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Anche se in sezioni decisamente “minori” l’Italia esce degnamente da Cannes 2016, con il cortometraggio “Ti ho incontrato domani” di Marco Toscani in finale per il Global Short Film Award e “La sedia di cartone” di Marco Zuin che vince l’Enter 2 Marches. Poca roba dirà qualcuno, ma davvero meglio di niente. A trionfare, piuttosto […]

Anche se in sezioni decisamente “minori” l’Italia esce degnamente da Cannes 2016, con il cortometraggio “Ti ho incontrato domani” di Marco Toscani in finale per il Global Short Film Award e “La sedia di cartone” di Marco Zuin che vince l’Enter 2 Marches. Poca roba dirà qualcuno, ma davvero meglio di niente.

A trionfare, piuttosto a sorpresa e a portare a casa la sua seconda Palma d’Oro (dopo quella del 2006 con “Il vento accarezza l’erba”) è Ken Loach con “I, Daniel Black”, piaciuto molto alla critica e al pubblico ma che pensavamo distante dalle “corde” di un presidente di giuria come George Miller, medico ed autore di film sperimentali a tempo perso, divenuto poi ideatore e regista dei mitici film della trilogia originale di Mad Max e di uno degli episodi (il migliore) del film collettivo Ai confini della realtà, surclassando registi del calibro di Steven Spielberg, John Landis e Joe Dante.

In fondo ha sorpreso tutti George Miller che ha voluto premiare un cinema di impegno politico e sociale come a voler dire che la sua visione di cinema non è fatta solo di esplosioni e scene d’azione.

Comunque la storia di un uomo anziano che si trova a dover fronteggiare una burocrazia che non lascia scampo e una tecnologia troppo distante da lui deve aver fatto breccia nel cuore dei giurati, anche se il giudizio non è stato unanime, come ha ribadito la nostra Valeria Golino, anch’essa in giuria.

Non ci sorprende invece il premio della Giuria andato ad American Honey, molto prossimo ai racconti cari al fulmicotonico ed eclettico Miller, né quello ex aequo per la miglior regia, andato a Cristian Mungiu per Baccalaureat e Olivier Assayas per Personal Shopper.

Ottima scelta davvero, perché ognuno di questi i film si muove in un ambiente diverso, con condizioni diverse e pesi differenti sulle spalle dei propri protagonisti. Ogni spettatore può così scegliere quale delle visioni di mondo sia quella più simile alla sua e da quale essere messo in crisi. Questa è davvero la pluralità di sguardo sulla realtà che ogni festival di cinema dovrebbe avere.

La grande delusa di questa edizione resta Sonia Braga, che molti davano già come vincitrice del premio come miglior attrice per il film Aquarius, andato invece a Jaclyn Rose per Ma’ Rosa di Brillante Mendoza.

Delusione parziale, poi, per Toni Erdmann di Maren Ade, da molti (quasi tutti) dato come favorito per la Palma d’Oro, ma che si è dovuto accontentare del premio FIPRESCI.

Chi ha deluso, invece, sono stati Pedro Almodovar, Park Chan Wook, Sean Penn e Nicolas Winding, che hanno diretto, i primi due, film buoni ma di certo non eccezionali e i secondi del quartetto opere pasticciate che, li avesse fatti un altro, sarebbero state cestinate.

A proposito di questi ultimi due Nicolas Winding Refn voleva dimostrare di essere un regista anche da grande pubblico, di poter bissare l’equilibrio tra stile e narrazione di Drive, ma non l’ha fatto con il bruttissimo The Neon Demon, e Sean Penn con The Last Face ha messo tutti d’accordo: il suo è stato il film peggiore del festival, un disastro insalvabile formalmente e contenutisticamente.

Carlo Di Stanislao

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