Quei 50 chili d’oro prima della Shoàh! Settantesimo Anniversario dell’Olocausto degli Ebrei Romani

“Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza”(Geremia 29,11). Shabbat Shalom! Con la presenza significativa di Enzo Camerino, in un giorno altamente importante per la civiltà umana, alla messa celebrata da Papa Francesco, la mattina di Mercoledì 16 Ottobre […]

“Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza”(Geremia 29,11). Shabbat Shalom! Con la presenza significativa di Enzo Camerino, in un giorno altamente importante per la civiltà umana, alla messa celebrata da Papa Francesco, la mattina di Mercoledì 16 Ottobre 2013, nella cappella di Santa Marta, la Comunità Ebraica di Roma e il Mondo intero fanno memoria del settantesimo anniversario della deportazione degli Ebrei del Ghetto romano. Enzo Camerino è una delle 1.024 persone strappate dalle loro case, all’alba del 16 Ottobre 1943, e deportate dai nazisti delle SS nel campo di concentramento e di sterminio di Auschwitz. C’erano anche duecentosette bambini. Camerino è oggi uno dei due (allora sedici) superstiti ancora in vita. In ricordo di quel tragico 16 Ottobre, i rappresentanti della società civile e religiosa di Roma si sono riuniti nel Tempio Maggiore (Sinagoga) indossando la tradizione kippah. Tra loro il Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano. Durante la solenne cerimonia è stato letto il messaggio di Papa Francesco che Venerdì 11 Ottobre aveva accolto in Vaticano i rappresentanti della Comunità ebraica, diffondendo il suo appello affinché “l’antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna”. Papa Bergoglio, rivolgendosi all’Illustre Rabbino Capo ed agli stimati membri della Comunità ebraica romana, dichiara:“desidero unirmi, con la vicinanza spirituale e la preghiera, alla commemorazione del 70° anniversario della deportazione degli Ebrei di Roma. Mentre ritorniamo con la memoria a quelle tragiche ore dell’ottobre 1943, è nostro dovere tenere presente davanti ai nostri occhi il destino di quei deportati, percepire la loro paura, il loro dolore, la loro disperazione, per non dimenticarli, per mantenerli vivi, nel nostro ricordo e nella nostra preghiera, assieme alle loro famiglie, ai loro parenti e amici, che ne hanno pianto la perdita e sono rimasti sgomenti di fronte alla barbarie a cui può giungere l’essere umano. Fare memoria di un evento però non significa semplicemente averne un ricordo; significa anche e soprattutto sforzarci di comprendere qual è il messaggio che esso rappresenta per il nostro oggi, così che la memoria del passato possa insegnare al presente e divenire luce che illumina la strada del futuro. Il Beato Giovanni Paolo II scriveva che la memoria è chiamata a svolgere un ruolo necessario “nel processo di costruzione di un futuro nel quale l’indicibile iniquità della Shoah non sia mai più possibile” (Lettera introduttiva al documento: Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, Noi ricordiamo. Una riflessione sulla Shoah, 16 Marzo 1998) e Benedetto XVI nel Campo di concentramento di Auschwitz affermava che “il passato non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quelle da prendere” (Discorso, 28 Maggio 2006). L’odierna commemorazione potrebbe essere definita quindi come una memoria futura, un appello alle nuove generazioni a non appiattire la propria esistenza, a non lasciarsi trascinare da ideologie, a non giustificare mai il male che incontriamo, a non abbassare la guardia contro l’antisemitismo e contro il razzismo, qualunque sia la loro provenienza. Auspico che da iniziative come questa possano intrecciarsi e alimentarsi reti di amicizia e di fraternità tra Ebrei e Cattolici in questa nostra amata città di Roma. Dice il Signore per bocca del profeta Geremia:”Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza”(Ger 29,11). Il ricordo delle tragedie del passato divenga per tutti impegno ad aderire con tutte le nostre forze al futuro che Dio vuole preparare e costruire per noi e con noi. Shalom!”. La Storia universale è la suprema Giudice della testimonianza vera resa dai sopravvissuti. Il negazionismo è reato de facto et de iure. Per questo la Verità è soltanto quella testimoniale resa dalle vittime e registrata per sempre dalla Storia. Nessuno ha il diritto di negarla come vera. Alle ore 5:30 del mattino di Sabato 16 Ottobre 1943, ben 300 soldati tedeschi, venuti appositamente a Roma per questa operazione, provvisti degli elenchi con i nomi e gli indirizzi delle famiglie ebree, iniziarono il rastrellamento. Le SS entrarono in tutte le case ed arrestarono intere famiglie in gran parte sorprese ancora nel sonno. Non venne fatta nessuna distinzione tra uomini, donne, bambini, anziani ammalati e perfino neonati. Tutti vennero caricati a forza sui camion. Alle ore 14 di quel sabato tutto era terminato e le SS registrarono la cattura di 1024 Ebrei romani. Nella civilissima Europa neopagana. Alcuni si salvarono per caso, molti scamparono nascondendosi nelle case di vicini e amici o trovando rifugio in case religiose. Il 18 Ottobre i prigionieri vengono caricati su un convoglio composto da 18 vagoni piombati in partenza dalla Stazione Tiburtina. Il treno arriva ad Auschwitz (Polonia) il 22 Ottobre. Dei 1024 Ebrei catturati ne tornarono a casa solo 16, di cui una sola donna, Settimia Spizzichino. Nonostante le leggi razziali e l’Armistizio dell’8 Settembre 1943, molti degli Ebrei rimasti a Roma erano ancora fiduciosi che non ci sarebbero stati dei veri e propri “pogrom” come nelle città dell’Europa dell’Est. Inoltre la richiesta fatta da Kappler di consegnare 50 chili d’oro, illuse gli Ebrei romani che tutto quello che i tedeschi volevano fosse oro e ricchezze. Purtroppo già nelle stesse ore le SS, con gli elenchi dei nominativi degli Ebrei forniti dall’Ufficio Demografia e Razza del Ministero dell’Interno, stavano già organizzando la retata del 16 Ottobre. Per la pesatura dei 50 chili d’oro il Presidente della Comunità chiese alla polizia italiana una scorta durante il trasporto. Furono mandati il brigadiere Oreste Vincenti e la guardia Vincenzo Piccolo insieme a Marco Limentani, Giuseppe Gay, Settimio Gori e Angelo Anticoli in qualità di uomini di fatica. Si unì al gruppo anche il Commissario Cappa, in incognito, pregato da Foà a presenziare all’atto del versamento perché ne fosse testimone. Ai 50 chili di oro ne vennero aggiunti 300 grammi nel caso fossero nate contestazioni. Foà e Almansi furono ricevuti nella sede delle SS di Via Tasso dall’Ufficiale Schutz che fece iniziare la pesatura del prezioso metallo su una bilancia della portata di cinque chili. Finita la pesatura, Schutz cercò di dimostrare che le pesate erano state nove e che, il peso totale era di 45 chili, anziché di 50. Fu chiesto di ripesare il tutto ma Schutz rispose che si rifiutava di ripetere le pesate. I due presidenti allora pregarono l’ufficiale tedesco e solo dopo molte insistenze, riuscirono a fare ripesare l’oro, che risultò pesare effettivamente 50 chili. Alla fine si tentò di chiedere una ricevuta che attestasse l’effettuato versamento, ma Schutz non acconsentì. L’oro fu messo in una cassa ed alcuni giorni dopo fu inviato a Berlino da Kappler a Kaltenbrunner, capo dell’ufficio centrale per la sicurezza del Reich, con una lettera nella quale era spiegato il motivo della rimessa. Kappler più tardi affermò che nel 1945 l’oro ancora si trovava nell’ufficio di Kaltenbrunner. La mattina del 26 Settembre 1943 l’autorità italiana invitò il Presidente della Comunità di Roma, Ugo Foà, ed il Presidente delle Comunità Israelitiche italiane, Dante Almansi, a recarsi per comunicazioni nell’ufficio del Comandante della polizia tedesca di Roma Herbert Kappler. All’inizio la conversazione sembrò cortese, poi disse:“Noi tedeschi vi consideriamo unicamente ebrei e come tali nostri nemici, (…) i peggiori nemici contro i quali stiamo combattendo (…). Non abbiamo bisogno delle vostre vite, né di quelle dei vostri figli, abbiamo bisogno invece del vostro oro. Entro trentasei ore voi dovete versare cinquanta chilogrammi di oro altrimenti duecento ebrei saranno presi e deportati in Germania”. All’inizio si pensò di rivolgersi alla polizia italiana ma nulla avrebbe fatto cambiare idea ai tedeschi e si decise di accettare la richiesta. La Comunità ebraica romana non era certo ricca, soprattutto dopo le conseguenze disastrose del conflitto ma in poco tempo arrivarono offerte di oggetti e soprattutto cari ricordi di famiglia. Anche molti cristiani e cattolici offrirono oggetti con grande slancio di solidarietà. La Santa Sede, fece sapere in via ufficiosa che, qualora non fosse stato possibile raccogliere l’oro richiesto, avrebbe autorizzato un prestito in lingotti d’oro che le sarebbe stato rimborsato quando la Comunità ebraica fosse stata in grado di farlo, ma non ce ne fu bisogno. Poco prima della scadenza vennero raccolti ottanta chilogrammi d’oro e 2.021.540 lire. Come si arrivò a questo scempio? Seguendo l’esempio di Hitler, Benito Mussolini promulgò le famigerate leggi razziali nel 1938. Il primo atto pubblico fu il “Manifesto della razza” pubblicato il 14 Luglio 1938. Il punto 9 stabiliva che “gli Ebrei non appartengono alla razza italiana”. Una pura follia scientifica e giuridica controfirmata dal re d’Italia. Con il Manifesto e con le leggi successive, agli Ebrei venne proibito di prestare servizio militare, esercitare l’ufficio di tutore, essere proprietari di aziende, essere proprietari di terreni e di fabbricati, avere domestici “ariani”. Gli Ebrei venivano anche licenziati dalle amministrazioni militari e civili, dagli enti provinciali e comunali, dagli enti parastatali, dalle banche, dalle assicurazioni e dall’insegnamento nelle scuole di qualunque ordine e grado. I ragazzi Ebrei non potevano più essere accolti nelle scuole statali. Fu la morte della Patria. Il 18 Settembre 1938, Mussolini dal palco di Piazza dell’Unità a Trieste annunciò l’emanazione delle leggi razziali. Fece allestire un palco e un balconcino dal quale declamò le testuali parole: “L’ebraismo mondiale è stato, durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del fascismo (…). Tuttavia gli ebrei di cittadinanza italiana, i quali abbiano indiscutibili meriti militari o civili nei confronti dell’Italia e del regime, troveranno comprensione e giustizia; quanto agli altri si seguirà nei loro confronti una politica di separazione. Alla fine il mondo dovrà forse stupirsi più della nostra generosità che del nostro rigore. A meno che i semiti d’oltre frontiera e quelli dell’interno, e soprattutto i loro improvvisati e inattesi amici che da troppe cattedre li difendono, non ci costringano a mutare radicalmente cammino”. Iniziò così il triste destino degli Ebrei di Roma maturato in duemila anni di divieti, restrizioni e umiliazioni del popolo ebraico sul territorio italiano, europeo e mediterraneo. Né va dimenticato il fatto che nel 1937 Mussolini si autonominò “protettore dell’Islam”, appoggiando gli Arabi di Palestina e inviando addirittura armi poiché pensò ad una minaccia ai luoghi santi da parte del Sionismo, sostenuto dalla Gran Bretagna. La situazione poi peggiorò sempre di più col graduale avvicinamento del Governo fascista a quello hitleriano. Mussolini, malgrado gli episodi di violenza, smentì ufficialmente le voci, sempre più insistenti, di misure antisemite che il Governo italiano avrebbe prima o poi elaborato! Il Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, ha dichiarato che “questa giornata ha un significato talmente evidente, di grande solidarietà con chi ha sofferto, con chi ha combattuto, con chi si è salvato e con chi è perito, ed è una giornata di grande coesione civile e istituzionale”. A proposito dell’approvazione, da parte della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica, del Disegno di legge che introduce il reato di negazionismo, il Capo dello Stato ha evidenziato che “il merito del Parlamento italiano, anche dando un esempio ad altri Parlamenti, è aver approvato questa norma e sono convinto che sarà presto completato l’iter parlamentare. È un’affermazione importante di attaccamento ai principi di libertà e di tolleranza”. Finalmente delle norme introducono il reato di negazionismo della Shoah. È stato il Presidente del Senato, Pietro Grasso, che insieme a Giorgio Napolitano ha preso parte alla cerimonia al Tempio Maggiore di Roma, ad assumere l’iniziativa di assegnare il disegno di legge sul negazionismo in sede deliberante alle commissioni competenti. Si tratta di un’iniziativa che consente il via libera al provvedimento senza il passaggio in Aula. La seconda carica dello Stato ha avvisato i capigruppo di Palazzo Madama, ma l’iniziativa è stata stoppata da alcune forze politiche e l’iter dovrà proseguire passando per il voto in Aula. Ma è stato proprio quello sulla legge contro il negazionismo della Shoah, uno dei passaggi più pungenti del discorso del Presidente della Comunità Ebraica (CER) di Roma, Riccardo Pacifici. “Sarà un importante passo, una medicina che non si dovrà mai sostituire all’attività della didattica sulla Shoah”. Pacifici è stato il primo a intervenire durante la cerimonia del 70.mo anniversario del 16 Ottobre 1943, aperta in Sinagoga dall’ingresso del Capo dello Stato insieme con il Sindaco di Roma Capitale, Ignazio Marino, il Presidente delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, e lo stesso Presidente CER. Una cerimonia ancora una volta così significativa e coinvolgente per l’intensità emotiva e le riflessioni. “È inutile – dichiara Pacifici – nascondere che queste celebrazioni sono state accompagnate in questi giorni dagli echi della morte del torturatore di via Tasso e del complice nella strage delle Fosse Ardeatine (non vogliamo più pronunciare il suo nome). Un criminale che non essendosi mai pentito in vita, ha proseguito la sua opera di carnefice, lasciando ai posteri un testamento in cui reitera i suoi comportamenti, i suoi ideali, le sue torture a via Tasso e le sue esecuzioni. Peggio ancora la negazione delle Camere a Gas”. La razzia degli Ebrei di Roma avvia la stagione della caccia all’uomo fino alla Liberazione di Roma del 4 Giugno 1944. La vicinanza dell’Italia, la condivisione del nostro dolore e della nostra Memoria, “una Memoria che sappiamo, come ci ha ribadito il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, essere di tutti gli italiani”, deve essere rafforzata. Il vano tentativo di intimidire Ebrei e Cristiani, “tutta la nostra comunità” che “come sempre non si è né piegata né spaventata”, è destinato miseramente a fallire. Ecco perché occorre una buona legge contro il negazionismo. “Il fatto positivo – spiega Pacifici – è che questa vicenda ha aperto un positivo dibattito che ci ha permesso di vedere il volto dell’Italia più bello. Un Paese unito, dalle forze dell’Ordine, che ringraziamo, a quelle civili, Istituzionali e quelle religiose. Il Questore e il Prefetto di Roma hanno imposto funerali intimi e privati per “motivi di ordine pubblico”. Il Sindaco Ignazio Marino che, allineandosi con loro, ha vietato di ospitare la salma con una tomba, onde evitare diventi luogo di pellegrinaggi di nostalgici. Il Cardinale Agostino Vallini, a nome Vicariato di Roma, ha rifiutato le esequie pubbliche nelle Chiese di Roma. Tutta la cittadina di Albano guidata da un sindaco coraggioso, Nicola Marini, che è stata violata da gruppi neonazisti. Per questo ci sentiamo orgogliosi di essere romani e italiani, proprio per avere visto la società civile tutta in prima linea in questa battaglia di civiltà. Avete compreso il dolore dei familiari delle vittime e preso atto che quelle ferite non si sono mai rimarginate”. A seguire il saluto del Sindaco di Roma che ricorda brevemente, con qualche accenno storico, ciò che avvenne, invitando tutti noi a fare memoria, poiché “dimenticare sarebbe l’offesa più grande e più grave. Senza memoria non esiste civiltà né cultura né umanità”. Prendono poi la parola Renzo Gattegna, l’Ambasciatore dello Stato d’Israele Naor Gilon, uno studente della scuola ebraica, Ilan Misano e il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, che rivela la parabola biblica sul significato del numero 70 nell’ebraismo. “La giornata del 16 ottobre di settanta anni fa – ricorda rav Riccardo Di Segni – fu il momento più drammatico nella persecuzione degli Ebrei italiani e romani in particolare. Schematizzando potremmo dire che in questa persecuzione vi furono tre fasi. La prima, che iniziò cinque anni prima, con le leggi razziali del governo fascista firmate dal re, che tolsero la dignità di cittadini agli Ebrei italiani; la seconda, la razzia del 16 ottobre, in cui più di mille persone vennero catturate per essere deportate ad Auschwitz; la terza, che proseguì fino alla liberazione, in cui un altro migliaio di Ebrei romani fu catturato e consegnato ai nazisti. In quest’ultima fase fu decisivo l’apporto italiano di sostegno al terrore, basato su delazioni e denunce, autorità colluse coi nazisti, bande fasciste. Se il 16 ottobre fu tutto tedesco e nazista, il resto, e non è poco, fu purtroppo italiano e fascista. Nella lunga storia di permanenza ebraica a Roma e in Italia, i nostri antenati avevano sperimentato ogni sorta di umiliazione e restrizione; ma la loro vita era stata in pericolo solo in momenti particolari. Quello che successe il 16 ottobre a Roma e in quei mesi nell’Italia occupata non si era mai visto. Nella sua enormità e nel suo orrore ancora ci stupisce. Tanto più stupiva chi viveva quei giorni e incredulo non ne ammetteva l’evidenza, rischiando per questo la vita. Molti di più si sarebbero salvati se avessero compreso la gravità della situazione. I nazisti hanno rotto un equilibrio di convivenza millenario, ma non sono stati solo loro, sono stati anche i nostri concittadini. Trasformare questo paese amato, queste strade percorse da una catena ininterrotta di generazioni legate ed affezionate ad ogni pietra, in una terra che all’improvviso ti vomita come corpo estraneo o ti divora è stato un crimine istituzionale, un tradimento che aggrava ulteriormente il peso dei delitti perpetrati. Settanta anni. Nell’immaginario e nel simbolismo ebraico il numero settanta indica un gruppo grande e uniforme, malgrado le differenze interne. Sono settanta nella Bibbia i discendenti di Noè, che danno origine ad altrettanti popoli, come sono settanta gli Ebrei scesi in Egitto; in pratica settanta rappresenta l’umanità intera, divisa nelle diversità dei vari popoli, che si rispecchia come microcosmo nelle famiglie di Israele. Un destino comune deve legare e unire queste settanta anime diverse. Il progetto biblico è armonico, ma l’umanità spesso va contro questo progetto. E se cerchiamo un esempio di drammatica rottura di questa armonia, gli avvenimenti che oggi ricordiamo ne sono la rappresentazione più sconvolgente. Settanta anni, secondo il libro dei Salmi (90:10) rappresentano la durata della vita di un uomo. Una cifra che un tempo rispecchiava la realtà, oggi riusciamo a superarla. Secondo la tradizione, quel Salmo è uno dei più antichi, a scrivere quella frase è stato Mosè, che voleva sottolineare la caducità della condizione umana. Il simbolo di questa immagine risalta con evidenza oggi. Su quei fatti che oggi ricordiamo è ormai trascorsa una vita completa, anche questa non semplice e senza preoccupazioni, ma almeno senza gli apici dell’orrore vissuto, almeno da queste parti. È bene e doveroso che se ne mantenga viva la memoria, che tutti insieme si operi per guarire e riparare, le vecchie ferite e quelle nuove, che purtroppo oggi si aprono anche davanti ai nostri occhi. Siamo qui insieme a condividere un impegno. Grazie per la vostra presenza”. Infine, le voci del coro che hanno intonato il sentito e vibrante “Ani Ma’amin”. Tra i sopravvissuti, erano presenti al Tempio Maggiore di Roma, Samuel Modiano, Alberto Mieli, Lello Di Segni, Enzo Camerino, Mario Limentani e Rosa Mallel. C’è da fare della memoria della Shoah nell’asse di una chiarificazione nazionale costante, capillare e diffusa sul territorio, e di una battaglia scientifica e politica non di parte, che vadano al di là degli stessi confini storici della persecuzione, fino allo sterminio. Perché? Perché sono in gioco valori supremi che sono stati calpestati come in nessuna costruzione di pensiero si era immaginato potesse catastroficamente accadere. E che corrono il rischio di ripetersi. Vuoi per un’invasione aliena extraterrestre di stampo nazista, vuoi per la fine delle democrazie sulla Terra. Il 7 Ottobre 1943 ben 2500 carabinieri del Lazio vengono deportati nei campi d’internamento in Germania, su ordine del generale Graziani, forse, per evitare “intralcio” pochi giorni dopo. L’11 Ottobre viene razziata la storica biblioteca della Comunità Ebraica con circa 7mila volumi risalenti all’epoca medioevale. Ancora oggi, gli Ebrei sono alla ricerca di quei manoscritti che si presume siano in Russia. Tutti confidiamo nel sostegno del Presidente Vladimir Putin e del Governo italiano per il loro recupero. Dopo quel 16 Ottobre 1943 altri 900 Ebrei vengono catturati anche e sopratutto grazie all’opera dei “delatori” che per 5mila lire vendono i loro concittadini che cercano inutilmente di scappare dalla furia nazifascista. Una somma che cambiava la vita di molti ma che consegnò poi alla morte altri. In pochi hanno pagato per questo. E chi ha subito un processo, ha pagato troppo poco. Chi riuscì a sottrarsi ai tribunali deve ringraziare le loro vittime che gasate ed infornate a Birkenau, non poterono inchiodarli alle loro responsabilità. Una puntuale descrizione possiamo leggerla nel libro “Caino a Roma” di Amedeo Osti Guerrazzi: attraverso una scrupolosa ricerca, basata sui documenti dei processi contro collaborazionisti e delatori, Guerrazzi riapre la questione della responsabilità dei nostri connazionali nella persecuzione antiebraica. Perché sono stati molti gli italiani che, motivati da antisemitismo o per fini di lucro, hanno portato alla cattura degli Ebrei. Ma nella vulgata, tra l’amnistia dell’Anno Domini 1946 e i racconti di gratitudine di quanti erano stati salvati, si è continuato ad alimentare il mito degli “Italiani brava gente”, creando una precoce rimozione delle reali connivenze e colpevolezze. Duole riconoscerlo, ma vi furono anche conventi e case religiose che aprirono loro le porte solo in cambio della conversione o di vile denaro. Esaurito, intere famiglie vennero accompagnate in mezzo alla strada preda dei carnefici! Anche gli Ebrei erano e sono carne di Cristo! Tutto si poté attuare grazie all’indifferenza di troppi. Quell’indifferenza magistralmente illustrata da una sopravvissuta, Liliana Segre. Ma se è pur vero che furono traditi, è altresì vero che la solidarietà agli Ebrei non è mancata, e se molti si sono salvati è perché in tanti hanno aperto le loro case, gli ospedali ed altri conventi e case religiose che, a rischio della vita, accolsero in condizioni difficili intere famiglie ebraiche. Senza chiedere in cambio nulla, né soldi né conversione. Tutte le loro storie sono raccolte allo Yad Vashem di Gerusalemme (Israele) ed ancora oggi ricevono le Medaglie dei Giusti, la più alta onorificenza dello Stato d’Israele a loro perpetuo ricordo. Così scopriamo che di avere tra di essi il figlio di Gino Bartali. Che la memoria di tutti loro rimanga in benedizione anche per le future generazioni. Davvero, come disse Presidente il Repubblica il 27 Gennaio del 2011, “furono i Giusti a salvare l’onore dell’Italia”. Oggi sono i pochissimi sopravvissuti e scampati alla Shoàh, a lavorare insieme ed uniti per la Memoria. Le Sentinelle di una Memoria che non serve per piangere i morti o impietosire alcuno. Nessuna lacrima e pietà restituirà i loro corpi e le loro anime né riporterà sorriso alle vedove ed ai loro figli. Una Memoria condivisa dai giovani servirà a costruire per il presente e per il futuro gli anticorpi contro l’indifferenza e l’odio, verso chiunque, prima che si aprano altri “campi”. Per questo loro si stanno sacrificando con il racconto e la testimonianza, tornando nei luoghi dell’orrore come hanno il dovere di fare tutti gli studenti adolescenti d’Italia e di Europa (dai 14 anni in su) non soltanto a Birkenau ed Auschwitz. L’Italia che ha partorito il fascismo ha il dovere di coltivare i valori della Memoria della Shoàh per se stessa e per l’Europa degli Stati Uniti politici. Un’Europa che oggi rischia d’implodere, non solo per la crisi economico-monetaria, ma perché esistono spinte xenofobe e razziste, dalla Grecia alla Norvegia, passando per l’Ungheria e la Francia. Dobbiamo fermare quest’onda mortale! Senza una degna protezione giuridica che argini ed isoli questi partiti e movimenti, è finita. È l’ora di mobilitarsi, prima che sia troppo tardi. La speranza e il dovere di essere ottimisti sono in mano ai nostri giovani. Una maggioranza silenziosa, spesso senza voce e senza vetrina nella vita quotidiana, perché le azioni positive non fanno mai notizia. Sono quei giovani che grazie all’impegno di docenti sensibili e responsabili hanno approfondito in questi anni i temi della Memoria, raccogliendo il “Testimone della Memoria”e facendo proprie le testimonianze dei sopravvissuti, a cominciare da quelli che non sono più fra noi. Settimia Spizzichino fu la prima ad avere il coraggio di parlare, appena tornata. Un compito difficile perché le loro parole non furono subito comprese, a cominciare dalle comunità ebraiche che, uscite distrutte e dilaniate sia nell’anima sia nelle esigenze di ricostruire una vita normale, ascoltavano mal volentieri i loro discorsi. Tanti rimasero in silenzio fino a circa 20 anni fa, altri non hanno più proferito parola fino alla loro morte. Chi ha ricominciato non ha più smesso, sacrificando con i loro racconti il ritorno ad una vita normale e, grazie al paziente sostegno dei loro familiari, hanno costruito un rapporto con i giovani che è andato al di là della Testimonianza. Per questi giovani, spesso, sono diventati loro maestri di vita. Dei sopravvissuti del 16 Ottobre 1943 solo in due sono rimasti fra noi, Enzo Camerino e Lello Di Segni, ma non possiamo dimenticare gli altri: Luciano Camerino, Sabatino Finzi, Leone Sabatello, Angelo Efrati, Cesare Efrati, Cesare Di Segni, Michele Amati, Lazzaro Anticoli, Ferdinando Nemes, Arminio Wachsberger, Isacco Sermoneta, Mario Piperno, Angelo Sermoneta, Romeo Salmoni, Shlomo Venezia, Ida Marcheria, Milena Zarfati, Lello Perugia e Luigi Sagi. Se la Camera dei deputati darà via libera al Disegno di Legge votato dalla Commissione Giustizia al Senato, per l’introduzione del reato di Negazionismo dei Crimini Contro l’Umanità e della Shoàh, consentirà all’Italia di essere il 15.mo Paese europeo ad avere adottato tale norma. Una “medicina preventiva” che non si dovrà mai sostituire all’attività della didattica sulla Shoàh. I primi firmatari al Senato sono stati Silvana Amati e Lucio Malan, il presidente della Commissione Giustizia Francesco Nitto Palma ed il relatore Felice Casson insieme a tutta la Commissione. Ad esporsi in prima linea sono stati la professoressa Donatella Di Cesare che con il suo libro “Se Auschwitz è il nulla. Contro il Negazionismo” ha sensibilizzato l’opinione pubblica, e l’avvocato Roberto De Vita che con il suo impegno volontario ha inchiodato alla Giustizia diversi gruppi e militanti spacciatori dell’odio. Il “Boia delle Ardeatine”, oggi al cospetto dell’Altissimo, ce lo ha dimostrato: il pericolo è sempre in mezzo a noi. Lunedì 14 Ottobre 2013 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha ricevuto a Palazzo Chigi la Comunità Ebraica romana. Dopo l’incontro, Letta ha scritto il tweet:“Ho incontrato Lello Di Segni, Enzo Camerino, gli ultimi sopravvissuti alla deportazione degli ebrei romani dell’ottobre 1943. Mai abbasseremo la guardia sull’antisemitismo”. Il Presidente Letta ha accolto una delegazione di ex deportati, il Presidente e il Rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma e il Presidente Ucei. Riccardo Pacifici ha spiegato che “l’impegno del governo di unità nazionale su temi come la Shoah e le deportazioni è senza dubbio lodevole. La speranza è arrivare all’approvazione della legge sul cybercrime e il negazionismo del Shoah nella speranza che l’Italia possa diventare il quindicesimo Paese ad adottare tale misura e dotarsi di quell’arma in grado di combattere i nipotini di Hitler. Sappiamo – ha dichiarato Pacifici a Letta – che su questi temi come su molti altri siamo dalla stessa parte”. Piero Terracina in un magistrale intervento alla scuola di Fanteria a Cesano e riferendosi ai negazionisti, disse: “non so perché neghino, ma sono certo che se fossero vissuti durante la Shoah sarebbero stati dalla parte dei carnefici. Anzi sarebbero stati loro stessi dei carnefici”. Pacifici ha ricordato che “di fronte alla morte di Priebke non si piange e non si ride perché in nessuno dei due casi le vittime potrebbero tornare indietro, in vita. Resta l’amarezza per una figura che non si è mai pentita di ciò che ha compiuto e si è sporcata le mani di sangue come tutte le truppe naziste. Ora le sue vittime sono ad attenderlo lassù in cielo, nella speranza che ci sia giustizia divina”. Lunedì 7 Ottobre 2013 la Comunità Ebraica di Roma ha partecipato alla cerimonia commemorativa per il ricordo della deportazione dei carabinieri di Roma del 1943. Settant’anni fa centinaia di militari furono presi in consegna dalle truppe tedesche, decidendo così di non unirsi alle divise naziste. L’ambasciatore dello Stato d’Israele, Naor Gilon, ha dichiarato che “lo Stato d’Israele è una garanzia perché ciò non succeda mai più. Grazie presidente Napolitano per le sue parole sempre chiare di lotta all’antisemitismo anche quando questo si nasconde da antisionismo”. Molti si domandano il significato di alcuni simboli ebraici. La “kippah” è il copricapo indossato dagli Ebrei maschi, obbligatoriamente nei luoghi di culto, anche se i più religiosi la indossano anche durante la vita quotidiana. È uso coprire comunque il capo in segno di rispetto verso Dio. Le donne ebree non indossano la kippah, ma le più osservanti coprono comunque il capo all’interno della Sinagoga. Il “Tallèd” o “tallit” è un indumento rituale ebraico: un telo rettangolare, solitamente di lana, seta, lino o cotone, di varie grandezze, più o meno decorato e dotato obbligatoriamente di frange agli angoli (“zizìt”) ed anche sui due lati più corti. Come viene spiegato nel terzo brano dello Shemà, anche gli abiti devono avere un segno materiale che tenga sempre presente la Torah e questo segno è costituito da quattro fiocchi, ciascuno dei quali si chiama appunto zizìt, che vanno messi ai quattro angoli dei vestiti applicandoci un filo di “techèlet”, una speciale polvere azzurra. La tradizione afferma che questi fiocchi devono consistere in quattro fili ripiegati su loro stessi in modo da sembrare otto, uno dei quali deve avvolgere gli altri girando intorno ad essi cinque volte. Il talled viene indossato dagli Ebrei maschi quando hanno raggiunto la maggiore età, cioè 13 anni, in cui l’Ebreo assume l’obbligo di obbedienza ai precetti. Così fu per Gesù. Il “Talled gadol” va indossato ogni mattina durante la “Tefillah” di “Shakhrit” e nel giorno o nelle sere di alcune festività ebraiche. Il “Sefer Torah” è il rotolo di pergamena in cui è trascritta la Torah, i Cinque Libri di Mosè, l’equivalente del Pentateuco cristiano-cattolico. Data la sacralità del loro contenuto, i “Sefarim” vengono scritti dal “Sofer” che utilizza una penna d’oca e un inchiostro purissimo. I Sefarim vengono custoditi all’interno della “Haron HaKodesh”, un particolare armadio che si trova in tutte le sinagoghe. I Cinque Libri della Torah sono suddivisi in 54 “parashòt” una per ogni Shabbat dell’anno. Ogni Sabato, infatti, dal tramonto del Venerdì e del Sabato, nelle sinagoghe si fa uscire il “Sefer Torah” e una persona, detta “Baal Korè” la legge cantando. Il Sefer non ha segni di punteggiatura e, una volta scritto, non ci si può né togliere né aggiungere nulla. Se nel corso del tempo si cancella anche in piccola parte una lettera è necessaria la revisione immediata. Forse furono più di sei milioni gli Ebrei sterminati nei campi di concentramento nazisti. Secondo il Museo dell’Olocausto di Washington (Usa) i morti sarebbero molti di più, almeno “da 15 a 20 milioni uccisi nelle oltre 42mila strutture tra campi tedeschi e quelli creati da regimi fantoccio europei, dalla Francia alla Romania”. Il nuovo studio si propone di far luce su alcune delle pagine più nere della storia d’Europa. Considerando oltre ai “classici” lager e campi di concentramento, anche gli impianti dove si producevano scorte militari, i ghetti, i campi di prigionia, i bordelli per i soldati tedeschi, le “case di cura” e le strutture in cui le donne ebree erano costrette ad abortire, vengono fuori cifre da capogiro: solo a Berlino si contano almeno 3mila campi e ghetti. “Il numero è così più alto di quanto originariamente pensato – dichiara Hartmut Berghoff, il direttore del Museo – sapevamo anche prima che la vita nei campi e nei ghetti era orribile, ma i numeri adesso sono incredibili”. Non solo. “I siti dell’Olocausto erano ovunque – fa notare Martin Dean, coautore della ricerca – non si può più pensare adesso che un tedesco dell’epoca fosse ignaro di quanto stava succedendo”. Una scoperta agghiacciante che rischia anche di far riaprire migliaia di cause prescritte. Familiari e sopravvissuti, non risarciti perché detenuti in campi non riconosciuti, potranno infatti chiedere nuovamente i danni. D’altra parte l’Italia dei politicanti è un Paese dove regna l’ignoranza ed una legge sul negazionismo è imperativa. Ma è con le idee che si combattano le idee, anche le peggiori come l’antisemitismo e l’antisionismo, che di invenzioni perverse ne contano svariate, e non solo il negazionismo delle camere a gas, un’idiozia per miserabili. Il problema è anche quello di non far passare per martiri i negazionisti. Irving docet tra acrobazie intellettuali, imbarazzi morali ed anatemi etici. Il problema è quello di informare tutti capillarmente in maniera corretta e, così facendo, contribuire a rafforzare la crescita di un’etica individuale, sociale, nazionale, collettiva e solidale. Il negazionismo non è una “materia complessa”. È semplicemente risibile parlare di “complessità” quando ci si riferisce alla condizione ed alla questione ebraica: le inverosimili prese di posizione sullo Stato d’Israele, che pure si succedono con una certa frequenza, parlano da sole. Il negazionismo non può essere combattuto solo in tribunale: delle leggi ad hoc non esistono ancora in vari Paesi molto interessati al tema. Ad esempio in Israele. Il negazionismo, come la pornografia telematica e l’immoralità di certi costumi sessuali, è una perversione globale trasferitasi nel mondo intero da maleodoranti salottini internazionali e transnazionali, non soltanto europei ed americani, ambienti di alta aristocrazia codina diventati strumenti primari di antisemitismo e di antisionismo. I negazionisti non usano l’antisemitismo come arma di distruzione di massa. È il negazionismo ad essere un’arma fondamentale dell’antisemitismo contemporaneo in allarmante aumento in Europa e in stabile condizione di altissimo tsunami nel mondo islamico integralista. Certamente non si possono processare e mettere in galera tutti i negazionisti. Chi paga questi processi? Si possono combattere politicamente e scientificamente tutti gli antisemiti. Combattere il negazionismo da solo è impresa impossibile, se non si affronta subito di petto l’antisemitismo che l’Europa da 70 anni continua ad ospitare tra le sue stanze e i suoi uffici. Ormai quasi la metà dei cittadini Ebrei dei Paesi dell’Unione Europea riceve attacchi o minacce legati alla loro religione ebraica. Il Vecchio Continente, se davvero credesse negli Stati Uniti di Europa e provasse un minimo di rispetto per ogni persona, dovrebbe spedire su Giove chi ripropone il nazionalsocialismo, ciò che sul suo terreno ha creato il peggiore degli episodi della sua storia. L’Europa tace colpevolmente. Anzi, nega il fenomeno politico in atto. E i pogrom ricominciano. La Svezia si sta svuotando gli Ebrei, l’emigrazione ebraica in Francia è altissima, in Inghilterra e nei Paesi Bassi cresce. E nella cattolicissima Italia l’aria che tira non è affatto buona. Con alcune lodevoli eccezioni. Il Presidente delle Repubblica alla Sinagoga di Roma ha ricordato la razzia del Ghetto, da alfiere della lotta all’antisemitismo qual egli è, denunciando fra i primi l’identificazione fra antisemitismo e l’odio per Israele come Stato e Popolo che cerca di difendersi dal 1948 con le unghie e con i denti. Per sopravvivere. In questi anni l’ondata di odio si è fatta tsunami planetario. Gli attentati suicidi aumentano e quasi sempre ad essere bruciate nel mondo sono le bandiere di Usa e Israele. Non quella italiana o Europea. Il negazionismo si è tinto di tutti i colori, ha parlato tutte le lingue, si è insinuato fra intellettuali e politici. Il negazionismo è solo una delle armi principali. Anche i costumi sessuali amorali diffusi su Internet servono all’uopo. Ricordate la conferenza che Ahmadinejad tenne a Teheran nel Dicembre 2006? La condanna fu unanime, vastissima. Fu una battaglia delle idee per scongiurare lo scontro armato. I tribunali tacquero. Apparve fondamentale all’allora regime degli Ayatollah che predicava la distruzione dello Stato d’Israele, sostenere di fronte a tutto il mondo che la Shoàh è una menzogna. Ultimamente ci sono state delle “correzioni” in proposito, chiaramente di natura diplomatica. Ma il Popolo iraniano cosa pensa realmente? Israele e gli Ebrei, hanno il diritto di esistere? Anche Abu Mazen, il rais palestinese, a suo tempo negò la Shoàh, secondo l’assioma specifico della guerra eterna contro gli Ebrei. Che la si combatta sul terreno delle caricature o su quello del terrorismo. Fu in questa strategia molto coadiuvato da personaggi provenienti da tante latitudini europee e mediorientali. Il saggio di Alain Finkelkraut “Au nom de l’autre, reflection su l’antisemitsm que vien” lega il pacifismo estremo, la negazione della possibilità che esista una guerra giusta come quella, per esempio degli Americani contro il nazismo, alla nuova vita presa dal negazionismo. È con le idee che si combattano le idee. Sicuramente c’è stato un tempo peggiore di questo, in cui l’attacco ter­roristico e l’odio antisraelia­no ed antisemita si sono sposati gior­no dopo giorno fino a pavimentare una strada larga e comoda per l’attac­co alla Sinagoga del 9 Ottobre 1982. Al­le 11:55 di mattina un commando pa­lestinese assaltò il Tempio di Roma da cui uscivano soprattutto bambini tenuti per mano dai loro genitori, perché era il giorno di Shemini Atzeret, con la tra­dizionale benedizione dei ragazzini. Fu ucciso Stefano G. Tachè, di due anni. Trentasette persone furono feri­te, alcune molto gravemente. Si sarebbe potuto evi­tare? Il carico di odio degli spa­ri dei palestinesi godeva di una inve­rosimile supporto: gli Israeliani e gli Ebrei erano considerati da quasi tut­ta l’opinione pubblica italiana, nei licei del Bel Paese, fascisti colo­nizzatori e neonazisti, dalla guerra del ’67 fino a quella del Libano ’82. I palestine­si, invece, venivano lodati come parti­giani, fratelli dei cubani, dei vietnami­ti, del movimento di liberazione anti­fascista in Italia. Sullo sfondo, alcuni intellettuali oggi fanno balenare addirittura un accordo con il Governo italiano, il cosiddetto “Lodo Moro” che avrebbe lasciato ai terroristi palestinesi campo libero contro i loro nemici Ebrei Israeliani (poi anche Ebrei ita­liani) col patto di non toccare gli italiani. L’attacco al Tem­pio in realtà non fu un’insorgenza sporadica, ma il frutto di una guerra ideologica che avvolse l’Italia e l’Europa di quegli an­ni fino ad afferrare Stefano nelle spire del drago. Insomma, gli anni della crisi energe­tica, anche se non manca il terrorismo europeo di origine etnica e religiosa (i ba­schi e i cattolici d’Irlanda) e politica (le Brigate Rosse, la Bader Meinhof, i gruppi neonazisti) prende già piede il terrorismo isla­mico, di cui quello pale­stinese fu il primo moto­re. Il numero degli attentati crebbe all’inverosimile: l’oleo­dotto Siot, il giradischi esplosivo nella stiva di un aereo El Al, un attac­co di missili all’aereo­porto di Fiumicino schivato quasi per ca­so, un attentato sul no­stro suolo patrio a Gol­da Meir in visita, un’au­to­bomba in Piazza Bar­berini a Roma, le due spaventose stra­gi di Fiumicino, quella del 1973 e quel­la dell’85, con decine di morti sem­pre per mano palestinese e tanti al­tri di origine libica. In Europa il bagno di sangue segnò record su record. Basta ricor­dare l’attacco agli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco dell’82, di cui peraltro il mondo si infischiò al pun­to che i giochi proseguirono! La logi­ca politica per cui nel 1985 gli assassi­ni palestinesi che ucci­sero sulla nave Achille Lauro l’ebreo america­no Klinghof­fer sulla se­dia a rotella gettandolo in mare, furono messi in salvo dal Governo ita­liano, è scritta a caratteri cubitali nelle pa­gine della Memoria storica della Guerra Fred­da. Tutti vittime di guerra. Ma l’elenco è lunghissimo. Anche Gheddafi ne fu complice. Come ben ricordano gli Scozzesi. C’era una volta un mondo di diseredati e oppressi, giustificati in ogni azione, anche la più perversa, dal ruolo di vittime; e dall’altra parte i colonialisti oppressori e impe­rialisti, gli Americani e gli Israeliani. Che gli Europei non contassero nulla era risaputo. C’erano Mosca e l’Urss da contrastare. Ecco perché il negazionismo non è “materia complessa”. Ha qualcosa di simile alla perver­sione sessuale quello che si è scritto su Israele e sugli Ebrei in quegli anni ancora vicini alla Shoàh. L’Europa quando parla di Ebrei è in forte imbarazzo. Anche quando parla dei barconi della disperazione, della mercificazione di carne umana e dei vari traffici di armi e droghe, l’Europa perde la testa. Quelle migliaia di vittime innocenti, quei naufraghi affondati nel Mar Mediterraneo invocano Giustizia e Memoria dal Tribunale Celeste! Nessun processo potrà mai restituirceli. E i loro Paesi di origine che cosa pensano dell’euromoneta e dell’Unione Europea? Israele viene descritto dalla maggio­ranza degli articoli e dei testi politici come un serial killer professionista, la formula del “nazisionismo” diventa materia accademica, molto comune sul­la carta stampata e telematica, nelle manifestazioni, comprese quelle sindacali che de­pongono una bara nera proprio davanti alla Sinagoga prima dell’attentato. Per anni questa formula è stata uni­versalmente accettata e riprodotta in vignette e battu­te di premi Nobel. Tanti altri hanno creato la base teori­ca per la promozione dell’odio anti­sraeliano ed antiebraico, fino alle sue più tragiche conseguenze. L’omi­cidio di stato. Il “lodo Moro” fallì, le stragi coinvolsero anche gli Italiani Ebrei e Cristiani: ma se ne spiegò la violazione sostenendo che l’attacco a Fiumicino erano stato compiuto contro la linea aerea israe­liana! Se l’accordo con l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina dell’ingegner Arafat e compagni) lo strin­se il cattolico Aldo Moro, niente di più tragica­mente ironico dato che la sua orribile fine fu decretata da quelle Brigate Rosse con cui scambiarono armi e consigli le orga­nizzazioni palestinesi libere, sempre grazie al “lodo”, di scorazzare sul nostro territorio nazionale italiano, beh, allora è davvero triste la parabola storica sul danno provocato dal credere di placare l’ag­gressore, aiutandolo a colpire la sua vittima! Anche questa è Memoria e Dolore. Misteri d’Italia che meritano una soluzione. Come? Aiutati dal segno di dolore della Comunità Ebraica di Roma e dalla sua vibrante bimillenaria vitalità territoriale. Specialmente le donne, che sono madri, mogli e sorelle. Un segno di dolore e di tradimento. Si racconta che alcuni fra i 207 bambini che furono deportati fra gli Ebrei trascinati via, molti in pigiama e camicia da notte quella fatale mattina del 16 Ottobre 1943, svariati furono gettati dal primo piano dentro i camion, come pesi morti, per poi finire ad Auschwitz. I rastrellamenti non si limitarono al Ghetto dove gli Ebrei vivevano dal 1555: i tedeschi inseguirono le famiglie ebraiche in tutta Roma, ad esempio in Trastevere, e la Città Eterna intera porta le cicatrici delle urla dei nazisti, delle spinte per le scale, delle botte col calcio del fucile, delle fughe disperate a piedi, senza le proprie cose, senza i propri cari, dietro il primo angolo, sul primo tram, via per sempre. In totale 1259 Ebrei furono rastrellati nella sola Roma. Bastava procurarsi gli elenchi dei non battezzati. Anche Kappler, il comandante tedesco della deportazione, lo riporta: non ci furono manifestazioni antisemite di giubilo, come invece era accaduto in molte città d’Europa dove imperversavano le folli razzie. Ma neppure proteste. Le leggi razziali del 1938 che nel dibattito storiografico sono ritenute da alcuni molto più blande di quanto non siano state effettivamente, sono a volte state viste come una blandizie mussoliniana nei confronti di Hitler, una concessione del Duce che invece non aveva, secondo alcuni, nulla contro gli Ebrei e non condivideva il razzismo dell’alleato tedesco. Molti Italiani, si specula oggi, non capirono come mai si privassero di diritti consolidati ed acquisiti i loro concittadini, ormai tali da duemila anni, ovvero dal tempo di un’altra deportazione, quella di Gerusalemme nell’Anno Domini 70, da parte degli imperiali Romani, i dominatori del Mare Nostrum, i cacciatori dei “pirati” terroristi che flagellavano i “nostri” commerci. Quel 16 Ottobre 1943 si racconta che nessuno dei compagni di scuola o dei professori levarono una sola voce di protesta contro il suo allontanamento degli Ebrei romani. La cacciata dal lavoro di distinti dipendenti della Banca commerciale italiana, oltretutto reduci della Prima Guerra Mondiale (1915-1918) non fece alzare un sopracciglio. Antiquari benestanti furono denunciati e catturati a causa delle spiate dei loro dipendenti, che poi, si racconta, si impossessarono dei loro negozi. Gli Ebrei del Ghetto di Roma furono traditi tre volte: la disperata raccolta di fedi, catenine, piccole stelle di David da cui quel popolo semplice si separò, raggiungendo in fretta la quota raggiunta e superandola, non li avrebbe salvati. La “lezione” rimase la solita nei secoli: la violenza antisemita non conosce patti quando non sei considerato un interlocutore, ma un essere inferiore, un “subumano”. L’Inferno esiste per punire i responsabili. L’interiorizzazione dell’impotenza fu precedente alla deportazione. “La direzione ebraica – rivela Raul Hilberg nel testo fondamentale “La distruzione degli ebrei d’Europa” – benché consapevole del pericolo, restò acquattata e zitta per non provocare ulteriormente i tedeschi e per non allarmare gli ebrei”. Il rabbino capo Zolli fuggì. Nel 1944 si fece cristiano. Nessuno chiuse la Sinagoga. Gli Ebrei, e questo fu la seconda delazione, furono traditi dalla fiducia nell’idea che non si sarebbe andati oltre, tanto che il Pontefice non avrebbe consentito la deportazione sulla soglia del Vaticano. Ci fu un flebile tentativo dell’arcivescovo Hudal, curato della Chiesa tedesca di Roma, che lanciò un appello al generale Stahel. Non ottenne niente. Il Papa PIO XII, con grande sollievo di Hitler, non poté fare nulla per impedire materialmente la deportazione degli Ebrei. Ma il suo silenzio ufficiale fece parecchio rumore tra le stanze vaticane. Infatti i monasteri si dettero parecchio da fare per nascondere gli Ebrei sfuggiti al rastrellamento, circa la metà della comunità. Ma il blando popolo italiano ignorante di fatto assistette impotente alla terribile razzia del Ghetto di Roma senza colpo ferire. Il 30 Novembre 1943 il Ministero dell’Interno italiano emise istruzioni rivolte ai capi delle province nelle quali si stabiliva che gli Ebrei dovevano essere raggruppati in campi di concentramento e che i loro beni dovevano essere sequestrati. Anche in Abruzzo. L’illusione degli “Italiani brava gente” si infrangeva sulla fascista Repubblica di Salò: le legioni, la polizia, i carabinieri, la milizia riuniti nella Guardia nazionale repubblicana, i membri del Partito fascista riuniti in “Brigate nere” si resero disponibili per le retate. Scoppiò la guerra civile. È logico pensare che dopo il mostruoso evento delle deportazioni e dopo le leggi razziali, l’Italia avrebbe dovuto chiedere perdono in ginocchio. Ciò non accadde affatto. Per abrogare le leggi razziali dal 25 luglio 1943 si deve arrivare al 20 Gennaio del 1944, e per stabilire una prima forma di indennizzo si deve addirittura raggiungere il Marzo del 1955. Molti analisti, come Giorgio Israel, hanno dimostrato come gran parte dell’intellettualità più stimata non abbia mai fatto ammenda per il suo antisemitismo, e come i maggiori nomi dell’Accademia italica messi in cattedra a spese delle epurazioni dei professori Ebrei (premi Nobel diretti negli Usa e in Urss!) siano rimasti intatti fari della “cultura italiana”! Oggi ne paghiamo ancora le conseguenze in tutta la loro devastante portata economica e politica. Quando il professore Attilio Momigliano fu reintegrato nella sua cattedra, la trovò sdoppiata perché quello che gliel’aveva portata via potesse restare al suo posto. Duplicata come un fenomeno da teletrasporto degno di Star Trek ma ante litteram. Questa è l’immagine che gli Ebrei italiani non possono dimenticare del loro alveo italiano, checché possano sostenere per amore di pace e dignità le ripetute affermazioni di solidarietà degli anni successivi. Da una parte brilla l’immagine dell’italiano cristiano verace, padre di famiglia, affettuoso e amichevole, il cui migliore amico è sempre Ebreo, che subisce le leggi razziali senza poi intenderle veramente. Dall’altra la Storia e la Memoria della Verità. La vecchia immagine resterà infatti storicamente contraddetta dall’inerzia e persino dall’opportunistica complicità di chi ha subito nella sua Città Capitale la selvaggia razzia di quel giorno di Ottobre del 1943. Adesso, l’Italia in crisi, come quasi tutti i Paesi europei, è di nuovo contagiata dal tanfo dell’antisemitismo e dell’antisionismo. I dati sono impressionanti, le sue espressioni pericolosamente sanguinose. Se ci fosse un sussulto di dignità, la lotta per combatterlo da parte di chi ha assistito o ha partecipato all’eliminazione di oltre 6 milioni di Ebrei, dovrebbe essere furiosa e determinata. Anche per via processuale. Ma così non sarà. La legge sul negazionismo subirà certamente qualche siluramento politico-istituzionale. O sarà blanda e inutile ovvero non esisterà affatto nel Bel Paese. La paura di dispiacere qualcuno in Europa e di infrangere un tabù plurisecolare intoccabile, il rifiuto di guardare in faccia i residui pestilenziali “tripartiti” di destra e di sinistra della malattia peggiore che il nostro Continente abbia mai contratto negli ultimi duemila anni, la difficoltà di intimare alla produttiva componente islamica immigrata, veementemente antisraeliana ed antisemita, di cessare dall’incitamento antisemita ed antisraeliano, disegna uno scenario pauroso e incerto per il futuro. Le continue menzogne su Israele e sugli Ebrei che anche il Presidente Giorgio Napolitano ha riferito soprattutto a una strisciante ripresa dell’antisemitismo, non vengono di fatto condannate né combattute culturalmente, politicamente e socialmente. Il Ghetto oggi ha nuove mura. È stato di nuovo assalito dall’antisemitismo che ha fatto decine di feriti ed è costato la vita nell’82 al bambino Stefano Tachè. Gruppi di fanatici hanno assalito gli Ebrei romani a casa loro ripetutamente. Le deportazioni sono lontane, il nazismo è morto, ma il lavoro da fare per curare la cancrena è ancora molto. Hashanà haba’a b’Yrushalayim. L’anno prossimo a Gerusalemme!

Nicola Facciolini

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