Gelide nubi e una misteriosa foschia avvolgono il cielo di Planck sempre più vicino alla Creazione

 “La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero; è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza”(Albert Einstein). Gelide nubi molecolari e una misteriosa foschia avvolgono il cielo del telescopio spaziale Planck sempre più vicino alla Creazione. Sono i risultati presentati a Bologna nel corso del congresso Astrophysics from the […]

 “La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero; è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza”(Albert Einstein). Gelide nubi molecolari e una misteriosa foschia avvolgono il cielo del telescopio spaziale Planck sempre più vicino alla Creazione. Sono i risultati presentati a Bologna nel corso del congresso Astrophysics from the radio to the submillimetre (13-17 febbraio 2012) che ha calamitato l’attenzione degli astrofisici di tutto il mondo. I nuovi risultati sono molto interessanti. Lanciato tre anni fa, doveva andare in pensione nel 2011, ha perso uno dei suoi due “occhi”(HFI) poche settimane fa. Eppure Planck è ancora lassù, a un milione mezzo di chilometri dalla Terra, per stupire e far riflettere il mondo. Tra le tante scoperte inedite emerse, particolare interesse hanno sucitato le enormi nubi di gas freddo, mai segnalate prima e individuate da Planck grazie alle emissioni di monossido di carbonio, e una sorta di foschia a microonde, battezzata Haze. La cui origine è ancora tutta da spiegare. È stata rilevata nella regione che circonda il centro della nostra Galassia e si presenta come un tipo di emissione di sincrotrone. Una luce molto energetica che sulla Terra utilizziamo anche nella medica nucleare. Tuttavia nelle profondità dello spazio siderale questa luce presenta uno spettro più “duro”: spostandosi verso frequenze più alte, l’intensità della sua emissione non diminuisce in modo repentino, come invece avviene per il sincrotrone standard, e quindi risulta avere un comportamento giudicato dagli scienziati “insolito”. Barbara Negri, responsabile ASI per l’Esplorazione e Osservazione dell’Universo, si è soffermata sul tema della grande sinergia tra la comunità scientifica e il mondo industriale. “L’ASI ha un ruolo fondamentale – dichiara la Negri – ed ha investito 36 milioni di euro per l’intera realizzazione dello strumento LFI (responsabilità italiana) e per il contributo italiano allo strumento HFI. Inoltre sta finanziando la comunità scientifica con 2,7 milioni di euro per tre anni per supportare la missione in orbita e per l’analisi dei dati”. È stata presentata una mappa all-sky sulle emissioni di monossido di carbonio nella Via Lattea e su una componente misteriosa della nostra galassia denominata “nebbia”. Gli scienziati hanno illustrato alcune immagini significative. Nella prima, insieme ad altre sorgenti, la distribuzione spaziale sull’intero cielo del Galactic Haze visto a 30 e 44 GigaHerz dai rivelatori di Planck/LFI, lo strumento italiano del telescopio. Si tratta di un’emissione di sincrotrone diffusa che si pensa possa essere dovuta a una maggiore frequenza di esplosione di supernovae ovvero al vento galattico o ancora all’annichilazione di particelle di Materia Oscura (la famosa materia rossa vulcaniana dell’universo di Star Trek di J.J. Abrams?). A oggi nessuna di queste ipotesi ha però ricevuto una conferma. Nella seconda immagine, una sovrapposizione fra la distribuzione del Galactic Haze visto da Planck nel cielo a microonde (a 30 e 44 GHz, in rosso e giallo) e il cielo a raggi gamma (tra 10 e 100 GeV, rappresentato in blu) rilevato dal telescopio spaziale Fermi della Nasa. I dati di Fermi rivelano due grandi strutture a forma di bolla che si estendono dal centro galattico. Le due regioni, osservate da Planck e da Fermi ai due estremi opposti dello spettro elettromagnetico, risultano spazialmente molto ben correlate e potrebbero effettivamente essere una manifestazione, attraverso differenti processi di emissione, della medesima popolazione di elettroni. In entrambe le immagini, la banda orizzontale nera centrale nasconde il piano galattico, mascherato durante l’analisi dei dati di Planck per escludere regioni ad alta contaminazione di foregrounds dovuta all’intensa emissione della Galassia. Nella terza immagine, la distribuzione del monossido di carbonio (CO), una molecola utilizzata dagli astronomi per tracciare le nubi molecolari presenti in cielo, rilevata da Planck (in blu) e da precedenti osservazioni (Dame et al. 2001, in rosso). La mappa ottenuta dai dati di Planck, la prima a tutto cielo che sia mai stata compilata, comprende ampie porzioni di spazio inedite, rimaste inesplorate dalle precedenti indagini. Spettacolare è il livello di dettaglio raggiunto: in tre particolari regioni del cielo Planck ha rilevato alte concentrazioni di CO in corrispondenza delle costellazioni di Cefeo, del Toro e di Pegaso. Le nubi molecolari, regioni dense e compatte distribuite in tutta la Via Lattea, nelle quali si ammassano gas e polveri, rappresentano una delle fonti di emissione in primo piano osservate da Planck. La stragrande maggioranza del gas presente in queste nubi è costituita da idrogeno molecolare (H2). È in queste regioni fredde che si formano le stelle. Poiché l’idrogeno molecolare non irradia facilmente, per individuare queste nursery cosmiche gli astronomi si avvalgono di altre molecole presenti in questi vivai stellari, meno abbondanti ma molto più facili da tracciare. La più importante è la molecola del monossido di carbonio, il cui spettro presenta righe d’emissione nelle frequenze alle quali sono sensibili i rivelatori di Planck/HFI. Interessante è la regione della nube molecolare di Cefeo, una fra le più studiate dai telescopi terrestri, osservata (grazie al bagliore emesso dal monossido di carbonio) da Planck (in blu). Evidente è il confronto con le osservazioni precedenti (Dame et al., 2001, in rosso). Idem per la regione della nube molecolare del Toro. In entrambi i casi, dai dati di Planck emergono dettagli mai visti prima. La regione di Pegaso, situata a latitudini galattiche elevate, a differenza delle altre due, non era ancora stata osservata, dunque l’emissione del CO è oggi mostrata con i soli dati di Planck. Le future osservazioni di questi vivai di stelle consentiranno un esame approfondito delle condizioni fisiche e chimiche che portano alla formazione di nubi molecolari, permettendo così di comprendere meglio le fasi più precoci dei processi di formazione stellare. Mano a mano che la missione dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) Planck procede nella sua esplorazione verso gli albori dell’Universo, analizzando i dati in arrivo gli scienziati continuano a imbattersi in aspetti sconosciuti della nostra Galassia. Prevalentemente composte da molecole d’idrogeno, le nubi fredde costituiscono i bacini di gas dai quali si formano le stelle. Le molecole d’idrogeno non emettono facilmente radiazione elettromagnetica, e questo le rende assai difficili da rilevare. Ma anche il monossido di carbonio (CO), che nelle nostre città è uno fra gli inquinanti atmosferici più diffusi (l’impronta della presenza dell’uomo sulla Terra!), è un costituente delle nuvole fredde che popolano la Via Lattea e altre galassie. Seppur molto più rare di quelle d’idrogeno, le molecole di CO emettono radiazione elettromagnetica proprio nelle frequenze alle quali è sensibile Planck. Ed è proprio rilevandone le impronte che gli scienziati di Planck sono riusciti non solo a individuare nuove nubi molecolari dove non ci si attendeva d’incontrarne, ma addirittura a tracciare la prima mappa a tutto cielo delle emissioni di monossido di carbonio. Mappa che si rivelerà uno strumento preziosissimo per i radiotelescopi terrestri (il Sardinia Radio Telescope, il più grande d’Europa, è stato appena ultimato) anch’essi sensibili elle emissioni del CO ma costretti a esplorare solo porzioni limitate di cielo, a causa dell’enorme quantità di tempo che richiederebbe una survey completa. Se la mappa a tutto cielo del monossido di carbonio è una prima assoluta, la grande sorpresa che le ultime analisi dei dati di Planck stanno regalando agli scienziati è una misteriosa foschia di microonde che sfida ogni spiegazione. Battezzata haze, o foschia, è stata rilevata da Planck nella regione che circonda il centro galattico, e si presenta come un tipo di emissione ben noto agli astrofisici: l’emissione di sincrotrone, generata allorché gli elettroni, accelerati dalle esplosioni di supernovae, si trovano ad attraversare i campi magnetici. L’emissione di sincrotrone associata a questa nuova, enigmatica foschia galattica presenta però caratteristiche che la rendono diversa da quella che si osserva altrove nella Via Lattea. Un comportamento insolito per il quale gli scienziati stanno valutando le ipotesi più disparate, dalla maggiore frequenza di esplosione di supernovae al vento galattico, fino all’annichilazione di particelle di materia oscura. A oggi nessuna di queste ha però ricevuto una conferma, e il mistero s’infittisce. Obiettivo primario di Planck è quello di osservare il fondo cosmico a microonde (CMB), risalente ad appena 380mila anni dopo il Big Bang, e decodificare le informazioni in esso contenute sulle componenti fondamentali dell’Universo e l’origine della struttura cosmica. Per vedere nei dettagli il fondo cosmico occorre anzitutto rimuovere le contaminazioni introdotte dalla moltitudine di sorgenti di foregrounds (così chiamato perché si trovano davanti al fondo) sovrapposte. Fra di esse, l’emissione del monossido di carbonio e la foschia galattica presentate in questi giorni a Bologna. “Un compito arduo e delicato, quello della rimozione, in grado però di fornirci un insieme di dati di prima qualità, tali da offrirci uno sguardo inedito sui temi caldi dell’astronomia galattica ed extragalattica” – rivela Jan Tauber dell’Esa, project scientist di Planck. “I dati che il satellite Planck ha raccolto nei quasi tre anni di vita operativa stando dando informazioni estremamente importanti, che aiuteranno gli scienziati a comprendere meglio le problematiche che riguardano la nascita dell’Universo” – fa notare Barbara Negri. “Il lavoro di analisi di più di 450 scienziati di Planck continua senza sosta, per arrivare puntuali al rilascio, all’inizio del 2013, dei primi risultati cosmologici: quelli da cui ci attendiamo grandi sorprese” – afferma Reno Mandolesi, responsabile dello strumento a bassa frequenza (LFI) del satellite. “Nel frattempo Planck – rivela Mandolesi – rimasto orfano dello strumento ad altra frequenza (HFI) per l’esaurimento dell’elio liquido necessario a raffreddare a 0.1 gradi Kelvin (la più bassa temperatura mai raggiunta nel Sistema Solare, NdA) i suoi bolometri, continua ad accumulare dati nella sua esplorazione del cielo con il solo strumento LFI, ancora perfettamente funzionante ed efficiente. Sono molto orgoglioso di guidare un team internazionale, con grande partecipazione italiana, di valore straordinario. Con Planck, la più complessa missione mai realizzata da Esa, l’Italia con Asi, Inaf e le università coinvolte dimostra ancora una volta di essere una delle nazioni spaziali di eccellenza a livello internazionale”. Dopo aver quasi raddoppiato il tempo previsto per la sua missione, il satellite Planck sembra destinato a continuare la sua permanenza nello spazio. Sebbene l’High Frequency Instrument, dopo 885 giorni di onorato servizio, abbia definitivamente terminato la sua vita operativa, il Low Frequency Instrument (LFI), interamente realizzato in Italia, è capace di lavorare a temperature leggermente superiori e sarà in grado di fornire ulteriori dati di taratura utili per migliorare la qualità dei risultati finali di tutta la missione. Tutto l’Universo è un palcoscenico, e tutte le galassie non sono altro che attori? Non sappiamo se il William Shakespeare dei nostri giorni, scrivendo una nuova opera sulla Creazione, possa essere d’accordo. Ma una cosa è certa: il satellite Planck è perfettamente in grado di offrirci la nuova visione di quel grandioso Disegno Cosmico che è l’Universo in cui viviamo, rivelandone i segreti dell’evoluzione, dallo spazio più profondo fino alla nostra periferia interstellare, fornendo informazioni preziosissime sui suoi Attori e sul Dietro le Quinte. Il valzer inaugurato dalla missione spaziale Planck, promette meraviglie e sorprese nella ricerca dei semi cosmici della vita. L’incredibile mole di dati finora acquisiti dalla sonda garantirà il lavoro a generazioni di astrofisici ed astronomi. I magnifici arazzi cosmici osservati e disegnati dal Telescopio Spaziale Planck, superba macchina del tempo e della materia oscura, in grado di effettuare carotaggi spaziotemporali di inestimabile valore, alla ricerca delle fondamentali strutture del Creato, sono frutto della più dettagliata analisi del Cielo che sia mai stata eseguita nelle microonde dal Big Bang ai giorni nostri. Che cosa ha visto l’osservatorio spaziale Planck? Un Universo di meraviglie e possibilità infinite. Non ha visto astronavi, ufo, alieni ed extraterrestri ma i fondamentali elementi della vita. Le decine di articoli scientifici pubblicati sulla rivista Astronomy & Astrophysics, dimostrano la ricchezza del progetto. “Planck è stata una missione magnifica – rivela Jan Tauber, project scientist dell’Esa – il satellite e gli strumenti hanno funzionato molto bene offrendo alla comunità scientifica internazionale uno scrigno di informazioni con una risoluzione senza precedenti”. Meno di mezzo milione di anni dopo la creazione dell’Universo nel Big Bang, avvenuta 13.7 miliardi di anni fa, l’incandescente sfera di fuoco primordiale raffreddata ormai a temperature dell’ordine dei 4mila gradi Celsius, diventò ovunque trasparente e riempì i cieli con la sua sfavillante luminosità. Man mano che l’Universo si espandeva, quella luce ancestrale diventava sempre debole fino a raggiungere le frequenze delle microonde. Ed è a queste lunghezze d’onda che oggi possiamo osservare la Creazione di DIO. Quella luce ci ha lasciato delle precise tracce divine impresse per sempre in tutto l’Universo: le fluttuazioni nel fondo cosmico. Dal loro studio gli scienziati sperano di comprendere meglio il Big Bang e l’Universo primordiale attraverso l’osservazione e l’analisi delle prime stelle e galassie. Effettivamente Planck ha sondato tutta la volta celeste ben cinque volte (delle teoriche due inizialmente previste) grazie ai suoi due potenti “occhi”, l’High Frequency Instrument (HFI) e il Low Frequency Instrument (LFI). Per osservare nelle immagini così combinate una lunghezza d’onda di copertura senza precedenti, in grado di esplorare dettagli, in reami e domini finora ignoti, di oggetti cosmici molto distanti e con una grande risoluzione. Lanciata nel maggio 2009, l’obiettivo minimo richiesto per decretare il successo della navicella spaziale, era di due intere mappature del Cielo. Planck ha lavorato talmente bene per 30 mesi, da doppiare gli obiettivi preliminari richiesti, completando la quinta esplorazione totale della volta celeste con entrambi i sensori. “Questo risultato – fa notare Jean-Loup Puget, della Université Paris Sud di Orsay (Francia), il principal investigator dell’occhio HFI di Planck – ci consegna dati migliori rispetto a quelli previsti”. Ora, da buon vecchio pirata cosmico alle prese con gli acciacchi dell’età, il telescopio spaziale Planck dovrà fare affidamento sull’occhio rimasto (LFI) in grado di operare a temperature leggermente più elevate, almeno fino alla fine del 2012, calibrando i dati per aumentare sensibilmente la qualità delle misure. Planck non vede solo le microonde primordiali del Big Bang ma anche quelle emesse dalle gelide polveri interstellari che attraversano tutto l’Universo. I risultati preliminari della sonda furono annunciati lo scorso anno. Questi includono un catalogo di ammassi di galassie (clusters) dell’Universo più lontano nello spaziotempo, molte delle quali erano prima perfettamente ignote, ed alcuni giganteschi superammassi figli della probabile fusione dei clusters. Un altro importante risultato di quell’analisi preliminare del gennaio 2011, fu la migliore misura di sempre dell’antico Cielo infrarosso prodotto dalla stelle in formazione nell’Universo primordiale. Questa osservazione di Planck dimostra come alcune delle prime galassie producevano stelle a ritmi parossistici, un migliaio di volte superiori a quelli oggi rilevabili nella nostra Galassia, la Via Lattea. Molti altri risultati di Planck relativi al Big Bang e all’Universo neonato richiederanno ancora un anno di studi. Dovremo attendere il 2013. Gli scienziati hanno tutto il tempo per analizzare con estrema cautela i dati finora acquisiti, per rimuovere i segnali spuri e le emissioni inquinanti, per esaltare i segnali più deboli e genuini che emergono dal fondo cosmico. L’annuncio degli scienziati dell’Esa e dell’Asi, è molto atteso perché, benché quella di Planck sia la terza missione spaziale in assoluto ad aver fatto breccia nella radiazione cosmica primordiale, quella per intenderci che possiamo ancora oggi cercare e trovare nello sfarfallio dei nostri televisori tra una frequenza e l’altra, ci sono ancora molte ipotesi da valutare e teorie da dimostrare per spiegare che cos’è effettivamente accaduto durante il Big Bang. Le implicazioni scientifiche e tecnologiche per l’Umanità potrebbero essere incalcolabili. “Le misure di Planck – preannuncia il prof. Puget – faranno fuori intere famiglie di modelli, solo che oggi ancora non sappiamo quali”. I dati raccolti sul Big Bang saranno resi pubblici in due eventi mondiali: il primo, relativo ai primi 15.5 mesi della missione Planck, nei primi del 2013; poi nel rapporto generale di fine missione con la pubblicazione di tutti i risultati ottenuti nella campagna osservativa, l’anno successivo, nei primi mesi del 2014. “Siamo veramente soddisfatti di come ha lavorato Planck – rivela il prof. Alvaro Giménez, direttore del dipartimento Science and Robotic Exploration dell’Esa – ben oltre le più rosee aspettative. Questo è un grande tributo al lavoro svolto da molti scienziati e ingegneri d’Europa e di altre nazioni del mondo coinvolti nel progetto. In realtà siamo appena giunti a metà missione di Planck, molto resta ancora da fare per studiare i dati e ottenere gli entusiasmanti risultati scientifici che tutti attendono con ansia”. Il satellite Planck nasce dalla grande collaborazione europea dei 15 Paesi partecipanti, con un grande contributo dell’industria e degli scienziati italiani. Nel mondo della scienza gli Stati Uniti d’Europa sono già una feconda realtà. Planck osserva l’alba della Creazione dello spazio e del tempo, sondando la prima luce dell’Universo subito dopo il Big Bang. Per aiutare gli scienziati, i filosofi e i teologi a capire cosa c’era Prima ma anche cosa c’è Dopo. Il premio Nobel per la Fisica del 2006 fu assegnato a John C. Mather e George F. Smoot, per le loro ricerche nel settore dell’astrofisica legate all’utilizzo del satellite COBE della Nasa, finalizzato a questo tipo di indagini. Tra il 1964 e il 1965, i fisici americani Arno Penzias e Robert Wilson (Premio Nobel 1978) scoprirono casualmente l’esistenza di una radiazione nella frequenza delle microonde che aveva caratteristiche straordinarie: appariva sempre identica a se stessa indipendentemente dalle condizioni del tempo, dalla stagione dell’anno, dal luogo da cui si effettuavano le osservazioni e le misure, dal fatto che fosse giorno o notte. Si trattava, cioè, di una radiazione omogenea e isotropa. Perché siamo letteralmente immersi in un bagno di radiazione a microonde primordiale. Ma come interpretare questo fenomeno fisico così sconvolgente? La risposta, in realtà, era già servita su un piatto d’argento. Negli anni ’40 del XX Secolo era stata sviluppata una teoria che prediceva l’esistenza di una radiazione cosmica di fondo, proprio nella frequenza delle microonde, nell’ipotesi che l’Universo avesse avuto origine da un evento come quello descritto dalla teoria del Big Bang. In ultima analisi, la scoperta della radiazione cosmica di fondo fu uno degli indizi più convincenti a supporto del Big Bang e, quindi, del famoso Modello Standard. L’osservatorio spaziale COBE (COsmic Background Explorer) fu lanciato nel 1989 dalla Nasa, proprio per osservare nel miglior dettaglio all’epoca disponibile, la radiazione cosmica di fondo. Che è una conseguenza della nascita stessa dell’Universo. Non la emette un corpo specifico o una classe di sorgenti celesti. È l’Universo che la emise e la continua ad emettere, a causa del suo stato energetico. La teoria del Big Bang, infatti, prevede che una frazione di secondo dopo la sua Creazione, l’Universo, non più grande di una pallina da ping-pong in espansione istantanea iperluminare, fosse costituito da un brodo di particelle e di radiazione elettromagnetica in equilibrio. Gli scienziati sanno che a causa di questo equilibrio, la radiazione ha una caratteristica che la rende particolarmente semplice: la distribuzione della sua intensità lungo le varie lunghezze d’onda, cioè quello che tecnicamente si chiama spettro, dipende da un solo parametro, la temperatura. Il satellite COBE riuscì a misurare due parametri fondamentali con grande precisione: la temperatura della radiazione in 2,725 gradi Kelvin, che non è la temperatura a cui la radiazione fu emessa, ma quella a cui la misuriamo oggi (a causa dell’espansione accelerata dell’Universo la radiazione – non solo la materia – si è raffreddata); e piccole variazioni di una parte su centomila di questa temperatura. Queste fluttuazioni corrispondono a variazioni di densità nell’Universo primordiale, che sono state verificate e dimostrare essere, a loro volta, i semi cosmici dai quali si sono formati gli ammassi di galassie, le galassie, le stelle e i pianeti. Grazie al telescopio spaziale COBE gli scienziati hanno potuto osservare per la prima volta gli embrioni dell’Universo così come lo conosciamo. L’eredità di COBE è stata raccolta dal satellite Planck dell’Esa-Asi. La cosmologia osservativa è ancora una scienza giovane: COBE ha sollevato molte domande, alle quali, negli anni successivi, sono arrivate risposte parziali da missioni scientifiche come Boomerang dell’Infn, un’impresa italo-americana realizzata grazie a rivelatori posti su un pallone aerostatico, e il satellite WMAP della Nasa. Il satellite Planck non solo s’inserisce perfettamente su questa linea di ricerca, ma promette di realizzare una vera e propria rivoluzione cosmologica. Grazie a Planck gli scienziati cercano di comprendere la struttura fondamentale dell’Universo neonato; di capire come si sono formati i superammassi di galassie a partire da quello stato di contrazione incredibilmente energetica in cui l’Universo si trovava; di capire se è vero, come alcuni indizi indicano, che l’Universo è stato coinvolto in una fase di iper-espansione parossistica, detta Inflazione, che lo ha portato a dilatarsi immediatamente dalle dimensioni di un Protone (in una frazione infinitesimale di secondo) a dimensioni paragonabili a quelle attuali. Grazie all’Energia Oscura. Perché potrebbe essere l’Energia Oscura il Motore dell’Universo (Warp Drive) in espansione accelerata. Un’incredibile Forza che ci circonda in grado di sprigionare, in determinate condizioni, un’istantanea propulsione iper-luminare. Immaginate se la potessimo dominare, imbrigliare e governare in un motore interstellare di nuova concezione…come sull’Enterprise! Per ora è solo buona fantascienza degna di Star Trek con tutti gli spin-off annessi e connessi. Ma, tornando alla missione Planck, gli obiettivi estremamente ambiziosi che il telescopio dell’Esa si prefigge di coronare con il massimo successo, sono garantiti dai ben più sofisticati strumenti che nel complesso lo rendono mille volte più potente di COBE. Per costruire il satellite Plank, l’Esa ha compiuto uno sforzo tecnologico notevole. Planck è dotato, oltre a un telescopio ottico di un metro e mezzo di diametro, di strumenti che richiedono un costante raffreddamento: una batteria di 22 ricevitori radio in grado di funzionare a meno 253 gradi Celsius e ben 52 rivelatori funzionanti a meno 272.9 gradi Celsius, appena un decimo di grado sopra lo Zero Assoluto. Planck è stato l’oggetto artificiale più freddo del Sistema Solare!Ma non è solo grazie a una tecnologia di così alto livello che la cosmologia è divenuta negli ultimi decenni una vera e propria scienza e può porsi l’obiettivo di scoprire e poter dunque raccontare la storia dell’Universo: come è nato, come è cambiato nel tempo, come finirà. Perché sono sopratutto i migliori scienziati del mondo i protagonisti assoluti chiamati a fare la loro parte nell’analisi dei dati raccolti da Planck. Diversamente dalla maggior parte dei satelliti per l’astronomia, Planck non è stato lanciato in orbita intorno alla Terra. Dopo il decollo ha impiegato circa 4 mesi per raggiungere il cosiddetto Punto Lagrangiano Secondo a circa un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, in direzione opposta al Sole. Questa sede ha garantito che il satellite si trovasse abbastanza lontano dalla Terra e dalla Luna, e che fosse schermato dal Sole in modo da evitare le emissioni di calore di questi corpi, che da soli sarebbero stati sufficienti a interferire con le osservazioni astronomiche. Come ben sanno gli scienziati dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), uno dei campi dove la ricerca italiana si è distinta e sta producendo nuovi e straordinari risultati, è lo studio della radiazione di fondo nelle microonde, la luce fossile del Big Bang. Questa luce porta con sé lo stampo delle perturbazioni di densità che hanno poi dato origine alle strutture, mostrandone con il suo spettro di potenza, la relativa importanza alle diverse scale. Galassie, ammassi, superammassi hanno un loro corrispondente nelle fluttuazioni d’intensità nella CMB che osserviamo sul cielo a diverse scale, le cosiddette anisotropie. Proprio un esperimento a guida italiana, Boomerang, nel 2000 mostrò per la prima volta con precisione i picchi e le valli di questo spettro di potenza, fornendo una riprova straordinaria della teoria di formazione delle galassie basata sull’esistenza della materia oscura fredda e costruendo uno dei pilastri principali del modello cosmologico attuale. Poi, facendo seguito alla missione americana WMAP, che ha esteso le misure di Boomerang all’intero cielo, il prossimo passo era rappresentato dall’esperimento italo-francese Planck, attualmente in volo con pieno successo. Planck sta producendo immagini uniche, e nei prossimi mesi si attendono risultati straordinari, grazie alla sua grande sensibilità e risoluzione, che permettono di spingersi a scale angolari sempre più piccole. Un obiettivo ambizioso di Planck potrebbe essere l’identificazione diretta del cosiddetto spettro dei “modi B” delle anisotropie di polarizzazione, associato alle perturbazioni tensoriali primordiali dell’Universo. Questa misura costituisce una conferma definitiva del modello inflazionario per l’Universo primordiale. Mappe di polarizzazione così profonde quali quelle necessarie per tali ricerche, darebbero indicazioni dirette sulla scala di energia inflazionaria e verifiche sulla fisica ad altissima energia, ben al di là di quanto concepibile con gli acceleratori di particelle presenti (Lhc) o futuri, e in laboratori sotterranei come quello del Gran Sasso (Infn). Gli scienziati sanno che la teoria dell’Inflazione risolve elegantemente alcuni problemi dello scenario base del Big Bang, postulando una fase di espansione esponenziale dell’Universo primordiale. Questa semplice idea giustifica due aspetti cruciali in pieno accordo con la Relatività di Albert Einstein: la geometria dell’Universo essenzialmente piatta; l’estrema isotropia dell’Universo su regioni che, in assenza di una fase inflazionaria, non dovrebbero essere mai state in contatto causale. La piattezza e la isotropia appaiono entrambe confermate dalle misure di questa luce fossile CMB su tutte le scale angolari e dalle osservazioni della struttura su larga scala dell’Universo. Sebbene ciò non rappresenti una conferma diretta dello scenario inflazionario, certamente lo supporta. Lo studio dei primi istanti dell’Universo, durante la fase inflazionaria, ci conduce ai confini della nostra attuale comprensione, rendendo la cosmologia una disciplina capace di gettar luce su aspetti ancora ignoti, non solo di fisica fondamentale. L’analisi e l’interpretazione accurata della radiazione fossile CMB richiede una separazione estremamente precisa ed affidabile delle varie componenti spurie di radiazione prodotte dalla nostra Galassia o da sorgenti che i fotoni incontrano nel loro cammino prima di arrivare a noi. Questa ripulitura del segnale si ottiene dalla combinazione con osservazioni nelle bande contigue (radio e infrarosso) e dallo sviluppo di modelli astrofisici accurati delle diverse sorgenti di rumore diffuso. Queste linee di ricerca hanno nel contempo una loro specifica rilevanza, data l’importanza astrofisica e cosmologica che rivestono varie classi di sorgenti extragalattiche che si sovrappongono alla luce fossile CMB, come gli ammassi di galassie, responsabili dell’effetto “Sunyaev-Zeldovich”, o le sorgenti galattiche di emissione diffusa e discreta. L’alto livello segnale/rumore richiesto per raggiungere tali obiettivi, in teoria non appare raggiungibile nemmeno nel futuro prossimo. Ma è estremamente importante per la comunità scientifica europea realizzare progetti ed esperimenti in questa direzione finalizzati allo sviluppo della tecnologia necessaria agli eredi di Planck. I progressi nella tecnologia appaiono promettenti per i rivelatori sia bolometrici sia coerenti, in particolare nel caso di grandi batterie spaziali (“array”) di rivelatori per amplificare il segnale sul piano focale. La validità delle tecnologie sperimentate in questa direzione avranno una buona chance di rivelare il “modo B” della polarizzazione per arrivare infine alla realizzazione di missioni spaziali congiunte Esa-Nasa, in grado di osservare l’intero Cielo in 4D con grande sensibilità e controllo ottimale degli effetti sistematici. Alla base di quasi tutti questi risultati c’è l’Early Release Compact Source Catalogue di Planck. L’equivalente dell’elenco dei personaggi teatrali in scena, l’abecedario dell’Universo. Ottenuto dall’osservazione continua dell’intero Cielo a lunghezze d’onda millimetriche e submillimetriche, il catalogo è costituito da una raccolta di migliaia di sorgenti estremamente fredde. Sorgenti che l’intera comunità scientifica potrà d’ora in avanti esplorare e studiare in tutta libertà. Sono stati i primi risultati pubblici della missione: un catalogo di tutte le sorgenti galattiche ed extragalattiche viste da Planck nell’intero Cielo. Non solo: è il primo catalogo a tutto cielo, a nove frequenze diverse, da 30 GHz a 857 GHz, e costituisce un’assoluta novità. Darà lavoro per anni a tutti i telescopi da Terra e dallo spazio, che potranno fare osservazioni di follow-up. Per avere accesso ai dati contenuti nel catalogo – spiegano gli scienziati – non è necessaria alcuna competenza tecnica. Sono resi pubblici attraverso un sito web dell’Esa, accessibile a tutti. Si potranno fare ricerche per parole chiave, per zone di cielo e per nome degli oggetti. Di ogni corpo celeste, sarà anche possibile visualizzarne l’immagine, per studiarne forma e struttura. Insomma, una vera e propria Stele di Rosetta totalmente integrata con gli altri cataloghi astronomici già esistenti. È un palcoscenico, quello dell’Universo, sul quale va in scena un’Opera in tre atti. Quello che riescono a cogliere i telescopi ottici, l’arazzo di galassie che ci circonda, è poco più che l’atto finale. Con le sue misure a lunghezze d’onda che vanno dal radio all’infrarosso, Planck è in grado di risalire indietro nel tempo, e mostrarci i due Atti precedenti. I risultati presentati nel 2011 riguardano l’Atto di mezzo, quando le galassie si stavano ancora formando. Qui Planck ha rilevato l’esistenza di una popolazione ammassi stellari, altrimenti invisibili, a miliardi di anni indietro nel tempo: avvolte nella polvere, in esse si formavano stelle a un ritmo vorticoso, da 10 a 1000 volte più rapido di quello che possiamo osservare oggi nella nostra Galassia. Si tratta di misure mai effettuate prima a queste lunghezze d’onda. Planck sarà in grado di offrirci la migliore visuale che sia mai stata disponibile anche sul primo dei tre Atti: la formazione delle prime strutture a grande scala nell’Universo, dalle quali le galassie si sarebbero poi formate. Strutture la cui traccia è impressa nella radiazione di fondo a microonde, risalente ad appena 380mila anni dopo il Big Bang, l’epoca in cui l’Universo cominciava a raffreddarsi. Per vedere nei dettagli il fondo cosmico occorre anzitutto rimuovere le contaminazioni introdotte dalla moltitudine di sorgenti di foregrounds a esso sovrapposte. Fra queste, gli oggetti elencati nell’Early Release Compact Source Catalogue, così come altre sorgenti d’emissione diffusa. Alcuni risultati in evidenza riguardano sorgenti come la cosiddetta “emissione anomala a microonde”: un bagliore diffuso, associato a regioni dense e polverose della Via Lattea, la cui origine ha rappresentato per anni un vero e proprio enigma. Un mistero che i dati di Planck, grazie all’ampiezza senza precedenti della gamma di lunghezze d’onda alle quali sono sensibili i suoi rivelatori, potrebbero aver definitivamente risolto: a generare l’emissione anomala sono le collisioni di grani di polvere in rapidissima rotazione su se stessi, fino a decine di miliardi di volte al secondo, con atomi o pacchetti di luce ultravioletta. Gli scienziati sfruttando un effetto particolare detto “Sunyaev-Zel’dovich”, grazie a Planck sono poi riusciti a individuare 189 ammassi di galassie, 20 dei quali ancora sconosciuti. Un’assoluta novità. È la prima volta che nuovi ammassi di galassie vengono scoperti grazie all’effetto “Sunyaev-Zel’dovich”, e già stanno arrivando conferme della loro esistenza grazie a osservazioni congiunte con altri satelliti come l’osservatorio a raggi X dell’Esa, Xmm-Newton. Oltre a consegnarci immagini spettacolari, lo studio di questi enormi e antichissimi grappoli di galassie ci aiuta ad approfondire le nostre conoscenze sul tipo di Universo in cui viviamo, a che velocità si sta espandendo e quanta materia-energia contiene. Ma questa non è che la punta dell’iceberg, perché grazie all’impegno di tutte le persone coinvolte nel progetto Planck, questo campo di studi sta superando ogni aspettativa. L’Italia in questi anni ha raggiunto una posizione di eccellenza nel campo dell’osservazione ed esplorazione dell’Universo vicino e lontano. Il contributo italiano offerto al successo della missione Planck ne è una conferma. “È un grande momento, per Planck – fa notare Jan Tauber – finora ci siamo concentrati sulla raccolta dei dati e sul mettere in luce il loro potenziale. Oggi, finalmente, è arrivato il tempo delle scoperte”. Planck continua a osservare l’Universo. I prossimi dati saranno in grado di mostrare, a un livello di dettagli senza precedenti, l’Atto iniziale della Creazione cosmica, che un dramma non fu. Semmai, un Atto d’amore del Creatore. L’immagine dell’origine di Tutto, dello Spazio e del Tempo. Planck è una missione dell’Agenzia Spaziale Europea che ha gestito il programma sin dagli esordi, nel 1993, e ha finanziato lo sviluppo del satellite, il lancio e le operazioni di controllo. Il prime contractor di Esa per Planck è stata la Thales Alenia Space (Cannes, Francia). Un contributo fondamentale a Planck è stato dato dall’industria europea. In particolare, decisivo è stato il contributo di Thales Alenia Spazio (Torino) per il service module, di Astrium (Friedrichshafen, Germania) per gli specchi del telescopio e di Oerlikon Space (Zürich, Svizzera) per le strutture del payload. La maggior parte dei test criogenici e ottici più complessi sono stati eseguiti presso il Centro Spaziale di Liegi, in Belgio, e presso la sede di Cannes di Thales Alenia Space. L’eccezionale know-how richiesto per lo sviluppo dello strumento a bassa frequenza (LFI) e di quello ad alta frequenza (HFI) è stato fornito da due grandi consorzi internazionali, comprendenti in totale circa 50 istituti scientifici dell’Europa e degli Stati Uniti, finanziati dalle agenzie dei Paesi coinvolti. Per quanto riguarda lo sviluppo degli strumenti scientifici, un contributo importante è dovuto a Thales Alenia Space (Milano) per LFI ed a Air Liquide – DTA (Grenoble, Francia) per HFI. I due consorzi sono anche responsabili per l’operatività scientifica dei rispettivi strumenti e per il trattamento dei dati. Alla guida dei consorzi, i due principal investigators: J.-L. Puget, dell’Institut d’Astrophysique Spatiale di Orsay (Francia), è responsabile di HFI (finanziato principalmente dal CNES e dal CNRS [INSU, IN2P3]), mentre N. Mandolesi, dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Bologna, è responsabile di LFI (finanziato principalmente dall’ASI e dall’Inaf). La Nasa ha finanziato lo US Planck Project, con base al JPL e con il coinvolgimento di scienziati da numerose istituzioni degli Stati Uniti, il cui contributo all’impegno dei due consorzi è stato decisivo. Un consorzio d’istituti danesi, finanziato dal Danish National Research Council, ha preso parte insieme all’Esa allo sviluppo dei due specchi del telescopio di Planck che è gestito dal Flight Control Team del Mission Operations Centre (MOC), presso lo European Space Operations Centre (ESOC) dell’Esa a Darmstadt (Germania). Il Planck Science Office, presso lo European Space Astronomy Centre (ESAC) dell’Esa, in Spagna, gestisce l’intera survey e coordina le operazioni scientifiche dei due strumenti. L’esplorazione spaziotemporale più importante e significativa, è appena iniziata. 

Nicola Facciolini

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