. Abbiamo bisogno di lavoro per evitare che i giovani vadano via, ma il lavoro non si può costruire perché non c’è zona industriale. Ma che storia è mai questa?”
A proposito di giovani, quale sarà mai la prospettiva per loro?
“Vedo i genitori molto preoccupati. Conosco casi di ragazzi che, laureati, sono tornati per crearsi una famiglia. Li vedo scoraggiati, e spesso mi confidano che, se non trovano lavoro, saranno costretti a ripartire per chissà dove”.
Si nota comunque una ripresa di vivacità, un rinascere dei luoghi di incontro.
“Sì, stanno nascendo luoghi nuovi di aggregazione. Sono cose spontanee, ci vorrebbero idee per far sì che i ragazzi intravedano un futuro”.
Ma la politica se lo pone il problema?
“Sento un sacco di bei discorsi sul nulla”.
Parliamo di anziani. Mi hanno raccontato che, dopo il terremoto, la mortalità è salita rispetto alle medie del passato. Le risulta?
“No, il dato non mi risulta. Ho notizie degli anziani che, chiusa l’Onpi dov’erano ospiti, sono stati trasferiti in una casa di riposo a Sora. Sono accuditi ed assistiti e tutto quanto, ma non stanno bene. Hanno nostalgia della loro casa, del loro ambiente, dei figli, dei familiari che non possono andare troppo spesso a trovarli”.
In una recente intervista alla “Domenica d’Abruzzo”, il presidente Chiodi ha detto che la prima infrastruttura di cui ha bisogno L’Aquila è l’apertura mentale. Crede che abbia un po’ di ragione?
“Non ce l’aveva con gli aquilani. Forse si riferiva alla politica”

Antonio Del Giudice

 

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