Sociale. Vita senza nonni – sitter? Una stangata tra 650 e 1.300 euro al mese

Alessandra vive e lavora a Milano, ha un marito, Giulio, due figli, Jacopo e Sofia (5 e 3 anni), e una schiera di babysitter da chiamare all’occorrenza. Sì perché quella di Alessandra è una famiglia ‘fuori sede’: lei di origini calabresi e lui pugliesi, nel capoluogo lombardo non hanno nonni, zii o parenti di qualunque […]

Alessandra vive e lavora a Milano, ha un marito, Giulio, due figli, Jacopo e Sofia (5 e 3 anni), e una schiera di babysitter da chiamare all’occorrenza. Sì perché quella di Alessandra è una famiglia ‘fuori sede’: lei di origini calabresi e lui pugliesi, nel capoluogo lombardo non hanno nonni, zii o parenti di qualunque grado che possano aiutarli nella gestione familiare. E allora la babysitter è l’ancora di salvezza per riuscire ad amministrare la quotidianità. “Mi affido a una ragazza che tutti i giorni va a prendere i bambini a scuola e sta con loro fin quando io o mio marito torniamo dal lavoro- racconta- è un impegno economico importante ma non abbiamo alternative”. In cifre? “650 euro al mese (più contributi) per 4 ore di lavoro al giorno, 5 giorni a settimana”. Ma non finisce qui. “Se i bambini stanno male e non possono andare a scuola la spesa quel mese aumenta e anche lo stress- dice- perché non è detto che la babysitter abituale sia disponibile per l’intera giornata (o per tutti i giorni di malattia dei piccoli) e quindi devo avere una nutrita agenda di numeri da poter chiamare all’occorrenza”. Così come si spende di più nel periodo di Natale, a Pasqua, nei giorni in cui la scuola è chiusa per sciopero, o in estate. Ci sono poi madri e padri che iniziano a lavorare molto presto la mattina, chi fa i turni di notte o chi è occupato anche nel weekend e in mancanza dell’aiuto dei nonni la soluzione sono baby sitter full time o addirittura tate ‘live-in’, ossia persone che vivono in casa con la famiglia. E così la spesa lievita raggiungendo anche i 1.300 euro mensili. Insomma la vita dei genitori che non possono contare sull’aiuto dei nonni oltre a essere dura è anche piuttosto cara. E il ‘problema’ riguarda più della metà delle famiglie italiane. Secondo l’Istat, infatti, all’aiuto regolare di parenti o amici ricorre ben il 46,8 per cento dei nuclei familiari con figli fino a 5 anni (38 per cento quelli con figli minori di 15 anni) e si tratta per lo più del supporto dei nonni. E tutti gli altri? Probabilmente fanno come Alessandra e stringono la cinghia almeno fin quando i bambini arrivano alle elementari.

In molte scuole primarie, infatti, esiste il servizio di pre e post scuola, gestito all’interno degli istituti ma da associazioni esterne, ed è un servizio che consente, a prezzi contenuti, di portare i bambini a scuola prima dell’apertura e di riprenderli dopo l’orario di uscita, in modo che i genitori possano andare a tornare dal lavoro tranquillamente… traffico permettendo. La conciliazione delle esigenze di vita e di lavoro è sicuramente un’area critica per il nostro Paese. Sempre secondo i dati Istat nel 2018 quasi il 36 per cento delle occupate con figli minori di 15 anni ha dichiarato problemi di conciliazione, quota che sale a 4 su 10 se il figlio più piccolo ha meno di sei anni. E non va meglio nelle famiglie in cui la professione dei genitori consente potenzialmente lo svolgimento da remoto (2 milioni 47 mila) perché le problematiche di conciliazione ci sono lo stesso, anche se di diversa natura, essendo legate alle necessità di riorganizzare i tempi di vita e di lavoro e alle difficoltà che derivano dalla continua compresenza in casa di genitori e figli, dalla condivisione di spazi e strumentazione tecnologica per lavorare e studiare, dalla gestione di tempi diversi. E dunque anche in questi casi, soprattutto se si hanno bambini piccoli, è necessario ricorrere all’aiuto ‘esterno’, ossia qualcuno che stia con i pargoli mentre mamma e papà lavorano. Per non parlare degli 853 mila nuclei con figli in età inferiore a 15 anni (583mila coppie e 270mila monogenitori, di cui questi ultimi l’84,8 per cento donne) dove l’unico genitore, o entrambi, svolgono professioni che richiedono la presenza sul luogo di lavoro e quindi a elevato disagio da conciliazione (come le professioni della sanità, della grande distribuzione, ecc.) quando non vi sia l’aiuto dei nonni. E il futuro non sembra essere roseo. La crescente domanda di aiuto, infatti, non va di pari passo all’offerta. Ossia trovare babysitter non è semplicissimo e dunque i costi aumentano. Se, infatti, secondo una ricerca di Sitly, la piattaforma che fa incontrare on-line genitori e baby sitter, nel 2017 il costo medio orario di una babysitter in Italia era di 7,76 euro l’ora, nel 2019 è salito a 8,06 euro. E stando a quanto raccontano molte mamme oggi il prezzo di mercato si aggira sui 10 euro l’ora.

Al costo si aggiunge poi l’aspetto emotivo perché un conto è lasciare i propri figli all’amorevole cura dei nonni, un altro è lasciarli a delle persone che, seppur preparate in materia, non si conoscono. E allora ci si affida al passaparola, alle agenzie o a servizi online. Tra questi c’è ad esempio Mamsitter Italia, un servizio di segnalazione apposito fondato da Paola Cimaroli, una mamma ‘fuori sede’. “Nel 2017, in una fase molto delicata della mia vita, sia professionale che personale, ho deciso di trasferirmi da Roma in Abruzzo, in una città piccola e raccolta. Aspettavo il mio secondo genito- racconta- e non avevo aiuti. Al quinto mese di gravidanza ho cominciato a riflettere su quante persone si trovassero nella mia stessa situazione: città nuova (o nuovo quartiere), familiari lontani, rete amicale praticamente assente. E allora ho creato quella che oggi è Mamsitter, una community che aiuta le mamme a trovare il supporto di cui hanno bisogno controllando le referenze e valutando le candidature”. Una cosa è certa e l’Istat lo mette nero su bianco: il costo dell’adattamento del lavoro agli equilibri familiari ricade più sulle donne che, quando occupate, si trovano a dover modificare orari o altri aspetti del lavoro nel 38,3 per cento dei casi (42,6 per cento se con figli da 0 a 5 anni). I padri lo fanno in misura molto minore (rispettivamente 11,9 per cento e 12,6). “Le ragioni vanno ricercate nella scarsa disponibilità di servizi per la prima infanzia, nell’insufficienza di investimenti in politiche per la conciliazione, nelle scelte di organizzazione del lavoro delle imprese ancora molto rigide, in una ripartizione del lavoro di cura all’interno della famiglia nel nostro Paese ancora squilibrata a sfavore delle donne”, scrive l’Istituto di statistica. E allora i nonni-sitter diventano davvero fondamentali, per stare con i bambini e per consentire alle mamme di poter continuare a lavorare… in attesa di tempi migliori.

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