Cgil, “ripresina” non basta occorre nuovo lavoro

Dall’inizio della crisi (2008) ad oggi la nostra regione ha perso salari per oltre 900 milioni di euro. La ‘ripresina’ non bastera’ senza interventi a favore di nuovo lavoro. Lo dice Sandro Giovarruscio della Cgil regionale che analizza la situazione abruzzese con dati e cifre. In Abruzzo sono state quasi 16 milioni (15.753.809) le ore […]

Dall’inizio della crisi (2008) ad oggi la nostra regione ha perso salari per oltre 900 milioni di euro. La ‘ripresina’ non bastera’ senza interventi a favore di nuovo lavoro. Lo dice Sandro Giovarruscio della Cgil regionale che analizza la situazione abruzzese con dati e cifre. In Abruzzo sono state quasi 16 milioni (15.753.809) le ore complessive di cassa integrazione autorizzate dall’Inps nel periodo gennaio-settembre 2015, un numero inferiore a quello dello stesso periodo dell’anno scorso (24.244.91), tale che nella nostra regione le ore di cassa integrazione sono scese finora del 35,02%.

Nelle varie province abruzzesi, in particolare, sino a settembre di quest’anno la riduzione piu’ modesta della cassa integrazione si e’ avuta in provincia dell’Aquila (-10,32%), che ha registrato anche il maggior numero di ore autorizzate dall’Inps (4.919.710), seguita da Teramo (4.733.009 ore), Chieti (3.847.384) e Pescara (2.253.706). Inoltre i lavoratori con posizioni a zero ore sono stati 10.090, mentre quelli coinvolti oltre 20.000. Dall’inizio del 2015 dunque – evidenzia il sindacalista – l’Abruzzo ha perso circa 70 milioni di salari, poiche’ ogni lavoratore in cassa integrazione vede il suo assegno ridursi mediamente di circa 650 euro al mese, e cio’ per effetto del tetto massimo previsto dalla legge sulla indennita’.

Sempre nel periodo gennaio-settembre 2015, gli abruzzesi che hanno beneficiato degli ammortizzatori sociali (esclusi i lavoratori agricoli) sono stati 43.394, mentre nello stesso periodo dell’anno scorso furono 46.080, con una diminuzione a livello regionale -5,8%. In questo caso tuttavia la Provincia dell’Aquila ha avuto un aumento delle persone coinvolte dagli ammortizzatori sociali (+5,3%) insieme a Pescara (+1,7%) e contrariamente a Chieti -14,6 e Teramo -10,8%. Tutto cio’ per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali.

Se guardiamo invece a chi lavora – prosegue nell’analisi Giovarruscio – nei primi sei mesi di quest’anno risultano in Abruzzo 468.000 occupati, ovvero 9.000 in piu’ di quelli dello stesso periodo del 2014. Un dato che pero’ va visto con attenzione e che e’ ancora molto lontano dal periodo pre-crisi, quando in Abruzzo il livello degli occupati aveva raggiunto 518.000 unita’. Un processo di ridimensionamento occupazionale che negli anni della crisi ha fortemente colpito il settore dei servizi. La nostra regione, infine, nei sette anni della crisi ha avuto una riduzione del Pil, cioe’ della ricchezza che viene prodotta, del -6,9%.

Solo lo scorso anno la flessione e’ stata dell’1,7%, un numero ancora troppo negativo anche se le previsioni fanno ben sperare. Dall’insieme dei dati emerge con evidenza che l’Abruzzo sta uscendo dalla crisi con troppa lentezza, e che al suo interno le varie province reagiscono diversamente: quella dell’Aquila ha minore capacita’ di agganciarsi alla ripresa, quella di Chieti puo’ giovarsi di una struttura produttiva fortemente orientata alle esportazioni e manifesta segnali positivi, la provincia di Pescara incontra seri problemi a causa di struttura economica basata sul settore terziario (molto in difficolta’), mentre Teramo registra finalmente i primi segnali di un’inversione di tendenza. Sono numeri – osserva il sindacalista – che dimostrano ancora una volta come siano urgenti scelte che favoriscano la ripresa dello sviluppo.

La giunta regionale in particolare deve mettere al centro dell’iniziativa politica il lavoro attraverso un deciso rilancio degli investimenti, a partire da quelli previsti dal Masterplan e dalla programmazione 2014-2020, individuando nel contempo strumenti in grado di sostenere la domanda interna della nostra regione – i consumi degli abruzzesi – anche perche’ la domanda esterna (l’export) da sola non e sufficiente a rilanciare lo sviluppo e l’occupazione, dice infine Giovarruscio.

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