Cinquantesimo anniversario del volo Nasa di John Glenn il più veloce astronauta nello spazio orbitale

Celebrazioni amare alla Nasa per i primi 50 anni della storica impresa di John Glenn. Se il 20 febbraio 1962 John Glenn diventò il più veloce astronauta americano nello spazio a bordo della capsula “Friendship 7”, perché sue furono le tre orbite più importanti del Progetto Mercury (www.nasa.gov) celebrate oggi da un simulatore di volo […]

Celebrazioni amare alla Nasa per i primi 50 anni della storica impresa di John Glenn. Se il 20 febbraio 1962 John Glenn diventò il più veloce astronauta americano nello spazio a bordo della capsula “Friendship 7”, perché sue furono le tre orbite più importanti del Progetto Mercury (www.nasa.gov) celebrate oggi da un simulatore di volo per l’iPad della Apple; oggi i pesanti tagli al budget 2013 della Nasa, proposti al Congresso Usa dal Presidente Barack Hussein Obama, hanno il sapore di un’imminente sconfitta politica che non rende affatto onore ed omaggio alla storica impresa di John Glenn. Il primo astronauta americano della Nasa in orbita, poi professore universitario, imprenditore, senatore e di nuovo astronauta nel 1998 a bordo dello Space Shuttle STS-95 e della Stazione Spaziale Internazionale. L’applicazione chiamata “Friendship 7: The Voyage of Mercury-Atlas 6 lanciata lunedì 13 febbraio 2012 intende attutire il colpo nel rendere omaggio a un evento storico senza precedenti per una grande democrazia come gli Stati Uniti. Apparentemente “sconfitti” dall’Urss e da Gagarin nelle fasi iniziali della corsa allo spazio. Grazie all’iPad della Apple oggi possiamo rivivere tutte le fasi dell’impresa Mercury con l’accesso diretto ad oltre quattro ore di rari filmati originali d’epoca, nonché alle registrazioni vocali di bordo fra Glenn e la direzione di volo. Sulla “Friendship 7” possiamo fare esattamente quello che faceva John Glenn nella sua cabina di pilotaggio. Compresi test di pre-lancio del missile “Atlas D”. Possiamo partecipare alla famosa conferenza stampa del 9 aprile 1959 che annunciò ai media il Programma Mercury insieme a Glenn ed a tutti gli altri astronauti della Nasa, tra cui Scott Carpenter. Del “checkout” della sua navicella si occupa una speciale sezione dedicata al vettore “Atlas D” destinato a passare alla storia come il “missile di Glenn”. Possiamo seguire la “Friendship 7” durante tutte le fasi di addestramento e verifica, condotte dal 17 gennaio 1962 fino al primo tentativo di lancio del 27 gennaio. La missione fu annullata ben undici volte prima del “lift-off” definitivo del 20 febbraio. Dalla direzione di volo nella sala di controllo di Cape Canaveral (Florida), abbiamo la possibilità, nelle vesti di Christopher Kraft, di impartire gli ordini a tutte le altre stazioni di comando e controllo della missione Mercury, seguendo il percorso orbitale della navicella. John Glenn trascorse nello spazio cinque lunghe ore prima di tuffarsi di nuovo nell’atmosfera incandescente della bolla di plasma, protetto dal “sottile” scudo termico della capsula oggi semplicemente inconcepibile. Possiamo anche ascoltare cosa si dissero Glenn e Kraft, naturalmente in inglese, durante le fasi più critiche della missione. Una sezione speciale del programma consente di immergersi nella vita quotidiana di un astronauta americano come Glenn. Cosa mangiava, quale tuta spaziale indossava? Il nostro punto di vista a bordo della “Friendship 7” è esattamente quello di Glenn. Quindi possiamo anche scattare una foto alla Terra! Tutto questo grazie a un lavoro certosino degli specialisti della Spacecraft Films che sono riusciti in un’impresa senza precedenti, quella di riversare i filmati originali in pellicola 35mm, realizzati da Glenn durante le tre orbite, nel simulatore per l’Ipad Apple. Che, grazie al retina display da 3 mega pixel dell’ultima versione di imminente uscita, promette miracoli ad altissima risoluzione. Non può mancare la parata di New York City nella quale riviviamo le celebrazioni di Glenn. Per poi effettuare un salto al Complesso di Lancio 14 di Cape Canaveral.“È un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità”. Sono le parole pronunciate dall’astronauta americano Neil Armstrong mentre posava il suo piede sulla soffice superficie del suolo lunare. Erano le 21:56 del 20 Luglio 1969 ora di Houston (Usa), in Italia le ore 4:56 del 21 Luglio. Fu un’impresa storica ma soprattutto un successo politico interamente ascrivibile al presidente J. F. Kennedy, ai limiti delle possibilità tecnologiche umane. Fu soprattutto un atto politico. Kennedy decise di andare sulla Luna. E in meno di dieci anni il sogno divenne realtà grazie all’Agenzia Spaziale Americana NASA. Fu sufficiente applicare a dovere la fisica di Newton e Galilei per realizzare l’impresa. Ed allora, stregati dalle calde sonorità di “Fly me to the Moon” di Frank Sinatraauguriamoci di cuore di riscoprire e trasmettere alle future generazioni quel medesimo spirito pionieristico che ha portato l’umanità a calpestare il suolo lunare il 20 luglio 1969. Impresa celebrata ogni anno in Abruzzo da Monsignor Ettore Di Filippo (a Civitella del Tronto) grande cultore di scienze spaziali (http://it.wikipedia.org/wiki/Ettore_Di_Filippo). Iniziate il 4 ottobre 2007 le celebrazioni dei 50 anni dell’Uomo nello spazio, in questo tempo abbiamo avuto sempre qualcosa e qualcuno da ricordare per rivivere insieme l’inizio dell’avventura umana nella Galassia. Nelle sale cinematografiche di tutto il mondo (non in Italia) i cittadini hanno avuto modo di vedere il bellissimo film-documentario “In the Shadow of the Moon” (Usa, 2007) del regista Ron Howard, la prima epopea cinematografica ad alta definizione dedicata alle missioni Apollo della Nasa, per la prima volta presentate al grande pubblico con effetti 3D. L’alto livello di qualità artistica e cinematografia raggiunto dalla documentaristica americana in tema di spazio e missioni umane nel Cosmo, è encomiabile. Siamo ben oltre la fantascienza degli effetti speciali di Avatar di James Cameron perché è la realtà dei filmati d’epoca a suscitare l’emozione del volo cosmico. Molti documentari, sceneggiati televisivi e film come “Uomini veri”, “Apollo 13” e l’ottima serie “Dalla Terra alla Luna” di Tom Hanks, hanno cercato di trasmettere l’essenza del volo umano nello spazio, intorno alla Terra e dalla Terra alla Luna, per descrivere e far rivivere quelle emozioni a chi ancora non c’era nei giorni gloriosi dei programmi Mercury, Gemini e Apollo. Tutto ebbe inizio nel 1947 quando il pilota americano Chuck Yeager frantuma il muro del suono. La caduta di quella mitica barriera sonica stimola la preparazione di una conquista ancora più ambiziosa: lo spazio esterno oltre l’orbita della Terra. La scienza, la volontà competitiva sul piano politico e tecnologico, i grandi sviluppi dell’ingegneria spaziale ed un gigantesco impegno umano, finanziario e organizzativo pubblico e privato, concorrono a preparare la storica impresa. Per il cui pieno successo occorrono gli uomini giusti, i migliori piloti scrupolosamente selezionati, superdotati e severamente addestrati, insomma gli intelligenti e coraggiosi “scouts” dello spazio, in grado di improvvisare e decidere soluzioni immediate superando anche se stessi. Il film “Uomini Veri” (The Right Stuff, Usa 1983) di Philip Kaufman, documenta e racconta la storia dei magnifici sette astronauti che gli Stati Uniti d’America prescelsero a tale scopo (Shepard, Glenn, Carpenter, Grisson, Shirra, Slayton e Cooper) anche in rapporto ed a testimonianza dei valorosi piloti e scienziati che li avevano preceduti, superando nel cielo e sulla Terra ben altre difficoltà e barriere. Nel 2000 Tom Hanks, Imagine Entertainment e HBO presentano lo sceneggiato “Dalla Terra alla Luna”, la drammatica storia delle indimenticabili missioni Gemini, Apollo e dei loro eroici astronauti: dallo storico discorso del presidente John F. Kennedy, passando per le prime spedizioni nello spazio con equipaggio a bordo, fino al momento cruciale del programma spaziale, la conquista americana della Luna a nome dell’umanità intera. Un piccolo passo per un uomo…un grande passo per l’umanità. Raccontate con una tensione narrativa senza precedenti attraverso interpretazioni memorabili, vengono presentate le storie di uomini, donne e bambini che vissero, respirarono e costruirono, a partire dalla forza di volontà, uno dei successi più straordinari nella storia del genere umano. Che oggi sembra fantascienza! Altri film hanno centrato l’obiettivo con un certo successo, pur essendo ancora legati agli standard televisivi di vecchia data. Una considerevole eccezione fu il lavoro di Al Reinert del 1989 “For All Manking”, il primo tentativo di portare sul grande schermo le missioni Apollo. Il suo degno successore è senz’altro il film-documentario per il grande schermo di David Sington,“In the Shadow of the Moon”. Per la prima volta, Sington reinventa il film documentaristico delle missioni Apollo. Direttamente dagli archivi della Nasa, gli spettacolari filmati originali delle missioni spaziali, fotogramma per fotogramma, prendono di nuovo vita, trasferiti in un film ad alta definizione e in un modo che non ci saremmo mai immaginati di poter vedere. Una buona fetta del mancato successo delle precedenti pellicole, era di aver glissato sulle fasi di pre-lancio, lancio e separazione nell’atmosfera degli stadi del più grande missile della storia, mai costruito prima d’allora, il potente Saturn V. In the Shadow of the Moon celebra il vettore Saturn V e il genio dei suoi inventori, senza i quali non saremmo mai andati sulla Luna né altrove. Numerosi pezzi della sequenza di lancio avviata dall’italo-americano Rocco Petrone dal centro di controllo della Nasa, includono spettacolari filmati ripresi dalla camera a largo campo dell’Apollo 17. Il film è uno spettacolo per gli occhi, per il cuore e per la mente, dalla partenza degli astronauti all’abbandono dell’orbita terrestre quando tutto ebbe inizio. E per la prima volta siamo a bordo con loro, li possiamo seguire sul modulo di comando nei giorni in cui gli astronauti vivono le loro lunghe ore di attesa, prima e dopo la cattura gravitazionale della Luna, l’immissione in orbita lunare, il distacco del Lem, la discesa sulla superficie sconosciuta e “proibita” della Luna, gli esperimenti scientifici condotti sulla superficie, non da robot o sonde automatiche ma da veri esseri umani. O meglio da uomini veri, gli astronauti della Nasa. Esperimenti che hanno contribuito alla fondazione della nostra attuale comprensione del ruolo dell’Uomo sulla piccola biosfera Terra e nell’Universo. Fino al decollo dello stadio superiore del Lem per l’aggancio in orbita al modulo di comando e il ritorno sulla Terra. Ogni modulo di comando e ogni Lem, hanno avuto il proprio nome nelle sette missioni Apollo. Li ricordiamo In the Shadow of the Moon direttamente dalla viva voce degli astronauti che hanno vissuto in prima persona il viaggio sulla Luna. I loro pensieri, le loro sensazioni, le loro esperienze critiche al limite delle umane possibilità, hanno segnato un’epoca immortale che forse non rivivremo mai più. Nulla di propagandistico, ma la pura e semplice verità filmata e documentata nelle reali interviste agli astronauti. Quanto basta per occupare lo spazio di un film d’autore. Si comincia con la testimonianza di Charlie Duke dell’Apollo 16. Suo padre – racconta Duke – apparteneva all’epoca in cui era molto difficile credere che qualcuno potesse davvero volare su altri mondi. Figurarsi per suo figlio, volare sulla Luna. Ma poi Charlie Duke confessa che per suo figlio la sua passeggiata sulla Luna non era poi una “così grande impresa”. Segno che lo spirito delle missioni Apollo e dell’avventura sulla Luna, divenuto ormai monotona routine, non bastava più a conservare l’audience originario. Per assistere alle missioni Apollo ed apprenderle dalla viva voce degli astronauti, In the Shadow of the Moon unisce i suoni del privato con le immagini e i dialoghi (anche privati) tra i tecnici del centro di controllo missione e gli astronauti. Possiamo così scoprire familiari le parole pronunciate da Neil Armstrong al tocco della superficie polverosa della Luna e la voce dal centro di Houston che risponde (Charlie Duke) spezzando il silenzio della sala di controllo Nasa. I produttori hanno cercato e trovato le bobine audio originali ed assemblato le voci per la prima volta. Una vicenda memorabile, per molti osservatori quasi ovvia, ma dalla prospettiva storica, che saluta e onora il lavoro di quanti hanno realizzato In the Shadow of the Moon. Perché questo titolo al film? Sono parole ispirate a quelle pronunciate dal Presidente J. F. Kennedy di spedire un americano sulla Luna e di farlo tornare a casa sano e salvo in meno di 10 anni. Kennedy ha modificato radicalmente il modo di ragionare delle persone. Anche di quanti nel mondo credevano che fosse impossibile. Un sogno, uno spirito, una realtà scientifica e tecnologica che ha animato tutte le missioni Nasa, fino alle astronavi Apollo, fino ed oltre l’ultima navicella che posò le zampe di un Lem sulla Luna, l’Apollo 17 nel dicembre 1972, quarant’anni fa. Jim Lovell è famoso per essere stato il comandante dell’Apollo 13, la missione abortita. Pochi ricordano che Jim era stato anche a bordo del primo volo ad aver lasciato la gravità della Terra per sconfinare nello spazio della Luna, l’Apollo 8. “Dalle profondità siderali della Luna – racconta Lovell – puoi nascondere la Terra dietro il tuo pollice, e con essa tutto quello che hai conosciuto: i tuoi affetti, il tuo lavoro, i problemi della Terra, tutti nascosti dietro il tuo dito. Allora, ti rendi conto di come siamo realmente insignificanti”. La missione Apollo 13 venne definita “un fallimento di grande successo” perché l’equipaggio non poté camminare sulla Luna. Ma, grazie ad un enorme sforzo collettivo del personale Nasa a terra, i tre astronauti riuscirono a rimanere vivi ed a tornare sulla Terra. Alcuni dei commenti più interessanti In the Shadow of the Moon vengono da un astronauta che non mai ha messo piede sulla superficie lunare, il pilota del modulo di comando dell’Apollo 11, Michael Collins. Nel film racconta la sua esperienza di navigatore. “Mi stupivo del lavoro di tutti all’unisono con l’efficienza, la precisione e la regolarità di un orologio, e – afferma Collins – pensavo si trattasse di una magica realtà. In effetti doveva trattarsi anche di questo, perché tutto procedeva come prestabilito. Nessuno poteva permettersi di sbagliare. Anch’io non ho fatto errori. Ho fatto molte cose che potevo sbagliare, ma le cui conseguenze, se avessi commesso errori, sarebbero state immediatamente ovvie a tre miliardi di testimoni oculari”. A missione compiuta, quando l’Apollo 11 ammarò sull’oceano Pacifico, la prima reazione di Collins, quando il sommozzatore aprì il portello della capsula del modulo di comando, fu quella di ammirare la bellezza delle profonde acque blu della Terra. Sensazioni tipiche di un alieno in visita alla Terra. E, in un certo senso, fu così. La programmazione mondiale, e non solo americana, del film In the Shadow of the Moon coincise perfettamente con le celebrazioni del 50mo anniversario della messa in orbita del primo satellite artificiale, lo Sputnik Uno il 4 ottobre 1957. Un’occasione mancata per il pubblico italiano. Non tutti hanno avuto il privilegio di essere testimoni diretti dell’inizio del programma spaziale americano e della prima passeggiata su un altro mondo, benché vicino, come la Luna. Poiché non c’è nulla di comparabile al livello altamente divulgativo ed educativo della visione di In the Shadow of the Moon, abbiamo ragione di credere che il successo dell’opera possa servire a far capire quanto reali ed attuali siano per tutti noi, ancora oggi, quei giorni gloriosi. Le sette missioni Apollo costituiscono poche pagine di Storia sui libri che mai furono in grado di registrare le reali sensazioni di quanto accadeva in tempo reale. Tutti possono rivivere subito alcune di quelle esperienze che molti della generazione Apollo hanno vissuto in diretta Tv. È uno strumento ma anche il miglior auspicio per ispirare le nuove generazioni di astronauti (già nati!) che forse ritorneranno sulla Luna per poi conquistare Marte, Giove e Saturno, fino ad espandere la presenza dell’Umanità nel resto del Sistema Solare e nella Galassia. Con quello spirito da pionieri che ci ha portati a calpestare il suolo lunare quel 21 luglio 1969. Il sesto astronauta dell’Apollo 16, il moonwalker John Young, ricorda la sua visione prospettica dallo spazio. “Ci sono molte cose come l’inquinamento urbano che si notano subito quando sei in orbita. Puoi vedere su ogni grande città della Terra la propria caratteristica cappa di smog, unica e inconfondibile. Allora volgiamo il nostro sguardo là fuori per il futuro dei nostri figli e nipoti. Ma qui sulla Terra che cosa ci preoccupa? Il prezzo di un gallone di carburante”. Osservare la nostra Terra dallo spazio, orbitare intorno ad essa, è senza alcun dubbio un’esperienza necessaria per comprendere le necessità vitali della nostra casa-Terra, l’unica che abbiamo, per salvare questo nostro piccolo pianeta blu e consegnarlo alle future generazioni. Dopo tutto, i vari movimenti ambientalisti nacquero all’indomani delle missioni spaziali degli Anni ‘60 e ’70 che aprirono le coscienze alla visione di una nuova Terra. Senza le missioni Apollo della Nasa non avremmo mai avuto la percezione globale dei problemi ambientali odierni, nonostante i successi spaziali dell’Urss. La tecnologia dei programmi spaziali americani, tra l’altro, è madre dei termometri ottici infrarossi oggi in vendita nelle farmacie italiane! In the Shadow of the Moon avverte gli abitanti della Terra che l’esplorazione dello spazio è importante e deve coinvolgere tutti per il nostro futuro di uomini e di specie senziente. Per la salvezza della Terra. Non è solo una celebrazione delle missioni Apollo ma anche del volo umano spaziale che ci attende là fuori. Ci sono già 100 persone (tra cui il capitano Kirk (William Shatner) della nave stellare Enterprise) pronte ad iniziare l’addestramento per il loro primo volo sub-orbitale dal costo abbordabile di 200mila dollari. Della spazio-mobile si sta occupando la famosa compagnia Virgin Galactic, proprio quella di sir Richard Branson che sta edificando l’impero dei voli spaziali orbitali per viaggi turistici, ricerca scientifica, mineraria e possibili sviluppi commerciali nel Sistema Solare ed oltre. La partenza della spazio-mobile Space Ship II non avverrà prima del 2013 dal deserto del Mojave (Usa). Fervono i lavori per la costruzione del primo spazioporto privato. Lo scopo dell’allenamento è semplice: considerando che la spinta necessaria a far staccare l’aeronave dal suolo è proibitiva per i comuni passeggeri della domenica, la Virgin preferisce addestrarli a dovere con tanto di sacchetto in dotazione. Il programma durerà due giorni, periodo in cui, come dicono nell’azienda, “vi faremo effettuare un veloce movimento rotatorio su voi stessi verso l’alto, poi vi spingeremo velocemente in basso, poi vi rifaremo roteare di nuovo, spingendoci però un po’ più in là di prima”. Insomma, come fanno i piloti della Nasa e dell’Esa per diventare i migliori del mondo. Questo dovrebbe servire a evitare la nausea durante il decollo e le fasi cruciali del volo spaziale vero e proprio. Anche perché “il disagio che si prova durante lanci del genere è solo psicologico”. Passati i due giorni di allenamento intensivo, la fase seguente sarà il volo sulla Space Ship Two – Enterprise, un gioiellino che alcuni anni fa, in formato sperimentale, vinse una gara da 10 milioni di dollari per realizzare il primo aeromobile spaziale privato. Dopo tutto, solo quando puoi nascondere l’intero mondo e miliardi di persone con il tuo pollice, come affermò Lovell, puoi veramente vedere “what we have to deal with”. Oggi tocca agli Stati Uniti d’Europa, alle imprese private, fare il loro balzo sulla Luna, su Marte, su Giove e su Saturno, prima della Cina. Sì perché alla Nasa i soldi sono pochi: la proposta di budget presidenziale AD 2013 ha formalmente costretto l’Agenzia spaziale americana a sospendere molti dei suoi ambiziosi programmi, comprese le missioni di esplorazione dei confini del Sistema Solare. Sono a rischio anche quelle in corso. La Casa Bianca “comanda”, previa approvazione del Congresso, che alla Nasa siano riconosciuti appena 1,2 miliardi di dollari per l’esplorazione spaziale interplanetaria. Se il Presidente Obama vincerà, la legge comporterà un taglio netto del 20 percento (20%) sugli attuali 1,5 miliardi di dollari già disponibili alla Nasa, senza contare la mannaia più pesante prevista per i prossimi anni. Addio alla conquista umana di altri mondi! Almeno sotto il comando della Nasa. Bisognerà spegnere, infatti, quasi tutte le sonde già in missione come la Cassini su Saturno e le due Voyager lanciate negli Anni Settanta che rappresentano la gloria della Nasa. Il Mars Science Laboratory (MSL) lanciato lo scorso novembre 2011, resta l’unica missione attiva da 2,5 miliardi di dollari. Sempre che riesca a raggiungere Marte con il rover Curiosity il cui atterraggio è previsto per la prima settimana di agosto 2012. Se Obama vincerà la mossa, seri problemi si presenteranno per il futuro James Webb Space Telescope, il degno successore del telescopio Hubble, dal costo di 8,8 miliardi di dollari, che dovrebbe essere lanciato non prima del 2018. Insomma, il rover Curiosity sarà l’ultimo di una lunga serie che avrebbe dovuto fare da “battistrada” alla conquista umana del pianeta rosso! Nulla da fare per l’esplorazione dell’oceano di Europa, la luna ghiacciata di Giove, dove si presume possano esistere forme elementari di vita aliena. Nulla da fare per l’esplorazione dei vicini sistemi solari alieni con sonde automatiche. La fine di un sogno! Sono a rischio anche molte collaborazioni internazionali come, sicuramente, le missioni congiunte Nasa-Esa della serie Exo-Mars, per il lancio di rover su Marte nel 2016 e nel 2018. Bisognerà miniaturizzare le sonde spaziali. È l’unica alternativa razionale, credibile, auspicabile e praticabile. Niente missioni umane oltre l’orbita della Terra. Perchè costano troppo al settore pubblico dell’impresa spaziale. La Nasa non potrà sforare i limiti massimi di 500-700 milioni di dollari per missione. Ci dovremo accontentare della fantascienza di Avatar e Star Trek! Al massimo di una missione automatica su Marte nel 2030 per il campionamento di rocce da riportare sulla Terra. Se la compagnia SpaceX tra alcune settimane lancerà la sua prima navetta spaziale Dragon fino alla Stazione Spaziale Internazionale, trivellare Europa non è soltanto un problema economico e tecnologico. Che diritto abbiamo di interferire nell’evoluzione di un altro mondo? D’altra parte le estrazioni minerarie nel Sistema Solare spettano alle grandi imprese spaziali private, alle nuove compagnie multinazionali che, grazie alla liberalizzazione del commercio nello spazio esterno, potrebbero dare effettivo impulso alla conquista umana della Galassia. Ma anche questa è una decisione politica. Non solo degli Stati Uniti d’America e d’Europa. Crediamo che il grande John Glenn, in cuor suo, conosca già la risposta.

Nicola Facciolini

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