Al via la fusione tra Banco Popolare e Banca Popolare di Milano

Dopo tanti rinvii, alla fine Banco Popolare e Banca Popolare di Milano hanno firmato un accordo preliminare per la fusione delle due società. Il nuovo colosso bancario sarà al terzo posto in Italia dopo Intesa Sanpaolo e Unicredit; gli attuali azionisti di Banco Popolare avranno il 54% della nuova entità, mentre il restante 46% andrà […]

Dopo tanti rinvii, alla fine Banco Popolare e Banca Popolare di Milano hanno firmato un accordo preliminare per la fusione delle due società. Il nuovo colosso bancario sarà al terzo posto in Italia dopo Intesa Sanpaolo e Unicredit; gli attuali azionisti di Banco Popolare avranno il 54% della nuova entità, mentre il restante 46% andrà agli azionisti di Bpm. Certo l’operazione ha degli aspetti positivi, prima di tutto i previsti risparmi sui costi: sono circa il 10% rispetto ai livelli attuali, ma tenendo conto degli oneri “una tantum” legati all’operazione riduciamo le stime sull’utile 2017 da 0,7 a 0,47 euro per azione. Altro aspetto positivo, il rafforzamento strategico grazie alle maggiori dimensioni. L’ottimismo legato a questa operazione, soprattutto da parte del management, ci sembra tuttavia eccessivo. Banco Popolare potrà sfruttare la fusione per “diluire” il problema dei crediti con difficoltà di recupero (Bpm è messa un po’ meglio su questo fronte), ma in compenso “paga” la fusione con la necessità di varare un aumento di capitale prima dell’avvio dell’operazione (le assemblee per approvare la fusione dovrebbero tenersi entro novembre, quindi l’aumento di capitale arriverà entro ottobre). L’aumento di capitale sarà da 1 miliardo, contro gli oltre otto miliardi del patrimonio attuale di Banco Popolare. Non un’operazione “monstre”, quindi, ma neanche così trascurabile: d’altronde è il “prezzo” chiesto dalla Bce per dare il via libera all’operazione, con buona pace del management che fino a pochi giorni fa ancora negava l’ipotesi di ricapitalizzazione. Oltre a questo, diversi segnali ci portano a pensare che anche dopo la fusione continueranno, in sostanza, a convivere due mondi diversi: il numero di amministratori subirà un buon taglio (dagli attuali 48 a 19), ma non al livello chiesto dalla Bce (15), livello che si raggiungerà solo in futuro. Le “sedi centrali” saranno due, una legale a Milano e una amministrativa a Verona. Infine, verrà creata una “Nuova Bpm Spa” che sarà controllata dalla capogruppo e che potrà sopravvivere fino a tre anni (questo il compromesso raggiunto con la Bce). Insomma, i giochi di potere e di incarichi hanno impedito di arrivare a una struttura più lineare e semplice, che avrebbe ridotto ulteriormente i costi, e le richieste della Bce (in particolare l’aumento di capitale) peseranno sugli azionisti. C’è quindi da festeggiare, sì, ma solo fino a un certo punto. Non modifichiamo perciò il nostro giudizio sulle azioni Banco Popolare (7,28 euro) e Bpm (0,71 euro): entrambe restano da vendere. (.altroconsumo.it)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *