Papa Francesco, lo scandalo della Croce e il trionfo della Vita nel Dio Vivente Misericordioso

“Quante povertà morali e materiali oggi vengono dal rifiuto di Dio e dal mettere al suo posto tanti idoli! La Chiesa sia sempre luogo di misericordia e di speranza, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato e perdonato”(Papa Francesco). “Seguire la via di Dio conduce alla vita, mentre seguire gli idoli conduce alla morte” – dichiara […]

“Quante povertà morali e materiali oggi vengono dal rifiuto di Dio e dal mettere al suo posto tanti idoli! La Chiesa sia sempre luogo di misericordia e di speranza, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato e perdonato”(Papa Francesco). “Seguire la via di Dio conduce alla vita, mentre seguire gli idoli conduce alla morte” – dichiara apertamente Papa Francesco in una gremita “pasquale” Piazza San Pietro estiva, Domenica 16 Giugno 2013, nella Santa Messa presieduta in occasione della Giornata dedicata all’Evangelium Vitae, nell’Anno della Fede. Il Santo Padre ribadisce il Trionfo della Vita e della Misericordia di Dio “che vuole la vita e sempre ci perdona”. Decine di migliaia i fedeli presenti con le loro famiglie insieme alle delegazioni del Popolo della Vita provenienti da tutto il mondo. L’affetto dei fedeli, immersi nella preghiera del Rosario, accoglie il Papa che, sorridente sulla jeep vaticana, benedice la piazza festante prima della Santa Messa.“Diciamo sì all’amore e no all’egoismo – afferma Papa Bergoglio nell’omelia – diciamo sì alla vita e no alla morte, diciamo sì alla libertà e no alla schiavitù dei tanti idoli del nostro tempo; in una parola diciamo sì a Dio, che è Amore, Vita e Libertà, e mai delude. Una fede che ci rende liberi e felici – ribadisce il Pontefice sottolineando che “solo la fede nel Dio Vivente ci salva; nel Dio che in Gesù Cristo ci ha donato la sua vita e con il dono dello Spirito Santo ci fa vivere da veri figli di Dio. Quando l’uomo vuole affermare se stesso, chiudendosi nel proprio egoismo e mettendosi al posto di Dio, finisce per seminare morte. E l’egoismo porta alla menzogna, con cui si cerca di ingannare se stessi e il prossimo. Ma Dio non si può ingannare”. Papa Francesco parla del “Dio dei viventi, il Dio che si rende presente nella storia, che libera dalla schiavitù”, e spiega il “dono dei Dieci Comandamenti”. Una strada che “Dio ci indica per una vita veramente libera, per una vita piena; non sono un inno al “no”: non devi fare questo, non devi fare questo, non devi fare questo. No! Sono un inno, al “sì”, a Dio, all’Amore, alla Vita. Cari amici, la nostra vita è piena solo in Dio, perché solo Egli è il Vivente!”. Papa Bergoglio evidenzia più volte che “tutta la Scrittura ci ricorda che Dio è Colui che dona la vita e che indica la via della vita piena. Gesù è l’incarnazione del Dio Vivente, Colui che porta la vita, di fronte a tante opere di morte, di fronte al peccato, all’egoismo, alla chiusura in se stessi. Gesù accoglie, ama, solleva, incoraggia, perdona e dona nuovamente la forza di camminare, ridona vita. Grande è la Misericordia di Dio e sempre ci perdona: Dio il Vivente è misericordioso. Siete d’accordo? Diciamolo insieme: Dio, il Vivente è misericordioso! Tutti: Dio, il Vivente, è misericordioso. Un’altra volta: Dio, il Vivente, è misericordioso! È lo Spirito Santo, dono del Cristo Risorto che ci introduce nella vita divina come veri figli di Dio”. Allora, chi è il cristiano, un Superman? “Il cristiano è un uomo spirituale, e questo non significa che sia una persona che vive nelle nuvole, fuori della realtà (come se fosse un fantasma), no! Il cristiano è una persona che pensa e agisce nella vita quotidiana secondo Dio, una persona che lascia che la sua vita sia animata, nutrita dallo Spirito Santo perché sia piena, da veri figli. E questo significa realismo e fecondità. Chi si lascia condurre dallo Spirito Santo è realista, sa misurare e valutare la realtà, ed è anche fecondo: la sua vita genera vita attorno a sé. Spesso l’uomo non sceglie la vita, non accoglie il Vangelo della vita – osserva il Santo Padre – ma si lascia guidare da ideologie e logiche orientate dall’egoismo, dall’interesse, dal profitto, dal potere, dal piacere e non sono dettate dall’amore, dalla ricerca del bene dell’altro”. È la “costante illusione di voler costruire la città dell’uomo senza Dio, senza la vita e l’amore di Dio, una nuova Torre di Babele”. Papa Francesco mette in guardia dal “pensare che il rifiuto di Dio, del Messaggio di Cristo, del Vangelo della vita, porti alla libertà, alla piena realizzazione dell’uomo. Il risultato è che al Dio Vivente vengono sostituiti idoli umani e passeggeri, che offrono l’ebbrezza di un momento di libertà, ma che alla fine sono portatori di nuove schiavitù e di morte. Solo la fede nel Dio Vivente ci salva nel Dio che in Gesù Cristo ci ha donato la sua vita con il dono dello Spirito Santo e fa vivere da veri figli di Dio con la sua Misericordia. Questa fede ci rende liberi e felici”. Dopo la celebrazione eucaristica, dedicata al Vangelo della Vita, Papa Bergoglio ricorda il nuovo Beato proclamato Venerdì 14 Giugno 2013 a Carpi, rivolgendo un pensiero particolare alle famiglie ed a quanti promuovono la vita. Papa Francesco prega soprattutto per la vita “più fragile, indifesa e minacciata”, la carne di Cristo che il mondo rifiuta, allontana e nasconde, ma che il Papa accoglie, saluta, abbraccia e bacia in ogni udienza e celebrazione privata e pubblica. All’Angelus domenicale Papa Francesco indica un testimone del Vangelo della Vita, Odoardo Focherini, sposo e padre di sette figli, giornalista, proclamato Beato in Emilia Romagna.“Catturato e incarcerato in odio alla sua fede cattolica – ricorda Papa Bergoglio – morì nel campo di concentramento di Hersbruck nel 1944, a 37 anni. Salvò numerosi Ebrei dalla persecuzione nazista. Insieme con la Chiesa che è in Carpi, rendiamo grazie a Dio per questo testimone del Vangelo della Vita!”. Il Santo Padre affida alla materna protezione della Madonna “ogni vita umana, specialmente quella più fragile, indifesa e minacciata”, ringraziando quanti sostengono la vita quotidianamente, in particolare le famiglie.“Ringrazio di cuore tutti voi che siete venuti da Roma e da tante parti d’Italia e del mondo, in particolare le famiglie e quanti operano più direttamente per la promozione e la tutela della vita. Saluto cordialmente i 150 membri dell’Associazione Gravida Argentina riuniti nella città di Pilar. Grazie tante per quello che fate. Coraggio e andate Avanti”. E poi “saluto ai numerosi partecipanti al raduno motociclistico Harley-Davidson e anche a quello del Motoclub Polizia di Stato”. Chi è Odoardo Focherini? Con una solenne celebrazione svoltasi a Carpi, presieduta dal prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato, in rappresentanza del Santo Padre, è salito agli onori degli altari Odoardo Focherini. Primo Beato giornalista, secondo tra le file dell’Azione cattolica, morì da martire in un campo di sterminio tedesco, dopo aver salvato oltre centro Ebrei. Nella prigione di S. Giovanni in Monte a Bologna, Odoardo Focherini racconta la sua esperienza di eroe umile e di difensore della vera umanità che si prende in carico gli oppressi e i perseguitati che, nella sua contemporaneità di una Europa dilaniata dal nazi-fascismo e dal comunismo, erano il Popolo Ebraico. Iniziò quasi per caso, con un gruppo che gli venne affidato dall’arcivescovo di Genova, poi proseguì fino a salvare 105 Ebrei. Ma l’ultimo gli fu fatale. L’11 Marzo 1944 Focherini fu arrestato e condotto in carcere. Da lì, il passo fino al campo di concentramento di Fossoli fu breve. Poi la deportazione in Germania. Dal lager di Hersbruck, Focherini scrisse 166 amorevoli lettere a casa, in cui affermava che avrebbe rifatto tutto da capo, fedele all’insegnamento di Cristo di amare il prossimo come se stessi, come sottolinea nell’omelia il cardinale Angelo Amato.“Nella sua Lettera apostolica, Papa Francesco lo chiama ‘esemplare testimone’ del Vangelo. Il Beato Odoardo, infatti, non esitò ad anteporre il bene dei fratelli all’offerta della propria vita”. Nel campo di sterminio morì pochi mesi dopo “ex aerumnis carceris et exilii”, come recita la formula canonica, cioè a causa dell’esilio forzato e delle torture. In punto di morte, offrì la sua vita per la sua Diocesi, per l’Azione Cattolica, per il Papa e per la Pace del mondo. Fu una morte da martire, quella del Focherini, che ha molto da insegnare agli uomini di oggi, come evidenzia il cardinale Amato illustrando le lezioni che il Beato ci ha lasciato.
“La prima è quella della carità: l’impegno di mettere in salvo dalla persecuzione nazista famiglie e perseguitati; l’operosità nell’Azione Cattolica, l’attività giornalistica presso l’Avvenire di Italia, la fedeltà alla sua identità battesimale; l’adesione piena alla volontà divina fino ad accettare l’umiliazione e la sofferenza dei campi di concentramento sono i tratti eroici della carità di questo 37.enne laico cattolico, sposo devoto e padre di sette figli. Una seconda lezione impartita dal nostro Beato è quella della sua coerenza alla fede battesimale e al fondamentale codice umano, divino del Decalogo”. Dedito alla preghiera, al sacrificio ed all’azione, la straordinarietà del Focherini è riconosciuta universalmente: nel 1969 fu proclamato Giusto tra le Nazioni e in occasione della sua Beatificazione il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane esalta il suo indimenticabile amore per la vita, fonte d’ispirazione per le generazioni future. “Il Focherini fu un laico che prese sul serio il suo battesimo – ricorda il cardinale Amato, riassumendo le virtù eroiche del nuovo Beato – vivendo intensamente di fede, di carità e di speranza. A proposito della speranza” esiste “una testimonianza rilasciata da una signora ebrea di Ferrara. Questa signora confessa di aver avuto la forza di sopravvivere, per le parole che le disse un giorno il nostro Beato:‘Avrei già fatto il mio dovere se pensassi solo ai miei sette figli, ma sento che non posso abbandonarvi, che Dio non me lo permette’”. Una decisione creerà un ulteriore legame tra Cristiani ed Ebrei, “arricchendo e approfondendo ulteriormente il nostro dialogo”. L’American Jewish Committee, nella figura di Lisa Billig, sua rappresentante in Italia e presso la Santa Sede, valuta molto positivamente la decisione della Chiesa Cattolica di beatificare Odoardo Focherini. “Già proclamato Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem di Israele per aver rischiato e pagato con la vita il salvataggio di un centinaio di Ebrei perseguitati durante la Seconda Guerra Mondiale, Odoardo Focherini – si legge nella nota diffusa – agì disinteressatamente in conformità con i più alti principi morali condivisi dalle nostre due fraterne religioni”. L’intervento di Lisa Billig, che ne scrive anche sul prestigioso quotidiano in lingua inglese Jerusalem Post, arriva a completamento delle parole pronunciate negli scorsi giorni dal Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna che, nelle ore in cui l’iniziativa veniva presentata alla stampa, aveva reso omaggio alla figura di Focherini sottolineando come “il suo coraggio, i suoi ideali, il suo amore per la vita non sono stati dimenticati” e come la sua memoria “continuerà ad essere fonte di ispirazione anche per le future generazioni”.
Dichiarazioni riportate con grande rilievo dalla stampa cattolica e dallo stesso Jerusalem Post. La vita di Odoardo Focherini, Presidente dell’Azione Cattolica di Carpi, giornalista e amministratore dell’Avvenire, è una lezione per i giornalisti di oggi. Non è facile infatti avere il coraggio di raccontare la verità sul territorio. Di dire quello che c’è da dire con tutta la carità e la forza umanamente possibili e immaginabili. La sua è una lezione civile. Focherini fu arrestato mentre cercava di organizzare la fuga di Enrico Donati, l’ultimo dei suoi salvati. Deportato in Germania, nel campo di Hersbruck muore il 27 Dicembre 1944. Interpellato durante la prigionia dal cognato che gli domandava se avesse avuto dei ripensamenti in merito alla sua azione, Focherini rispose con queste testuali parole:“Se tu avessi visto, come ho visto io in questo carcere, cosa fanno patire agli ebrei, non rimpiangeresti se non di non averne salvati in numero maggiore”. Molti gli attestati di riconoscimento che tracciano il percorso di un’esistenza memorabile e interamente spesa, a prezzo della propria vita, per il prossimo. “Odoardo Focherini – spiega la nipote, Maria Peri – continua ad essere un esempio per il modo in cui ha vissuto e per il suo impegno a favore delle persone maggiormente in difficoltà”. Nell’occasione il Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha dichiarato che “artefice del salvataggio di oltre un centinaio di perseguitati, in prima linea per la dignità dell’uomo in un’epoca segnata dal buio della ragione, Odoardo Focherini fu persona di grandi valori e principi. Un impegno straordinario, pagato a prezzo della vita, cui rendiamo nuovamente omaggio con deferenza e commozione”. La vita cristiana non è “stare in pace fino al Cielo”, ma andare per il mondo ad annunciare Gesù che “si è fatto peccato” per riconciliare gli uomini con il Padre. Lo ricorda Papa Francesco all’omelia della Messa in Casa Santa Marta.“La vita cristiana non è stare in un angolo a ritagliarsi una strada che porta comodamente in cielo, ma è un dinamismo che spinge a stare sulla strada, ad annunciare che Cristo ci ha riconciliati con Dio, facendosi peccato per noi”. Il Santo Padre si sofferma sul brano della Lettera ai Corinzi, nel quale un San Paolo insistente, quasi “di fretta”, usa per ben cinque volte il termine “riconciliazione”. E “lo fa – osserva il Papa – alternando “forza” e “tenerezza”, prima esortando e poi quasi in ginocchio, “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”. Ma cos’è la riconciliazione? “Prendere uno da questa parte, prenderne un altro e farli uniti: no. La vera riconciliazione è che Dio, in Cristo, ha preso i nostri peccati e Lui si è fatto peccato per noi. E quando noi andiamo a confessarci, per esempio, non è che diciamo il peccato e Dio ci perdona. No, non è quello! Noi troviamo Gesù Cristo e gli diciamo:‘Questo è tuo e io ti faccio peccato un’altra volta’. E a Lui piace quello, perché è stata la sua missione: farsi peccato per noi, per liberare a noi”. È la bellezza e lo “scandalo” della redenzione operata da Gesù. “Ed è anche il mistero – afferma Papa Francesco – da cui Paolo trae lo zelo che lo sprona ad andare avanti e a ripetere a tutti una cosa tanto meravigliosa, l’amore di un Dio che ha consegnato suo Figlio alla morte per me. Eppure esiste il rischio di non arrivare mai a questa verità nel momento in cui noi un po’ svalutiamo la vita cristiana, riducendola a un elenco di cose da osservare e smarrendo così l’ardore, la forza dell’amore che è dentro di essa. Ma i filosofi dicono che la pace è una certa tranquillità nell’ordine: tutto ordinato e tranquillo. Quella non è la pace cristiana! La pace cristiana è una pace inquieta, non è una pace tranquilla: è una pace inquieta, che va avanti per portare questo messaggio di riconciliazione. La pace cristiana ci spinge ad andare avanti. Questo è l’inizio, la radice dello zelo apostolico. Lo zelo apostolico non è andare avanti per fare proseliti e fare statistiche: quest’anno sono cresciuti i cristiani in tal Paese, in tal movimenti. Le statistiche sono buone, aiutano, ma non è quello che Dio vuole da noi, fare proseliti. Quello che il Signore vuole da noi è proprio l’annunzio di questa riconciliazione, che è il nucleo proprio del suo messaggio”. Le parole di Papa Bergoglio ricalcano l’ansia interiore di San Paolo. Papa Francesco ripete in modo incalzante quello che definisce il Pilastro della Vita Cristiana, e cioè che “Cristo si è fatto peccato per me! E i miei peccati sono là, nel suo Corpo, nella sua Anima! Questo – esclama il Santo Padre – è da pazzi, ma è bello, è la verità! Questo è lo scandalo della Croce! Chiediamo al Signore che ci dia questa premura per annunziare Gesù, ci dia un po’ di quella saggezza cristiana che nacque proprio dal Suo fianco trafitto per amore. Anche ci convinca un poco che la vita cristiana non è una terapia terminale: stare in pace fino al Cielo. No, la vita cristiana è sulla strada, nella vita, con questa premura di Paolo. L’amore di Cristo ci possiede, ma ci spinge, ci preme, con questa emozione che si sente quando uno vede che Dio ci ama. Chiediamo questa grazia”. Allora “il principio della laicità dello Stato non deve significare ostilità né esclusione delle religioni dal campo sociale e dai dibattiti che lo animano”. Lo dichiara Papa Francesco ricevendo i parlamentari francesi del Gruppo di amicizia Francia-Santa Sede, nella Sala Clementina. Un’occasione per evidenziare le relazioni di fiducia reciproca, ma anche il ruolo e la responsabilità di chi fa politica in Europa e nel mondo, che non consiste solo nel proporre leggi ma “nell’infondere in esse un’anima. Il principio di laicità che governa le relazioni tra lo Stato francese e le diverse confessioni religiose non deve significare in sé un’ostilità alla realtà religiosa, o un’esclusione delle religioni dal campo sociale e dai dibattiti che lo animano. Ci si può rallegrare del fatto che la società francese riscopra proposte fatte dalla Chiesa, tra le altre, che offrono una certa visione della persona e della sua dignità in vista del bene comune. La Chiesa desidera così offrire il proprio contributo specifico su questioni profonde che impegnano una visione più completa della persona e del suo destino, della società e del suo destino. Questo contributo non si situa solamente nell’ambito antropologico o sociale, ma anche negli ambiti politico, economico e culturale”. La riflessione del Papa va quindi al dovere di chi è eletto da una nazione: “contribuire al miglioramento della vita dei concittadini”. Un compito certamente tecnico e giuridico, che consiste nel proporre, emendare o abrogare le leggi, ma non solo. “Ma è anche necessario infondere in esse un supplemento, uno spirito, direi un’anima, che non rifletta solamente le modalità e le idee del momento, ma che conferisca ad esse l’indispensabile qualità che eleva e nobilita la persona umana”. L’incoraggiamento che Papa Bergoglio lascia ai parlamentari è quello di proseguire una missione alla ricerca sempre del bene della persona e promuovendo la fraternità. Perché l’unico modo per ricevere realmente il dono della salvezza di Cristo è riconoscerci con sincerità deboli e peccatori, evitando ogni forma di autogiustificazione. Papa Francesco lo afferma all’omelia della Messa celebrata nella cappella di Casa S. Marta. “Consapevole di essere un debole vaso di creta, eppure custode di un grande tesoro che gli è stato donato in modo del tutto gratuito. È questo il seguace di Cristo davanti al suo Signore”. Il Santo Padre ricava lo spunto di riflessione dalla Lettera in cui Paolo spiega ai cristiani di Corinto che, perché sia chiaro che la “straordinaria potenza” della fede è opera di Dio, essa è stata riversata in uomini peccatori, in “vasi di creta”. Ma proprio dal rapporto “tra la grazia e la potenza di Gesù Cristo e noi poveri peccatori scaturisce – osserva il Papa – il dialogo della salvezza. E tuttavia questo dialogo deve rifuggire da qualsiasi autogiustificazione, deve essere come noi siamo. Paolo, tante volte ha parlato – è come un ritornello, no? – dei suoi peccati. ‘Ma, io vi dico questo: io che sono stato un inseguitore della Chiesa, ho perseguito…’. Torna sempre alla sua memoria di peccato. Si sente peccatore. Ma anche in quel momento non dice:‘Sono stato, ma adesso sono santo’, no. Anche adesso, una spina di Satana nella mia carne. Ci fa vedere la propria debolezza. Il proprio peccato. È un peccatore che accoglie Gesù Cristo. Dialoga con Gesù Cristo. La chiave – indica Papa Bergoglio – è quindi l’umiltà. Paolo stesso lo dimostra. Egli riconosce pubblicamente il suo curriculum di servizio, ovvero tutto ciò che ha compiuto come Apostolo inviato da Gesù. Ma non per questo nasconde il “suo prontuario”, cioè i suoi peccati. “Anche questo è il modello dell’umiltà di noi preti, di noi sacerdoti. Se noi ci vantiamo soltanto del nostro curriculum e niente più – avverte Papa Francesco – finiremo sbagliati. Non possiamo annunziare Gesù Cristo Salvatore perché nel fondo non lo sentiamo. Ma dobbiamo essere umili, ma con un’umiltà reale, con nome e cognome: ‘Io sono peccatore per questo, per questo, per questo’. Come fa Paolo:‘Ho perseguitato la Chiesa’, come fa lui, peccatori concreti. Non peccatori con quella umiltà che sembra più faccia da immaginetta, no? Eh no, l’umiltà forte”. Papa Francesco ricorre ad un’espressione dialettale piemontese: farsi la “mugna quacia”, ingenua,“quell’ingenuità che non è vera, è soltanto apparenza. L’umiltà del sacerdote, l’umiltà del cristiano è concreta – asserisce Papa Francesco – se un cristiano non riesce a fare a se stesso e neanche alla Chiesa questa confessione, qualcosa non va. E a non andare per primo è il non poter capire la bellezza della salvezza che ci porta Gesù. Fratelli, noi abbiamo un tesoro: questo di Gesù Cristo Salvatore. La Croce di Gesù Cristo, questo tesoro del quale noi ci vantiamo. Ma lo abbiamo in un vaso di creta. Vantiamoci anche del nostro prontuario, dei nostri peccati. E così il dialogo è cristiano e cattolico: concreto, perché la salvezza di Gesù Cristo è concreta. Gesù Cristo non ci ha salvati con un’idea, con un programma intellettuale, no. Ci ha salvato con la carne, con la concretezza della carne. Si è abbassato, fatto uomo, fatto carne fino alla fine. Ma soltanto, solo si può capire, solo si può ricevere, in vasi di creta. Anche la Samaritana che incontra Gesù e dopo avergli parlato racconta ai suoi conterranei prima il suo peccato e poi di aver incontrato il Signore, si comporta in modo analogo a Paolo. Io credo – osserva Papa Francesco – che questa donna sia in Cielo, sicuro, perché, come dice il Manzoni, ‘mai ho trovato che il Signore abbia incominciato un miracolo senza finirlo bene’, e questo miracolo che Lui ha incominciato sicuramente lo ha finito bene in Cielo. A lei chiediamo “che ci aiuti a essere vasi di creta per poter portare e capire il mistero glorioso di Gesù Cristo”. Senza l’umiltà, senza la capacità di riconoscere pubblicamente i propri peccati e la propria fragilità umana, non si può raggiungere la salvezza e neanche pretendere di annunciare Cristo o essere suoi testimoni. Questo vale per tutti. Per la nuova evangelizzazione, quindi, “occorre lasciarci condurre dallo Spirito Santo anche se ci porta su strade nuove”. È l’esortazione che Papa Francesco ha rivolto nel Suo discorso consegnato ai 25 membri del XIII Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. Papa li Bergoglio li ha ricevuti in udienza nella Sala del Concistoro, in Vaticano, ringraziandoli per l’elaborazione di quanto emerso nella XIII Assemblea Generale Ordinaria. Che, tenutasi in Ottobre, ha avuto come tema:“La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede”. Il Santo Padre ha risposto ad alcune domande dei presenti sui possibili temi di un prossimo Sinodo, annunciando che porterà a termine una nuova Enciclica insieme a Benedetto XVI.“La trasmissione della fede cristiana è lo scopo della nuova evangelizzazione e dell’intera opera evangelizzatrice della Chiesa che – sottolinea Papa Francesco – esiste proprio per questo. L’espressione ‘nuova evangelizzazione’, poi, mette in luce la consapevolezza sempre più chiara che anche nei Paesi di antica tradizione cristiana si rende necessario un rinnovato annuncio del Vangelo, per ricondurre ad un incontro con Cristo che trasformi veramente la vita e non sia superficiale, segnato dalla routine”. Papa Bergoglio incoraggia “l’intera comunità ecclesiale ad essere evangelizzatrice, a non aver paura di ‘uscire’ da sé per annunciare, confidando soprattutto nella presenza misericordiosa di Dio che ci guida”. Papa Francesco rileva che “le tecniche sono certo importanti, ma neppure le più perfette potrebbero sostituire l’azione discreta ma efficace dello Spirito Santo. Occorre, dunque, lasciarsi condurre da Lui anche se ci porta su strade nuove; occorre lasciarsi trasformare da Lui perché il nostro annuncio avvenga con la parola sempre accompagnata da semplicità di vita, da spirito di preghiera, da carità verso tutti, specialmente i piccoli e i poveri, da umiltà e distacco da sé, da santità di vita. Solo così sarà veramente fecondo!”. Il discorso di Papa Francesco si concentra poi sul Sinodo dei Vescovi che, ricorda, “è stato uno dei frutti del Concilio Vaticano II”. In questi 50 anni si sono potuti sperimentare “i benefici di questa istituzione che in modo permanente è posta al servizio della missione della Chiesa come espressione della sua collegialità”. Il Papa lo testimonia anche a partire dalla sua esperienza personale, per aver partecipato a diverse Assemblee sinodali. Papa Francesco annuncia che porterà a termine l’Enciclica già iniziata dal Papa emerito Benedetto XVI. Il Pontefice spiega che sull’Esortazione post-sinodale prevede di lavorare riprendendo tutto il Sinodo sulla nuova evangelizzazione ma “in una cornice più larga che è quella dell’evangelizzazione in genere”. Nel 2015 sono 50 anni dalla “Gaudium et Spes” da cui “si possono prendere temi che riguardano i rapporti Chiesa-mondo, la dignità umana, la famiglia, le scienze, la tecnologia…”. Il Santo Padre rileva in particolare la serietà dei problemi della famiglia, del fatto che oggi tante persone non si sposano, convivono e il matrimonio diventa “provvisorio” come il lavoro. Anche la questione dell’ecologia, in particolare in rapporto alla “ecologia umana”, è al centro dell’azione pastorale di Papa Francesco. Sul piano antropologico il Santo Padre evidenzia la problematica della laicità diventata laicismo, della secolarizzazione praticata. Il Papa incoraggia tutti all’impegno per rispondere alle nuove sfide. “Il Signore ci conceda la grazia di fare attenzione ai commenti che facciamo sugli altri” – è quanto afferma da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. “La vostra giustizia sia superiore a quella dei farisei”. Papa Francesco muove dall’esortazione rivolta da Gesù ai suoi discepoli. Parole che vengono dopo le Beatitudini e l’espressione di Gesù che ricorda di essere venuto sulla Terra non per dissolvere la Legge, ma per portarla a compimento. “La sua è una riforma senza rottura, una riforma nella continuità: dal seme fino ad arrivare al frutto. Colui che entra nella vita Cristiana ha esigenze superiori a quelle degli altri, non ha vantaggi superiori. E Gesù menziona alcune di queste esigenze e tocca in particolare il tema del rapporto negativo con i fratelli. Colui che maledice – afferma Gesù – merita l’inferno. Se nel proprio cuore c’è qualcosa di negativo verso il fratello – avverte il Santo Padre – c’è qualcosa che non funziona e ti devi convertire, devi cambiare. L’arrabbiatura è un insulto contro il fratello, è già qualcosa che si dà nella linea della morte, lo uccide”. Specie “nella tradizione latina c’è come una creatività meravigliosa nell’inventare epiteti. Ma – ammonisce il Papa – quando questo epiteto è amichevole va bene, il problema è quando c’è l’altro epiteto, quando c’è il meccanismo dell’insulto, una forma di denigrazione dell’altro. Y no hace falta ir al psicologo”, cioè “non c’è bisogno di andare dallo psicologo – osserva Papa Francesco – per sapere che quando uno denigra l’altro è perché lui stesso non può crescere e ha bisogno che l’altro sia abbassato, per sentirsi un qualcuno”. E questo è “un meccanismo brutto. Gesù lo ha evidenziato” quando “con tutta la semplicità dice: Non parlate male l’uno dell’altro. Non denigratevi. Non squalificatevi. E ciò perché in fondo tutti stiamo camminando sulla stessa strada, tutti andiamo su quella strada che ci porterà alla fine. Quindi – rileva il Santo Padre – è stata Sua la riflessione: se la cosa non va per una strada fraterna, tutti finiremo male. Quello che insulta e l’insultato”. Il Papa poi osserva che “se uno non è capace di dominare la lingua, si perde”, e del resto “l’aggressività naturale, quella che ha avuto Caino con Abele, si ripete nell’arco della storia. Non è che siamo cattivi, siamo deboli e peccatori. Ecco perché è molto più semplice sistemare una situazione con un insulto, con una calunnia, con una diffamazione che sistemarla con le buone. Yo quisiera pedir al Señor que. Io – afferma Papa Francesco – vorrei chiedere al Signore che ci dia a tutti la grazia di fare attenzione maggiormente alla lingua, riguardo a quello che diciamo degli altri. È una piccola penitenza ma dà buoni frutti”. In Abruzzo è famoso il motto medievale: A lo parlare agi mesura. “Delle volte – ammette Papa Bergoglio – uno rimane affamato e pensa: Che peccato che non ho gustato il frutto di un commento delizioso contro l’altro. Ma alla lunga quella fame fruttifica e ci fa bene. Ecco perché dobbiamo chiedere al Signore questa grazia: adeguare la nostra vita a questa nuova Legge, che è la Legge della mitezza, la Legge dell’amore, la Legge della pace, e almeno ‘potare’ un po’ la nostra lingua, ‘potare’ un poco i commenti che facciamo verso gli altri o le esplosioni che ci portano all’insulto o alle arrabbiature facili. Che il Signore ci conceda a tutti questa grazia!”. Allo stesso tempo “non dobbiamo avere paura della libertà che ci dà lo Spirito Santo”. È quanto sottolinea Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. In questo momento “la Chiesa deve guardarsi da due tentazioni: quella di andare indietro e quella del progressismo adolescente”. ‘Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge’. Papa Francesco parte da queste parole rivolte da Gesù ai discepoli e subito osserva che questo brano evangelico segue quello delle Beatitudini, “espressione della nuova legge più esigente di quella di Mosé. Questa legge è frutto dell’Alleanza e non si può capire senza di essa. Questa Alleanza, questa legge è sacra perché portava il popolo a Dio”. Papa Francesco paragona la “maturità di questa legge” al “germoglio che scoppia e viene il fiore. Gesù è l’espressione della maturità della legge e Paolo ci parla di due tempi senza tagliare la continuità tra la legge della storia e la legge dello Spirito. L’ora del compimento della legge, l’ora in cui la legge arriva alla sua maturità: è la legge dello Spirito. Questo andare avanti su questa strada è un po’ rischioso, ma è l’unica strada della maturità, per uscire dai tempi nei quali non siamo maturi. In questa strada verso la maturità della legge, che viene proprio con la predicazione di Gesù, c’è sempre timore, timore della libertà che ci dà lo Spirito. La legge dello Spirito ci fa liberi! Questa libertà ci dà un po’ di paura, perché abbiamo paura di confondere la libertà dello Spirito con un’altra libertà umana. La legge dello Spirito ci porta su una strada di discernimento continuo per fare la volontà di Dio e questo ci fa paura. Una paura che ha due tentazioni. La prima, è quella di andare indietro, di dire che si può fino a qui, non si può di qua e dunque alla fine restiamo qui. Questa – ammonisce il Santo Padre – è un po’ la tentazione della paura della libertà, della paura dello Spirito Santo”. Una paura per cui “è meglio andare sul sicuro”. Il Papa narra di un superiore generale che, negli Anni Trenta aveva “raccolto tutte le prescrizioni anticarisma per i suoi religiosi, un lavoro di anni. Quindi, era andato a trovare a Roma un abate benedettino che, al sentire quanto fatto, gli aveva detto che così alla fine aveva ucciso il carisma della sua Congregazione, aveva ucciso la libertà, giacché questo carisma dà i frutti nella libertà e lui aveva fermato il carisma. Questa è la tentazione di andare indietro perché siamo più sicuri indietro: ma la sicurezza piena è nello Spirito Santo che ti porta avanti, che di dà questa fiducia – come dice Paolo – e questa fiducia è lo Spirito che è più esigente perché Gesù ci dice:‘In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terrà, non passera un solo iota della legge’. È più esigente! Ma non ci dà quella sicurezza umana. Non possiamo controllare lo Spirito Santo: quello è il problema! Questa è una tentazione”. E poi, ricorda il Papa, c’è un’altra tentazione, quella del “progressismo adolescente che ci fa uscire dalla strada. Vedere una cultura e non essere tanto staccati da essa. Prendiamo di qua, prendiamo di là i valori di questa cultura. Vogliono fare questa legge? Avanti con questa legge. Vogliono andare avanti con quello? Allarghiamo un po’ la strada. Alla fine, come dico, non è un vero progressismo. È un progressismo adolescente: come gli adolescenti che vogliono avere tutto con l’entusiasmo e alla fine? Si scivola. È come quando la strada è col gelo e la macchina scivola e va fuori strada. È l’altra tentazione in questo momento! Noi, in questo momento della storia della Chiesa – avverte Papa Francesco – non possiamo né andare indietro né andare fuori strada! La strada è quella della libertà nello Spirito Santo, che ci fa liberi, nel discernimento continuo sulla volontà di Dio per andare avanti su questa strada, senza andare indietro e senza cadere fuori strada. Chiediamo al Signore la grazia che ci dia lo Spirito Santo per andare avanti”. Nell’Udienza generale di Mercoledì 12 Giugno 2013, Papa Francesco si sofferma “brevemente su un altro dei termini con cui il Concilio Vaticano II ha definito la Chiesa, quello di “Popolo di Dio” (cfr Cost. dogm. Lumen gentium, 9; Catechismo della Chiesa Cattolica, 782). E lo faccio con alcune domande, sulle quali ognuno potrà riflettere”. Che cosa vuol dire essere “Popolo di Dio”? “Anzitutto vuol dire che Dio non appartiene in modo proprio ad alcun popolo; perché è Lui che ci chiama, ci convoca, ci invita a fare parte del suo popolo, e questo invito è rivolto a tutti, senza distinzione, perché la misericordia di Dio «vuole la salvezza per tutti» (1Tm 2,4). Gesù non dice agli Apostoli e a noi di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di elite. Gesù dice: andate e fate discepoli tutti i popoli (cfr Mt 28,19). San Paolo afferma che nel popolo di Dio, nella Chiesa, «non c’è più giudeo né greco…poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù»(Gal 3,28). Vorrei dire anche a chi si sente lontano da Dio e dalla Chiesa, a chi è timoroso o indifferente, a chi pensa di non poter più cambiare: il Signore chiama anche te a far parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore! Lui ci invita a far parte di questo popolo, popolo di Dio”. Come si diventa membri di questo popolo? “Non è attraverso la nascita fisica, ma attraverso una nuova nascita. Nel Vangelo, Gesù dice a Nicodemo che bisogna nascere dall’alto, dall’acqua e dallo Spirito per entrare nel Regno di Dio (cfr Gv 3,3-5). È attraverso il Battesimo che noi siamo introdotti in questo popolo, attraverso la fede in Cristo, dono di Dio che deve essere alimentato e fatto crescere in tutta la nostra vita. Chiediamoci: come faccio crescere la fede che ho ricevuto nel mio Battesimo? Come faccio crescere questa fede che io ho ricevuto e che il popolo di Dio possiede?”. Qual è la legge del Popolo di Dio? “È la legge dell’amore, amore a Dio e amore al prossimo secondo il comandamento nuovo che ci ha lasciato il Signore (cfr Gv 13,34). Un amore, però, che non è sterile sentimentalismo o qualcosa di vago, ma che è il riconoscere Dio come unico Signore della vita e, allo stesso tempo, l’accogliere l’altro come vero fratello, superando divisioni, rivalità, incomprensioni, egoismi; le due cose vanno insieme. Quanto cammino dobbiamo ancora fare per vivere in concreto questa nuova legge, quella dello Spirito Santo che agisce in noi, quella della carità, dell’amore! Quando noi guardiamo sui giornali o alla televisione tante guerre fra cristiani, ma come può capitare questo? Dentro il popolo di Dio, quante guerre! Nei quartieri, nei posti di lavoro, quante guerre per invidia, gelosie! Anche nella stessa famiglia, quante guerre interne! Noi dobbiamo chiedere al Signore che ci faccia capire bene questa legge dell’amore. Quanto è bello amarci gli uni con gli altri come fratelli veri. Quanto è bello! Facciamo una cosa oggi. Forse tutti abbiamo simpatie e non simpatie; forse tanti di noi sono un po’ arrabbiati con qualcuno; allora diciamo al Signore: Signore io sono arrabbiato con questo o con questa; io ti prego per lui e per lei. Pregare per coloro con i quali siamo arrabbiati è un bel passo in questa legge dell’amore. Lo facciamo? Facciamolo oggi!”. Che missione ha questo popolo? “Quella di portare nel mondo la speranza e la salvezza di Dio: essere segno dell’amore di Dio che chiama tutti all’amicizia con Lui; essere lievito che fa fermentare tutta la pasta, sale che dà il sapore e che preserva dalla corruzione, essere una luce che illumina. Attorno a noi, basta aprire un giornale – l’ho detto – vediamo che la presenza del male c’è, il Diavolo agisce. Ma vorrei dire a voce alta: Dio è più forte! Voi credete questo: che Dio è più forte? Ma lo diciamo insieme, lo diciamo insieme tutti: Dio è più forte! E sapete perché è più forte? Perché Lui è il Signore, l’unico Signore. E vorrei aggiungere che la realtà a volte buia, segnata dal male, può cambiare, se noi per primi vi portiamo la luce del Vangelo soprattutto con la nostra vita. Se in uno stadio, pensiamo qui a Roma all’Olimpico, o a quello di San Lorenzo a Buenos Aires, in una notte buia, una persona accende una luce, si intravvede appena, ma se gli oltre settantamila spettatori accendono ciascuno la propria luce, lo stadio si illumina. Facciamo che la nostra vita sia una luce di Cristo; insieme porteremo la luce del Vangelo all’intera realtà”. Qual è il fine di questo popolo? “Il fine è il Regno di Dio, iniziato sulla terra da Dio stesso e che deve essere ampliato fino al compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cfr Lumen gentium, 9). Il fine allora è la comunione piena con il Signore, la familiarità con il Signore, entrare nella sua stessa vita divina, dove vivremo la gioia del suo amore senza misura, una gioia piena. Cari fratelli e sorelle, essere Chiesa, essere Popolo di Dio, secondo il grande disegno di amore del Padre, vuol dire essere il fermento di Dio in questa nostra umanità, vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso è smarrito, bisognoso di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino. La Chiesa sia luogo della misericordia e della speranza di Dio, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato, perdonato, incoraggiato a vivere secondo la vita buona del Vangelo. E per far sentire l’altro accolto, amato, perdonato, incoraggiato la Chiesa deve essere con le porte aperte, perché tutti possano entrare. E noi dobbiamo uscire da quelle porte e annunciare il Vangelo”. Il Cristianesimo inonda di valori anche certi capolavori cinematografici come Star Trek e Star Wars. Ora pare che la Chiesa Cattolica voglia benedire anche il kolossal L’Uomo d’Acciaio (wwws.warnerbros.it/manofsteel/index.html) il nuovo Superman cinematografico A.D. 2013 di Zac Snyder. Musiche di Hans Zimmer. Nel suo nuovo film “Man of Steel” in 3D e 2D, nei cinema italiani a partire da Giovedì 20 Giugno 2013, il regista americano Zac Snyder rinnova profondamente i contenuti della saga del supereroe extraterrestre mediante una sorprendente metamorfosi inattesa. Intere generazioni di giovani sono rimasti “folgorati” dalle mirabolanti avventure del loro eroe positivo preferito, in tuta blu elettrico e mantello rosso spiegato al vento interstellare. Il Cinema lo ha fatto suo fin dal 1948 con visioni e tentativi più o meno riusciti. Ora si affronta di nuovo la sfida, affidandola a un regista visionario come Zac Snyder attorniato da un cast più che eccellente. Pur dispiegando grandi mezzi spettacolari, il nuovo Superman si allontana subito dai tradizionali stereotipi, concentrandosi sulla dimensione umana di un Uomo che si scopre “diverso” da tutti gli altri sulla faccia della Terra. Al quale Henry Cavill offre uno spessore meno muscolare e più riflessivo. Snyder lo precisa alla presentazione del suo kolossal al pubblico. “Non abbiamo voluto chiamare il film Superman, ma L’uomo d’Acciaio semplicemente perché ci interessava mettere prima la parola Uomo. Abbiamo voluto andare oltre i canoni rigidi della mitologia, tornare indietro nel tempo per capire la sua natura soprannaturale, come scopre la missione affidatagli dal padre Jor-El prima che Krypton, il loro pianeta, imploda”. Numerosi i momenti del film in cui Kal-El, d’acciaio sì, ma con un cuore puro ultraterreno non tanto simile al nostro, s’interroga dubbioso. E lui stesso spiega perché è arrivato sul nostro pianeta diffidente, per difenderci dalla guerra che il generale Zod, kryptoniano pervertito, ha scatenato contro di noi, la razza umana della Terra. Superman ora intende offrire la Speranza agli uomini. Quella “S” sul suo splendido costume, prima di indicare chi sia, simboleggia il motivo del suo essere qui sulla Terra. Una dimensione per alcuni decisamente “cristologica”. Anche ribadita dallo stesso Snyder e da molti dialoghi della sceneggiatura. “Mio padre pensava che se il mondo avesse scoperto chi ero, mi avrebbero respinto. Era convinto che il mondo non fosse pronto” – confessa il nuovo Superman che prima di iniziare la battaglia decisiva, dopo aver salutato i genitori terrestri adottivi, entra in una chiesa e dialoga con un sacerdote per trovare luce e spazzare via ogni sua oscurità. Tutti i protagonisti sono impegnati a ribadire poi il valore centrale della famiglia naturale: nel mondo da cui Superman è partito e su quello in cui, incompreso e solo, è involontariamente arrivato. Il campione della Dc Comics sul grande schermo aspira a diventare una figura cristologica, non più mitologica: un alieno proveniente dall’ormai distrutto pianeta Krypton guiderà gli umani alla salvezza. Il nuovo Ordine Mondiale sulla Terra, aspetta forse un extraterrestre così potente e benigno? L’approfondimento psicologico nelle produzioni di Christopher Nolan e David S. Goyer appaiono superate e travolte decisamente dalle superbe scene di combattimento. L’Uomo d’acciaio creato da Snyder è una figura problematica, un eroe con “S” che deve ancora meritarsi la fiducia del mondo. Lo stesso vale per il palestrato Henry Cavill in cerca di vocazione. Dimostrare di saper portare il mantello di Superman può bastare a conquistare il cuore dei giovani fan? Il nemico di sempre è il generale Zod, interpretato da Michael Shannon e ripreso dalle precedenti pellicole. Il rivoluzionario kryptoniano incarna l’extraterrestre spietato che non ti sogni mai di incontrare neppure nel peggiore degli incubi. Perché vuole distruggere l’umanità per davvero, come già stanno facendo il sesso, il potere e i soldi. Alla fine le sue motivazioni saranno tanto incomprensibili quanto assurde come quelle di tutti gli altri pazzi del Male nella Storia dell’umanità terrestre. L’ambiente familiare ha sempre avuto un grande peso sul giovane Clark-Kal di Snyder: se da un lato ci sono i genitori adottivi che l’hanno cresciuto, i Kent, dall’altro ci sono quelli biologici che gli hanno donato una pesante eredità, gli El. Sulla Terra oggi vivono 169 milioni di orfani che aspettano dei genitori veri. Un uomo e una donna perché “maschio e femmina li creò”(Genesi 1,27). Ne L’Uomo d’Acciaio le due figure di Jonathan Kent (Kevin Costner) e Jor-El (Russell Crowe) vengono profondamente aggiornate. È un film d’azione ma anche d’amore. E di spettacolare e suggestiva lezione. Chi si aspetta un combattimento di Superman alla vecchia maniera, avrà di che ricredersi. Questa è decisamente una nuova pellicola destinata a rivoluzionare il genere. La vocazione di Kal-El è cristianamente quella di ciascuno di noi nell’Universo? Un bimbo che scende dalle stelle sulla Terra per salvarci con azioni miracolose, con genitori terrestri e celesti, vi ricorda Qualcuno? Le storie di Superman, secondo lo sceneggiatore Goyer, sono chiaramente ispirate ai Vangeli della vita di Gesù Cristo. Non ci si può stupire più di tanto, quindi, se Kal-El venga naturalmente interpretato come tale da ogni essere vivente. Un dio “incarnato” sulle dolci melodie musicali immortali del celebre compositore John Williams, capace di convertire tutti al Bene. Perché saremo giudicati dalla Parola.

Nicola Facciolini

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