Ucraina. Guerra arriva a tavola, 10% energia serve per cibo

Con la filiera agroalimentare che assorbe da sola il 10% dei consumi energetici, per circa 13,3 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti (Mtep) all’anno, il caro bollette aggravato dalla guerra in Ucraina mette a rischio le forniture di cibo e alimenta le speculazioni, con costi insostenibili per gli agricoltori e inflazione nel carrello della spesa […]

Con la filiera agroalimentare che assorbe da sola il 10% dei consumi energetici, per circa 13,3 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti (Mtep) all’anno, il caro bollette aggravato dalla guerra in Ucraina mette a rischio le forniture di cibo e alimenta le speculazioni, con costi insostenibili per gli agricoltori e inflazione nel carrello della spesa con prezzi troppo alti per cinque milioni di italiani che sono già nell’area della povertà alimentare. A denunciarlo sono i giovani della Coldiretti in occasione della clamorosa protesta a sostegno dei colloqui di pace e contro il conflitto che causa vittime e scatena speculazioni, carestie e fame nel mondo. Nel sistema agricolo i consumi diretti di energia includono i combustibili per trattori, serre e i trasporti mentre i consumi indiretti sono quelli che derivano da fitosanitari, fertilizzanti e impiego di materiali come la plastica (4,7 Mtep). Il comparto alimentare richiede invece – continua la Coldiretti – ingenti quantità di energia, soprattutto calore ed energia elettrica, per i processi di produzione, trasformazione, conservazione dei prodotti di origine animale e vegetale, funzionamento delle macchine e climatizzazione degli ambienti produttivi e di lavoro (8,6 Mtep). I rincari dell’energia alimentati dal conflitto scatenato da Putin – sottolinea la Coldiretti – stanno avendo così un impatto devastante sulla filiera, dal campo alla tavola, aggravando una situazione in cui per ogni euro speso dai consumatori in prodotti alimentari appena 15 centesimi vanno in media agli agricoltori, che scendono addirittura a 6 centesimi nel caso dei prodotti trasformati. I compensi sono scesi sotto i costi di produzione e rendono ormai economicamente insostenibile l’attività nei campi, anche per effetto di pratiche sleali che scaricano sull’anello più debole della filiera gli oneri delle promozioni commerciali, mentre paradossalmente i prezzi per le famiglie corrono.

C’è il rischio concreto di aggravare la dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti agroalimentari con l’Italia che è già obbligata ad importare il 64% del grano per il pane, il 44% di quello necessario per la pasta, ma anche il 16% del latte consumato e il 49% della carne bovina e il 38% di quella di maiale, senza dimenticare il mais e la soia fondamentali per l’alimentazione degli animali e per le grandi produzioni di formaggi e salumi Dop, dove con le produzioni nazionali si riesce attualmente a coprire rispettivamente il 53% e il 73%, secondo l’analisi del Centro Studi Divulga. Non a caso le importazioni di cibo dall’estero sono aumentate del 10% nell’ultimo anno, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat. “La guerra in Ucraina ha dimostrato ancora una volta la necessità improrogabile di garantire la sovranità e l’autosufficienza alimentare come ha scelto di fare la Francia con Macron che ha annunciato un piano di sostegno per proteggere gli agricoltori mentre la Cina ha inserito il settore agricolo nelle linee di investimento programmatico dello Stato insieme allindustria meccanica e allintelligenza artificiale” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “dinanzi a una situazione esplosiva Coldiretti chiede interventi immediati a partire dallo sblocco di 1,2 miliardi per i contratti di filiera già stanziati nel Pnrr, ma anche incentivare le operazioni di ristrutturazione e rinegoziazione del debito delle imprese agricole a 25 anni attraverso la garanzia del 100% pubblica e gratuita di Ismea e fermare le speculazioni sui prezzi pagati degli agricoltori con un efficace applicazione del decreto sulle pratiche sleali. E poi – continua Prandini – investire per fare in modo che queste criticità non si verifichino in futuro aumentando la resa produttiva dei terreni e la chiave è la costruzione dei bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità, che è sempre più evidente, ed aumentare i raccolti, ma anche contrastare l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni. Senza dimenticare – conclude Prandini – la ricerca pubblica con le NBT a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici.

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