Dov’è finita l’Europa in Mediterraneo?

L’Unione Europea ha sospeso la settimana scorsa, seppur per soli due giorni, i negoziati con Ankara per il proseguimento del percorso d’ingresso nell’Unione Europea della Turchia, a causa del tentativo del Governo d’intervenire sulla privacy dei cittadini. Il motivo della sospensione non è affatto da sottovalutare. Il Premier Recep Erdogàn, infatti, intende vietare nei campus […]

L’Unione Europea ha sospeso la settimana scorsa, seppur per soli due giorni, i negoziati con Ankara per il proseguimento del percorso d’ingresso nell’Unione Europea della Turchia, a causa del tentativo del Governo d’intervenire sulla privacy dei cittadini. Il motivo della sospensione non è affatto da sottovalutare. Il Premier Recep Erdogàn, infatti, intende vietare nei campus universitari l’attuale convivenza, seppur in fabbricati separati, di studenti di sesso diverso; in particolare, ha in corso la stesura di una direttiva per isolare completamente il settore femminile dal resto del campus in ambito universitario. Il motivo è di ordine “morale”, conformemente a quanto prescrive il Corano sulla “riservatezza” della donna. La maggioranza laica del popolo turco, così come fece nell’estate scorsa, al solo apprendere la possibilità di messa in atto della direttiva è sceso per le strade per una manifestazione di “dissenso”. Ancora una volta, quindi, l’ennesimo tentativo di Erdogàn di instaurare costumi islamici in una società che, grazie a Ataturk, sin dal 1926 è stata educata ad una scuola Mediterranea, anzi per l’esattezza: Svizzera.  Ataturk, infatti, impose uno stato laico e moderno attraverso l’adozione del Codice Civile Svizzero e introducendo nella Costituzione (ancora in vigore, a causa della mancanza di maggioranza assoluta del partito di Erdogàn) una rigida separazione tra la religione e le istituzioni del paese, affidandone ai militari la tutela della legittimità esecutiva.

La voglia di islamizzare la Turchia da parte di Erdogàn e del suo partito, l’AKP – Partito per la giustizia e lo sviluppo, è senza dubbio una certezza. Basti citare che da iniziale amico e sostenitore del siriano Al Assad, dopo alcuni contatti avuti nel maggio 2011, attraverso gli Stati Uniti, con l’Arabia Saudita e il Qatar, il Governo Erdogàn è divenuto fermo oppositore del Regime siriano e si è schierato a supporto del ESL, l’Esercito di Liberazione, e ne ospita la Dirigenza della Coalizione Nazionale Siriana. Erdogàn ha giustificato questo cambio di strategia a causa dell’eccesivo orientamento laico del “Dittatore” Al Assad, e delle devianze del Partito Baath, cui lo stesso Presidente appartiene, di orientamento religioso alauita, una branca dello sciismo iraniano! Nel mese di maggio scorso, inoltre, proprio in uno dei momenti di massima crisi tra Siria e Occidente (quasi imposizione della ‘no fly zone’), un attentato “autobomba” a Reyhanlı, che ha causato quarantasei morti, ha innescato un’escalation con un dispiegamento di forze corazzate turche che hanno fatto pensare a un’imminente offensiva turca in Siria. Ma, i retroscena dell’attentato terroristico sono alquanto raccapriccianti, così come la matrice dell’azione dubbia e senza riscontri. Fonti locali indicano che le auto siano partite da oltreconfine, da un’area sotto controllo dall’Esercito Siriano Libero. In particolare la zona è dominata dagli jihadisti di Jabhat al-Nusra (di orientamento al Qaeda), che con ogni probabilità hanno gestito il passaggio di 200 chili di esplosivo attraverso in confine, con il tacito consenso di Ankara, allo scopo di creare giustificativi per un possibile intervento dei turchi sul territorio siriano.
Le stesse connivenze tra Turchia e Jihadisti (libici e Tunisini) in Siria si sono riscontrate nelle zone a preminenza Curda, dove nel luglio scorso si è aperto un nuovo fronte della guerra civile tra Jihadisti e Curdi. Nei mesi successivi, inoltre, grazie anche all’intervento di Hezbollah al fianco delle Forze regolari e delle subentrate pressioni internazionali dovute all’imprimatur di Putin a Obama sul “non intervento” armato in Siria, il fronte dei ribelli si è indebolito e, tra l’ESL e i miliziani jihadisti le divergenze sull’amministrazione dei territori conquistati degenerano in scontro aperto. Grazie all’appoggio della Turchia e dell’Arabia Saudita nasce un nuovo gruppo jihadista composto esclusivamente da non-siriani: lo Stato Islamico di Iraq e Sham (SIIS).
Partendo dalla semplice insinuazione sulle intenzioni di Erdogàn a dare maggiore moralità ed etica islamica di comportamento alla gioventù turca, la deriva islamica (cioè stato teocratico!) che Erdogàn ha instaurato nel paese appare sempre più evidente. Dal punto di vista geostrategico le cose, però, non si stanno mettendo tanto bene per la Turchia, proprio perché la Siria, così com’è apparso sin dall’inizio, è divenuta una pedina dello scacchiere mediterraneo di interesse vitale per entrambi i “rami” dell’Islam: quello Sunnita e lo Sciita. A causa della posizione strategica della Siria, il perdurare della guerra civile, ha coinvolto i paesi confinanti e l’intera comunità internazionale. Anche se quanto mai difficile comprendere la cultura araba – islamica, oggi appare sempre più evidente che sia l’Iran sia l’Iraq cercano di sostenere il Presidente Al Assad, in modo da poter creare una macroregione che arriva fino al Libano degli Hezbollah. Il fronte dei ribelli è invece tuttora sostenuto dalla Turchia e dai Paesi sunniti del Golfo, in particolare Arabia Saudita e Qatar. Gli Stati Uniti, che sino a ieri sono apparsi sempre al fianco dell’Arabia Saudita e del Qatar, dopo l’intervento della Russia, sono sempre più orientati ad applicare i lineamenti strategici di Obama sul “leading from behind”, cioè non apparire mai in prima persona, ma fornire solo finanziamenti di appoggio all’opposizione siriana.
Nel contempo però, sul fronte interno in Siria, la guerra civile oltre alla contrapposizione Regolari – Opposizione, vede aprirsi un secondo fronte ben più complesso di quello ufficiale: Jihadisti contro Opposizione. Il futuro della Siria? Difficile da prevedere, ma certamente al momento non di importanza prioritaria.
Visto, infatti, che l’articolo inizia con un intervento dell’Unione Europea, nasce spontanea la domanda: ma oltre alle ramanzine della Commissione, l’Europa in Mediterraneo che fine ha fatto?
A guardare non solo quanto accade in Turchia e in Siria, ma anche tutte le altre nazioni oggetto di sconvolgimenti istituzionali: Egitto, Libia, Tunisia, ci si rende conto che il vero problema dell’intera area è il “confronto culturale” che emerge sempre più, talvolta divenendo “scontro” all’interno stesso delle fazioni più radicali, tra una maggioranza conservatrice moderata, di estrazione culturale Mediterranea, e la cultura islamica dell’Origine del mondo arabo-islamico, che per contro si rifà a modelli di vita sociale ante – medioevo. L’urgenza primaria dell’intera area mediterranea del nord Africa e Medio Oriente non è, dunque, trovare un partner commerciale o aiuti militari o quant’altro di finanziario o materiale, bensì un’Europa altrettanto Mediterranea che aiuti queste nazioni ad aprirsi al “dialogo interculturale”, in modo tale da poter ritrovare la propria identità scegliendo chiaramente tra sistemi di Governo di matrice “teocratica” o le forme di democrazia multi identitarie.
Si, si parla soprattutto d’Europa perché gli USA, da tempo ormai, hanno ampiamente dimostrato che i loro interessi primari vanno sempre di più verso il Pacifico. Per il Mediterraneo hanno già indicato i loro partner privilegiati: l’Arabia Saudita e il Qatar da una parte e Israele dall’altra, valutando, forse impropriamente, che l’Europa ormai deve fare soprattutto da sola!

Fabio GHIA

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