Oggi avrebbe 88 anni, se non fosse morto a soli 53 anni, il 19 settembre del 1985, a causa di un ictus che lo aveva colpito qualche giorno prima, nella sua villa di Roccamare. Italo Calvino, il cui genetliaco è ricordato da Google con il restyling di oggi, è stato forse il più importante intellettuale italiano del ‘900, nato a Santiago de Las Vegas e battezzato Italo e Giovanni Mameli, uomo di grande impegno civile e politico ed artista passato attraverso tutte le principali tendenze letterarie, dal Neorealismo al Postmoderno, restando sempre ad una certa distanza da esse e svolgendo un proprio coerente percorso di ricerca. Ed è abbastanza emblematico che proprio oggi, mentre ricorre il suo genetliaco, il mondo degli “indignati” si prepara a scendere in piazza, in oltre 900 città di 81 Paesi, quasi a voler dar forza (ma probabilmente questa è solo una mia idea) alla loro indignazione, ispirata da uno dei più raffinati pensatori e polemisti del secolo passato. In un articolo pubblicato su “La Repubblica” del 15 marzo 1980, che letto 12 anni dopo sembrava descrivere l’epoca di Tangentopoli ma che, purtroppo, rimane sempre di grande ed impressionante attualità, intitolato “Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti”, Calvino, rifletteva sul fatto che una società distorta e senza “alcun senso di colpa”, si regge sempre “sull’illecito”. E su questo gli indignati di oggi voglion far riflettere con la loro protesta pacifica e mondiale. Italo Calvino, più di trent’anni fa, intuì che “tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci, si saldano in un sistema che ha una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone possono trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi “con la coscienza a posto”. Infatti, la felicità di tali persone è sempre incrinata, fa notare sempre Calvino, da quella cerchia di “onesti” che sono “non per qualche speciale ragione” ma “per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso”, capaci di riflettere e di pensare. Google, quindi ha scelto, forse per mero caso, di ispirarsi, per il suo doodle di oggi, al primo dei 12 racconti pubblicati da Italo Calvino nella raccolta “Le cosmicomiche”, dal titolo “La distanza della luna”, dove il vecchio Qfwfq (protagonista e narratore), suo cugino sordo, il capitano e sua moglie (la signora Vhd Vhd) decidono di andar sotto la luna con una barca per poi salirvicisi. Ne “Le cosmicomiche”, infatti, le nozioni scientifiche, soprattutto astronomiche, sono per Italo Calvino il punto di partenza per raccontare poi storie surrealiste, con un occhio sempre alla realtà e alla società contemporanea. Non è dato sapere perché Google abbia scelto proprio questo racconto per far rivivere il genio narrativo di Calvino, anche perché forse oggi, paradossalmente, più che una storiella sarebbe stato interessante rappresentare la Storia, quella descritta da Italo Calvino in un articolo pubblicato su “La Repubblica” del 15 marzo 1980, che letto 12 anni dopo sembrava descrivere l’epoca di Tangentopoli ma che, purtroppo, rimane sempre di grande ed impressionante attualità. L’ “Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti”, infatti, riflette ancora una volta lo specchio di una società distorta che apparentemente senza “alcun senso di colpa” continua a reggersi “sull’illecito”. Voglio qui ricordare (e magari suggerire come lettura e rilettura), un bel libro (molto frainteso), scritto da Carla Benedetti per Bollati Boringhieri cinque anni fa, sfortunatamente intitolato “Pasolini contro Calvino”, che non vuole creare una lotta, ma realizzare un’analisi su diversi punti di vista circa il ruolo che la letteratura deve avere nei momenti di crisi, fra i due cervelli migliori di questa nazione degli ultimi cinquanta anni. Infatti, credo, Calvino e Pasolini incarnano due diversi esiti del postmoderno in Italia, ma entrambi polemici e mai edulcorati o addomesticati. Davanti alla loro opera e ai loro pensieri, non ci resta che ricordare la frase di Proust ne “La prigioniera”: “Davanti a noi, si apre il campo infinito dei possibili; e se, per avventura, ci si presentasse davanti il reale, esso sarebbe talmente fuori dai possibili che noi, presi da improvviso stordimento, cozzando contro il muro sorto d‟improvviso, cadremmo riversi”. E, come nota Roberto Didier, pur nelle ampie differenze di stile, formazione e riferimenti, Calvino e Pasolini furono molto simili anche nella loro produzione, in quella rappresentazione della stessa azione da molti punti di vista diversi, che da un lato dà l’impressione di una espansione del tempo vicina a quella della scomposizione cubista o a una chart motion cinematografica, in cui l’azione esterna è lasciata intatta e la ripresa è nello stesso tempo sincronizzata e “serializzata”; dalla’altro produce una distorsione spaziale che richiama la paradossalità zenoniana e rende impossibile ogni ordine misurabile dello spazio, annullando anche l‟intuizione del movimento, invalidata dalla visione relativistica del tutto. E, ci piace ricordare, in questo giorno che unisce (continuo a sperare non casualmente, gli “indignati” e Calvino), che, come nota Ceruti, ne Le città invisibili, Calvino indichi il possibile passaggio da una “scienza della necessità” a una “scienza del gioco”: un mutamento epistemologico dovuto all’affievolirsi degli attributi di permanenza e di necessità delle leggi di natura, a una nuova interpretazione di esse in senso probabilistico, che comporta l‟inserimento di un soggetto concreto nei processi conoscitivi, replicati nell’interazione tripolare tra le regole del gioco poste come vincoli, il caso e la contingenza di particolari eventi e scelte, e le strategie dei giocatori, volte a utilizzare le regole e il caso per costruire nuovi scenari e nuove possibilità. E questo cercano di fare e testimoniare gli indignati di tutto il mondo.
Carlo Di Stanislao
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